Regioni

  • In Veneto e Trentino Alto Adige le migliori condizioni di salute d’Italia

    Un’analisi dell’Istat, compiuta dal 2005 al 2015 sulla base di diversi indicatori (dalla speranza di vita in buona salute all’ospedalizzazione) evidenzia che la miglior tutela della salute si registra in Veneto e Trentino Alto Adige, mentre la peggiore in Campania e, a sorpresa, in Val d’Aosta. «Le condizioni ottimali del Veneto e del Trentino Alto Adige – si legge nell’analisi – si contrappongono alle condizioni più critiche della Valle d’Aosta e della Campania, caratterizzate da comportamenti profondamente atipici rispetto al contesto generale».

    Nel dettaglio, la Campania si distingue in negativo per 30,4 decessi negli adulti ogni 10mila imputabili alle «maggiori cause» (tumori maligni, il diabete mellito, le malattie cardiovascolari e le malattie respiratorie croniche), cui si aggiunge la più alta propensione alla mortalità prematura, che supera i 315 anni di vita perduta ogni 10 mila nonché gli alti valori della mortalità e delle dimissioni per tumore. Valori molto alti anche per la Valle d’Aosta, in cui «il quadro di vulnerabilità generale è confermato dai valori significativi della mortalità prematura, misurata in 292 anni di vita perduta (APVP) ogni 10 mila, che lo posiziona al secondo posto in ordine di gravità».

    In mezzo a questi due estremi, l’analisi individua due macroaree, la prima al centronord (Toscana, Umbria e Marche, Piemonte, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna) con condizioni di salute «discrete», la seconda al centrosud (Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Abruzzo e Lazio), con «condizioni di fragilità generale» e valori peggiori rispetto agli altri ad esempio nella mortalità prematura e nella mobilità ospedaliera.

  • Conte2 taglierà le ambasciate delle Regioni?

    La diplomazia delle Regioni italiane costava 70 milioni di euro l’anno, nel 2012. In quell’anno, il governo Monti, allora in carica, prese in considerazione l’ipotesi di razionalizzare gli uffici di rappresentanza che le varie Regioni avevano aperto, in parallelo a quelli dello Stato centrale, tramite il ministero degli Esteri, in varie parti del mondo. Nel 2017 la situazione risultava tuttavia immutata né abbiamo sentito, durante il primo governo di Giuseppe Conte, parlare di una razionalizzazione delle spese di rappresentanza delle Regioni.  E questo la dice lunga su quello che avrebbe dovuto essere il governo del cambiamento. Dal governo Lega-M5s, che tuonando contro l’Europa auspicava sempre maggior autonomia, almeno per alcune Regioni, non risulta ci sia stato alcun intervento ad hoc per tagliare le spese inutili ed ora, se prenderà effettivamente vita il governo Conte 2, M5s e Pd, ci sarà qualcuno che affronterà questo problema?

    Tanto per rinfrescare a tutti la memoria nel 2012 a Bruxelles, accanto alla rappresentanza nazionale italiana, operavano 21 rappresentanze regionali (2 per il Trentino-Alto Adige, una della provincia autonoma di Trento e l’altra della provincia autonoma di Bolzano), alle quali se ne affiancavano altre due rispettivamente per conto dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani e dell’Unione delle province italiane. Allora peraltro la rappresentanza della Basilicata non risultava operativa e nel 2018 quella della Calabria è rimasta sprovvista di personale.

    L’apertura internazionale delle Regioni non si è limitata a fare della partecipazione all’Unione europea l’unica occasione per aprire centri rappresentanza e (di conseguenza) di spesa. Infatti, il Veneto vantava 61 sportelli all’estero, la Lombardia 16 ‘Lombardia Point’, l’Emilia Romagna un ufficio presso la Tongil University di Shanghai, le Marche un paio di uffici in Indonesia e Cina, l’Abruzzo due in Romania e Brasile, il Molise un’agenzia nell’antistante Croazia, la Puglia uno sportello nell’antistante Albania.

    Accanto a tutte queste sedi, tutte le Regioni suddette, come pure le altre, hanno aperto uffici di rappresentanza non solo a Bruxelles ma anche a Roma. Nella capitale italiana sono stati infatti censiti 22 uffici di rappresentanza regionale (perchè l’esteso Molise ha valutato che gliene occorressero due).

    Il nuovo governo, qualunque esso sarà, vorrà finalmente abbassare i toni su Twitter e occuparsi seriamente delle spese inutili che quotidianamente aumentano il nostro deficit? Forse anche questo sarebbe un segnale che i cittadini e la Ue apprezzerebbero.

  • L’Autonomia Differenziata e i suoi segreti

    Nella complessa vicenda dell’Autonomia Differenziata c’è la chiara sensazione che si stia preparando la “patacca” alle regioni centro-meridionali, malgrado le ripetute assicurazioni sul presunto mantenimento del rispetto dei principi di equità nella distribuzione delle risorse in “pedissequa applicazione del dettato costituzionale”.

    Dov’è il trucco?

    Tutto nella procedura, che è stata letteralmente capovolta dalle regioni referendarie con l’avallo iniziale del Governo Gentiloni e a seguire del governo giallo-verde che, nel vuoto legislativo, hanno concordato un inedito iter, non supportato da nessuna norma, che consentirebbe ad esecutivo nazionale e regioni di decidere su questioni delicatissime, tagliando fuori il Parlamento da ogni ruolo e sancendo l’inizio della fine dello Stato Unitario. In una Repubblica Parlamentare come è l’Italia l’emarginazione del potere legislativo senza una formale modifica della costituzione cos’è se non un vero e proprio Golpe?

    Ma soprattutto perché?

    Perché il vero obbiettivo della Lega e dei suoi governatori non è l’Autonomia Differenziata, ma realizzare il sogno leghista primigenio della “scissione economica di fatto”, trattenendo la quasi totalità delle risorse fiscali nei propri territori, senza alcun vincolo di riequilibrio né di solidarietà su base nazionale.

    Infatti, le norme vigenti che sono state volutamente aggirate, impongono prima di qualsiasi attribuzione di nuovi poteri alle regioni, di definire i livelli essenziali di prestazione (lep), i costi standard dei servizi da trasferire e la fissazione dei criteri per il fondo perequativo regionale, e cioè l’ABC del federalismo, proprio per garantire equità nella ripartizione delle risorse e solidarietà tra tutti i territori dello stato.

    A fronte dell’assenza di qualsiasi norma di attuazione della procedura prevista, l’Autonomia Differenziata è la “furbata” che tenta di capovolgere i tempi e le modalità a garanzia dell’Unità del Paese, stabilendo di dare luogo al passaggio delle competenze dallo Stato alle regioni con semplici intese bilaterali tra Governo Nazionale e singoli Presidenti di Regione, rinviando l’approvazione dei costi standard entro i tre anni successivi al trasferimento dei poteri.

    Come dire che intese impossibili da raggiungere da 18 anni a questa parte, dovrebbero miracolosamente essere sancite a posteriori, e soprattutto, dopo avere ottenuto il premio delle agognate competenze.

    Ma l’aspetto truffaldino più evidente è che, in base all’attuale contenuto dell’Autonomia Differenziata, a parte la clausola che garantisce il diritto di Lombardia e Veneto di trattenere tutti gli eventuali surplus di finanziamenti ottenuti per i pagamenti dei servizi, se entro i tre anni non si riuscisse a concordare i costi standard (non ci credono neanche loro), nessun problema perché dovrebbero essere comunque garantiti i servizi a costi pari alla media nazionale. Ciò vuol dire che le regioni ricche potranno pagarsi i costi reali dei servizi anche a valori molto al di sopra della media nazionale, grazie alle proprie cospicue entrate tributarie, mentre le regioni più povere potrebbero non avere le risorse neanche per pagare i costi al valore della “media nazionale”, anche perché nulla dice il provvedimento circa il fondo perequativo tra le regioni, di cui nessuno parla, mentre è chiaro che più spese avranno le regioni ricche, meno risorse resteranno per la solidarietà.

    Questa è la verità sull’Autonomia Differenziata che dimostra, oltre al tradimento delle reali intenzioni manifestate da Salvini agli italiani del centro-sud, cui aveva promesso di costruire una lega nazionale, che la Lega non è un partito di destra perché è priva del sentimento nazionale, al posto del quale ha l’istinto tribale della ottusa tutela degli interessi dei territori di origine, e perché non capisce, a causa della visione miope della politica sovranista e anti UE, che in un mondo ostaggio delle tre superpotenze, un Paese da solo non ha nessuna prospettiva di reale indipendenza.

    Per fortuna l’imminente tornata di elezioni europee ha consigliato il rinvio dell’approvazione di questo provvedimento, che deve essere assolutamente fermato, non per l’autonomia in se, ma per le conseguenze devastanti che investirebbero il Paese.

    Ciò che rimane è l’amara considerazione di come una fascia crescente di elettori del Sud si sia potuta convincere che la lega potesse diventare interlocutore politico a difesa degli interessi meridionali e nazionali, mentre continuava a pensare che il “prima gli italiani” si riferisse a quelli del nord, e solo se avanza qualcosa anche agli “utili idioti” degli italiani del sud.

    Anche per questo appare sbagliata la posizione del vice governatore siciliano Gaetano Armao e dell’intero governo regionale che non può, per motivi di colleganza politica e di oggettiva sudditanza con la Lega, condividere e perfino esaltare una strategia di fortissima penalizzazione dell’Isola, e ritenere l’Autonomia Differenziata una “grande opportunità”, invece di opporsi con tutte le forze alla realizzazione di un disegno esiziale per la Sicilia e per ciò che fino ad oggi è stata l’Italia, per come l’abbiamo conosciuta e amata.

    *Già Sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali

  • Sperperi e incongruenze delle Regioni

    La Regione Emilia Romagna, unica regione del nord ad avere proibito in città la circolazione dei diesel euro 4, a fronte delle tante proteste di sindaci, lavoratori e cittadini, si è adeguata alle altre regioni per le quali il divieto di circolazione arriva all’euro 3. Per qualche giorno decine di migliaia di abitanti in Emilia Romagna hanno avuto interdetto l’utilizzo della loro macchina e gli abitanti delle altre regioni del nord, possessori di diesel euro 4, non hanno potuto venire a lavorare in Emilia Romagna. Come fa una nazione, governata attualmente da un governo sovranista, ad accettare così gravi differenze e penalizzazioni di suoi cittadini, dovute solo al fatto di abitare in una regione invece che in un altra?

    Le incongruenze del sistema regione, in  Italia, sono note da anni, dagli scandali economici alle inadempienze ed anche in questi giorni i dati sui costi dei dispositivi  sanitari per il diabete dimostrano come questo sistema non funzioni, con buona pace delle sempre più forti autonomie da sempre invocate dalla Lega. Solo per il diabete si parla di uno sperpero di 215 milioni mentre se si affronta il problema complessivamente si arriva ad un miliardo di euro sprecato per acquisti ingiustamente onerosi in alcune regioni. Un miliardo che potrebbe tramutassi, se fossero state applicate, e si applicassero ora, le norme contenute nel decreto salva Italia, varato nel 2011, in una nuova opportunità. Infatti le regioni e il paese con il risparmio di un miliardo, avrebbero la possibilità, finalmente, di dare ascolto alle tante necessità inevase del nostro sistema sanitario. Pensiamo alle lunghe permanenze nei pronto soccorsi, per mancanza di spazio e di medici, alle attese infinite per esami salva vita, con la conseguenza che spesso, quando sono finalmente eseguiti, la malattia è andata troppo avanti per essere fermata. Pensiamo a strumenti diagnostici che, se si assumesse il personale medico e tecnico necessario, potrebbero funzionare a pieno ritmo almeno per 12/18 ore al giorno, pensiamo ai macchinari abbandonati negli scantinati, agli ospedali ultimati e non utilizzati, ai pazienti di alcune regioni del sud che devono portarsi da casa quanto manca in ospedale, pensiamo alle tante persone che negli ultimi anni hanno dovuto rinunciare a curarsi per i costi troppo alti di ticket, di interventi e visite non contemplati dal servizio sanitario. Pensiamo, con crescente preoccupazione, all’allarme da tempo lanciato per la penuria di medici a fronte dei tanti che nei prossimi anni andranno in pensione ed alla consolidata mancanza di tecnici di radiologia ed infermieri.

    Non basta parlare di tagli, come in alcune occasioni ha dichiarato Salvini, bisogna dire che saranno gli sprechi, e quali sprechi, ad essere eliminati per far funzionare meglio la sanità e dare le giuste attenzioni ai malati, specie a quelli che non possono rivolgersi a strutture a pagamento. Bisogna mettere mano al sistema regioni perché il diritto all’autonomia non può tramutarsi nel diritto a rendere diversi gli italiani o a sperperare i soldi dei contribuenti.

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