Regime

  • Un regime che cerca di apparire come uno Stato di diritto

    Più grande è la fetta presa dallo Stato, più piccola sarà la torta a disposizione di tutti.

    Margaret Thatcher

    Spesso si parla e si dibatte sul concetto dello ‘Stato di diritto’. E spesso questo concetto si confonde con quello dello ‘Stato legale’, nonostante ci sia una significativa differenza tra di loro. Si tratta di concetti che in comune hanno solo il rispetto delle leggi da parte delle istituzioni dello Stato. Cosa che accade però anche nei sistemi autocratici e dittatoriali. Invece in uno ‘Stato di diritto’ vengono rispettati e garantiti per legge tutti i diritti e le libertà dell’essere umano. E si tratta di diritti e libertà innate. Mentre molti diritti e libertà dell’essere umano non sono riconosciuti per legge dai regimi autocratici e dittatoriali. Ragion per cui non si rispettano e neanche si garantiscono.

    Il concetto dello ‘Stato di diritto’ è stato trattato già nella Grecia antica. Aristotele, circa ventitre secoli fa affermava che “… È più opportuno che sia la legge a governare che uno qualsiasi dei cittadini; secondo lo stesso principio, se è vantaggioso porre il potere supremo in alcune persone particolari; queste dovrebbero essere nominate solo custodi e servitori delle leggi”. In seguito il concetto è stato ulteriormente elaborato, adattandolo alle realtà del periodo storico, sia nel Regno Unito che in altri Paesi europei. Il concetto dello ‘Stato di diritto’ ha molto in comune con quello che è noto come Rule of Law (Imperio del Diritto; n.d.a.), fino al punto che si identificano. Nell’Enciclopedia Britannica con Rule of Law si intende un “meccanismo, processo, istituzione, pratica o norma che sostiene l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, garantisce una forma di governo non arbitraria e, più in generale, impedisce l’uso arbitrario del potere”.

    “Tutti sono attori dello Stato di diritto”. È una frase che esprime la convinzione dei dirigenti del World Justice Project (WJP – Progetto della Giustizia nel mondo; n.d.a.), fondato nel 2006 negli Stati Uniti d’America. Proprio nello stesso anno in cui un’altra organizzazione, Jeunes Européens Fédéralistes (JEF – Giovani Federalisti Europei; n.d.a.), nell’ambito delle attività denominate Democracy Under Pressure (Democrazia sotto Pressione; n.d.a.), cominciò a denunciare la violazione dei diritti dell’uomo in Bielorussia. Un Paese che allora veniva considerato come “l’ultima dittatura in Europa”.

    World Justice Project è un’organizzazione che secondo molti specialisti ed opinionisti risulta essere una delle più note organizzazioni, a livello internazionale, nel campo degli studi dettagliati e dell’informazione sullo Stato di diritto e della sua promozione. World Justice Project prepara e pubblica ogni anno anche un rapporto, il Rule of Law Index (Indice sullo Stato di diritto; n.d.a.). Un rapporto che raccoglie, elabora ed analizza molti dati che riguardano il rispetto della legge, attualmente in 142 Paesi del mondo. Sono dati raccolti direttamente, intervistando i cittadini e che servono a evidenziare il rispetto delle leggi e dei diritti fondamentali dell’essere umano. Il rapporto annuale Rule of Law Index viene redatto come una classifica di tutti i Paesi sotto analisi e che si basa sul rispetto delle libertà e dei diritti dei cittadini, sanciti dalla legge. Vengono perciò analizzati le cosiddette otto macro dimensioni dello Stato di diritto. E cioè la limitazione dei poteri governativi, l’assenza di corruzione, l’open government, i diritti fondamentali, l’ordine e la sicurezza, l’applicazione della legge, la giustizia civile e la giustizia penale.

    Mercoledì scorso, 23 ottobre, è stato pubblicato il rapporto Rule of Law Index per il 2024. In quel rapporto sono stati presentati i risultati delle analisi multidimensionali, fatte dagli specialisti del World Justice Project, per  tutti i 142 Paesi presi in considerazione. L’Albania era uno di loro. Ebbene, per il settimo anno consecutivo l’Albania registra solo dei continui regressi. Soprattutto per quando riguarda la corruzione. Riferendosi  all’indice “Assenza di corruzione” l’Albania si classifica alla 107a posizione tra i 142 Paesi analizzati. Dai dati elaborati risulta che l’Albania si percepisce come il Paese più corrotto dell’Europa. Ragion per cui entra nella “zona rosa” della corruzione, dova l’applicazione ed il rispetto delle leggi in vigore lasciano molto a desiderare.

    La corruzione, partendo dai più alti livelli delle istituzioni pubbliche in Albania, è analizzata e trattata in questi ultimi mesi anche da molti media internazionali. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò a tempo debito (Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori, 11 marzo 2024; Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024; Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo, 3 giugno 2024; Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia; 16 settembre 2024; Minacce ai giornalisti europei che denunciano una grave realtà, 7 ottobre 2024 ecc…). In un articolo pubblicato il 24 ottobre scorso dal noto quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, riferendosi alla corruzione in Albania si sottolinea che molti funzionari delle istituzioni dell’Unione europea affermano privatamente che “…la corruzione esiste in tutti i campi ed è ben presente nella vita pubblica”. Nello stesso articolo si fa riferimento anche al rapporto per il 2023 del Dipartimento di Stato statunitense, in cui si afferma che “…la corruzione esiste in tutte le diramazioni e in tutti i livelli del governo”. Mentre un altro media statunitense, il Fox News Digital, parte integrante della ben nota catena televisiva Fox News, sempre il 24 ottobre scorso sottolineava che “…La corruzione, soprattutto nel sistema giudiziario, è molto diffusa in Albania e i tribunali sono spesso sotto pressione e influenza politica”.

    Anche il noto settimanale francese Nouvel Obs, lo stesso giorno, il 24 ottobre scorso, affermava che dopo undici anni che il primo ministro è al potere “…l’Albania è ancora uno dei Paesi più corrotti dell’Europa […]. Un narcostato che si sta svuotando dei suoi abitanti”.

    I media internazionali la scorsa settimana si riferivano anche al sistema “riformato” della giustizia.

    Radio France Internationale, una ben nota emittente radiofonica pubblica francese, sottolineava che “…In Albania la riforma del sistema della giustizia si presenta come un successo dalla comunità internazionale, sembra che serve molto a rafforzare l’attuale potere [politico], invece di assicurare la vera trasparenza”. Un fatto questo che “…aumenta le preoccupazioni sull’indipendenza delle istituzioni del sistema della giustizia”. Il nostro lettore da anni ormai è stato informato, sempre con la dovuta e richiesta oggettività, del controllo delle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia in Albania da parte del primo ministro e/o di chi per lui. Soprattutto della Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata che ormai, fatti accaduti anche in questi giorni alla mano, è diventata un’arma nelle mani del primo ministro per eliminare gli avversari politici. Lo testimoniano gli arresti domiciliari da dieci mesi ormai e senza prove del capo dell’opposizione, ex presidente della Repubblica ed ex primo ministro. Così come lo testimonia l’arresto brutale lunedì scorso, 21 ottobre, di un altro ex presidente della Repubblica, ex presidente del Parlamento ed ex primo ministro. Quest’ultimo è stato precedentemente alleato con l’attuale primo ministro (2013-2017), per poi diventare un suo avversario politico. Anche di questi arresti hanno scritto i media internazionali la scorsa settimana.

    Chi scrive queste righe è convinto che in Albania dal 2013 è stato restaurato un regime autocratico. Si tratta di una nuova dittatura sui generis, di un regime che cerca di apparire come uno Stato di diritto. Ma non lo è per niente. Spetta ai cittadini albanesi reagire, perché, come affermava Margaret Thatcher, più grande è la fetta presa dallo Stato, più piccola sarà la torta a disposizione di tutti. E lo Stato in Albania non è uno Stato di diritto ma, bensì, uno Stato corrotto e che abusa.

  • Prima dello schianto Raisi fa eseguire le condanne a morte disposte in Iran

    Ebrahim Raisi le ha raggiunte poco dopo, ma prima che il presidente iraniano morisse l’Iran ha giustiziato almeno sette persone, tra cui due donne. A denunciarlo è stata la Ong con sede a Oslo, Iran Human Rights (Ihr), segnalando anche il rischio imminente di esecuzione per un membro della minoranza ebraica. L’associazione ha evidenziato una escalation di esecuzioni capitali nel Paese. Una delle vittime è Parvin Mousavi, 53 anni, madre di due figli adulti che è stata impiccata nella prigione di Urmia, nel nord-ovest dell’Iran. Insieme a lei anche cinque uomini, condannati per vari casi legati alla droga, secondo quanto riferito su un comunicato dell’organizzazione norvegese. L’altra donna giustiziata è Fatemeh Abdullahi, 27 anni, impiccata a Nishapur, nell’Iran orientale, con l’accusa di aver ucciso suo marito (che era anche suo cugino).

    L’Ong norvegese afferma anche di aver registrato in Iran almeno 223 esecuzioni quest’anno, di cui almeno 50 solo nel mese di maggio. La nuova ondata, iniziata dopo la fine delle festività del Capodanno persiano e del Ramadan ad aprile, ha visto la morte di 115 persone, tra cui 6 donne impiccate da allora. L’Iran è il Paese che registra più esecuzioni di donne in tutto il mondo. Gli attivisti affermano che molte di queste detenute sono vittime di matrimoni forzati o abusivi. Secondo l’Ong, che accusano la repubblica islamica di usare la pena capitale come mezzo per scatenare la paura sulla scia delle proteste scoppiate nell’autunno 2022, l’anno scorso l’Iran ha effettuato più impiccagioni che in qualsiasi altro anno dal 2015. “Il silenzio della comunità internazionale è inaccettabile”, ha dichiarato il direttore dell’Ihr Mahmood Amiry-Moghaddam. “Le persone giustiziate – ha aggiunto – appartengono ai gruppi poveri ed emarginati della società iraniana e non hanno avuto processi equi con il giusto processo”.

  • L’Iran condanna a morte quattro imputati per aver venduto alcolici di contrabbando

    L’Iran ha condannato a morte quattro imputati per aver venduto alcolici di contrabbando che, a giugno scorso, avevano provocato la morte di 17 persone, mentre 191 erano state ricoverate in ospedale con sintomi di avvelenamento da metanolo. Lo ha dichiarato in una conferenza stampa il portavoce della magistratura iraniana, Masoud Setayeshi, spiegando che 11 imputati erano stati accusati in precedenza del “reato capitale di corruzione” per la distribuzione di bevande alcoliche nella provincia di Alborz, a ovest di Teheran.

    Di questi 11, quattro sono stati condannati a morte mentre gli altri hanno ricevuto pene detentive da uno a cinque anni, i condannati possono appellarsi alla Corte suprema dell’Iran. Secondo i dati diffusi dall’Istituto di medicina legale della Repubblica islamica, 644 persone sono morte nell’anno iraniano conclusosi il 20 marzo 2023 dopo aver consumato “bevande alcoliche contraffatte”, con un aumento del 30 per cento rispetto al periodo precedente di 12 mesi. La vendita e il consumo di alcolici sono stati vietati in Iran dopo la Rivoluzione islamica del 1979, dando origine a un massiccio contrabbando di alcolici, alcuni dei quali adulterati con metanolo tossico. Nel 2020, almeno 210 iraniani erano morti dopo aver bevuto alcolici di contrabbando, credendo falsamente che fossero una cura per il Covid-19.

  • Continuano le morti ‘misteriose’ a Mosca

    Dopo la morte “misteriosa” dell’oligarca Kudryakov trovato senza vita, nei giorni scorsi, nel suo appartamento di Mosca ora è la volta di Anton Cherepennikov, milionario con legami con i servizi segreti russi e proprietario della Russia IKS holding, la più grande azienda russa di informatica, intercettazioni, sistemi operativi investigativi.

    L’azienda è stata usata  dall FSB, il servizio di sicurezza federale per condurre intercettazioni telefoniche.

    Continuano le morti sospette di molte persone collegate a Putin, sospette si fa per dire ovviamente visto che la loro morte non è ovviamente una punizione divina ma umana e che è noto come Putin, da sempre, non abbia remore a far sparire chi è diventato, per qualsivoglia motivo, scomodo o pericoloso.

  • In Iran tornano le pattuglie per il controllo del decoro

    A meno di un anno dalla morte Mahsa Amini, la giovane uccisa in Iran perché non indossava
    correttamente l’hijab, le pattuglie della polizia morale, istituite dopo la Rivoluzione islamica del 1979, potranno nuovamente sanzionare coloro che non portano il velo correttamente nei luoghi pubblici.

    L’assurdo omicidio aveva portato moltissime persone a manifestare in maniera veemente contro il regime, la maggior parte erano donne che avevano tolto il velo e tagliato i capelli in segno di ribellione. Dopo centinaia di arresti e condanne a morte, l’Iran aveva sospeso le forze della polizia morale poiché gli agenti di sicurezza, durante le proteste, avevano picchiato, torturato, ucciso e fatto sparire delle persone. Nonostante il regime iraniano, le proteste sono andate avanti a lungo. Adesso però gli agenti ripristineranno il controllo capillare sui civili, in particolare sul corretto utilizzo dell’hijab da parte delle donne, avvalendosi anche di
    telecamere in strada.

  • Un’ulteriore e preoccupante espressione di totalitarismo

    La propaganda è veramente un’arma, come i cannoni o le bombe, e imparare a difendersene è importante, come trovare riparo durante un attacco aereo.

    George Orwell

    Il suo vero nome è Eric Arthur Blair, ma per la maggior parte dei suoi lettori egli era e rimane George Orwell. È l’autore di diversi libri, due dei quali sono stati tradotti e letti in diverse lingue del mondo da molte, moltissime persone. Si tratta di due romanzi. Uno è La fattoria degli animali, pubblicato nel 1945. L’altro è 1984, scritto nel 1948 e pubblicato nel 1949, soltanto pochi mesi prima della scomparsa dello scrittore. George Orwell, grazie alla sua breve ma intensa, spesso sofferta e diretta esperienza di vita, aveva ben consolidato ed esprimeva chiaramente le sue convinzioni, anche sulla grande importanza e i diretti effetti della propaganda sul genere umano. Intesa come una consapevole e dettagliatamente pianificata attività persuasiva per raggiungere determinati obiettivi, ottenendo consenso pubblico, la propaganda ha facilitato, tra l’altro, anche la costituzione dei sistemi totalitari tra le due guerre mondiali. Ragion per cui della propaganda si faceva e continua a farsi un uso programmato, continuo, sproporzionato e assordante in tutte le dittature. Ed è uno dei temi che George Orwell tratta maestosamente nel suo capolavoro 1984. E proprio in quel romanzo egli è stato, tra l’altro, anche colui che, per la prima volta, ha coniato ed usato l’ormai diffusa espressione: il “Grande fratello”. Così veniva considerato e chiamato da tutti in Oceania il capo indiscusso del Partito. Un personaggio misterioso che nessuno aveva mai visto, ma che il suo volto però si trovava in tutti i manifesti affissi ovunque e apparsi anche nei teleschermi presenti in ogni luogo pubblico, in tutti gli uffici e le abitazioni dell’Oceania, la cui capitale era Londra. Era uno dei tre grandi Paesi dittatoriali che controllavano in mondo intero e che si trovavano in un continuo ed acerrimo conflitto tra loro. Si, perché le lotte erano considerate allora, nel 1984 e dopo la fine della [immaginaria] terza guerra mondiale, come una necessità per garantire il raggiungimento ed il mantenimento del difficile e instabile equilibrio mondiale. Il “Potere assoluto”, rappresentato dal “Grande fratello”, si basava sulla propaganda che faceva uso dei mezzi di comunicazione di massa e della tecnologia, per manipolare l’opinione pubblica e per attuare l’annullamento totale e definitivo dell’individualità. In Oceania, come scriveva George Orwell, “…nulla si possedeva di proprio, se non pochi centimetri cubi dentro il cranio”. Sì, perché a tutto pensava il “Grande fratello”. Perché, come scriveva Orwell “…Ogni successo, ogni risultato positivo, ogni vittoria, ogni conoscenza scientifica […] si pensa provengano dalla sua guida e dalla sua ispirazione”.

    L’autore del romanzo 1984 era convinto che, facendo uso di tutti i potenti e ben coordinati mezzi di propaganda “…si può manipolare l’opinione pubblica a proprio piacimento”. Tutto ciò in funzione e sostegno della strategia del “Grande Fratello”, uno dei pochi obiettivi fondamentali del quale era quello di controllare e di orientare il modo di pensare non solo di una singola persona, ma di tutta la società. Altri obiettivi della strategia del “Grande fratello” erano sia la costituzione della “Neolingua” (Newspeak), che l’attivazione di quello che veniva chiamato il “Bipensiero” (Doublethink). Di una grande importanza era stata considerata anche la costituzione e l’intransigente onnipresenza operativa della “Psicopolizia” (Thought Police) in tutta l’Oceania. Una struttura, quella, parte integrante del “Ministero dell’Amore” (Miniluv), che con i suoi metodi “persuasivi riusciva a convincere tutti”, oppure “li faceva tacere per sempre”. George Orwell era fermamente determinato e socialmente motivato a diffondere il suo messaggio ammonitivo contro tutto ciò che poteva, in qualche modo, contribuire ad annientare dei diritti e dei valori fondamentali dell’umanità come la libertà e la dignità individuale. Già da prima dell’inizio della seconda guerra mondiale e fino alla fine Orwell aveva reso pubblico il suo impegno sociale e la sua determinazione a scrivere contro le ingiustizie e le mostruosità delle dittature, sia di destra che di sinistra. Ragion per cui, come egli stesso aveva affermato, ogni sua riga “…sarà spesa contro il Totalitarismo”. E così ha fatto. Come testimoniano anche i suoi due noti romanzi: La fattoria degli animali e 1984. Dopo aver finito 1984, Orwell aveva dichiarato che lo aveva scritto “…per cambiare il parere degli altri sul tipo di società per la quale essi devono combattere”.

    L’autore di queste righe è una di quelle tante, tantissime persone in tutto il mondo che hanno letto e riletto, imparando molto, sia La fattoria degli animali che 1984. Egli ha anche scritto per il nostro lettore un intero articolo riferendosi soprattutto al romanzo 1984. Riferendosi all’onnipotente ed onnipresente “Grande fratello”, quale rappresentante indiscusso del “Potere assoluto”, egli scriveva che “…tramite le manipolazioni programmate e meticolosamente attuate del cervello umano ed una spietata repressione, aveva annullato la coscienza dell’individuo e quella collettiva in Oceania”. L’autore di queste righe è stato e tuttora è convinto che bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, per non permettere mai che anche la cultura sia annientata dal “Potere assoluto”. Per non permettere mai che la “Neolingua” (Newspeak), con un ridottissimo numero di parole attive, potesse “…ridurre, perciò, al massimo la capacità di espressione e di pensiero, individuale e/o collettivo.” Perché era una lingua che tendeva “… a soffocare la lingua vivente, fino a farla scomparire”. Ragion per cui bisogna sempre salvare la lingua dalla “corruzione della parola”, come scriveva George Orwell. L’autore di queste righe, in seguito, esprimeva la sua ferma convinzione che “…Bisogna combattere, sempre più numerosi e determinati, anche per non permettere mai che chiunque, un “Grande Fratello” o chicchessia, possa manipolare mentalmente il genere umano, fino al punto di attivare quello che George Orwell chiamava il “Bipensiero” (Doublethink). E cioè la capacità di sostenere simultaneamente due opinioni in palese contraddizione tra loro e di accettarle entrambe come esatte”. Ma anche per non permettere mai che in qualsiasi Paese si possa arrivare fino al punto che “La menzogna diventi verità e passi alla storia”. E per non permettere mai che colui il quale controlla il passato possa controllare il futuro. Perché, come scriveva Orwell, “chi controlla il presente controlla il passato”. Per non permettere mai di considerare normali affermazioni come “La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù” e “L’ignoranza è forza”. (Bugie, arroganza e manipolazioni; 27 luglio 2020).

    Il 18 settembre scorso in Albania è stato costituito il nuovo governo; il terzo guidato dall’attuale primo ministro. Proprio colui che, basandosi su delle realtà immaginarie e virtuali, diffuse dalla sua ben potente e funzionante propaganda governativa e mediatica, non ha mai mantenuto una che una sola promessa fatta ufficialmente e pubblicamente. Proprio quel primo ministro che, fatti accaduti, documentati e ufficialmente denunciati alla mano, è il rappresentante istituzionale di una ormai costituita dittatura sui generis. Di un nuovo regime totalitario, espressione dell’alleanza del potere politico con la criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali e internazionali, della quale non si sa chi sia il vero gestore.  Si tratta, in realtà, di una nuova restaurata dittatura che si serve anche di un’opposizione politica che da anni ormai è semplicemente una “stampella” del primo ministro e serve come facciata, sfruttata ed usata per dei motivi propagandistici quando serve. E serve spesso, serve ogni giorno, vista la drammatica realtà, quotidianamente vissuta e sofferta in Albania. In una simile realtà, il 18 settembre scorso, durante la prima riunione del Consiglio dei ministri, subito dopo il giuramento del nuovo governo nelle mani del Presidente della Repubblica, tra i primi atti ufficiali approvati c’era anche la delibera della costituzione dell’Agenzia per i Media e l’Informazione! Un segnale veramente allarmante ed un’ulteriore e preoccupante espressione di totalitarismo, vista proprio la drammaticità e la gravità della testimoniata e facilmente verificabile realtà albanese. Si tratta di un altro passo pericoloso in avanti verso un ulteriore consolidamento del regime totalitario in Albania. L’appena costituita Agenzia per i Media e l’Informazione, sarà controllata direttamente dal primo ministro, tramite il suo direttore generale, che è uno dei veramente pochi fedelissimi del primo ministro, attualmente il suo direttore della comunicazione. L’atto ufficiale di costituzione della nuova Agenzia stabilisce che il direttore generale avrà lo stesso status di quello del ministro. La nuova Agenzia avrà il compito di coordinare la comunicazione con i media ed il pubblico di tutti i ministeri e delle altre istituzioni importanti governative in Albania. Sempre secondo l’atto di costituzione, l’Agenzia avrà anche il compito di controllare l’attività pubblica dei ministri, comprese le loro ufficiali dichiarazioni pubbliche, nonché le nomine e le sostituzioni dei portavoce delle istituzioni governative. Immediate e forti sono state tutte le reazioni ufficiali delle organizzazioni internazionali dei media. Nella loro dichiarazione ufficiale i rappresentanti di sei organizzazioni internazionali per la libertà dell’espressione hanno considerato l’Agenzia come un mezzo di repressione e di controllo dei giornalisti e chiedono alle istituzioni dell’Unione europea di “coinvolgere immediatamente il governo albanese per trattare simili preoccupazioni come questioni prioritarie durante i prossimi negoziati d’adesione [nell’Unione europea]”.

    Chi scrive queste righe continuerà a seguire questo argomento e ad informare oggettivamente il nostro lettore, come sempre ha fatto. Nel frattempo è convinto però, che l’atto della costituzione dell’Agenzia per i Media e l’Informazione, proprio durante la prima riunione dell’appena costituito governo albanese, non può non destare serie preoccupazioni. Perché rievoca tutto quanto ha maestosamente scritto George Orwell nel suo ben noto e molto letto romanzo 1984 e fa pensare ad un ministero della propaganda. Ma, inevitabilmente, rievoca e ricorda il modello del ministero della Propaganda, diretto dal 1933 al 1945 da Joseph Goebbels, durante il famigerato regime nazista in Germania. E tutto ciò non può non essere considerato un’ulteriore e preoccupante espressione di totalitarismo, come conferma della restaurazione e del consolidamento della dittatura sui generis in Albania! Gli albanesi però devono tenere ben presente che, come scriveva George Orwell, la propaganda è veramente un’arma, come i cannoni o le bombe, e imparare a difendersene è importante, come trovare riparo durante un attacco aereo.

  • Relazioni occulte e accordi peccaminosi

    Gesù rispose: “In verità, in verità vi dico:
    “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato”.

    Vangelo secondo Giovanni; 8/34

    La Turchia, dall’inizio del nuovo millennio, sta cercando di diventare un fattore geopolitico non solo a livello regionale. Un obiettivo strategico, quello, reso pubblico negli anni ’90 del secolo scorso dall’allora presidente turco Turgut Özal. “… Il 21o secolo sarà il secolo dei Turchi” dichiarava lui convinto. E così si poteva garantire una “… giusta posizione della Turchia nel mondo”. Una posizione, quella, che la Turchia aveva cominciato a perdere, partendo dall’inizio del 20o secolo, ancora prima del crollo definitivo dell’Impero. Ed era proprio sull’eredità dell’Impero ottomano che si poteva e si puntava per raggiungere quell’obiettivo strategico. All’inizio di questo millennio è stato pubblicato un libro intitolato Profondità Strategica. La Posizione Internazionale della Turchia. Un libro che, guarda caso, non è stato tradotto in inglese. L’autore era Ahmet Davutoğlu, allora un professore universitario di relazioni internazionali ad Istanbul. In quel libro l’autore aveva definito proprio la strategia da seguire per raggiungere l’obiettivo formulato e pubblicamente dichiarato dal presidente Özal. Prese vita così quella che ormai è, pubblicamente ed internazionalmente, nota come la Dottrina Davutoğlu. Egli era convinto che la Turchia doveva smettere di avere una politica estera passiva, dipendente dagli alleati. Il tempo era venuto per attuare un nuovo approccio proattivo e multidimensionale nella politica estera, cominciando con tutta l’area d’influenza dell’ex Impero ottomano. Davutoğlu considerava come molto importante la posizione geografica della Turchia: una crocevia tra i Balcani, il Mar Nero e Caucaso, il Mediterraneo orientale ed il Golfo Persico, arrivando fino all’Asia Centrale. La Dottrina Davutoğlu considera molto importante anche l’eredità storica e i legami etnico-religiosi e culturali stabiliti, intessuti e consolidati durante secoli dall’Impero Ottomano. Davutoğlu riteneva che, nonostante le importanti riforme fatte da Mustafa Kemal Atatürk, il primo presidente della Repubblica (dal 1923 fino al 1938, quando morì; n.d.a.), considerato come il padre della Turchia moderna, i legami storici, religiosi e culturali con i paesi dell’ex Impero ottomano erano ancora presenti e validi. Secondo Davutoğlu, quei legami si dovevano soltanto riattivare. La sua dottrina si basava, tra l’altro, sulla costituzione di un raggruppamento, di un Commonwelth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo la Dottrina Davutoğlu, la Turchia dovrebbe diventare un “…catalizzatore e motore dell’integrazione regionale. La Turchia non doveva più essere “un’area di anonimo passaggio”, ma diventare un “artefice principale del cambiamento”. Davutoğlu nella sua dottrina riteneva che la Turchia doveva “rivitalizzare la propria eredità storica, ricca, variegata e multiforme”. Perché solo in questo modo la Turchia potrebbe “…non solo contare sul piano regionale, ma esercitare la propria influenza nelle aree di crisi globali”. E perché questo obiettivo si potesse realizzare, la Turchia doveva organizzare diversamente i suoi rapporti “… con i centri di Potenza, creando un hinterland fondato su rapporti culturali, economici e politici storicamente consolidati.”.

    Davutoğlu era preoccupato del perenne scontro e gli attriti continui con la Grecia, nonché della crisi con la Bulgaria. Il che non ha permesso alla Turchia di attuare e garantire “un’incisiva politica per i Balcani”. Egli aveva fatto suo uno degli obiettivi del presidente Atatürk, “pace in casa, pace nel mondo”, proponendo la politica di avere “zero problemi con i vicini”. Una specie di Pax-Ottomana che dovrebbe permettere alla Turchia di diventare il rappresentante regionale e, perciò, anche il diretto interlocutore con le due attuali grandi potenze: gli Stati Uniti d’America e la Cina.

    La Dottrina Davutoğlu è stata appoggiata fortemente dall’attuale presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, dall’inizio della sua ascesa politica, che cominciò nel 1994, con la fondazione del suo partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP: Adalet ve Kalkınma Partisi; n.d.a.). Il resto è ormai pubblicamente noto. Nel frattempo però Erdogan, allora primo ministro, apprezzando il contributo di Davutoğlu, lo nominò nel 2009 come il suo ministro degli Esteri. In seguito, quando Erdogan è stato eletto presidente della Repubblica, Davutoğlu diventò primo ministro e dirigente del partito di Erdogan, nell’agosto 2014. Cariche che ha avuto fino a maggio 2016, quando, per forti disaccordi con Erdogan, Davutoğlu diede le sue dimissioni come primo ministro, e nel settembre 2016 anche come capo del partito. Da allora Davutoğlu ha fondato e guida il Partito del Futuro. Un partito di orientamento islamico conservatore ed in aperta opposizione con Erdogan. Nel frattempo però, il presidente turco sembra si sia dimenticato della politica di “zero problemi con i vicini”. Adesso Erdogan si sta affrontando con una ben altra e preoccupante realtà, caratterizzata da “solo problemi con i vicini”. Grecia compresa.

    Bisogna sottolineare comunque che la Turchia, cominciando dalla fine del secolo scorso e, soprattutto, durante il primo decennio degli anni 2000, ha raggiunto dei successi. E’ stato attuato un notevole e significativo sviluppo economico, con tassi di crescita inferiori soltanto alla Cina. Uno sviluppo basato sull’energia e le infrastrutture, su una politica economica che aveva permesso le dovute liberalizzazioni e l’apertura dei mercati, come si prevedeva anche negli acquis communautaire. Sì, perché la Turchia aveva firmato già dal 1963 il Trattato di associazione con l’allora Comunità europea (CE) ed in seguito, nel 1979, il Protocollo addizionale del Trattato di associazione. Nel 1999 il Consiglio europeo decise che la Turchia diventasse paese candidato all’adesione nell’Unione europea. I negoziati dell’adesione cominciarono nel dicembre 2005. Ma da allora ad oggi i negoziati non hanno fatto progressi, per delle ragioni ormai note. Non solo, ma da circa un decennio i rapporti della Turchia con l’Unione europea non sono progrediti; anzi! Da anni ormai Erdogan sembra non abbia più interesse ad aderire all’Unione europea. Non solo, ma proprio per “sfidare” l’Unione, dall’inizio dell’attuale decennio, lui ha cominciato e sta proseguendo, determinato e spesso anche minaccioso, ad assumere ed esercitare anche il ruolo del rappresentante internazionale dell’islamismo politico, tessendo, tra l’altro, rapporti di amicizia e di stretta collaborazione con l’Associazione dei Fratelli Musulmani.

    Proprio con Erdogan, ed invitato da quest’ultimo, c’è stato l’incontro del primo ministro albanese ad Ankara la scorsa settimana. Da notare che l’Albania, essendo stata per cinque lunghi secoli sotto l’Impero ottomano, dovrebbe aver a che fare anche con quanto prevede la Dottrina Davutoğlu. Essendo stata una visita “a sorpresa”, almeno in Albania, si sa ben poco di quello di cui, realmente, hanno parlato i due “amici” durante quei due giorni. Ma tenendo presente le realtà, sia in Turchia che in Albania, gli sviluppi e gli attriti nella regione, vivendo un periodo di “solo problemi con i vicini”, al contrario di quanto prevedeva la Dottrina Davutoğlu, quanto possano aver parlato e accordato il presidente turco ed il primo ministro albanese non si saprà mai.

    Chi scrive queste righe pensa, anzi è convinto, che quanto è stato deciso ed accordato durante quei colloqui segreti, non porterà niente di buono all’Albania e agli albanesi. L’autore di queste righe promette al nostro lettore di continuare a trattare l’argomento, con molta probabilità, la prossima settimana. Anche perché sono tante le cose che meritano la dovuta attenzione. Egli però è convinto che, dati e fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, il primo ministro albanese si presenta, da anni ormai, come un “devoto” del presidente turco, cercando di imitarlo e di diventare come lui: un despota! E come Erdogan lui cerca, a tutti i costi, di rimanere al potere. Erdogan, con il referendum del 2017, diede a se stesso ulteriori poteri istituzionali per attuare i suoi obiettivi. Il primo ministro albanese ha fatto lo stesso. Gli ultimi emendamenti costituzionali di due mesi fa, riguardanti la riforma elettorale, lo dimostrerebbero palesemente. Nel frattempo Erdogan punta a controllare i Balcani, parte dei quali è anche l’Albania, come prevede la Dottrina Davutoğlu. E nonostante non si sa di cosa sia discusso ed accordato tra i due la scorsa settimana, tutto fa pensare che Erdogan ha ed avrà il consenso del “suo amico”, il primo ministro albanese. Ma quest’ultimo non vende l’anima per niente. In cambio avrà l’appoggio di Erdogan durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 aprile prossimo. Come lo stesso presidente ha accennato durante la conferenza stampa comune. Perché il primo ministro albanese vuol avere, costi quel che costi, un terzo mandato. E per averlo sarebbe disposto a tutto. Anche ad accordi peccaminosi con il suo amico presidente, con il quale tutto fa pensare che abbia stabilito delle relazioni occulte. Chi scrive queste righe è convinto, da quanto è accaduto in questi ultimi anni, che il primo ministro albanese abbia veramente molto peccato. Perciò, come testimonia il Vangelo di Giovanni, chiunque commette il peccato è schiavo del peccato!

  • Dove si va di questo passo?

    L’illegalità è come una piovra che non si vede: sta nascosta, sommersa,
    ma con i suoi tentacoli afferra e avvelena, inquinando e facendo tanto male.

    Papa Francesco

    Il 26 agosto 1789, in Francia, veniva approvata dall’Assemblea Nazionale Costituente la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. L’articolo 16 della Dichiarazione sanciva che “Ogni società, in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri stabilita, non ha una costituzione”.

    Il principio base di ogni democrazia costituzionale, secondo il barone di Montesquieu, è la separazione dei poteri. Lo aveva trattato nel suo libro “Lo spirito delle leggi” già nel 1748. Secondo Montesquieu, le tre funzioni fondamentali dello Stato, e cioè la funzione legislativa, quella esecutiva e la funzione giuridica, debbono essere affidate a delle istituzioni diverse. Istituzioni che si devono rapportare ognuna con le altre, basandosi sulla reciproca indipendenza. Montesquieu era convinto che solo così si poteva evitare qualsiasi minaccia alla libertà.

    Il 4 giugno scorso la Corte dei Conti albanese (la sua esatta nominazione è l’Alto Controllo dello Stato; n.d.a.) ha presentato la sua strategia per il periodo 2018 – 2022. Durante quell’attività era presente anche il presidente del Parlamento. Lui, purtroppo, rappresenta nel migliore dei modi anche la continuità del regime comunista nell’attuale governo e maggioranza parlamentare. Essendo stato l’ultimo ministro degli Interni durante la dittatura, lui sembrerebbe abbia anche molti scheletri nell’armadio (Patto Sociale n.278). Ultimamente hanno attirato l’attenzione alcune strane esortazioni e dichiarazioni pubbliche. Le sue non nascoste e pubblicamente espresse nostalgie per il regime comunista, il modo in cui conduce e gestisce le plenarie, le accuse all’Olanda sulle droghe, sono soltanto alcune.

    L’ultima, il 4 giugno scorso, durante la sopracitata attività della Corte dei Conti. Il presidente del Parlamento ha dichiarato la sua convinzione, secondo la quale “Il Parlamento […] realizzerà la verifica dei conti finanziari della Corte dei Conti e farà tutto in pubblico’. Aggiungendo poi che “in questo modo risolveremmo il dilemma ‘chi vigila i guardiani’ e garantiremmo la Costituzione, la legge e i cittadini che la Corte dei Conti sia, a sua volta, un’istituzione da loro controllata”! Perché secondo il presidente del Parlamento, e riferendosi all’attività della Corte dei Conti “nessuno è perfetto […] Il governare del popolo, con il popolo e per il popolo si garantisce, prima di tutto, tramite il controllo parlamentare e la verifica finanziaria della sua attività”!

    Il presidente del Parlamento ha dimostrato così, pubblicamente, di avere un grave e intrinseco problema. Lui, impregnato della mentalità della dittatura comunista, non riconosce il principio base di ogni democrazia costituzionale, formulato da Montesquieu, e cioè quello della separazione dei poteri e dell’indipendenza delle istituzioni rappresentative. Il contenuto di queste dichiarazioni urta palesemente con quanto prevede la stessa Costituzione albanese. Il suo articolo 162, riferendosi alla Corte dei Conti, non lascia spazio a nessun equivoco. L’articolo sancisce che “La Corte dei Conti è la più alta istituzione del controllo economico e finanziario [dello Stato]. Essa si sottomette soltanto alla Costituzione e alle leggi”. Il che significa che il Parlamento, secondo la Costituzione, non ha nessun potere di controllo e/o di qualsiasi altro tipo sulla Corte dei Conti, che si sottopone, a sua volta, soltanto alle leggi che ne derivano dalla Costituzione. Sempre dalla Costituzione si sanciscono anche le istituzioni che controllano e vegliano sul rispetto delle leggi. Di certo il Parlamento non ha però nessun obbligo e/o diritto istituzionale di vegliare sul rispetto, da parte di altre istituzioni indipendenti, delle leggi deliberate del Parlamento, rappresentante soltanto del potere legislativo. E basta! La Costituzione prevede e sancisce anche quali siano le istituzioni indipendenti nella Repubblica d’Albania. E per la Costituzione, essere indipendente significa chiaramente che tali istituzioni non debbano avere nessuna dipendenza dagli altri due poteri (esecutivo e giuridico) e neanche dal potere politico. Perché la Costituzione non prevede, in nessun suo articolo, che la Corte dei Conti si possa “sottomettere alla volontà della maggioranza governativa”. Volontà espressa, con le sue sopramenzionate dichiarazioni, dal presidente del Parlamento, quale rappresentante di quella maggioranza. Da sottolineare che, da alcuni anni, nei rapporti ufficiali della Corte dei Conti sono stati evidenziati molti scandali e abusi clamorosi in vari ministeri e/o istituzioni statali e dell’amministrazione pubblica. Valida ragione, perciò, per “mettere sotto controllo” anche la Corte dei Conti. Su “Il Patto Sociale” della scorsa settimana (n.314) l’autore di queste righe trattava l’incapacità, da qualche settimana, della Corte Costituzionale albanese di deliberare. Nel frattempo anche la Corte Suprema si trova bloccata nella sua attività. Adesso si tenta di “mettere sotto controllo” anche la Corte dei Conti. Dove si va di questo passo?!

    Durante la scorsa settimana è stato denunciato un altro fatto grave. Si tratta dell’accordo tra l’Albania e la Grecia per il confine marino. Un accordo del tutto non trasparente, da parte delle autorità albanesi (Patto Sociale n. 297; 301). La gravità di questo scandalo la svela e la conferma anche una dichiarazione del ministro greco della Difesa del 6 giugno scorso. Lui affermava che la Grecia sta vivendo un “…importante momento storico della storia della nazione”. Lui è altresì convinto che “molto presto” allargheranno le loro acque territoriali, [avranno] “il riconoscimento delle aree economiche esclusive, lo sfruttamento delle risorse sottomarine e il Paese entrerà in una nuova epoca”. Se risultasse tutto vero, per le autorità albanesi si tratterebbe addirittura d’un atto di alto tradimento, come previsto e definito dalla Costituzione e dalle leggi in vigore.

    Sempre durante la scorsa settimana il primo ministro bulgaro, in visita a Tirana, ha dichiarato che “in Albania verrà aperto un Centro di Coordinamento per i combattenti dell’ISIS che rientranno”. Si tratterebbe di un progetto di cui si sta parlando nelle cancellerie europee, come ha fatto sapere anche il noto quotidiano francese “Le Monde”. La reazione pubblica in Albania è stata immediata, mentre manca, come sempre in questi casi, la trasparenza da chi di dovere. Lo scandalo è tuttora in corso e ormai nessuno può fare lo struzzo.

    Chi scrive queste righe, la scorsa settimana, dalle pagine de “Il Patto Sociale” si domandava: “Nel malaugurato caso l’Albania, per volere del presidente, del primo ministro e/o di chi di dovere, possa essere orientata verso un conflitto armato o un qualsiasi altro atto che potrebbe rappresentare alto tradimento, chi lo può stabilire? Perché la Corte Costituzionale non funziona più!”. Forse si sta verificando almeno uno. Egli è altresì convinto che l’Albania, di questo passo, sta andando verso un nuovo regime. Perciò anche la reazione dei cittadini e di chi di dovere deve essere immediata, massiccia e decisa. Perché se no, gli albanesi saranno costretti a rivivere il loro recente passato.

  • I controlli sull’immigrazione nella Ue fanno chiudere un occhio sui regimi che bloccano i flussi

    Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha affermato che l’Ue può celebrare “solidi progressi” che hanno drasticamente ridotto gli arrivi irregolari di immigrati, ma il bilancio proposto dalla Commissione il 2 maggio mostra che la migrazione non è certamente scivolata lungo l’elenco delle priorità.

    In effetti, l’aumento di 6 volte del bilancio di Frontex (da 320 milioni a 1,87 miliardi di euro nel 2027) e un corpo di guardie di frontiera permanente da 10.000 persone attestano che l’Europa sta portando avanti gli sforzi in essere già dal 1992 che, con un ritmo accelerato dal 2015, la vedono impegnata ad agire nei confronti di Paesi terzi, soprattutto in Africa, perché fungano da avamposti di sicurezza alle frontiere, impedendo di raggiungere persino le frontiere esterne dell’Ue. Le organizzazioni olandesi Transnational Institute e Stop Wapenhandel hanno analizzato l’impatto di queste politiche di esternalizzazione delle frontiere ed evidenziato che su 35 Paesi cui l’Unione europea dà la priorità per l’avanzamento dei controlli sulle migrazioni, quasi la metà sono retti da un governo autoritario che pongono rischi estremi o elevati per l’esercizio dei diritti umani. Mentre però l’Ue e i suoi Stati membri stanno impiegando risorse limitate per finanziare costose tecnologie e sistemi di sicurezza e sorveglianza alle frontiere, il contenimento dell’immigrazione affidato a Stati dittatoriali inducono i migranti ad intraprendere rotte migratorie più pericolose: la percentuale di decessi registrati agli arrivi nel 2017 è stata oltre 5 volte più alta rispetto al 2015 e molte altre morti in mare e nei deserti in Nord Africa non vengono mai registrate.

    Per molti anni il presidente sudanese Omar al-Bashir è stato un paria internazionale, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra durante la guerra del Darfur (principali responsabili di questi crimini erano i combattenti della milizia Janjaweed, che ora fanno parte delle Forze di supporto rapido, la guardia di frontiera ufficiale), ma l’Ue sta ora fornendo sostegno a queste autorità di confine sudanesi e ha iniziato a portare il regime di al-Bashir fuori dall’isolamento internazionale.

    La combinazione di sostegno per i governi autoritari e la diversione delle risorse dalla spesa tanto necessaria per l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’adattamento climatico alimenta una situazione insostenibile, minacciando lo sviluppo economico, la sicurezza e la stabilità interna in molti Paesi.

    Ancora, l’Ue ha finanziato l’acquisto di veicoli corazzati dalla compagnia turca Otokar e imbarcazioni dal costruttore olandese Damen per la sorveglianza delle frontiere da parte della Turchia. La Germania ha fornito alla Tunisia una vasta gamma di attrezzature per la sicurezza delle frontiere, principalmente dal gigante europeo delle armi Airbus e da Hensoldt, la sua ex divisione di sicurezza delle frontiere. Aziende come Gemalto, che presto saranno rilevate dalla società armatoriale francese Thales, Veridos, una joint venture tedesca, e la francese OT-Morpho, hanno esportato sistemi di identificazione (biometrici) e documenti di identità digitali nei Paesi africani.

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