Regno Unito

  • La Commissione propone di avviare negoziati per agevolare la mobilità dei giovani tra l’UE e il Regno Unito

    La Commissione ha proposto al Consiglio di avviare negoziati con il Regno Unito su un accordo che agevoli la mobilità dei giovani. L’accordo permetterebbe ai giovani cittadini dell’UE e del Regno Unito di recarsi con maggiore facilità nell’altra parte per motivi di studio o di lavoro o per scelta di vita.

    Il recesso del Regno Unito dall’UE ha comportato una riduzione della mobilità tra le due parti, limitando in particolare le occasioni per i giovani di fare un’esperienza di vita sull’altra sponda della Manica e di beneficiare di programmi di scambio per la gioventù come pure nel campo della cultura, dell’istruzione, della ricerca e della formazione.

    La proposta mira a superare in modo innovativo i principali ostacoli alla mobilità cui si scontrano oggi i giovani e a istituire un diritto che consenta loro di spostarsi tra l’UE e il Regno Unito in modo più semplice e per periodi di tempo più lunghi. Fissa le condizioni (età, durata massima del soggiorno, condizioni di ammissibilità, norme di verifica della conformità) per permettere ai giovani di spostarsi senza uno scopo specifico (ossia per motivi di studio, formazione o lavoro) o in assenza di quote. Ad esempio, l’accordo previsto permetterebbe sia ai cittadini dell’UE che a quelli del Regno Unito di età compresa tra i 18 e i 30 anni di soggiornare per un periodo massimo di 4 anni nel paese di destinazione.

    La raccomandazione della Commissione sarà ora discussa in sede di Consiglio. In caso di accordo del Consiglio, la Commissione potrà avviare negoziati con il Regno Unito sulla mobilità dei giovani.

  • Sfilata di moda davanti alle rovine ateniesi al British Museum innesca un caso diplomatico

    La Grecia ha espresso reiterate proteste per una sfilata che si è tenuta il 18 febbraio a Londra, in occasione della Settimana della moda, dinnanzi ai fregi del Partenone di Atene custoditi al British Museum. Il designer Erdem Moralioglu ha scelto l’imponente cornice della sala espositiva di queste prestigiose opere d’antiquariato per presentare la sua nuova collezione di marchi di moda, ispirati alla cantante greca Maria Callas. “Organizzando una sfilata di moda nella sala espositiva dove sono esposti i fregi del Partenone, il British Museum, ancora una volta, dimostra di non avere rispetto per i capolavori dello scultore Fidia”, ha dichiarato la ministra della Cultura greca, Lina Mendoni, in un comunicato. “I responsabili del British Museum svalutano e insultano non solo il monumento, ma anche i valori universali che rappresenta. Le condizioni di esposizione delle sculture nella Galleria Duveen si stanno deteriorando di giorno in giorno. È tempo che questo reperto di architettura rubato e il lavoro maltrattato tornino a risplendere sotto la luce dell’Attica”, ha aggiunto la ministra.

    La Grecia chiede da decenni la restituzione di questo fregio di 75 metri staccato dal Partenone, che è uno dei pezzi centrali esposti al British Museum. Le autorità di Londra, tuttavia, sostengono che le sculture furono “acquisite legalmente” nel 1802 dal diplomatico britannico Lord Elgin, che le vendette al British Museum. La Grecia sostiene, invece, che furono oggetto di “saccheggi” mentre il Paese era sotto il dominio ottomano. L’ultimo capitolo dello scontro fra Londra e Atene ha avuto luogo lo scorso novembre quando l’incontro bilaterale previsto a Londra tra il primo ministro Rishi Sunak e l’omologo greco, Kyriakos Mitsotakis, è stato annullato dal capo del governo britannico in seguito a una dichiarazione rilasciata dal premier ellenico all’emittente radiotelevisiva “Bbc” relativa proprio alla restituzione dei fregi del Partenone.

  • Londra perde il suo appeal: 1400 ricchi in fuga nel 2022

    La Gran Bretagna con la sua  capitale Londra non è più al centro dei desideri e degli  interessi di tanti ricchi che preferiscono spostarsi altrove. La  capacità infatti di attrarre nababbi da tutto il mondo pronti a  investire in aziende, immobili di lusso e sfruttare i servizi  bancari della City si è affievolita negli ultimi anni.

    Secondo i dati di Henley & Partners, una società di consulenza sulla cittadinanza, nel 2022 circa 1.400 milionari hanno lasciato il Regno Unito. Prosegue, in base alla ricerca, una fuga iniziata poco dopo il voto nel referendum sulla Brexit nel 2016, che aveva sancito l’addio britannico all’Unione europea. Da allora si stima che circa 12 mila milionari siano partiti dal Regno per andare altrove temendo fra l’altro una perdita di centralità della metropoli a livello globale. Molti banchieri, ad esempio, sono stati di fatto costretti dai datori di lavoro a trasferirsi in un Paese europeo dopo che la loro società aveva spostato la sede in un hub finanziario del continente, come Amsterdam, Parigi o Francoforte.

    Sicuramente oltre alla Brexit ha giocato un ruolo molto importante il clima politico internazionale degli ultimi anni, che ha allontanato gli uomini d’affari dei Paesi emergenti. Fra le ragioni c’è sia la stretta relativa ai regolamenti sulla provenienza dei capitali esteri (incluse le norme antiriciclaggio) sia le sanzioni britanniche nei confronti di Stati entrati in cattivi rapporti con l’Occidente. Cinesi e arabi hanno investito in passato ingenti capitali nel Regno. Mentre Londra è stata a lungo un polo di attrazione per gli oligarchi russi, che insieme ad altri super-ricchi hanno acquistato proprietà di lusso contribuendo a gonfiare la bolla del settore immobiliare, fino a quando i rapporti con Mosca sono entrati in crisi, in particolare dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e la raffica di sanzioni contro gli imprenditori di spicco.

    Le presenze di milionari restano comunque ancora alte, se ne contano infatti ben 737 mila nel Regno, ma emergono nuove destinazioni preferite da molti ricchi in Medio Oriente, a partire dagli Emirati Arabi Uniti, e in Asia. Proprio gli Emirati, soprattutto Dubai, hanno attirato il maggior afflusso di milionari l’anno scorso secondo Henley & Partners. Fra i fattori interni che penalizzano la Gran Bretagna c’è l’instabilità politica emersa l’anno scorso con la compagine di governo segnata da ben tre cambi di leadership in pochi mesi e anche un’economia non certo in fase espansiva ma che anzi stenta a riprendersi in diversi settori ed è meno capace di attirare investitori e uomini d’affari.

  • La Corte suprema gela la Scozia: stop al referendum bis

    Un brusco stop alle ambizioni di rivincita referendaria portate avanti dalla leader indipendentista scozzese Nicola Sturgeon è arrivato dalla Corte suprema del Regno Unito. Il verdetto pronunciato a Londra nega infatti senza mezzi termini alla Scozia di poter convocare una nuova consultazione popolare (dopo quella del 2014 vinta dalla campagna pro unione) sulla secessione dalla Gran Bretagna senza il placet del Parlamento di Westminster. Sfuma quindi l’obiettivo indicato dalla First Minister nei mesi scorsi di andare alle urne già il 19 ottobre dell’anno prossimo, data del tutto simbolica proposta dall’indipendentista Snp con poche possibilità di diventare realtà vista l’opposizione del governo centrale. Nella lettura del verdetto il presidente della Corte, lord Robert Reed, ha rigettato su tutta la linea le argomentazioni giuridiche dei legali scozzesi: in modo unanime

    si afferma che la convocazione di un referendum sulla secessione, destinato ad avere effetti sul Regno Unito, non può passare attraverso la sola approvazione di una legge da parte dell’assemblea parlamentare di Edimburgo ma spetta al potere centrale di Londra. E’ stato anche respinto il richiamo al diritto all’autodeterminazione, inclusi i paragoni fra la Scozia e altre realtà come Quebec e Kosovo.

    Sturgeon si è detta “delusa” ma al contempo rispetta il responso dei giudici, i quali “non fanno le leggi” e si sono limitati ad “interpretare” quella esistente (lo Scotland Act). Alla sua prima dichiarazione è seguito poi il tentativo di rilanciare il programma indipendentista, con un piano b che resta comunque rigidamente nei confini legali ed istituzionali, evitando forzature come avvenuto in Spagna fra la Catalogna e Madrid. La First Minister punta tutto sulle prossime elezioni politiche del Regno, previste a fine 2024: quelle, a suo avviso, saranno un “referendum de facto” grazie a una grande vittoria del suo Snp. Quel voto è per lei il solo “mezzo democratico, legale e costituzionale con cui il popolo scozzese può esprimere la propria volontà”.

    Poco dopo l’intervento di Sturgeon a Edimburgo iniziava il confronto a Londra, col primo ministro britannico Rishi Sunak impegnato nel Question Time alla Camera dei Comuni. Dopo aver affermato che il giudizio di oggi è “chiaro e definitivo” – soprattutto se si considera che entrambe le parti s’erano impegnate nel 2014 ad accettare il risultato di quel referendum come responso valido per “una generazione” – il premier conservatore ha aperto a una più stretta collaborazione con l’esecutivo locale scozzese su una serie di questioni dall’economia alla guerra in Ucraina. Rassicurazioni che sono state respinte da Ian Blackford, capogruppo dell’Snp, secondo cui “la democrazia non sarà negata” nonostante la sentenza dei giudici. L’esponente indipendentista ai Comuni ha poi usato parole ancora più dure: “L’idea stessa che il Regno Unito sia un’unione volontaria di nazioni è morta e sepolta”. Blackford si è poi confrontato nella stessa seduta in un botta e risposta col ministro per la Scozia del governo Tory, Alister Jack. Ha insistito sulla tesi secondo cui il diritto a riaprire la questione sull’indipendenza deriverebbe dalla Brexit: approvata dopo il referendum scozzese del 2014 con il voto favorevole della maggioranza dei britannici, ma solo di una minoranza di elettori scozzesi. Mentre ha rivendicato al suo partito di avere “il mandato” democratico per continuare a chiedere un referendum bis sulla base dei propri consensi elettorali. Tesi, quest’ultima, bollata come “ingannevole” dal ministro Jack, secondo cui i risultati alle urne non rispecchiano necessariamente quelli referendari.

    Stando invece ai recenti sondaggi in merito alla secessione dal Regno gli scozzesi risultano spaccati quasi a metà, contro il risultato del 2014 in cui i no prevalsero sui sì con il 55,3% rispetto al 44,7%.

  • L’Irlanda, il nuovo corso del Regno Unito, le elezioni italiane: il pensiero dell’ex ministro degli Esteri irlandese Gerard Collins

    In Italia per qualche giorno, Gerard Collins, già ministro degli Esteri della Repubblica d’Irlanda, ha rilasciato questa intervista a ‘Il Patto Sociale’.

    In Italy for a few days, Gerard Collins, past former Foreign Minister of the Republic of Ireland, gave this interview to Il Patto Sociale.

    In Ulster i cattolici hanno superato i protestanti, cosa può significare per le relazioni tra Repubblica d’Irlanda e Ulster?

    Il fatto che i dati demografici siano cambiati e che la popolazione cattolica sia passata davanti a quella protestante non influirà in alcun modo sui rapporti tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord.

    Questa relazione si basa sull’Accordo Anglo Irlandese (1998) che ha funzionato per 25 anni e continuerà a farlo in futuro

    In Ulster, Catholics have surpassed Protestants, what can this mean for relations between the Republic of Ireland and Ulster?

    The fact that the demographics have changed and that the Catholic population has moved ahead of the Protestant population will not in any way affect the relationship between the Republic of Ireland and Northern Ireland.

    This relationship is based on the Anglo Irish Agreement (1998) which has worked for 25 years and will continue to do so in the future.

    Dalla regina Elisabetta a re Carlo III, da Boris Johnson a Liz Truss, come si valuta a Dublino la transizione in corsi nel Regno Unito?

    Il popolo irlandese ha sempre tenuto in grande considerazione la regina Elisabetta. Come capo della monarchia britannica, è stata accolta calorosamente dalle molte persone che ha incontrato in molte parti del paese quando ha fatto una visita di Stato – la sua prima e unica durante il suo regno – nel 2011. Il suo interesse personale per l’allevamento e le corse di cavalli da corsa ha colpito positivamente le corde del popolo irlandese.

    Il passaggio al re Carlo III non dovrebbe fare alcuna differenza sul modo in cui il popolo irlandese vede la monarchia. È ben noto e rispettato in Irlanda, come membro della monarchia britannica, avendo fatto diverse visite negli ultimi decenni.

    Per quanto riguarda Boris Johnson e Liz Truss – purtroppo, sotto Johnson, il rapporto tra i due governi era litigioso ma ci sono già alcune indicazioni che Liz Truss e il suo governo si impegneranno e lavoreranno per migliorare la situazione così da ripristinare un buon rapporto di lavoro con il governo irlandese.

    From Queen Elizabeth to King Charles III, from Boris Johnson to Liz Truss, how does Eire evaluate the transition thats taking place in UK?

    The Irish people always held Queen Elizabeth in high regard. As Head of the British monarchy, she was warmly welcomed by the many people she met in many parts of the country when she paid a State visit  – her first and only during her reign – in 2011. Her personal interest in racehorse breeding and racing struck a positive chord with the Irish people.

    The transition to King Charles III should not make any difference as to how the Irish people view the monarchy. He is well known and respected in Ireland, as a member of the British monarchy, having made several visits over the past decades.

    With regard to Boris Johnson and Liz Truss – regrettably, under Johnson, the relationship between the two governments was fractious but there are already some indications that Liz Truss and her government will reach out and work towards improving the situation which will restore a good working relationship with the Irish government.

    Il nuovo governo britannico vuole rivedere quanto concordato con alla Ue circa lUlster. Che aspettative avete? Avete avuto contatti da Londra?

    È molto importante ricordare che il governo del Regno Unito ha concordato – voglio sottolinearlo, ha concordato  –  un accordo di recesso dall’Unione Europea e lo ha firmato.

    Tuttavia, a causa di macchinazioni politiche all’interno del grullo parlamentare del partito al governo del Regno Unito (che hanno portato a una rivolta alla Camera dei Comuni), il governo del Regno Unito ha cercato di rinegoziare l’accordo di recesso con l’Unione europea a diverse condizioni. Non essendo riusciti a farlo, hanno ritardato discussioni significative su come raggiungere un compromesso.

    Si spera che il nuovo Primo Ministro Truss sia più positivo al riguardo rispetto all’ex Primo Ministro Johnson.

    Il governo irlandese e i governi dei 27 Stati membri dell’Unione europea esortano il Regno Unito ad avviare discussioni significative con la Commissione europea.

    The new British government wants to review what has been agreed with the EU about Ulster. What are your expectations? Have you had any contacts from London?

    It is most important to remember that the UK government AGREED to a Withdrawal Agreement from the European Union and signed off on it.

    However, because of political machinations within the UK government parliamentary party (resulting in a revolt in the House of Commons), the UK government then tried to re-negotiate their withdrawal agreement with the European Union on their terms. By having failed to do so, they have delayed meaningful discussions on how to reach a compromise.

    Hopefully, new Prime Minister Truss will be more positive in this regard than former Prime Minister Johnson.

    The Irish government and the governments of the 27 European Union Member States I urge the UK to begin meaningful discussions with the EU Commission.

    Il Regno Unito fornisce all’Ucraina più armi di tutta la Ue. Può essere Londra a determinare la politica estera di tutta la Ue, da cui è uscita?

    Per quanto riguarda la fornitura di armi all’Ucraina, il Regno Unito deve essere elogiato per i suoi sforzi – come nazione unica e come membro della Nato. Si spera che eserciterà la loro influenza sui loro colleghi nella Nato per fare tutto ciò che è in loro potere per risolvere la questione. Tuttavia, non è possibile essere d’accordo sul fatto che il Regno Unito determini la politica estera dell’Unione europea poiché, dopo la Brexit, il Regno Unito ha perso la sua posizione nell’Unione europea sulla politica comune.

    The UK gives Ukraine more weapons than the whole EU. Could it be London that determines the foreign policy of the whole EU, from which it left?

    With regard to the supply of weapons to Ukraine, the UK must be commended for their efforts – as a single nation and as a member of Nato. It is hoped that they will exercise their influence on their colleagues in Nato to do all in their power to resolve the issue.

    However, it cannot be agreed that the UK determine European Union Foreign Policy as, since Brexit, the UK has lost its position in the European Union on Common Policy.

    Quanto interessa il passaggio dal governo Draghi a un nuovo governo, quasi certamente guidato da Giorgia Meloni, in Italia?

    Le ultime elezioni italiane sono state estremamente interessanti sotto diversi punti di vista. Il fatto che l’Italia abbia eletto un governo di destra è interessante, così come il fatto che circa il 40% degli italiani abbia scelto di non votare. È anche interessante notare che molti dei candidati avversari della signora Meloni in cerca di alte cariche erano stati associati al governo Draghi. È importante e interessante notare che il voto personale della signora Meloni del 26% è in enorme aumento rispetto al 4% delle elezioni precedenti. Il suo programma elettorale che include profondi tagli alle tasse e un aumento dei pagamenti delle pensioni è interessante dato che questi programmi richiedono enormi finanziamenti. Ovviamente i poveri erano i suoi più grandi sostenitori. La signora Meloni avrà bisogno dell’accordo dei partiti della Coalizione al governo per realizzare le sue proposte elettorali. Infine, sarà importante il suo approccio con l’Unione europea.

    How interesting is the transition from the Draghi government to a new government, almost certainly led by Giorgia Meloni, in Italy?

    The latest Italian Election was extremely interesting from a number of points.

    The  fact that Italy elected a far right government is interesting, as is the fact that approximately 40% of the Italian people chose not to vote.

    It is also interesting that many of Ms. Meloni’s opposing candidates seeking high office had been associated with the Draghi government.

    Important and interesting to note is that Ms. Meloni’s personal vote of 26% is a huge increase from the 4% in the previous election.

    Her Election Policy Programme which includes deep Tax cuts and an increase in pension payouts is interesting given that these programmes require massive funding. Obviously the poor were her greatest supporters.

    Ms. Meloni will need the agreement of the Coalition parties in government with her in achieving the fulfilment of her Election Manifest Proposals.

    Finally, her approach to her involvement with the European Union will be important in all respects.

  • La Truss esordisce sulle orme della Thatcher: via le tasse e Stato minimo

    Un taglio di tasse che, in questa dimensione e in un unico annuncio, non si vedeva dal 1972: esattamente mezzo secolo. Inizia col botto, e non senza polemiche, “la nuova era” di politica economica promessa dalla  versione riveduta e corretta del governo Tory britannico, passato due settimane fa, ultimo atto del regno di Elisabetta,  dalla leadership di Boris Johnson a quella – poco carismatica ma ideologicamente più radicale – di Liz Truss.

    L’occasione per mettere qualche carta sul tavolo è stato l’intervento con cui il neocancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, promosso a primo titolare delle Finanze di origini familiari africane nella storia isolana al numero 11 di Downing Street, ha illustrato alla Camera dei Comuni con la premier accanto quella che era stata presentata come una “mini manovra” aggiuntiva: una correzione di bilancio, fatta di misure pubblicamente preannunciate da giorni e imposta dagli effetti nel Regno del terremoto energetico globale aggravato dalla guerra fra Russia e Ucraina, da un’inflazione balzata al 10% e da una recessione che le ultime stime della Bank of England indicano aver fatto capolino in anticipo sul previsto già nel terzo trimestre del 2022. Ma che in realtà ha assunto le forme d’una svolta in piena regola: sulle orme del ricordo liberista di quella Margaret Thatcher addirittura superata per entità iniziale delle riduzioni fiscali.

    La premessa di una strategia da ‘o la va o la spacca’ per provare a ridare slancio all’economia dell’isola, fra scossoni geopolitici, conseguenze del post pandemia e danni collaterali del dopo Brexit. Strategia fatta del resto di deregulation e meno tasse, ma anche d’intervento pubblico a colpi d’extra deficit per assicurare il promesso congelamento delle bollette sull’energia per due anni alle famiglie e alle imprese. Nel quadro di un cocktail ad alto rischio che Kwarteng e Truss giudicano necessario correre, convinti di poter compensare gli esborsi, almeno a medio termine, con un rimbalzo del Pil; ma che suscita allarmi da più parti, in primis sulla tenuta delle finanze pubbliche.

    “Di fronte alla peggiore crisi energetica da generazioni, non possiamo non essere vicini alla gente, ha proclamato il cancelliere di genitori ghanesi a Westminster, difendendo i costi del blocco delle bollette: 150 miliardi di sterline a regime, con 60 miliardi di sovvenzioni governative ufficializzate per i soli primi sei mesi. Non senza rivendicare al contempo la scure fiscale come una cruciale terapia shock per la ripartenza.

    Ecco quindi spiegata la decisione di ridurre dal 2023 le aliquote sul reddito (dal 20 al 19% quella minima, dal 45 al 40 quella per chi guadagna dalle 150.000 sterline annue in su); di abolire l’imposta di bollo sulle transazioni immobiliari fino a 250.000 sterline (a 425.000 per chi acquista la sua prima casa); di cancellare l’incremento dell’1,25% sui contributi previdenziali della National Insurance e quello della Corporate Tax sui profitti delle aziende dal 19 al 25% predisposti dall’ex cancelliere Rishi Sunak in era BoJo dopo l’emergenza Covid per finanziare l’assistenza sanitaria e sociale; d’introdurre vendite tax free per i viaggiatori stranieri; d’eliminare il tetto fissato dal 2008 sui bonus di banchieri e top manager per ridare smalto all’attrattività della City.

    Scelte che economisti come Paul Johnson, dell’Institute for Fiscal Studies, giudicano “insostenibili”. Una perplessità che si estende anche ai mercati, a guardare il calo della sterlina a un nuovo minimo sul dollaro dal 1985.

    Di fronte a questi annunci, per varie ragioni, si indignano opposizioni e realtà impegnate nel sociale. Replicando a Kwarteng, la cancelliera dello Scacchiere ombra del Labour, Rachel Reeves, da un lato ha accusato il governo Truss di portare il debito pubblico a livelli “senza precedenti”; dall’altro ha denunciato gli interventi sulle tasse, paralleli alla decurtazione dell’Universal Credit per i più poveri, come una classica “ricetta conservatrice”. Destinata a “gratificare chi è già ricco”.

  • Rincarano i costi dell’export agroalimentare italiano verso il Regno Unito

    Atlante, azienda di Bologna attiva nella grande distribuzione alimentare, segnala rincari fino al 600% delle tariffe per le rotte di navigazione dall’Italia al Regno Unito, che fanno seguito a rincari pure estremamente gravosi per le tratte verso gli Usa.

    Il trasporto marittimo delle merci è gestito da poche compagnie di navigazione e le prime cinque gestiscono all’incirca il 90% dei container movimentati in tutto il mondo, segnala Atlante, sottolineando che «se inizialmente la ripresa della domanda post pandemica ha generato colli di bottiglia succedutisi in diverse parti del mondo innescando una spirale perversa del costo dei noli e di congestione nei porti, oggi non sussistono ragioni tecniche che giustificano un rincaro così forte dei costi di trasporto».

    Mentre i dati di bilancio relativi al primo quadrimestre 2021 pubblicati da Maersk (che da sola gestisce circa il 25% del traffico globale) attestano una extra marginalità di cui il settore sta beneficiando, fenomeni concomitanti quali l’esplosione del prezzo dell’energia, dell’incertezza sulla reperibilità delle materie prime e dell’impennata di tutte le voci di costo generata dal conflitto in Ucraina, rischiano di mettere a repentaglio lo sviluppo di un intero settore che ha retto per decenni l’export del made in Italy.

    Cosco ha deciso di raddoppiare i costi del nolo dal porto di Salerno con destinazione Regno Unito e MSC ha deciso di cancellare la rotta dal porto di Napoli a partire da venerdì 1 aprile. Napoli, pur essendo spesso congestionato, è un porto strategico per le esportazioni di pomodoro e pasta da tutta l’Italia meridionale: per effetto di questa decisione, i container dovranno da ora in avanti transitare dal porto di Gioia Tauro con l’ausilio di una nave feeder o a mezzo ferrovia. Il trasferimento del traffico da Napoli a Gioia Tauro, che certamente aiuterà a decongestionare il porto di Napoli, genererà però costi aggiuntivi immediati oltre che un inevitabile ulteriore peggioramento del servizio. I tempi di resa medi, infatti, si allungheranno di almeno una settimana e aumenteranno congestione e ritardi. E’ più che realistico prevedere un impatto sull’export complessivo di pasta e pomodoro italiani.

    «Siamo estremamente preoccupati di fronte a questa imposizione di tariffe spropositate sui noli marittimi; un rischio per la tenuta dell’export in una fase già per altri versi drammatica sul fronte dei costi di produzione per le imprese” ha commentato Natasha Linhart, ceo di Atlante. “Sollecitiamo autorità, stampa e istituzioni affinché su questo tema si agisca in fretta per la tenuta di un patrimonio nazionale, rappresentato dall’export dei prodotti del Made in Italy».

  • Il vincitore del Nobel, nato in Tanzania, critica il Regno Unito per l’atteggiamento nei confronti dei migranti

    Il vincitore del Premio Nobel per la Letteratura di quest’anno ha descritto come disumane le risposte del Regno Unito e della Francia ai migranti che cercano di attraversare la Manica. Il giorno in cui ha ricevuto ill riconoscimento, il romanziere di origine tanzaniana, Abdulrazak Gurnah, ha detto di non capire perché i ministri britannici si riferissero a loro come criminali e ladri quando alcuni membri nel governo provengono da famiglie di immigrati. Quest’anno il record di 26.000 migranti che hanno attraversato la Manica dalla Francia al Regno Unito. Altre decine sono stati i morti. Anche Gurnah, ora cittadino britannico, ha espresso un certo stupore per il fatto che il governo del Regno Unito non si fosse congratulato con lui per il suo Nobel, chiedendosi se ciò fosse accaduto perché era un immigrato dall’Africa.

  • Brexit done: dall’1 ottobre anche gli europei devono esibire il passaporto per sbarcare sull’isola

    Il passaporto vaccinale anti-Covid no, quello ordinario sì. D’ora in avanti ai cittadini europei che vogliono entrare in Gran Bretagna non basterà più la carta d’identità. La misura, prevista negli accordi post-Brexit, era stata annunciata un anno fa ma è comunque destinata a causare un piccolo turbamento a chi era abituato a viaggiare nel Regno Unito con leggerezza e senza code eccessive alla dogana.

    Il provvedimento riguarda tutti i cittadini dell’Ue, dell’Area economica europea e della Svizzera, che vengono quindi equiparati ai viaggiatori stranieri di qualsiasi altra parte del mondo. Non si applica, invece, ai milioni di cittadini comunitari che si sono registrati all’Eu Settlement Scheme creato dal governo per garantire ai residenti i diritti acquisiti prima del divorzio di Londra da Bruxelles. Costoro potranno continuare a utilizzare le carte d’identità per entrare in Gran Bretagna almeno fino al 2025, anche se la maggior parte già mostra il passaporto alla dogana. Per ora, invece, i cittadini comunitari possono fare a meno del visto. Almeno per viaggiare nel Regno Unito e restarci fino a tre mesi. Per un periodo più lungo, nel caso in cui si intenda soggiornare per ragioni di lavoro o di studio, occorreranno invece visti analoghi a quelli richiesti attualmente agli stranieri non comunitari.

    La ministra degli Interni Priti Patel ha di recente spiegato che la scelta è stata determinata dalla volontà di impedire che “criminali” entrino in territorio britannico grazie a documenti falsi. Secondo dati del ministero, infatti, le carte d’identità sono quelle in assoluto più contraffatte e l’anno scorso la metà delle copie illegali erano proprio di carte europee e svizzere. “Il Regno Unito è orgoglioso della sua storia di apertura nei confronti del mondo e continuerà questa tradizione”, ha detto la ministra. “Ma dobbiamo reprimere i criminali che cercano di entrare illegalmente nel nostro Paese utilizzando documenti falsi. Mettendo fine all’uso di carte d’identità non sicure – ha sottolineato – rafforziamo i nostri confini e riprendiamo il controllo del nostro sistema migratorio”.

    D’altra parte l’esigenza di una stretta sulla libertà di movimento è stato uno dei fattori determinanti che hanno portato alla scelta della Brexit nel referendum del 2016. Per evitare caos e spiacevoli incidenti, nell’ultimo mese le ambasciate di quasi tutti i Paesi Ue hanno avvertito i loro connazionali dell’obbligo di avere con sé un passaporto valido prima di intraprendere un viaggio nel Regno Unito.

  • Francia e Italia spingono per ridurre la proiezione di film e serie tv inglesi nella Ue

    Dalla guerra delle sogliole a ‘The crown’. L’Unione europea si prepara a sferrare un attacco alla Gran Bretagna sul fronte dell’intrattenimento. Secondo un documento che circola a Bruxelles e di cui il Guardian ha preso visione in esclusiva, su iniziativa della Francia alcuni Paesi membri – tra cui l’Italia – intendono approfittare della Brexit per ridurre la presenza di film e serie tv di produzione britannica da piattaforme on demand come Amazon e Netflix perché considerata “sproporzionata”.

    La notizia appare ferale non solo per i milioni di appassionati tanto di serie mainstream come ‘Bridgerton’ quanto di piccoli capolavori stile ‘Fleabag’ ma soprattutto per il settore. Il Regno Unito è infatti il più grande produttore europeo di programmi cinematografici e televisivi e, solo nel 2019-20, ha guadagnato 490 milioni di sterline dalla vendita di diritti internazionali a canali e piattaforme in Europa. Un dominio non soltanto economico ma anche culturale che Bruxelles, dopo la Brexit, vede come una minaccia. Da qui l’idea di approfittare di una revisione delle cosiddette ‘quote Ue’ per limitare l’influenza della Gran Bretagna su un mercato cresciuto moltissimo durante la pandemia di Covid. In base alla direttiva Ue in materia di servizi audiovisivi, infatti, almeno il 30% dei titoli su piattaforme di video on demand come Netflix e Amazon deve essere destinato ai contenuti europei. Una percentuale che la Francia vorrebbe alzare al 60% inserendo l’obbligo di destinare almeno il 15% dei fatturati delle piattaforme alla creazione di opere europee. Da queste quote, sostengono i promotori dell’iniziativa, devono essere esclusi i prodotti ‘made in the Uk’.

    “All’indomani della Brexit è necessario rivalutare la presenza del Regno Unito”, si legge nel documento intitolato ‘La presenza sproporzionata di contenuti britannici nella quota di video on demand europei e gli effetti sulla circolazione e promozione di diverse opere europee’. E ancora, “l’elevata disponibilità di contenuti britannici sui servizi di video on demand, nonché i privilegi concessi dalla definizione di ‘opere europee’, possono comportare una presenza sproporzionata di contenuti britannici e ostacolare una maggiore varietà di contenuti europei, (anche da Paesi più piccoli o lingue meno parlate)”.

    Un portavoce di Downing Street interpellato dal Guardian ha replicato che le produzioni britanniche continuano ad avere il diritto allo status di ‘contenuto europeo’, anche dopo l’uscita dall’Ue, in quanto “il Regno Unito appartiene ancora alla Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera del Consiglio d’Europa”. Ma tant’è, la guerra è lanciata. La revisione delle quote è prevista fra tre anni ma l’iniziativa anti-Londra potrebbe subire un’accelerazione a gennaio, quando la Francia assumerà la presenza di turno dell’Ue, sostengono fonti europee, e potrà contare sul sostegno di Italia, Spagna, Grecia e Austria che hanno aderito all’iniziativa. Intanto la Commissione europea ha già avviato uno studio sui rischi che una programmazione di stampo “britannico” comporta per la “diversità culturale” dell’Ue. Una mossa che, secondo fonti diplomatiche, sarebbe un primo passo verso la limitazione dei privilegi per film e serie del Regno Unito.

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