Rete

  • I bambini non giocano più

    I bambini non giocano più né tra di loro né da soli, non corrono, non inventano situazioni, storie, non hanno fantasie perché fin da quando hanno un anno tengono in mano un smartphone, o almeno un cellulare collegato ad internet, dove possono vedere tutte le fantasie degli altri che li priveranno della capacità di averne di proprie.

    I bambini non devono disturbare così i premurosi genitori affidano i loro strumenti tecnologici alle piccole mani, ai piccoli occhi, alle piccole menti proprio nel periodo nel quale la formazione è più importante, l’imprinting assoluto.

    Piccole menti addestrate a guardare cose che ancora non capiscono, cose che saranno memorizzate per poi, più avanti, essere imitate, piccole menti che diventeranno lentamente sempre più incapaci di provare emozioni, sentimenti, di crescere attraverso esperienze personali e dirette perché conoscono tutto solo per via indiretta, tramite la rete.

    Ogni essere vivente cresce a tappe, per gli esseri umani ogni anno dovrebbe portare a nuove esperienze commisurate alle diverse età, ogni percorso fa affrontare sconfitte e successi, ogni confronto con gli altri abitua al confronto con se stessi e con la vita, i sentimenti si coltivano misurandosi con quanto è intorno, dalla famiglia ai libri, dai compagni di classe e gli insegnanti alle persone che si incontrano, dalle difficoltà da superare alle soddisfazioni raggiunte.

    Se così non è, e ormai da troppo tempo non è più così, l’infanzia è perduta perché tutto è sostituito dal silenzio fragoroso della rete che ha soppiantato tutto e tutti, l’infanzia è perduta impedendo così l’arrivo di una adolescenza consapevole, graduale, difficile, come tutti i momenti di crescita, ma necessaria per diventare adulti e non rimanere per tutta la vita nel limbo della dipendenza.

    La tecnologia è per le persone adulte, conscie di se stesse, non deve essere il primo, spesso unico, riferimento di un bambino.

    Le cifre parlano chiaro se non si cambia continueranno ad aumentare i rischi visto che già ora vi è un aumento esponenziale delle depressioni e dei pensieri suicidari proprio tra la popolazione più giovane. Inoltre aumentano il disinteresse verso i rapporti con gli altri, l’aggressività, l’impoverimento del pensiero, della parola, delle relazioni interpersonali.

    I più giovani, costantemente connessi, attraverso uno strumento tecnologico, a realtà alle quali non appartengono, perdono contatto con il reale intorno a loro e diventano incapaci di affrontarlo.

    Si diventa incapaci di affrontare problemi, accettare sconfitte, battersi per superare difficoltà, ogni evento rischia di diventare un dramma, di provocare un trauma personale o collettivo, le patologie psichiche aumentano, l’intera società diventa a rischio quando sono a rischio i suoi ragazzi.

    Diversi scrittori e studiosi da alcuni anni hanno lanciato il segnale d’allarme, in alcuni paesi si sta cercando con specifici divieti di arginare il problema ma occorrono iniziative più forti che possono nascere solo dalla consapevolezza che non c’è più tempo per indugiare.

    I bambini devono interagire col mondo intorno a loro, non con la rete, devono tornare a fantasticare attraverso i libri, a giocare inventandosi giochi e storie, devono parlare per fare domande ed avere risposte, domande e risposte che partano ed arrivino con voci ed intelligenze umane, da persone, grandi e piccole, capaci di guardarsi negli occhi trasmettendosi sensazioni e sentimenti non solo nozioni.

    Non si diano più ai bambini smartphone o telefonini connessi alla rete, si alzi a 16 anni l’età per collegarsi ai social, si torni a parlare con i propri figli, nipoti, studenti, si dia spazio alla cultura del dialogo, della consapevolezza, dell’esempio, si torni tutti a leggere di più e meglio cercando di capire quello che si legge e quello che è intorno e forse si riuscirà a sconfiggere quell’ansia che sta uccidendo l’infanzia e non solo.

  • Indagine Eurobarometro: l’UE deve rafforzare le competenze in materia di cibersicurezza

    Da un’indagine Eurobarometro pubblicata il 22 maggio emergono una crescente carenza di competenze informatiche, la necessità di un maggior numero di specialisti di cibersicurezza e la necessità di personale altamente sensibile alla cibersicurezza in tutte le imprese dell’UE. Questi risultati sono in linea con una recente relazione di previsione pubblicata dall’ENISA, l’Agenzia dell’UE per la cibersicurezza, in cui si osserva che la carenza di competenze informatiche sembra essere strettamente correlata con le minacce informatiche, il che rappresenta una grave problema sia per il funzionamento delle reti e dei sistemi informativi sia per il mercato unico nel suo complesso.

    La Commissione ha intensificato gli sforzi per aumentare la consapevolezza e la visibilità delle iniziative relative alle competenze di cibersicurezza e per incrementare il numero di professionisti qualificati in detto settore

    Quest’anno la Commissione ha stanziato 10 milioni di € a sostegno di progetti volti ad attuare programmi di formazione in competenze informatiche per le PMI, le start-up e il settore pubblico. L’importo totale investito dal 2021 in progetti e iniziative a sostegno delle competenze informatiche, insieme agli Stati membri e ai partner del settore privato, è salito a circa 600 milioni di €. Nuove opportunità di finanziamento saranno messe a disposizione nell’autunno 2024.

  • Suicidio seconda causa di morte tra i giovani dopo gli incidenti stradali

    Secondo una statistica dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) i suicidi sono la seconda causa di morte per i giovani tra i 15 e i 29 anni, dopo gli incidenti stradali. Le raccomandazioni dell’Oms per la prevenzione dei suicidi puntano su quattro azioni principali: limitare l’accesso ai metodi letali; interagire con i media per una modalità responsabile di riportare le notizie di suicidio; sostenere le abilità socio-emotive in adolescenza; identificare precocemente, prendere in carico e curare chiunque presenti comportamenti suicidari.

    «La prevenzione del suicidio dei giovani – spiega lo psichiatra Maurizio Pompili (Università La Sapienza di Roma) – è difficile. Occorre cogliere i segnali di allarme, perché non lo dicono in maniera chiara: tra questi il decadimento della performance scolastica, l’isolamento sociale, la promiscuità, l’uso di sostanze o la tendenza all’automedicazione, problemi di salute posti all’attenzione dei medici e non riconosciute come collocabili in un versante più ampio come quello di un rischio suicidio». Pompili, che è anche direttore del Servizio per la prevenzione del suicidio presso l’ospedale Sant’Andrea a Roma, ribadisce che «il suicidio è la punta di un iceberg che è la sofferenza giovanile, che era già presente nell’epoca precedente alla pandemia. Il Covid ha reso tutto più complesso, soprattutto per i giovani». «In Italia – dice ancora Pompili– secondo i dati del Rapporto Osservasalute 2022, tra il 2019 e il 2021 si è abbassato l’indice di salute mentale della popolazione 14-24 anni, soprattutto tra le ragazze. Il cyberbullismo sembra essere aumentato durante la pandemia – aggiunge Pompili – ed è connesso al rischio suicidio». Stime indicano che ne è colpito un giovane su sei (soprattutto ragazze), ma solo uno su dieci riesce a chiedere aiuto.

  • Basta un clic per ingaggiare un killer? No, non è così facile

    Sul web finiscono imbrogliati anche i male intenzionati. Andando a verificare una leggenda metropolitana, il New York Times, ha verificato che la possibilità di assoldare un sicario dietro compenso (ovviamente in criptovalute) attraverso il darknet sono molto minori di quel che la credulità popolare tramanda. La testata ha scovato diversi siti, a partire da Azerbaijani Eagles, un portale accessibile solo usando Tor (rete creata dalla US Navy nel 1998 utilizzando la tecnologia onion routing sviluppata per garantire l’anonimato sulle reti di computer e accessibile a tutti dal 2006) che promette di eliminare “un bersaglio” per 5.000 dollari oppure di farlo menare per bene per 2.000 dollari (per 50.000 dollari il sito promette di torture colui che poi verrà ammazzato).

    Vero è che il dark web, cioè la parte più remota del deep web che a sua volta è la parte meno agilmente accessibile di internet, è il regno della criminalità (si stima vi navighino 4 miliardi di persone), ma ma non risulta un solo omicidio che sia stato ricondotto dagli inquirenti ad un sicario assoldato con queste modalità.  Il New York Times ha anche intervistato i gestori di alcuni di questi siti. Ad esempio i proprietari di “Darkmamba” sostengono che provare l’autenticità del loro servizio è per loro piuttosto complesso perché «operano in modo da non lasciare tracce”, soprattutto usando la ricina: il veleno reso popolare dalla serie TV Breaking Bad.

    Va da sé che il fatto che un sito che promette di ingaggiare un assassinio non sia affidabile non esenta da responsabilità (penali) chi cerchi un killer online. In Italia ma anche in Svizzera, le cronache pullulano di notizie di persone che hanno effettuato ricerche simili e si sono ritrovate sia imbrogliate (hanno pagato per un servizio che non è stato loro reso) sia indagate (perché il loro proposito omicida è comprovato nei fatti dall’ingaggio su internet).

  • Vittime di ingenuità e di voglia di apparire

    Quanti giovani dovranno ancora morire vittime di ingenuità, desiderio di apparire e mancanza di regole, di controlli sui messaggi che la rete diffondo turbando menti ancora acerbe ed incapaci di discernimento?

    C’è un male per nulla oscuro che pervade la nostra società e con l’intelligenza artificiale, priva di regolamentazione, i problemi e le tragedie si moltiplicheranno ma il Dio denaro, il Dio del successo ad ogni costo continuerà a prevalere se il mondo delle politica, della scienza, della comunicazione non si decideranno a collaborare ed intervenire.

    Riportiamo di seguito un articolo di Fanpage.it, a firma di Ida Artiaco, pubblicato il 19 aprile 2024

    Si tuffa da una diga per realizzare un video estremo: star dei social muore annegato a 20 anni

    Tragedia in Brasile dove Mc Dieguin Md, noto artista di funk e star dei social, è morto affogato dopo essersi tuffato in una diga per realizzare un video. L’amico che era con lui: “Ho dovuto lasciarlo andare per salvarmi”.

    Voleva realizzare un video estremo per i suoi follower ma quello che avrebbe dovuto essere un successo si è trasformato in tragedia per un 20enne brasiliano, star dei social.

    Diego Kaua Oliveira Santos, conosciuto artisticamente come Mc Dieguin Md, noto artista di funk, è morto annegato in un lago nei pressi di Americana, nell’entroterra di San Paolo, lanciandosi dalla diga del Salto Grande.

    È successo lo scorso 16 aprile. L’incidente si è verificato davanti agli occhi degli amici, che hanno tentato invano di salvargli la vita. “Diego ha iniziato ad avere delle difficoltà, trascinandomi verso il fondo. Ho dovuto lasciarlo andare per salvarmi e poi nuotare fino al bordo della diga, dove ho chiesto aiuto”, ha detto alla stampa locale il suo amico Carlos.

    I soccorritori sono intervenuti senza successo e hanno potuto soltanto accertare la morte del giovane, il cui corpo è stato recuperato in acqua 30 minuti dopo l’incidente. Le autorità hanno aperto un indagine per chiarire meglio la dinamica del decesso di Diego.

    “Buonasera a tutti voi che eravate fan di Diego, che siete fan di Diego. Oggi abbiamo ricevuto la triste notizia, Diego si è tuffato nel fiume e non è più risalito a galla. Dopo qualche ora è stato ritrovato il corpo. Mio fratello è morto, ho il suo cellulare e sto controllando io il suo profilo social”, ha annunciato sui social il fratello della vittima.

    Nato a Paulínia, nella regione metropolitana di Campinas, Mc Dieguin Md aveva 275mila follower su Kwai, oltre a più di 230mila iscritti sul proprio canale YouTube. Ha lavorato anche come cantante e cantautore e ha anche pubblicato tre canzoni su piattaforme digitali.

  • Follia e follia

    La politica, i media, come un poi noi tutti, parlano spesso di sanità: attese infinite, carenza di personale, nuove scoperte scientifiche, allungamento delle aspettative di vita, necessità di cure differenziate a seconda del sesso, prevenzione anche attraverso più sani stili di vita. Molte promesse e qualche risultato.

    Intanto cresce, ogni giorno di più, la disperazione delle tante famiglie lasciate senza aiuto e che devono gestire un parente, spesso un figlio, con gravi problemi psichici, famiglie che si confrontano quotidianamente con la violenza e l’impossibilità di trovare soluzioni.

    Leggi inadeguate o mai attuate non danno possibilità di assistenza mentre sappiamo tutti che non basta prescrivere qualche farmaco per guarire o tenere sotto controllo persone che, non per loro colpa, non possono controllarsi.

    Nel 1978 la legge 110, detta anche legge Basaglia, chiuse i manicomi, i terribili ghetti dove molte persone restarono per tutta la vita ma, come purtroppo spesso avviene, non si tenne conto che contestualmente, anzi prima dell’entrata in vigore della legge, avrebbero dovuto essere create strutture, emanate norme che impedissero che questi malati fossero di fatto abbandonati, con le loro famiglie, ad un vero e proprio calvario.

    Oggi si parla, dopo i guasti veri e presunti che il covid ha fatto sulle menti di tanti, specie dei più giovani, di un obolo per lo psicologo, di psicologi nelle scuole, ma non si parla dei gravi danni che l’uso smodato, e scorretto, della Rete, che non ha regole, fa quotidianamente né si affrontano i terribili problemi che le famiglie, spesso composte da genitori anziani, devono affrontare con un malato psichico in casa.

    La malattia non può essere azzerata, guarita, eliminata dalla legge ed una legge quando non è in grado di valutare a monte le conseguenze che comporta la sua applicazione è anch’essa una legge malata ed è malato di incomprensione ed indifferenza tutto quel mondo politico, di ogni colore, che dal 1978 ad oggi non ha saputo trovare, dare, al territorio risposte celeri ed adeguate.

    Nel frattempo abbiamo assistito a vere e proprie tragedie annunciate, delitti che avrebbero potuti essere impediti, perché oltre a non esserci servizi e strutture per aiutare i malati psichici e le loro famiglie non c’è neppure prevenzione. Ad ogni tragedia, ad ogni morte, dolore e stupore, sgomento e poi silenzio.

    Ci sono vari tipi di follia, in alcuni casi l’assistenza e la medicina, il controllo e la comprensione, la libertà e la vigilanza possono fare molto per le famiglie e per il malato psichico, in altri casi, come per quello della follia politica che non fa comprendere i reali bisogni di una parte della popolazione, comincio a temere non vi sia alcuna cura.

  • La Commissione richiede informazioni sui rischi dell’IA generativa a sei piattaforme e due motori di ricerca online

    La Commissione ha formalmente inviato a Bing e Google Search (motori di ricerca online di dimensioni molto grandi), e a Facebook, Instagram, Snapchat, TikTok, X e YouTube (piattaforme online di dimensioni molto grandi) richieste di informazioni riguardo alle loro misure di mitigazione dei rischi relativi all’IA generativa, tra cui la diffusione virale di deepfake, le cosiddette “allucinazioni” in cui l’IA fornisce informazioni false e la manipolazione automatizzata di servizi che possono fuorviare gli elettori.

    La Commissione richiede inoltre informazioni e documenti interni sulla valutazione dei rischi e sulle misure di mitigazione relative all’impatto dell’IA generativa su processi elettorali, diffusione di contenuti illegali, tutela dei diritti fondamentali, violenza di genere, tutela dei minori, benessere mentale, protezione dei dati personali, protezione dei consumatori e proprietà intellettuale. Tali questioni riguardano sia la diffusione sia la creazione di contenuti di IA generativa.

    Le aziende interessate sono tenute a fornire alla Commissione le informazioni richieste entro il 5 aprile 2024 per le questioni legate alla protezione delle elezioni ed entro il 26 aprile 2024 per le questioni rimanenti.

  • Non c’è libertà quando non ci si può difendere

    Il suicidio del signor Alberto Re,  persona di 78 anni che nella vita aveva avuto equilibrio e successi,avvenuto  dopo essere stato aggredito via social dimostra, se ancora ce n’era bisogno, come non soltanto i più giovani possano avere la vita sconvolta, fino ad arrivare ad atti estremi, dalla violenza di chi usa la tastiera solo per fare del male e sopperire così alle proprie frustrazioni ed incompletezze.

    L’abbiamo detto, lo ripetiamo e lo ripeteremo: internet senza regole e senza gli strumenti per decodificare i messaggi diventa, da strumento utile e spesso necessario, il grimaldello per entrare nelle vite degli altri, per fare del male, per contrabbandare falsità come verità, per insegnare la crudeltà.

    Inutile manifestare contro la violenza alle donne, e sarebbe anche ora di manifestare contro la violenza tout court, se non affrontiamo come trovare il modo per impedire che messaggi sbagliati,esempi negativi, pericolosi, immagini violente e sanguinarie, giochi di morte passino continuamente sulla rete avvelenando la vita di troppe persone,specie adolescenti.

    Massimo Gramellini scrive “ci vorrebbe un giubbotto antisocial“, io sommessamente mi chiedo come sia possibile che tutti si sentano vivi solo se sono presenti  sui social esponendosi così, inutilmente, alle parole di rabbia e di odio che ormai imperversano,mettendo in piazza sentimenti, paure, incertezze, comunque visioni della propria intimità che in ogni momento possono diventare un boomerang

    Mi chiedo come non ci si renda conto che la violenza sta montando sempre di più mentre, in nome della libertà, è proprio la libertà ad essere offesa.

    Non può esistere la libertà di fare del male agli altri, non c’è libertà quando non hai possibilità di difesa.

  • La trappola del sesso online

    Si chiama gaslighting uno dei fenomeni perversi che possono avere luogo sulla rete e in particolare sui social. Si tratta della manipolazione psicologica che un individuo esercita su un altro, mettendo in discussione la sua vita, il suo vissuto, facendo dubitare la persona della sua stessa memoria, intelligenza. La continua esposizione di sé, la biografia costante che molti postano sui social, può infatti dar luogo a reazioni critiche, se non  di aperta derisione, che possono minacciare i soggetti più deboli, che cercano conferma e approvazione sui social e ricevono invece reazioni di segno avverso.

    Accanto a questo, c’è il problema, ormai classico, della pornografia vera e propria. Psicologi e psichiatri  mettono in allarme rispetto al fatto che la possibilità dell’adolescente, o addirittura del bambino, di attingere a immagini e video pornografici senza difficoltà alcuna stia modificando il rapporto delle nuove generazioni con il sesso.  Avere come paradigma la pornografia – avvisano gli esperti – ha portato i giovani a due forme di relazione antitetiche col sesso. Una percentuale importante dei ragazzi lo vive il sesso in modo inattivo, perché temono di non riuscire a competere con quello che vedono sullo schermo. Altri, all’estero opposto, trovano nella pornografia un modello aspirazionale e non esitano quindi ad assumere sostanze come il Viagra per sentirsi più performanti. La pornografia peraltro ha fatto perdere il senso di gravità di uno strupro, anche di gruppo, posto che immagini di sesso di gruppo sono ricorrenti nei film hard core (dove però tali pratiche sono svolte di norma da adulti tutti consenzienti).

    Ci sono poi il revenge porn e la pornografia a scopo estorsivo. La normalità con cui si è ormai sommersi da immagini di sesso e nudità spinge molti a filmare i propri momenti di intimità. Un diletto privato pienamente lecito finché resta tale ed è svolto col consenso di tutti i partecipanti (due o più che siano), ma che non è più lecito quando quelle immagini vengono diffuse fuori dalla cerchia dei diritti interessati. Accade, di norma, quando in una coppia o in gruppo qualcuno vuole vendicarsi di qualcun altro, tipicamente dopo la rottura di una coppia. Da tempo, peraltro, la diffusione di simili immagini può essere anche solo minacciata, con la richiesta (estorsiva) di pagare del denaro per evitare la messa in rete di tali immagini. Non è una novità, eppure accade ancora, che sui social vi siano tentativi di adescamento, inviti a spogliarsi, toccarsi e masturbarsi. Le immagini registrate di chi cade in questi adescamenti, che accadono ancora nonostante il fenomeno sia ormai notorio, vengono poi utilizzate per estorcere denaro a chi è caduto nell’adescamento (in realtà si può fare denuncia alla polizia postale, il pudore che impedisce a molti di fare denuncia consente solo a chi opera il ricatto di continuare a chiedere denaro sotto minaccia di diffondere le immagini).

    La rete offre infine nuove opportunità alla prostituzione. Il sesso mercenario online è più difficile da stroncare di quello per strada, perché non consente di multare chi accosta lungo la strada, e rende sicuramente più difficile scoprire se si sia in presenza di sfruttamento di persone obbligate a offrire il proprio corpo a pagamento. Ma l’aspetto più drammatico è che la facilità di accesso alla rete da ogni luogo consente anche a minorenni di offrirsi a sconosciuti. E’ successo, è finito sui giornali, ma ad oggi non è stata individuata soluzione per scongiurare tale eventualità.

  • Il cervello non tiene il ritmo del digitale e chi è iperconnesso finisce sotto stress

    «Siamo così assuefatti all’iperstimolazione che gli intervalli tra uno stimolo e l’altro li avvertiamo come spazi vuoti. Invece sono i momenti in cui le informazioni si consolidano. Se non diamo al nostro cervello il tempo di compiere il processo, tutto quel che ci resta è un flusso di informazioni comprese solo superficialmente». E’ l’avvertimento che Maryanne Wolf, neuroscienziata umanista, lancia nell’ultimo dei suoi saggi, Lettore, vieni a casa, dedicati al funzionamento del cervello che legge.

    «La conoscenza – ha spiegato in un’intervista a Sette – avviene in tre fasi: ogni dato deve essere vagliato, elaborato, e se è abbastanza importante si trasforma in conoscenza, cioè entra a far parte di una raccolta di informazioni acquisite che aiutano a pensare più profondamente. Questo processo in tre fasi ha subito un cortocircuito che ha cambiato la natura dell’attenzione, soprattutto nei bambini: se il cervello non ha tempo sufficiente per passare dalla percezione e dalla comprensione superficiale alla memoria e al consolidamento, non possiamo più analizzare le informazioni per verificarne la verità, o la bellezza: perdiamo l’una e l’altra. La continua ricerca di stimoli non concede spazio alla contemplazione prolungata. Ma l’immaginazione ha bisogno di tempo».

    Sulla stessa lunghezza d’onda, anche lo psichiatra brasiliano Augusto Cury sostiene da tempo che esiste una sindrome da pensiero accelerato strettamente legate all’impiego delle tecnologie digitali. La moltitudine di informazioni che il digitale consente di avere o a cui ci sottopone incide negativamente sulla concentrazione e causa deficit di memoria, a suo dire, provocando un’enorme e sterile velocità di pensieri, la maggior parte inutili. Cury ha diagnosticato anche sintomi della sindrome da lui individuata mancanza di sonno, difficoltà ad addormentarsi, svegliarsi stanchi, avere nodi in gola, disturbi intestinali e persino aumento della pressione sanguigna; eventuali mal di testa o dolori muscolari possono indicare che il cervello è esausto da troppi pensieri e preoccupazioni. Come terapia, Cury propone di parlare ed interagire con le persone, amare la natura e i suoi sapori e ogni tanto, spegnere i dispositivi elettronici come smartphone, tablet e pc.

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