Regioni

  • Le decisioni della Corte Costituzionale sull’Autonomia Differenziata

    Ovvero un sostanziale giudizio negativo della Consulta sull’Autonomia Differenziata, che, così com’è, non è compatibile con il dettato Costituzionale.

    Finalmente l’attesa decisione che conferma l’incostituzionalità della norma in così tanti punti che, di fatto, equivalgono quasi ad una totale abrogazione.

    Calderoli, come sempre quando è a corto di argomenti, ha appena dichiarato che la Corte Costituzionale ha dato un complessivo giudizio positivo alla legge (?), chiedendo la modifica di alcuni aspetti della stessa (?), per le quali saranno presto trovati i correttivi in Parlamento (?).

    Affermazioni propagandistiche e bugiarde per nascondere la polvere sotto il tappeto. In realtà la Corte Costituzionale ha fatto un ottimo lavoro, individuando una lunga serie di incostituzionalità che hanno demolito totalmente la legge, e non sarà per niente facile apportare modifiche alla stessa, anche perché l’obbiettivo principale della norma, e cioè il mantenimento nei territori delle regioni ricche delle risorse erariali versate dai contribuenti, ne esce totalmente devastato.

    Fine della storia, con buona pace di chi ha tentato l’assalto alla diligenza delle risorse erariali dello stato.

    Tornando alla decisione della Consulta, non è facile dedurre i particolari da un comunicato stampa, essendo possibile ogni doveroso approfondimento solo dopo che saranno depositate nel dettaglio le decisioni della sentenza.

    Ma dal comunicato emergono con chiarezza alcune questioni che erano state al centro delle critiche sulla legge di attuazione dell’Autonomia Differenziata, e motivo di scontri politici e accuse di volere favorire le regioni opulente del Nord, a discapito del resto del Paese.

    Ed è questo il punto che la Corte Costituzionale ha indicato come incostituzionale e cioè la violazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione che deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana, e cioè che ogni provvedimento adottato, come ad esempio l’autonomia differenziata, deve essere rispettoso dei principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, oltre che dell’equilibrio di bilancio.

    Calderoli e compagni hanno fatto l’esatto contrario con questa legge, mettendo a rischio la solidarietà tra le regioni, l’eguaglianza e la garanzia dei diritti dei cittadini, gli equilibri di bilancio e soprattutto i principi di Unità della Repubblica.

    Da qui la Corte costituzionale ha ritenuto che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. Quindi, a tal fine, individua nel principio costituzionale di sussidiarietà la regola fondamentale di distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni.

    Da qui le diverse cause di incostituzionalità individuate:

    In merito alle intese tra Stato e Regioni, insieme alla successiva legge di differenziazione nel trasferimento delle nuove materie, la devoluzione delle materie da specifiche funzioni legislative non può prescindere da specifiche funzioni legislative e amministrative e deve essere giustificata, in relazione ad ogni singola regione, alla luce del principio di sussidiarietà;

    In merito alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali, occorre che siano prima definiti idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale deve essere rimessa nelle mani del governo, il che limita il ruolo costituzionale del Parlamento,

    La determinazione dell’aggiornamento dei LEP non può essere effettuata da un decreto (DPCM) del Presidente del Consiglio;

    Così come è incostituzionale la procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023), per la determinazione dei LEP con DCPM, fino all’entrata in vigore dei decreti legislativi per definire i LEP;

    Va eliminata la possibilità di modificare con decreto ministeriale le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito;

    Va eleminata la facoltatività, piuttosto che la doverosità, da parte delle regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;

    Va eliminata la parte in cui nella legge dell’Autonomia Differenziata prevede una procedura per le regioni a Statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali;

    La Corte Costituzionale ha inoltre interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge e ribadito che spetta al Parlamento colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle regioni ricorrenti.

    Insomma, un parere assolutamente condivisibile che costituisce un vincolo difficilmente superabile per la copertura dei vuoti derivanti dalla sentenza.

    L’impianto della norma prevede infatti l’obiettivo di impoverire l’erario nazionale, a favore degli interessi delle regioni ricche di diventare ancora più opulente, con la trattenuta delle risorse erariali versate dai propri abitanti allo Stato, ed è proprio questo aspetto ad essere stato di fatto del tutto smantellato dalle varie incostituzionalità.

    La possibilità quindi di “colmare i vuoti” appare del tutto impossibile stando così le cose, e Calderoli non credo abbia strumenti per superare tale impedimento.

    Il referendum abrogativo a questo punto appare chiaro che non si terrà, mentre occorre mantenere il massimo di attenzione e vigilare sule intenzioni di come vorrà procedere la maggioranza di governo su ciò che resta del provvedimento, che così com’è non produrrà alcun processo di Autonomia Differenziata, ma in compenso grazie alla Consulta sono stati restituiti in pieno i valori, i principi ed i diritti Costituzionali all’intero Paese.

  • La crisi economica rappresenta l’elemento di “coesione” nazionale

    Novecentoquindici sono i chilometri che costituiscono la distanza tra lo stabilimento Bosch di Bari e quello di Quero, in provincia di Belluno. Queste due realtà economiche e occupazionali, tuttavia, risultano molto più vicine di quanto la lunga distanza possa far pensare. Entrambi gli stabilimenti, infatti, rientrano all’interno di un articolato piano di ristrutturazione industriale e conseguente riduzione del personale che la tedesca Bosch sta attuando per affrontare la crisi del settore Automotive.

    In questo drammatico contesto sociale esplode per l’ennesima volta la questione di una presunta legittimità relativa al progetto di autonomia regionale, per la quale il 22 ottobre 2017 era stato istituito un referendum nel quale la maggioranza dei veneti dimostrò il proprio consenso.

    Da allora sono passati sette anni caratterizzati da:

    . il covid

    . l’esplosione dei costi energetici

    . perdita del potere di acquisto delle famiglie per l’inflazione esogena

    . inflazione dei beni alimentari

    . la guerra Russo Ucraina

    . il PNRR

    . la consueta esplosione della spesa pubblica

    . crescita esponenziale del debito pubblico

    . la conseguente crescita dei costi di   servizio al debito

    . inflazione relativa alla crescita della tassazione sui carburanti e bollette energetiche

    . la crisi arabo israeliana

    . le elezioni statunitensi

    Ed ancora oggi, dopo sette anni, ci si ritrova al punto di partenza con la solita contrapposizione politica, per di più  relativa alla interpretazione di quanto deciso dalla Corte Costituzionale (la cui sentenza verrà pubblicata a dicembre), mentre una pletora di esponenti istituzionali continuano a contrapporsi semplicemente in ragione degli schieramenti politici ed ora più che mai si dimostrano lontani dalle allarmanti aspettative della Working Class, quella che negli Stati Uniti ha votato Donald Trump.

    Sarebbe carino capire se per le quaranta famiglie di Quero, poco più di tremila anime in provincia di Belluno, a 109 chilometri da Cortina d’Ampezzo sede delle prossime olimpiadi invernali del 2026, sia più importante la diatriba giuridica che dimostra come il progetto iniziale presentato dalla regione sia, ancora oggi, soggetto ad una serie di sette correzioni fondamentali da parte della Corte Costituzionale, oppure il mantenimento del proprio posto di lavoro. In più, dopo  venti mesi di sospensione dalla realtà, di fronte alle continue e consecutive flessioni della produzione industriale, oltre un anno e mezzo, l’intero mondo della politica nazionale e veneta, come tutte le associazioni di categoria tanto industriali quanto sindacali, hanno dimostrato di  sottostimare negli effetti immediati come nel medio termine.

    Ora, invece, siamo all’interno di una crisi senza precedenti dal dopoguerra ad oggi e che potrà avere degli effetti talmente devastanti molto simili a quelli  di un conflitto nucleare.

    Francamente vedere ancora una volta tutti questi personaggi che da oltre sette anni continuano a rimpallarsi le  responsabilità relative  ad un possibile mancato raggiungimento della autonomia del Veneto diventa veramente non solo stucchevole ma soprattutto insultante per quelle persone che stanno perdendo al posto di lavoro.

    Il vero problema ora non è più l’autonomia ma la competenza di chi l’ha proposta come di chi l’ha combattuta in questi termini, entrambi espressione  di un mondo e di un  modello politico completamente assenti ed ignoranti della realtà circostante.

    Il  mondo del lavoro si trova ora in una situazione di una difficoltà senza precedenti, mentre la politica, per nulla interessata, continua a  considera la propria contrapposizione politica primaria rispetto al futuro delle famiglie investite dalla crisi economica ed occupazionale.

    In ultima analisi è decisamente paradossale come, più della contrapposizione squisitamente ideologica tra favorevoli e contrari al progetto di autonomia regionale, il vero elemento di coesione del territorio italiano venga rappresentato dalla crisi economica ed occupazionale.

  • La sagra delle manipolazioni e delle menzogne sull’Autonomia Differenziata per nascondere la polvere sotto il tappeto

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono, Presidente di Europa Nazione

    La riforma dell’Autonomia Differenziata nel corso della sua approvazione ha già integrato 26 violazioni della Costituzione, 12 forzature di legge e 42 truffe e manipolazioni che, per un disegno di legge di appena 11 articoli, costituiscono un record mondiale di mala politica, ed evidenziano una totale assenza di etica, moralità e correttezza di una classe politica incapace di vedere al di là dei propri interessi, le conseguenze gravissime di una triade di riforme che nulla hanno a che vedere con il bene comune e il rafforzamento della serenità e dell’unità del Paese, ma semmai l’esatto contrario.

    Ottenuta l’approvazione, la preoccupazione crescente sulla presa di coscienza dei cittadini italiani, specialmente del Sud, sta sollecitando molti soggetti politici a rivestire il ruolo di difensori d’ufficio della sciagurata riforma, con un florilegio di ulteriori bugie e manipolazioni, nonché insulti ai cittadini, senza avere mai letto il testo, e ancora meno capito, la tragedia che cercano di difendere e di trasformare in presunta opportunità per le vittime della congiura delle tre riforme.

    Tra i tanti che esaltano l’Autonomia Differenziata emergono, per inconsistenza degli argomenti, figure come quella del Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani e del Ministro per la Protezione Civile e le politiche del Mare Nello Musumeci che, dopo 17 mesi di processo approvativo della legge, con i loro interventi, se in buona fede, dimostrano di non avere capito nulla di questo provvedimento. In particolare Schifani nell’accusare nientemeno di “terrorismo politico” gli attacchi all’Autonomia, dichiara fideisticamente (ma senza avere letto una riga del provvedimento legislativo) “di rifiutarsi di pensare che questo governo possa approvare intese pericolose per il Sud”, e conclude la sua esternazione sostenendo la sua tesi, del tutto infondata, sul principio che “se non ci saranno i Livelli Essenziali di Prestazione l’Autonomia non partirà”. Gli fa eco il Ministro Musumeci che, dall’alto delle sue note competenze legislative e giuridiche, messe in atto nei cinque anni di gestione della Regione Siciliana dove ha risolto miracolosamente ogni problema, con il cipiglio che gli è tipico, insulta i meridionali e li sprona a smetterla di piangere. Ed aggiunge una affermazione criptica “Noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle regioni settentrionali”; per concludere “Io ho votato il provvedimento al Senato e non avrei mai votato un provvedimento che potesse pregiudicare l’unità d’Italia”, con ciò confermando che non ha letto, o non ha capito il provvedimento approvato.  Questi due campioni della politica siciliana si assumono la responsabilità di difendere una norma indifendibile, incuranti del destino di 20 milioni di italiani del Sud, venduti a logiche di interessi personali e partitici, che di colpo vengono privati dei loro diritti costituzionali, del loro futuro e del doveroso rispetto dovuto al popolo sovrano. Come si fa a non capire che con l’approvazione della legge, nessuno potrà fermare il processo di trasferimento dei fondi dallo Stato alle regioni ricche, che lo otterranno con le intese che saranno operative nel giro di 4-5 mesi al massimo? Il procedimento previsto nei 24 mesi dall’approvazione del disegno di legge dei decreti legislativi per la determinazione dei LEP non riguarda le regioni ricche, che hanno le commissioni paritetiche, e quindi da subito potranno aumentare a loro piacimento i costi del LEP. Sono soltanto le Regioni fragili che dovranno aspettare i 24 mesi, e poi eventualmente per l’aumento dei costi dei LEP: prima dovranno aspettare altri tre anni, e poi anche il finanziamento dello Stato, che nel frattempo le regioni ricche avranno svuotato, e quindi non ci saranno le risorse necessarie a sostenere tali spese. Quindi Schifani e Musumeci, e tutti coloro che hanno votato questa riforma, specialmente se eletti nel Sud, con questo provvedimento hanno tradito non solo i diritti costituzionali dei cittadini del Sud, ma la logica stessa della solidarietà come principio fondativo della Patria comune. Il Sud è stato sacrificato sul terreno della disparità dei diritti e l’Autonomia Differenziata è la prima legge della Repubblica Italiana a legittimare tale disparità con l’avere sostituito lo Jus Civitatis con lo Jus domicili, banalizzando di fatto l’art. 3 della Costituzione Italiana sulla parità dei diritti, e concedendo ogni possibile beneficio solo in base alla residenza che, per i cittadini delle regioni ricche comporterà vantaggi e prebende, a discapito dello Stato e delle regioni povere, che dovranno sopravvivere in condizioni di assoluta assenza di solidarietà e perequazione. Non è accettabile che si restituisca il residuo fiscale alle Regioni ricche, che non ne hanno alcun diritto, essendo il pagamento delle imposte erariali un dovere nei confronti delle Stato, e quindi impedire alle regioni povere di avere risorse e trasferimenti dallo Stato, come fosse una condanna alla presunta incapacità di non essere diventate anch’esse ricche. Perché la perequazione tra i territori (che non c’è nella riforma malgrado imposta dalla Costituzione) e i principi di solidarietà, prescindono dal passato e dalle eventuali responsabilità, ma incidono sul futuro, ed appare incredibile che una destra di governo possa concepire una norma così assurdamente penalizzante e divisiva, da smuovere anche l’allarme della Commissione UE che sostiene come “la devoluzione di ulteriori competenze alle regioni comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche del Paese”. Un’ultima domanda a Schifani, Musumeci e ai difensori d’ufficio di questo sciagurato provvedimento che non sarà dimenticato dagli italiani: quando lo Stato rimarrà senza risorse, per averle date alle regioni ricche, chi pagherà il Debito Pubblico, il Sud?

    *Presidente di Europa Nazione

  • Perché il disegno di legge sull’Autonomia Differenziata deve essere fermato

    Ci voleva l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per esprimere le preoccupazioni della gran parte del Paese per un imminente rischio di “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del meridione che recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”.

    Un appello forte del Capo dello Stato, per ricordare a quanti da mesi sostengono che l’Autonomia Differenziata non si farà mai, che il pericolo è ormai alle porte.

    Basta con le dichiarazioni, ultimo in ordine di tempo Cirino Pomicino, ma preceduto dai Galvagno, Schifani, Meloni, Zaia, Calderoli e migliaia di altri a sostenere la narrazione di LEP uguali per tutti, che il partito dei patrioti alla fine non consentirà questa sciagura, che i soldi non ci sono e quindi non se ne farà nulla e così via,  tentando di sminuire un disegno che invece sta per raggiungere la meta, grazie all’ignoranza sulla pericolosità dei suoi obiettivi, e alla superficialità delle analisi di chi non ha letto la legge o non l’ha capita.

    La verità è che non ci sono, né mai ci saranno LEP uguali per tutti.

    Che l’approvazione di questo disegno di legge consentirà di dare alle regioni ricche le risorse erariali pagate nei loro territori e sottratte allo Stato, che diventerà più povero ed impotente rispetto al resto del territorio nazionale.

    Che le Regioni fragili, avranno LEP finti, calcolati sulla spesa storica, già oggi al di sotto dei costi reali e tali resteranno perché lo Stato, che sarà impoverito, non potrà finanziare gli aggiornamenti dei LEP che, comunque, non potranno esserci prima del 2029.

    Che le regioni ricche, non appena fatta la legge, entro cinque mesi, e quindi al più tardi entro ottobre 2024, avranno via libera sulla determinazione dei costi reali dei LEP, e potranno concedere aumenti di stipendio anche triplicandone gli importi, e procedere ad ogni ulteriore modifica, acquisendo da subito e poi annualmente le risorse erariali dello Stato, alla faccia di chi ancora pensa che dovrebbero passare non meno di due anni per l’approvazione dei decreti legislativi.

    Che questa riforma viola ben 26 norme della Costituzione, che tra l’altro hanno finora consentito di non istituire il Fondo di Perequazione, ed addirittura aggirare gli obblighi di copertura finanziaria della norma, con il truffaldino criterio di rinviare la quantificazione dei LEP al momento della elaborazione delle Intese e non nella fase di approvazione della legge.

    Che ci sono ben 42 manipolazioni in 11 articoli di legge, che evidenziano la superficialità e mala fede nella elaborazione di una riforma, che passerà alla storia come la prima legge della Repubblica Italiana che discriminerà legalmente i diritti costituzionali degli italiani in base allo Ius domicili (cioè in base alla residenza), piuttosto che allo Ius civitatis (e cioè in base ai principi di uguaglianza garantiti dal diritto di cittadinanza).

    Le forzature sono state continue e perniciose sin dall’inizio, ed in ultimo con l’arroganza del potere di violare le regole parlamentari, imponendo la ripetizione della votazione su un emendamento dell’opposizione, che non doveva essere approvato.

    Perché sin dall’inizio questa fretta di approvare una riforma di tale rilevanza, con forzature gravi delle regole parlamentari e prepotenza ingiustificata?

    Questa corsa disperata all’approvazione prima delle elezioni europee è la spia che, qualunque questione riguardi la politica italiana, l’unico vero interesse è finalizzato alla caccia ai voti, e non al rispetto dei diritti e delle regole, che dovrebbero costituire la garanzia e la base delle decisioni al servizio dei cittadini di uno Stato di diritto e democratico.

    Ecco perché questa legge va fermata prima del voto delle elezioni europee, per consentire la verifica della compatibilità degli obiettivi con l’interesse generale del Paese, per eliminare o correggere le ripetute manipolazioni soprattutto in materia costituzionale e finanziaria, per garantire i diritti costituzionali a tutti i cittadini, ma anche perché, se fosse approvato prima dell’8 e 9 giugno, oltre a dare la prova di una coalizione di governo sotto ricatto, costretta all’approvazione dalle minacce di una Lega disperata, non ci sarebbero più i margini per impedire l’assalto alla diligenza dello Stato, in quanto, già dal prossimo mese di ottobre, inizierebbero i trasferimenti delle risorse erariali dallo Stato alle Regioni sottoscrittrici delle Intese e, quindi, l’avvio del processo di implosione dello Stato e la fine dell’Unità Nazionale.

    E il conseguente addio ai sogni di gloria del Premierato.

    In tal caso, con la legge approvata prima delle elezioni, gli elettori italiani, e soprattutto meridionali, dovrebbero valutare seriamente di negare il consenso elettorale ai partiti della coalizione di governo e ricordarlo con estrema chiarezza nei giorni dell’8 e 9 giugno.

  • L’Autonomia Differenziata legalizza la discriminazione territoriale degli italiani

    E’ giunto il momento di dire basta alle manipolazioni e alle bugie, alla luce del testo del Senato sull’Autonomia Differenziata, che si presenta perfino peggiorata rispetto al disegno di legge iniziale.

    In primo luogo che fine hanno fatto gli emendamenti di FdI che “avrebbero migliorato la legge Calderoli e confermato il diritto alla parità sui LEP?” Spariti, nelle parti che avrebbero dovuto garantire LEP uguali per tutti, mentre rimangono solo le affermazioni di pura propaganda, prive di contenuti reali.

    In realtà la riforma è stata incredibilmente peggiorata nelle parti che penalizzeranno il Sud, ma farà pagare un prezzo altissimo anche al Nord.

    Per raggiungere l’obiettivo della “scissione dei ricchi” e consentire alle Regioni sottoscrittrici delle Intese di tenersi le risorse erariali nel proprio territorio, Calderoli ha creato il sistema dei “due binari a velocità differenziata”, che sono il vero strumento con cui si sancisce con legge dello Stato la discriminazione dei diritti degli Italiani del Sud, e non solo.

    Infatti, premesso che non è mai stata prevista alcuna uguaglianza dei cittadini sui LEP, anche perché non ci sarebbe mai stata la disponibilità finanziaria per garantirli, quantificata in non meno di 80-100 miliardi l’anno, la discriminazione che crea i Paria nel nostro Paese è nella modalità mortificante con cui il Disegno di legge stabilisce, in base alla ricchezza, i “due binari a velocità differenziata”. E quindi, con il “binario dell’Alta velocità”, garantire il conseguente diritto delle Regioni sottoscrittrici delle Intese di gestire da subito ed in totale autonomia, nonché rinnovare ogni anno, i LEP; mentre, con il “binario dei treni regionali”, le altre Regioni non sottoscrittrici delle Intese saranno condannate a ben altre tempistiche e, soprattutto per lungo tempo, e forse per sempre, alla spesa storica.

    Ma come funziona il sistema dei “due binari a velocità differenziata”? Semplice, le regioni firmatarie delle Intese, appena definita la procedura e pubblicati i disegni di legge di approvazione delle Intese, da subito, grazie al combinato disposto degli articoli 3, 5 e 8 del disegno di legge, potranno definire i propri LEP e operare il loro assalto alla diligenza delle risorse erariali dello Stato. E potranno aumentarne il valore, modificarli e inserire nuovi LEP con cadenza annuale. Questo, come è noto, provocherà la riduzione delle risorse erariali statali e, quindi, la fine di ogni principio di solidarietà e di perequazione, in pratica la fine dell’Unità Nazionale. Come un ritorno al passato, all’Italia preunitaria. Le altre Regioni, non sottoscrittrici delle Intese, invece dovranno attendere l’adozione dei decreti legislativi, quindi 24 mesi dall’approvazione della riforma, e cioè verso marzo-aprile 2026, e che saranno basati sulla Spesa Storica dei costi e fabbisogni Standard, mentre le regioni ricche avranno aumentato i loro LEP già per due anni consecutivi. Ma non finisce qui, perché l’aggiornamento dei costi e fabbisogni standard, per le regioni non sottoscrittrici delle Intese, è previsto a cadenza triennale e a condizione che prima o contemporaneamente alla emissione dei decreti DPCM siano stati emessi i decreti di stanziamento delle risorse per consentire tali aggiornamenti. Il che vuol dire che, se non ci saranno tali disponibilità finanziarie (cosa del tutto probabile), non ci sarà neanche l’aggiornamento. Un po’ come, parafrasando i condannati all’ergastolo, “fine attesa mai”. Ma ciò che in assoluto appare indecente è la inaccettabile disparità tra Regioni che avranno tutto con cadenza annuale, a differenza di decine di milioni di italiani, non solo del Sud, che dopo i 24 mesi iniziali, dovranno attendere almeno altri tre anni, e cioè non prima di marzo-aprile del 2029, l’aggiornamento dei LEP, ma solo se a quella data ci saranno anche le necessarie risorse a copertura dei costi di aggiornamento. Questa non è una riforma, ma una condanna alla marginalizzazione di quasi la metà della popolazione italiana, che non può e non deve subire questa mortificazione.

    Se a ciò si aggiunge che tale riforma ha almeno dieci violazioni della Costituzione, prima fra tutti l’abolizione del Fondo di Perequazione imposto dall’Articolo 119, terzo comma della Costituzione, e che non risulta dimostrata la copertura finanziaria del provvedimento, come evidenziato nel dossier della Camera, si ha evidente l’impossibilità di approvare una norma che non si comprende e, alla luce di tali carenze, come possa essere stata approvata dal Senato. L’approvazione di questa riforma in pratica, nel violare svariati principi costituzionali, contabili, etici e di ragionevolezza oltre che di doverosa e umana solidarietà, sarebbe la prima norma di legge della Repubblica italiana a sancire legalmente il principio della discriminazione su base territoriale dei cittadini italiani, e questo sarebbe un reato da Corte Internazionale di Giustizia. In ogni caso appare evidente che nessun parlamentare eletto nelle Regioni non sottoscrittrici delle Intese, di qualsiasi componente politica, può ignorare tali gravissime penalizzazioni dei diritti costituzionali dei cittadini del Sud, e non solo, e quindi operare con doverosa coscienza nel rispetto dei suoi doveri costituzionali, di rappresentanza e difesa dei cittadini italiani e dei territori a rischio di gravissima discriminazione dei loro diritti Costituzionali.

  • I tre asset istituzionali

    La maggioranza di governo persegue due obiettivi programmatici ambiziosi e considerati compatibili.

    Il primo è rappresentato dal riconoscimento di una maggiore autonomia per le regioni del Veneto(*),  Lombardia ed Emilia Romagna. Il secondo, viceversa, prevede una forte riforma istituzionale e contemporaneamente della divisione di poteri attraverso l’elezione diretta del Presidente del Consiglio o in subordine del Presidente della Repubblica

    Nel caso in cui queste due importanti riforme venissero entrambe approvate dai due rami del Parlamento ci troveremmo di fronte a un asset istituzionale caratterizzato da un insostenibile terzetto di istituzioni locali. in quanto alle cinque regioni a statuto autonomo si dovrebbero aggiungere altre tre dotate di una maggiore autonomia amministrativa sulle materie delegate ed infine una terza rappresentata dalle regioni a statuto ordinario.

    In questo contesto la stessa elezione diretta del Presidente del Consiglio rappresenterebbe per gli abitanti delle tre tipologie di regioni prerogative ed aspettative decisamente differenti proprio in rapporto al livello di autonomia conseguito dalla propria regione di residenza.

    Uno stato federale, infatti, non si può reggere su tre diversi asset istituzionali la cui differenza si basa sul riconoscimento di tre tipologie di autonomia amministrativa e fiscale.  Viceversa, tutti gli asset istituzionali basati sul riconoscimento del federalismo trovano la propria ragione costitutiva quando esprimono un stato centrale più o meno titolare di prerogative, in aggiunta al riconoscimento dei poteri locali demandati ai singoli Stati o alle regioni.

    Al di là, quindi, delle dichiarazioni formali della maggioranza, emerge evidente come molto probabilmente verranno disattese le legittime aspettative di maggiore autonomia amministrativa da parte dei veneti  e  contemporaneamente si abbandonerà una qualsiasi riforma verso un presidenzialismo anche se spurio.

    La realtà politica attuale dimostra come nessuno di questi obiettivi di “riforme istituzionali” sia nella realtà raggiungibile in quanto il vero l’obiettivo di queste “visioni istituzionali” rimane quello di sostenere un alto interesse che rappresenta la molla per mantenere il proprio consenso elettorale.

    (*) A fronte anche di un referendum dall’esito plebiscitario

  • Il tallone di Achille dell’Autonomia Differenziata è l’incostituzionalità

    Non ci vuole un dottorato in diritto costituzionale per capire che l’impianto giuridico dell’Autonomia Differenziata è una selva di violazioni della Carta Costituzionale, impossibile da attuare specialmente sul terreno della gestione delle risorse.

    Cionondimeno, fino ad oggi, pur a fronte di dubbi e qualche incidente velocemente insabbiato, come l’analisi del Servizio Bilancio del Senato, che appunto ne metteva in discussione lo scorso maggio l’insostenibilità finanziaria e il conseguente rischio di vulnerare il principio di equità ed eguaglianza dei diritti dei cittadini, ha potuto continuare senza troppe scosse il suo iter.

    Però si tratta di una barca che galleggia grazie ad una enorme bolla d’aria, ma con grandi buchi nella carena, priva di vela e senza motore, inevitabilmente destinata ad affondare appena evaporerà la bolla di bugie, falsità e irreparabili anticostituzionalità che la caratterizzano.

    Ad aiutare a fare chiarezza, hanno senz’altro contribuito le dimissioni dal Comitato per l’individuazione dei LEP e del fabbisogno di quattro dei suoi più autorevoli componenti, che ne hanno rilevato appunto l’incostituzionalità, con la violazione in merito proprio al rispetto dei termini sanciti per garantire in tutto il territorio nazionale i diritti civili e sociali a tutti gli italiani e nella esigenza di eliminare, o quanto meno ridurre, le distanze tra regioni ricche e fragili del Paese.

    I quattro saggi Amato, Bassanini, Gallo e Pajno, ritengono che non solo l’impostazione della legge non consente di adempiere a tali fondamentali obiettivi, ma anche che le modalità per stabilire i costi dei LEP non prevedono meccanismi per valutare una definizione puntuale del costo degli stessi, tale da assicurare standard adeguati anche nei territori che oggi ne sono sprovvisti e, conseguentemente, della definizione dei maggiori costi che, appunto, non sono previsti.

    Ma, soprattutto, secondo i quattro dimissionari, rimangono irrisolti alcuni problemi di fondo come l’incoerenza di consentire alle commissioni paritetiche regionali il diritto di decidere i nuovi LEP, e i relativi costi standard, materia per materia e con il solo vincolo della disponibilità delle risorse erariali nel proprio territorio, senza che prima venga costruito l’intero complesso dei LEP per i diritti civili e sociali in tutta Italia, onde evitare il rischio dell’esaurimento delle risorse a disposizione.

    Inoltre eccepiscono l’inconcepibile esclusione del Parlamento nel ruolo centrale che gli compete, come organo di elaborazione dei costi standard dei LEP.

    Una esclusione del Parlamento che viola l’art. 117 lett. m) della Costituzione (competenza legislativa esclusiva), ma anche perché spettano al Parlamento – e non alle commissioni paritetiche regionali – le decisioni sulla allocazione delle risorse pubbliche.

    Fin qui le corrette valutazioni dei quattro dimissionari che danno uno spaccato ben preciso alla incostituzionalità del disegno di legge sull’Autonomia Differenziata, ma nei fatti c’è molto di più.

    Infatti, oltre alla citata violazione degli art. 116 e 117, secondo comma lett. m) della Costituzione, risultano ulteriori violazioni gravi della Carta Costituzionale, tra cui quella dell’art. 117, comma 2 lettera e) che sancisce la legislazione esclusiva dello Stato in merito alla perequazione delle risorse finanziarie; nonché quella ancora più inaccettabile, dell’art. 119, comma 3 e cioè l’eliminazione di fatto del Fondo Perequativo.

    Quest’ultima violazione, in pratica sostituisce il Fondo Perequativo con le parole “Misure Perequative”, ricorrendo dunque a una locuzione generica, peraltro riportata solo nel titolo dell’articolo 9 del ddl Calderoli, che di fatto elimina ogni forma di solidarietà delle regioni ricche nei confronti delle regioni fragili, anche perché  prevede di “perequare” attraverso l’individuazione dei Fondi strutturali dell’Unione Europea e quelli della coesione nazionale, da sempre già disponibili per le regioni fragili. Quindi una perequazione inesistente, ma con l’aggravante di un aumento della platea che fino ad oggi ha avuto accesso a tali risorse, per l’estensione alle regioni fragili del Centro e del Nord.

    Insomma una legge fortemente anticostituzionale, che viola le norme di corretta gestione della contabilità pubblica, laddove non prevede alcun monitoraggio dei flussi finanziari Stato-Regioni, man mano che le commissioni paritetiche delibereranno in merito ai nuovi LEP e stabiliranno in maniera autonoma e arbitraria, unicamente in base alle rispettive disponibilità erariali, i nuovi costi standard, il cui effetto sarà il veloce prosciugamento delle disponibilità finanziarie dello Stato, che verrà inevitabilmente svilito nel suo ruolo e, con esso, ogni principio di reale valore patriottico a discapito della stessa Unità Nazionale.

    Ecco perché è fondamentale fermare questo disegno di legge e puntare ad una sua profonda modifica, con l’introduzione di criteri di equilibrio, monitoraggio, perequazione e garanzia di sostanziale parità dei LEP e dei costi standard per tutti gli italiani, nel rigoroso rispetto delle norme costituzionali.

    *Presidente di Europa Nazione

  • Superficialità, ignoranza e collusione dell’Autonomia Differenziata

    Riceviamo dall’On. Nicola Bono un articolo che volentieri pubblichiamo

    I termini della polemica tra Schifani e Fontana sull’Autonomia Differenziata confermano il dubbio sulla reale conoscenza della legge.

    Sin dall’inizio di questa vicenda, le manipolazioni per non fare capire l’esatta portata di questa legge sciagurata, che rischia di marginalizzare definitivamente e senza speranza ogni territorio fragile del Paese, hanno intossicato il dibattito e manipolato la buona fede della quasi totalità degli italiani, convinti che i LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) e i costi standard sarebbero stati davvero realizzati su scala nazionale a garanzia di tutti i cittadini.

    Una bugia che ha portato lo stesso Schifani a polemizzare sulla questione, sottolineando con rude cipiglio che “se non ci saranno adeguate garanzie per i LEP in tutti i campi principali dei diritti, a partire dalla Sanità, non ci sarà il suo assenso finale” e che “su questo saremo molto rigorosi e vigili”.

    Un atteggiamento sicuramente apprezzato da tutti gli oppositori dell’Autonomia Differenziata, ma che purtroppo è del tutto sterile perché quello che pretende Schifani, in base alla legge che lui stesso ha approvato in sede di Conferenza Unificata, probabilmente senza avere approfondito la vera posta in gioco, già oggi prevede l’esatto contrario e, cioè, la totale disparità dei LEP, da Regione a Regione, perché non c’è e, soprattutto, non c’è mai stata, all’interno della legge Calderoli, alcuna possibilità di garantire i LEP a tutti i cittadini italiani.

    Quella di Calderoli è una legge truffa, che ha come obiettivo unicamente l’egoistica trattenuta, a favore delle regioni ricche, delle risorse erariali pagate dai cittadini che, fino ad oggi, sono state devolute a Roma e poi parzialmente redistribuite a tutte le regioni.

    Schifani, nella sua polemica, ignora che sarà proprio dopo la fissazione dei LEP, da parte della cosiddetta Cabina di regia, e dopo l’emanazione dei decreti, da parte del Consiglio dei ministri, che inizierà l’operazione di prosciugamento delle risorse statali, attraverso il lavoro delle Commissioni paritetiche regionali, le quali prenderanno il posto della Cabina di regia. Tali commissioni, nelle regioni ricche, decideranno sia i nuovi LEP sia soprattutto i nuovi costi standard, in modo da appropriarsi delle risorse erariali dei rispettivi territori regionali e, conseguentemente, condannare le regioni e i territori fragili, che non sono solo al Sud, alla definitiva marginalizzazione economica e sociale.

    Non avere capito questo meccanismo ed avere dato imprudentemente il proprio assenso ad una norma che spaccherà il Paese e che provocherà la fine dell’Unità nazionale, evidenzia la leggerezza e la superficialità di una classe politica che non ha né il senso dello Stato, né la capacità di tutelare i propri territori.

    La responsabilità in tal senso della classe politica nazionale e soprattutto meridionale è enorme, perché pochi hanno letto questa legge e, tra chi l’ha letta, molti non l’hanno capita e i pochi che conoscono la vera posta in gioco sono, per lo più, complici consapevoli di una manovra contro il Paese e contro tutti gli italiani, non solo quelli delle regioni fragili, ma anche quelli del Nord, che pagheranno inevitabilmente anch’essi la destrutturazione dell’Unità nazionale.

    E tutto questo solo per soddisfare l’egoismo infinito e deleterio della classe dirigente di un partito, la Lega, che ha sempre operato contro lo Stato unitario e che oggi gode anche della complicità incomprensibile e contraddittoria di F.d.I., partito promotore di un concetto di patriottismo che è l’esatto contrario di ciò che determinerà, se non sarà fermata, l’attuazione dell’Autonomia Differenziata.

  • L’Autonomia Differenziata non dividerà il Paese solo a condizione che vengano applicate le regole già previste nella Costituzione

    Nel precedente tentativo di attuazione dell’Autonomia Differenziata, con i referendum plebiscitari di Lombardia, Veneto ed Emilia e Romagna e l’accordo tra Governo Gentiloni e Governatori delle tre regioni referendarie, l’operazione non funzionò perché chiaramente basata sull’aggiramento delle norme preesistenti. Infatti quella proposta violava i principi costituzionali ed inventava una procedura mai codificata da nessun provvedimento legislativo, con un unico obiettivo, e cioè di concedere l’agognata scissione finanziaria alle ricche regioni del Nord, a discapito delle più povere regioni del Sud. In cosa consisteva la truffa? Semplicemente sulla inversione dei termini già codificati di prevedere la definizione dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) ed i loro costi standard, nonché la costituzione del fondo perequativo tra le Regioni, proprio a garanzia della solidarietà tra Regioni di diversa condizione economica. Una impostazione chiara e corretta che però era impattata sulla mancata definizione negli anni appunto dei costi standard dei LEP, necessari per l’avvio solidale della norma, eliminando qualsiasi pericolo di divisione del Paese. Ma i promotori evidentemente più che all’Autonomia Differenziata ambivano alla secessione finanziaria e, piuttosto di chiedersi perché non erano stati determinati i costi standard dei LEP, pensarono bene di aggirare la norma inventando una procedura mai passata dal Parlamento, basata su non meglio definite “intese bilaterali” tra Governo Gentiloni, ed i Governatori Fontana, Zaia e Bonaccini che attribuiva subito le nuove competenze alle regioni, e rinviava i LEP e i costi standard entro i tre anni successivi. Una vera furbata arricchita da altri vantaggi inediti come il diritto di Lombardia e Veneto di trattenere tutti i surplus di finanziamenti ottenuti per i pagamenti dei servizi e, soprattutto la clausola che, se nei tre anni previsti non si fosse riuscito a concordare i costi standard (dimostrando che non ci credevano neanche loro) si sarebbe proceduto a garantire i servizi a costi pari alla media nazionale. Un vero colpo di genio che, aggiunto alla inesistenza di qualsivoglia ipotesi di costituzione del fondo perequativo tra le Regioni, di fatto diventava, se approvato, il delitto quasi perfetto con cui la Lega avrebbe realizzato i suoi obiettivi di scissione finanziaria e quindi i presupposti per una inevitabile spaccatura del Paese. Per fortuna quella operazione non fu perfezionata, perché giuridicamente insostenibile e siamo arrivati all’attuale proposta, che però non sembra lontanissima da quella fallita nel 2019. Ha un bel dire il Ministro Calderoli che non tollera chi lo accusa di avanzare proposte che potrebbero spaccare il Paese, visto che non aiuta né quello che dice, né quello che scrive. Infatti basta leggere la sua intervista al Corriere della Sera del 17 gennaio 2023, dove fa due affermazioni che smentiscono clamorosamente tutte le sue rassicurazioni. La prima è la risposta, abbastanza inverosimile, proprio alla domanda se stia proponendo una legge contro il Sud alla quale replica chiedendo di indicare un solo punto una riga o un comma della legge in cui si affermi il danneggiamento delle regioni meno ricche e, in tal modo conferma il contrario, poiché mai nessuno scriverebbe esplicitamente una legge con tali presupposti, mentre i danni sono evidenti dalla analisi del combinato disposto del contenuto delle norme stesse. Ma è la seconda affermazione che costituisce una confessione perché alla domanda di dove sia il fondo perequativo, afferma di avere lavorato sul tema con il Ministro Fitto e lo immagina implementato con le risorse europee destinate alla coesione e, quindi, con risorse già disponibili dalle Regioni del Sud. Una gaffe enorme nel furbesco tentativo di glissare il principio costituzionale che al contrario lo vede come un fondo perequativo tra le Regioni con finalità di riequilibrio economico delle disparità tra Nord e Sud. E che dire in merito alle previsioni dei costi standard che prevede il lavoro per un anno di una commissione composta dal gotha nazionale di esperti? Che accadrà se passato l’anno i costi standard non fossero definiti? Esattamente la stessa cosa del 2019 e cioè che l’Autonomia differenziata partirebbe ugualmente e in tutte le materie, e ogni regione, in base alle sue ricchezze, affronterebbe autonomamente la gestione delle sue nuove competenze spaccando il Paese. Ecco perché non si possono effettuare né consentire fughe in avanti, ma piuttosto attuare in maniera rigorosa le norme costituzionali vigenti, senza scorciatoie né furbizie truffaldine, perché la posta in gioco è altissima e non consente errori. Per questo dopo oltre vent’anni, nel corso dei quali un solo LEP è stato definito in termini di costi standard e cioè quello degli asili nido, si proceda senza indugio a definire analiticamente gli stessi, essendo fondamentali per la realizzazione del dettato costituzionale e la definizione dei criteri e delle risorse da destinare al fondo perequativo, che non potrà mai essere finanziato con i fondi di coesione. Allo stesso modo appare una pretesa del tutto ingiustificata della Lega, la richiesta di approvazione urgente da parte del Consiglio dei Ministri della Autonomia Differenziata, quale grazioso cadeau prima delle elezioni regionali, poiché è più che evidente l’impossibilità di approvare alcuna norma sull’Autonomia senza avere prima fissato i costi standard dei LEP, come sancisce la costituzione. C’è da auspicare che, fino a quando non saranno realizzati questi adempimenti propedeutici, nessun Consiglio dei Ministri approvi alcunché, perché ogni fuga in avanti in materia sarebbe ragione di sospetto sulle vere intenzioni che si vogliono perseguire e, conseguentemente una minaccia alla unità Nazionale.

  • I dati del Mef sulle regioni per il 2018

    Sulla base dei dati raccolti grazie ai modelli 730 per il 2018 compilati da 21,2 milioni di contribuenti nonché dei 9,6 milioni di modelli Reddito Persone Fisiche e dei 10,6 milioni di CU compilati dai sostituti d’imposta risulta che la regione con reddito medio complessivo più elevato è la Lombardia (25.670 euro), seguita dalla Provincia Autonoma di Bolzano (24.760 euro), mentre agli antipodi la Calabria detiene il reddito medio più basso (15.430 euro). “Anche nel 2018 rimane cospicua la distanza tra il reddito medio delle regioni centrosettentrionali e quello delle regioni meridionali”, sottolinea testualmente il Mef.

    Il reddito complessivo totale dichiarato ammonta a circa 880 miliardi di euro (+42 miliardi rispetto all’anno precedente, +5%) per un valore medio di 21.660 euro, in crescita del 4,8% rispetto al reddito complessivo medio dichiarato l’anno precedente. L’incremento del reddito complessivo è dovuto all’aumento dei redditi da pensione, lavoro dipendente e lavoro autonomo.

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