regole

  • Regole

    Sul ring le regole sono precise: si è lì per dare e prendere cazzotti.
    Fanno male e, dunque, è bene stare in guardia e cercare di colpire quanto più duramente possibile. Questo è l’unico modo per finire il combattimento, se non vincendo quanto meno rimanendo dignitosamente in piedi.
    Immagino, ora, cosa succede ad un pugile che, già un po’ suonato, rivolgendosi al suo angolo, in cerca di aiuto, si sente dire: “Porgi l’altra guancia…porgi l’altra guancia”.
    Sta accasciato sul seggiolino, gonfio e a gambe aperte, in debito di ossigeno.
    I secondi si affannano a riparare i danni, compresi quelli all’una e all’altra guancia.
    A loro non resta che gettare la spugna e salvare il salvabile.
    È tecnicamente una sconfitta per abbandono.
    Il giudice ora alza il braccio del vincitore: è un russo che sa giocare sporco, un tre quarti muscoloso e ben allenato. Per i suoi tifosi è un Dio ma, come i suoi colleghi dell’Olimpo, non è perfetto ed ha un piccolo difetto: ama vincere facile, per abbandono, appunto.

  • Berlino valuta regole che limiteranno le navi ong

    Berlino potrebbe inasprire le regole sulla sicurezza delle navi private, ostacolando di conseguenza il salvataggio in mare dei migranti. È quello che emerge dalla bozza di un provvedimento legislativo del ministero dei Trasporti tedesco, in quota Fdp. Della misura ha dato notizia Monitor, trasmissione televisiva del canale ARD, che ha anticipato il servizio in una nota.

    Secondo una bozza del ministero guidato dal liberale Volker Wissing, le navi con “attività politiche e umanitarie o scopi idealistici comparabili” non dovrebbero più appartenere al settore del diporto. Ne deriverebbero così requisiti nuovi, con conseguenti alti costi per tecnologie e assicurazioni diverse. E una legge del genere colpirebbe innanzitutto le imbarcazioni più piccole, generalmente più veloci e in grado di raggiungere i luoghi dei naufragi. Anche alla luce della tragedia avvenuta al largo delle coste calabresi, la notizia ha già suscitato critiche e polemiche in Germania. Dove ieri la ministra dell’Interno socialdemocratica Nancy Faeser, commentando l’ennesimo naufragio nelle acque del Mediterraneo, ha ricordato il delicato equilibrio fra “responsabilità e solidarietà” nella gestione dei migranti in Europa.

    “Queste prescrizioni significano che alla nostra nave viene impedito di circolare. Per le persone che si trovano in emergenza in mare significa avere una nave in meno in grado di salvarle. E questo significa tanti, tanti morti”, ha commentato Axel Steier, di Mission Lifeline, intervistat da Monitor. Anche l’organizzazione Reqship teme di dover rinunciare del tutto alla sua attività: “Per quel che ci riguarda, noi corriamo molto seriamente il rischio di venire bloccati completamente dalle nuove norme di sicurezza”, ha affermato Stefen Seyfert.

    Monitor ricorda anche il tragico bollettino delle Nazioni Unite, secondo il quale l’anno scorso sono risultate morte o disperse almeno 2.406 persone nel Mediterraneo. La bozza di Wissing inoltre contraddice i piani della coalizione del semaforo di Olaf Scholz, secondo cui “il salvataggio civile in mare non deve essere impedito”. Un tentativo del genere era già stato fatto dal ministro della Csu Andreas Scheuer in passato, ma era fallito, dopo la pronuncia di un magistrato. L’Italia contesta da anni alla Germania l’attività delle ong battenti bandiera tedesca operative nel Mediterraneo.

  • Quale concorrenza

    La vicenda ancora irrisolta e relativa alle concessioni balneari ha riportato all’attenzione della politica e dell’economia il principio della concorrenza. Il contenuto di questo principio economico e strategico è di certo importante e può ancora oggi venire considerato fondamentale, tuttavia  il suo continuo e manieristico rimando ad opera di una ormai esausta componente del variegato mondo “liberale”, lo rende ormai distonico rispetto alla complessità dei soggetti economici e dei mercati globali.

    Il continuo e perpetuo riferimento alla semplice applicazione sic et nunc di un concetto scolastico di concorrenza evidenzia in modo inequivocabile la volontà ed il desiderio di coprire una evidente incapacità nella elaborazione di analisi più approfondite della quale purtroppo il mondo liberale non sembra essere esente.

    La sentenza Bolkestein ha ribadito l’importanza quanto la legittimità dell’attuazione di questo principio economico, lasciando tuttavia una macroscopica lacuna relativa alle complesse modalità della sua applicazione in quanto la sentenza non ha assolutamente tenuto in alcuna considerazioni, né doveva farlo, di come all’interno della stessa Unione Europea questo principio, per la sua stessa applicazione, dovrebbe contare sul presupposto di una minima uniformità fiscale. Quest’ultima, infatti, garantirebbe le condizioni minime di base con l’obiettivo di assicurare uno stesso contesto ai diversi soggetti economici in competizione nella aggiudicazione di un servizio su concessione statale.

    In altre parole, il principio di una base comune economica e fiscale dovrebbe rappresentare la condizione minima per permettere l’applicazione equa e corretta dello stesso principio della concorrenza dalla quale proverebbe la sua massima espressione nel know how professionale piuttosto che nella semplice applicazione di un vantaggio fiscale assicurato dalle diverse normative nazionali.

    Viceversa, tanto il mondo politico quanto, a maggior ragionr, quello liberale si dimostrano ancora una volta superficiali nelle analisi e soprattutto estremamente infantili nelle soluzioni le quali si estrinsecano sempre nella semplice individuazione di un principio economico come semplice soluzione di tutti i mali.

    Sembra incredibile come non vengano presi in considerazione i diversi asset normativi e soprattutto fiscali conviventi all’interno della stessa Unione Europea, le cui differenze ex ante rendono impossibile qualsiasi applicazione della concorrenza tra i diversi soggetti economici. Una lacuna soprattutto imputabile a quell’area politica la quale, con molta superficialità, si considera ancora oggi “liberale” e che ha appoggiato le privatizzazioni dei monopoli fisici statali che hanno determinato il disastro della gestione privatistica della società Autostrade fino alla morte di 43 persone con il crollo del Ponte Morandi. Senza dimenticare l’Eni, diventata una società con la sede fiscale in Olanda partecipata dallo Stato la quale, all’interno di una situazione drammatica come quella post pandemica. ha utilizzato le proprie leve speculative all’utenza privata ed industriale nelle forniture di energia.

    Mai come ora la peggiore conservazione politica intesa come l’incapacità di attualizzazione del proprio pensiero economico e politico trova casa presso le vecchie aggregazioni ed istituzioni liberali incapaci anche solo di aggiornarsi ad un mercato sempre più globale in continua evoluzione al quale rispondono con le semplici e scolastiche definizioni di principi economici.

  • La Ue vuole imporre ai rider lo status di lavoratori dipendenti

    Subordinati o autonomi? In ogni caso, tutelati. La Commissione europea dà l’altolà alla deregulation delle grandi piattaforme dei servizi digitali e sbarra la strada al lavoro ‘usa e getta’. Stabilendo, con una cesura netta tra flessibilità e sfruttamento, che le decine di migliaia di rider di UberEats, Deliveroo o Glovo – ma anche il drappello di tutti gli altri lavoratori della gig economy – in Europa dovranno in certi casi essere considerati dipendenti e non più collaboratori autonomi. Con l’onere di dimostrare il contrario in tribunale che finisce tutto sulle spalle delle aziende. Uno schiaffo, quest’ultimo, che ha fatto subito infuriare la Confindustria europea, secondo la quale molti lavoratori delle piattaforme sono autonomi per scelta.

    Dopo la rivoluzione delle abitudini e del delivery portata dal Covid, per Bruxelles è arrivato il momento di prendere di petto i cambiamenti del mercato del lavoro e di compiere una rivoluzione dei diritti sociali. Che, ha tuonato il commissario al Lavoro, Nicolas Schmit, devono essere alla base di tutti i modelli di business. Compreso quello di Uber e delle piattaforme digitali con il loro esercito di addetti spesso invisibili per banche dati e Inps, che la Ue stima passeranno dai 28 milioni attuali a 43 milioni nel giro dei prossimi 4 anni.

    Anche se il cambiamento per ora riguarderebbe soltanto una parte minore del plotone (tra gli 1,7 e i 4,1 milioni di lavoratori dei 5,5 milioni che Bruxelles considera siano attualmente classificati come autonomi in modo erroneo) il percorso parte con il riconoscimento della reale natura legale dei rapporti di lavoro. In una speciale lista di criteri da spuntare per la regolarizzazione, Bruxelles prevede che in presenza di almeno due indicatori da scegliere tra la definizione dall’alto del livello di retribuzione, la supervisione delle mansioni, le restrizioni su orari o uno specifico codice di abbigliamento da rispettare, ci si trovi a tutti gli effetti davanti a un rapporto di lavoro dipendente. E scatti il vincolo di assunzione. Con il corollario di diritti che ne segue. Insomma, ha sintetizzato il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, “chi viene utilizzato come dipendente dovrà avere diritti adeguati”. Anche se questo, per gli industriali europei, rischia di compromettere un comparto florido che fa della flessibilità e dell’innovazione il suo punto di forza. “Nessuno sta cercando di uccidere, fermare o ostacolare la crescita” delle piattaforme, ma anche quel tipo di business deve “adattarsi” agli standard sociali europei, è stata la replica di Schmit. Con Bruxelles che in contemporanea ha aperto alla contrattazione collettiva per gli autonomi.

    L’applicazione del regolamento comunque – una volta superato il vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio – dipenderà molto dalle decisioni che vengono prese dai singoli Stati membri, che vedono affastellarsi sempre più cause tra lavoratori e autonomi nei tribunali nazionali. In almeno dodici capitali, tra cui Roma, l’intervento della Ue era richiesto a gran voce, con tanto di missiva spedita a Bruxelles la scorsa settimana. Per il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, le misure comunitarie rappresentano “un passo molto importante” e “una priorità” su cui il governo è impegnato e continuerà a lavorare “per garantire tutele a tutti nel presente e nel futuro”. Un auspicio condiviso anche dal leader del M5S, Giuseppe Conte, che ricordando il presidio di lavoro offerto dai rider nei mesi più duri della pandemia e denunciandone le condizioni “precarie, al limite del caporalato”, evidenzia come sia “fondamentale una tutela europea anche per evitare che vengano aggirate le normative nazionali”. L’Italia, però, secondo l’ex premier “deve fare di più” per “dare un senso al principio di dignità scolpito nella Costituzione”. Con o senza il benestare delle piattaforme alla Ue.

  • Globalizzazione: non solo mercato

    Mentre forze politiche e sindacali discutono, più o meno con cognizione di causa, su quali siano gli strumenti per garantire maggiore occupazione vale per tutti ricordare che molte importanti imprese italiane sono passate in mano estera e che, in un mondo globalizzato, questo passaggio dovrebbe essere legittimo solo se a monte esistono regole per garantire che la vendita non si tramuti, dopo un po’, in una marea di licenziamenti. La Bianchi, storica fabbrica di biciclette, è diventata di proprietà svedese, mentre la Atala, altro marchio storico, è diventata olandese come ricorda Mario Giordano in un articolo su Panorama. La Ducati è diventata della Wolkswagen, che ha anche la Lamborghini, la Ferretti, barche di lusso, è diventata cinese, la carta di Fabriano è di un fondo americano, la Riello anche, parte della De Longhi è giapponese, la Parmalat francese, i vini Gancia dei russi, gli oli Sasso e Bertelli degli spagnoli, le fattorie Osella e i biscotti Saiwa di una multinazionale americana, la Peroni è giapponese. La Stock di Trieste, comprata da fondi americani, è stata trasferita nella Repubblica Ceca, la Ideal Standard è stata chiusa dagli americani, e ricordiamo la recente chiusura della Gianetti ruote e della Gkn, diventate di proprietà di fondi britannici che hanno poi provveduto al licenziamento di centinaia di dipendenti.

    Globalizzazione significa maggiore mercato ed opportunità ma solo con regole comuni rispettate e nessun mercato etico, come si suol tanto dire oggi, può prescindere dai diritti dei lavoratori che a loro volta hanno doveri reciproci con l’azienda e il paese. La mancanza di regole comuni e rispettate ci ha portato al caos e all’eterno conflitto, speriamo che la pandemia in concomitanza con la questione ambientale possano diventare, dopo tanta sofferenza, anche l’occasione per creare una terza via di sviluppo.

  • Regole e controlli per non chiedersi dopo il perché

    Mentre finalmente calano i morti per covid e si riaccende con la speranza la voglia di vita, di aria, di sole, di tornare a stare in mezzo agli altri, di normalità, una nuova tragedia spezza vite innocenti nel crollo della funivia del Mottarone. Forse anche questa tragedia è la terribile normalità della nostra epoca, controlli non eseguiti o eseguiti male con ponti o funivie che crollano, atti terroristici senza confini, violenze private e pubbliche. Forse è questa la normalità, chiedersi dopo il perché, chiedersi come si potevano evitare tante morti e tanto dolore, dedicare pagine e fiumi di parole al ricordo continuando poi nella solita poca attenzione alle prevenzione globale, al senso di responsabilità che ciascuno deve avere. Nella vita di tutti c’è l’imponderabile, uscire la mattina e non poter mai più tornare a casa la sera, un imponderabile che può aspettare chiunque. Per questo ricordando, con profondo dolore, le vite spezzate al Mottarone cerchiamo di rendere loro omaggio con nuove, immediate regole per la prevenzione ed i controlli e con la consapevolezza che ogni minuto di vita deve essere apprezzato e condiviso.

    Così un’altra volta l’avidità, l’incuria, il pressappochismo, l’indifferenza hanno colpito ancora uccidendo 14 persone. Ci sono responsabilità di coloro che, a vario titolo, avevano la gestione e la manutenzione dell’impianto, di chi sapeva il rischio e non è intervenuto e anche di coloro che, nella pubblica amministrazione, non hanno vigilato.

  • Via la mascherina senza i controlli?

    Togliere la mascherina da subito ai vaccinati? Questa sarebbe la nuova proposta? Chi controllerà per strada, nei luoghi dei noti assembramenti o nei supermercati che coloro che non hanno la mascherina siano veramente già stati vaccinati? Ormai da giorni sono in aumento le persone che non usano alcuna precauzione, a partire proprio dalla mascherina! Prima di dare il via libera, prima di dire che chi è già vaccinati può non usare la mascherina sarebbe più intelligente aspettare qualche settimana, i rischi sono ancora troppi e, soprattutto, sono troppe le persone che fanno le furbe ai danni degli altri e di loro stessi. Il governo, Sileri in testa, pensi prima a trovare il modo di impedire gli assembramenti e di organizzare in modo idoneo i trasporti poi chi è vaccinato ed in possesso dell’idoneo certificato potrà girare senza mascherina e sottostare a quegli adeguati controlli che, auspichiamo, ci saranno.

  • Il virus avanza tra notizie confuse e regole poco rispettate

    Poliziotti, infermieri, vigili, volontari, farmacisti, addetti alle attività di prima necessità, tutti quelli che sono a contatto diretto con gli altri, quelli che devono salvare, curare, nutrire, controllare, alimentare sono per la maggior parte sprovvisti del principale presidio: la mascherina, per evitare il diffondersi del virus. Fino a qualche giorno fa ci dicevano  che non era necessario portarla, ora se ne è compresa la necessità, che  diventa più o meno obbligatorio usarla per uscire, ma le mascherine non ci sono neppure per i molti che sono al fronte, una guerra in trincea ma senza protezioni. In questi giorni abbiamo visto un fai da te di tutti i tipi, mascherine per dare il verderame alle viti, per muratori, per puericultura, mascherine fatte di plastica, il materiale sul quale vive più a lungo il virus, mascherine di stoffa di vario tipo, mascherine fatte con la carta forno dietro la sciarpa o ricavate da pannolini per bambini o da assorbenti femminili. Sarebbe comico se non fosse tragico, a Malpensa dicono ci sono 5 milioni di mascherine da sdoganare, sarà vero? Di chi sono veramente? Un importante commerciante mi segnala che ne potrebbe avere in pochi giorni un milione ma non sa  e né come proporle chi contattare perché è difficile comunicare con gli enti preposti all’acquisto e comunque il costo è di 8,30 euro l’una, i costi sono molto alti e rimane il fatto che,nonostante donazioni varie i privati non ne trovano e molti sanitari non ne hanno!

    Difficile capire qual è la realtà tra cose dette con il contagocce e altre notizie che arrivano da canali diversi, sta di fatto che, di giorno in giorno, la situazione si aggrava se, come dicono alcuni ricercatori della società italiana di medicina ambientale, in collaborazione con le università di Bologna e Bari, i virus possono rimanere nell’aria per diverso tempo utilizzando come vettore di trasporto e diffusione il particolato atmosferico. Il che potrebbe valere anche per il Covid-19. A loro avviso esiste una relazione tra la forte diffusione del virus a fine febbraio inizi marzo e il i superamento dei limiti stabiliti di concentrazione di PM 10.

    Il virus ha colpito ovunque ma mentre abbiamo qualche notizia su alcuni paesi europei, sugli Stati Uniti e la Cina, tutto tace sull’Africa e il Sud America e l’Africa preoccupa per la sua vicinanza, per l’immigrazione, per le gravi carenze sanitarie, per i turisti italiani, europei che fino a ieri sono andati e venuti. II virus non si ferma e non si fermano neppure troppe persone che non hanno capito la realtà, la vita è cambiata e sopravviverà solo chi avrà la capacità di adattarsi, come è sempre stato. Anche oggi, la mattina presto, la metropolitana di Milano era affollata, altro che metro di distanza gli uni dagli altri, chi non ha capito, chi deve comunque trovare il modo di guadagnarsi da vivere e il contagio continua. Poi ci sono i senza tetto, le persone senza documenti che per questo non possono ancora essere accolte nei ricoveri, quanto virus viaggia libero sulle nostre false libertà e norme inadeguate?

    A Bergamo è ufficiale: non ci sono più letti negli ospedali, le persone muoiono a casa, qualunque cifra di decessi o contagiati è relativa rispetto alla realtà. In Emilia Romagna nuovi comuni blindati, nuove zone rosse per contenere il contagio, perché non si è chiusa Bergamo quando si era ancora in tempo? Il virus scende verso sud anzi e già lì pronto ad esplodere mentre la Calabria ha tremato sotto le scosse di un nuovo terremoto.

    Continuano le trasmissioni di approfondimento, qualcuna è lo spettacolo dell’ovvio e dell’orrore, ripetizioni di cose dette e ridette, scenari tristi di piazze e vie vuote e deserte dove solo qualche giorno fa camminavamo. Se dobbiamo stare in casa è ovvio che siano vuote le città, perché continuare a farci vedere la desolazione, a farci rimpiangere un mondo perduto? Perché darci notizie inutili o farci ascoltare commenti di chi ne sa meno di noi? Anche la morte, il dolore, la paura sono spettacolo, non capiremo mai? Non possiamo accompagnare i nostri morti, non possiamo essere vicini a chi ci sta lasciando, possiamo applaudire da lontano tutti coloro che sono sul campo per salvare vite o per essere di supporto a chi salva vite e anche chi fa le pulizie negli ospedali o riempie i banchi del supermercato si occupa della nostra vita. A tutti il nostro Grazie e ciascuno di noi faccia quello che gli compete, prima di tutto rispettare le regole.

  • Avvertenze e consigli

    1) Il virus si prende anche attraverso gli occhi, usate sempre, quando uscite, un paio di occhiali oltre all’introvabile mascherina o similari

    2) Se starnutite, tossite o vi soffiate il naso fatelo con un fazzoletto usa e getta da buttare in un contenitore chiuso e poi lavatevi le mani

    3) Se avete tossito o starnutito nel gomito….ricordatevi di disinfettare il vostro indumento prima di appenderlo in casa o in un luogo pubblico

    4) Quando tornate da fuori disinfettate con spray ad hoc i vostri indumenti

    5) Disinfettate i pacchi che portate da fuori in casa o sul posto di lavoro, sembra che il virus viva più a lungo sulle superfici di plastica perciò buttate via i sacchetti senza riutilizzarli e disinfettate le superfici in casa e sul posto di lavoro, specialmente le superfici della cucina almeno due volte al giorno,

    6) Pulitevi le narici con uno spray ad hoc

    7) Prima di utilizzare un gabinetto non di casa disinfettatelo

    8) Se non trovate più guanti usa e gatte disinfettate quelli che avete già usato o usate guanti normali e poi lavateli

    9) Se potete rimanere a casa cercate di non far venire persone da fuori che hanno utilizzato mezzi pubblici e chiedete loro comunque di utilizzare i vostri stessi accorgimenti per disinfettare indumenti etc.

    10) Ovviamente vale tutto quello che la televisione ed i giornali hanno detto, distanza di sicurezza, lavarsi le mani, non uscire ma non basta disinfettare tutto quello che potete e tenete coperti bocca naso ed occhi

  • L’immigrazione globalizzata si affronta con regole e leggi e non con proclami

    In un reportage di novembre il settimanale Sette, del Corriere della Sera, affronta, con articoli e dati, il problema dell’immigrazione in varie aree del Pianeta. Nell’articolo si parla dei 7.000 migranti che dal centro America si affollano presso le frontiere degli Stati Uniti, dei 21.000 entrati in Bosnia da inizio anno, dei 178.000 sfollati maliani e nigeriani ai 164.000 sfollati interni del Niger che hanno lasciato i loro villaggi a causa della violenza, e dei 500 venezuelani che ogni giorno attraversano a piedi i confini per sfuggire alla fame e alla disperazione che ormai da tempo attanaglia un paese che potrebbe ‘essere florido’. A questi dati noi aggiungiamo le decine di migliaia di migranti che hanno già raggiunto il cuore dell’Europa e l’Italia, le migliaia che sono reclusi nei lager libici e le decine di migliaia che vivono in condizioni disumane, da tantissimi anni, nei villaggi e nei campi profughi e pensiamo a coloro che hanno subito e subiscono la guerra in Siria ed il terrorismo islamista in Somalia, solo per fare qualche esempio.

    La situazione è drammatica a livello mondiale e la globalizzazione della disperazione e della paura è ormai evidente, le conseguenze saranno drammatiche: territori spopolati ed altri sovraffollati, famiglie distrutte, intelligenze e forza lavoro perdute, intere generazioni decimate, i superstiti delle quali resteranno segnati per sempre da quanto hanno vissuto.

    Molte volte abbiamo cercato di proporre ipotesi di lavoro, alle autorità europee ed italiane, per evitare l’espandersi di quel terrorismo che ha impedito la costruzione di sistemi più moderni ed umani sia in termini di governo che di economia e che ha portato alla fuga milioni di persone. Ma le cose dette sono dette e gli errori fatti sono fatti ed oggi non sarà con le recriminazioni e neppure con le battute o i proclami che si potrà affrontare il problema di una emigrazione globalizzata che ripropone quanto nella storia si è già più volte verificato modificando, stravolgendo, culture e modi di vita. Dagli esodi biblici alle conquiste militari della Grecia, dell’Egitto e di Roma, da Alessandro a Cesare, dalle invasioni di barbari, di longobardi e visigoti, dagli unni ai tartari, fino al secolo scorso, siamo stati abituati, di generazione in generazione, a vedere l’invasione di nazioni libere da parte di eserciti che cambiavano in parte il loro modo di vita.

    Un detto popolare, e vox  popoli è vox dei, diceva viva la Franza viva la Spagna  basta cas’ magna, ed in Italia spagnoli, francesi, austriaci sono stati in parte i nuovi Attila, in parte i promotori di nuovo sviluppo culturale e sociale. Per molti anni italiani, spagnoli, portoghesi, irlandesi hanno trovato, in altre nazioni lontane, quelle opportunità che in patria erano state negate e ciascuno di quei migranti ha dovuto lottare contro pregiudizi e difficoltà di accoglienza ed integrazione. Il problema che si pone oggi rimane ancora quello di trovare regole che possano essere immediatamente conosciute e rispettate da chi arriva con la necessità di clausole che portino all’espulsione chi non le rispetta. Queste regole se fossero conosciute prima, anche con i mezzi di comunicazione che ormai raggiungono qualunque paese via internet o via televisione, potrebbero dissuadere molti, che non si sentono di condividerle e di accettarle, a cercare di entrare in Italia, in Europa.

    Il divieto alla macellazione rituale, il divieto a coprirsi il volto o ad esercitare per strada le proprie credenze, l’obbligo alla conoscenza della lingua sono solo alcune delle leggi che sarebbe facile promulgare e far applicare ma la verità è, che ancora oggi, manca l’esatta presa di coscienza dell’enormità del problema e la conseguente volontà politica di affrontarlo seriamente.

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