riforme

  • PNRR ed il “nonsense” delle riforme

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Una riforma viene indicata come un “qualsiasi provvedimento che sostenga o realizzi il rinnovamento più o meno profondo di una condizione o situazione esistente per adeguarle a nuove e diverse esigenze”.

    In questa breve definizione emerge evidente come la funzione di una riforma dovrebbe essere quella di rispondere a “nuove e diverse esigenze” le quali ovviamente dovrebbero, per una semplice consecutio logica, nascere dalla comprensione di un sentiment dei cittadini amministrati.

    Gli stessi tentativi di riforma verso una maggiore autonomia delle regioni partono da un logico presupposto, individuabile nella possibilità di rendere possibile, proprio attraverso la riforma, offrire un miglior servizio ai cittadini in virtù di una maggiore autonomia amministrativa.

    Viceversa, una delle condizioni fondamentali introdotta come clausola finalizzata all’ottenimento delle diverse tranche del PNRR era rappresentata dal l’imposizione ed introduzioni di nuove “riforme” da applicare in diversi campi di interesse istituzionale ed amministrativo.

    Il governo Draghi infatti, ha varato la cosiddetta riforma della Giustizia Cartabia la quale di fatto ha tolto la procedibilità d’ufficio per i reati fino a 5 anni la cui istruzione può avvenire solo con presentazione di querela di parte. In questo modo si è annullato un principio fondamentale il cui obiettivo fondamentale era quello di tutelare le vittime di reati cosiddetti minori.

    Contemporaneamente lo stesso governo Draghi ha accettato la sospensione del mercato tutelato dell’energia il quale esercita una importante funzione fornendo una minima tutela a famiglie e piccole imprese, specialmente in un periodo di forte fluttuazione dei costi energetici dopo l’impennata post pandemica.

    Emerge evidente come nello storytelling istituzionale legato alla disponibilità dei fondi PNR il termine “riforme” sia stato impropriamente utilizzato, in quanto, come dice la stessa definizione, non sono state pensate ed introdotte per rispondere alle diverse e nuove esigenze dei cittadini.

    Piuttosto, invece, di riforme siamo di fronte a delle vere e proprie clausole vessatorie, le quali evidenziano  la volontà europea di ridurre progressivamente il potere e la forza del nostro paese anche attraverso una continua azione di impoverimento complessivo.

    Solo così è possibile spiegare l’alleanza tra Unione Europea e governi italiani, facendo ricadere i nuovi costi strutturali sulla cittadinanza alla quale vengono tolti progressivamente tutele sia in campo giuridico che energetico.

  • Le riforme istituzionali: dalla funzione di governo a quella del comando

    E’assolutamente riduttivo credere che la situazione di estrema difficoltà delle famiglie italiane (*) sia legata solo ed esclusivamente ai terribili effetti della pandemia e dalle due guerre in corso.

    Se il 63% dei nuclei familiari del nostro Paese presentano difficoltà ad arrivare alla fine del mese, rispetto al 43% della media europea, emerge evidente come le responsabilità si dimostrino molto più diffuse e soprattutto individuabili all’interno di un maggiore arco temporale sia sotto il profilo delle responsabilità governative che legislative.

    In questo difficilissimo contesto economico e sociale che  si protrae sostanzialmente dal novembre 2011, nel nostro Paese da oltre trent’anni si parla di riforme istituzionali.

    Da più parti si ipotizza un possibile superamento del bicameralismo perfetto, come della elezione diretta del Presidente del Consiglio o del Presidente della Repubblica. Riforme che vengono indicate come la soluzione delle problematiche nazionali politiche e, di conseguenza, sociali ed economiche.

    Tutte queste riforme presentate da tutti i più  diversi gruppi politici risultano espressione di una visione assolutamente parziale e magari anche interessata al proprio interesse piuttosto che finalizzata a  fornire nuovi strumenti democratici agli elettori.

    Si pensi, per esempio, come queste “riforme” lascino sostanzialmente inalterate le prerogative del Parlamento il quale, di fatto, vede ridotta la propria funzione di fronte ad un asset istituzionale che veda un premier eletto direttamente e quindi un accentramento della funzione governativa. Salvo poi, eventualmente, attribuire un premio di maggioranza che assicurerebbe una stabilità politica ma al tempo stesso diminuirebbe la rappresentanza democratica e la stessa alternativa democratica.

    In altre parole, qualsiasi banale riforma istituzionale presentata sino ad oggi non tiene in alcun conto il doveroso mantenimento dell’ equilibrio istituzionale tra i poteri dello Stato il quale rappresentava uno degli obiettivi della carta costituzionale e dei Padri costituenti, ma tende a favorirne uno rispetto ad un altro.

    Esattamente come l’ultima attuale riforma anticipata dal governo in carica con l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, la quale rappresenta una visione parziale e molto probabilmente interessata di una classe politica la quale cerca  di porre le condizioni per ottenere un comando completo del Paese e contemporaneamente assicurarsi il mantenimento al potere.

    In un momento storico di estrema difficoltà del nostro Paese per la situazione internazionale e la stessa sostenibilità del debito pubblico, i cui titoli vengono considerati meno affidabili di quelli della Grecia, l’Italia non presenta una immediata necessità di una riforma istituzionale quanto di una diversa classe politica responsabile e quindi di una modalità elettorale che assicuri la possibilità di scelta degli elettori.

    Come nel gioco delle tre carte, infatti, ogni riforma che tenda a spostare semplicemente i poteri lasciando invariati assolutamente il gestore e la sua selezione non potrà mai rappresentare un miglioramento per il paese, in quanto tutte le forze politiche traggono vantaggi da un sistema elettorale bloccato che invece meriterebbe una riforma immediata.

    Del resto, sarebbe anche infantile pensare ad una capacità di autoriforma da parte di chi ha determinato questi disastri economici e sociali senza precedenti dal dopoguerra ad oggi.

    Quest’ennesima proposta di riforma istituzionale rappresenta, quindi, ancora una volta, la ricerca di un alibi istituzionale per azzerare le proprie responsabilità relative alla situazione dell’intera classe politica italiana e contemporaneamente assicurarsi una ulteriore legittimazione.

    A  questo evidente processo di accertamento di potere nel nostro Paese ne corrisponde uno analogo all’interno dell’Unione Europea. Anche in questa istituzione, infatti, attraverso  l’abolizione del principio di unanimità sostituito da quello di maggioranza, si  permetterebbe di  passare dalla legittima funzione di governare  a quella più ambita  di  comandare.

    Il medesimo obiettivo da conseguire in Italia attraverso le “riforme istituzionali”.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/politica/italia-sempre-piu-povera/

  • In attesa di Giustizia: Giustizia, ma quale giustizia? Ma mi faccia il piacere!

    Governo balneare, non è la prima volta, ed una campagna elettorale contratta,  volta a screditare gli avversari più che ad illustrare programmi che dovrebbero orientare la scelta degli elettori e, soprattutto, stimolarli a recarsi alle urne; lo scenario non è confortante, in particolare per uno dei settori cruciali – ma anche più disastrati – della Pubblica Amministrazione del quale sembra che ci si sia quasi completamente dimenticati: la giustizia.

    Nessuno ne parla, probabilmente perché, come si è sostenuto altre volte in questa rubrica, la giustizia non genera consenso (fondamentale più che mai in vista di una tornata elettorale), diversamente dalla sicurezza con la quale – spesso – viene confusa.

    Non per nulla, una delle primissime iniziative della declinante legislatura è stata quella sulla modifica della disciplina sulla legittima difesa che a questa confusione si presta benissimo: il prodotto finale è stato una normativa pasticciata e non priva di profili di dubbia costituzionalità come il Presidente Mattarella non ha mancato di rimarcare in una insolita lettera di accompagnamento alla promulgazione della legge.

    Viene da chiedersi, allora, perché il Garante della Costituzione l’abbia firmata, non certo il motivo per cui la raccomandazione di rivedere alcuni punti sia rimasta inascoltata: perché è caduta nel vuoto in senso stretto, quel vuoto torricelliano di cognizioni (alcune basilari) che caratterizzava una consorteria di analfabeti di ritorno del diritto capeggiata dall’esilarante clown trapanese che risponde al nome di Fofò Bonafede.

    La materia rimane oscura come dimostra il caso recente dell’ambulante nigeriano aggredito ed ucciso senza motivo in pieno giorno a Civitanova Marche: i presenti che avrebbero ben potuto e dovuto intervenire hanno di gran lunga preferito filmare la scena con i telefonini e condividerne l’orrore su whatsapp.

    Ma, tant’è: a prescindere dall’irrisorio quoziente di senso civico in generale, la propaganda ha sicuramente prodotto ben altre riflessioni sul significato di difesa legittima nei non addetti ai lavori.

    A caccia di fondi del PNRR, nel frattempo, si è in qualche modo posto mano a riforme del processo sia penale che civile: in parte opinabili dovendosi – ahimè –  tenere conto del voto in aula della compagnia di giro del cabarettista genovese;  innovazioni, peraltro, apprezzate (ma non del tutto…) anche a Bruxelles e allora della giustizia ce ne si può serenamente dimenticare…o, forse, no perchè molto resta da fare.

    Vi è – innanzitutto – la condizione critica in cui versano gli uffici giudiziari a causa della scarsità di risorse umane: trascurando per un momento il tema dell’organico dei magistrati (che risultano difficili da reclutare anche per carenza di nozioni fondamentali della lingua italiana dei candidati, come dimostrato in un recente concorso), quello dell’indispensabile personale amministrativo non è da meno

    E’ storia attuale quella del Tribunale di Monza – il sesto d’Italia per bacino di utenza, quantità e qualità degli affari trattati – che ha visto avvocati e magistrati protagonisti di una agitazione congiunta causata della inefficienza degli uffici per mancanza di cancellieri e segretari.

    Medesima sorte sta avendo la Procura della Repubblica di Piacenza, il cui Capo ha dovuto emanare una circolare con cui prende atto che l’Ufficio è al collasso ed alcuni servizi sono stati, di necessità virtù, sospesi: basti dire che – senza che al momento sia prevista alcuna sostituzione – dodici addetti su trenta sono andati in pensione nel mese di maggio ed a breve toccherà ad altri tre.

    L’elenco potrebbe continuare ma limitiamoci a questi due casi emblematici, a restare in attesa di giustizia, a sperare almeno che qualcuno si ricordi por mano al settore con l’intensità e la competenza necessarie. Possibilmente, non solo in campagna elettorale ma anche dopo.

  • Draghi e l’urgenza di riforme necessarie per il Paese

    L’incarico a Draghi, che in molti da tempo speravamo, può finalmente aprire il percorso di rifondazione del quale l’Italia ha urgenza, rifondazione del sistema democratico, che in questi anni è stato più volte appannato, rifondazione dell’assetto istituzionale e rifondazione del concetto di politica e del peso della finanza sull’economia reale. Oltre alle emergenze sanitarie, dal diffondersi del covid alla campagna vaccinale, che non ha bisogno di padiglioni fatti a primula, alla crisi occupazionale e psicologica di tanti, abbiamo necessità di riformare il rapporto Stato, Regioni, territorio, partendo dalla sanità e dalla prevenzione, di sconfiggere il morbo che si è impadronito di parte della magistratura togliendo, in troppi casi, le aspettative di libertà e giustizia, di far ritornare i partiti alla loro corretta funzione di raccordo tra le istituzioni ed i cittadini partendo dalla necessità che gli stessi abbiano democrazia interna controllata e bilanci verificati dalla Corte dei Conti. Occorrono leggi elettorali che riconsegnino agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti ridando centralità al parlamento, bisogna riformare in modo chiaro ed equo il sistema fiscale e ricreare solidarietà tra tutte le componenti della società, dai più giovani ai più anziani. Il sistema bancario deve vedere eliminate le sperequazioni ed i gravi problemi creati dalla mancanza di diversificazione tra banche di risparmio e di investimento e l’economia verde, diventata un’urgenza improrogabile, deve trovare misure adeguate nei rapporti con il commercio internazionale. Né può essere trascurata la necessità, da affrontare con il resto del mondo, di una strada più corretta per l’utilizzo delle risorse informatiche. Draghi ha di fronte un impegno difficile non solo per i tanti problemi da affrontare nel breve tempo ma specialmente perché in Italia da troppo tempo si sono incancrenite situazioni di potere ed interesse che contrastano con le necessità del Paese ma vogliamo sperare che il coraggio, la pazienza e la determinazione che lo hanno guidato nel passato siano di esempio e di sprone ai molti che, a parole, sostengono di volere il bene degli italiani.

  • Le riforme funzionali per uno stato democratico

    La storia insegna come risulti molto difficile per un sistema complesso come il nostro stato burocratico riuscire ad autoriformarsi verso una maggiore efficienza. Un sistema per sua stessa definizione rappresenta un insieme di soggetti i quali allestiscono un quadro normativo che possa rappresentare una base comune con il principale obiettivo di tutelare gli interessi dei singoli aderenti quanto nella  loro declinazione  comune. Tuttavia le priorità indicate nei tentativi di riforma degli ultimi anni, fallite la prima  con l’esito del referendum costituzionale del dicembre 2016 o la seconda, sempre più evanescente come l’autonomia del Veneto ( 92% di consensi), dimostrano come il sistema italiano sostanzialmente dimostri ancora una volta la propria impermeabilità ai cambiamenti e confermi la minima capacità di autoriformarsi.

    In più gli argomenti da sempre oggetto di tali modifiche istituzionali sono sicuramente molto importanti ma all’interno di un contesto economico espressione del mercato globale anche il loro eventuale successo avrebbe procurato degli effetti minimi nell’ottica di rendere il nostro paese più attrattivo per  gli investimenti esteri.

    La stessa azione degli ultimi  governi dimostra esattamente questa  miopia politica. Il governo Renzi nel 2015 partorì l’Investment Compact il quale aveva tra le proprie caratteristiche l’introduzione della

    non-retroattività fiscale (che diventa quindi un fattore attrattivo) per gli investimenti ma solo se superiori ai 500 milioni. Un classico esempio della errata  percezione di un fattore fondamentale in quanto la non retroattività fiscale rappresenta un parametro fondamentale per quanto riguarda l’analisi ma soprattutto il Roe (Return of investment) di investimenti in un determinato paese.

    La soglia dei 500 milioni automaticamente escludeva tutti i finanziamenti  relativi alle PMI che necessitano di supporti finanziari  inferiori e contemporaneamente rappresentano il 95% del tessuto produttivo italiano.

    Pochi giorni fa, ed arriviamo ad un secondo esempio, la sezione unita della Cassazione ha stabilito che lo Stato per i buoni fruttiferi postali possa retroattivamente modificare i tassi di interesse praticati anche senza avvertire il risparmiatore. Di fatto i vecchi buoni risultano decaduti e soggetti alla nuova normativa in tema di maturazione  degli interessi.

    Due esempi  così lampanti da dimostrare come il parametro da modificare immediatamente risulti  proprio il principio della retroattività fiscale (utilizzato anche dal governo Prodi con ministro Visco) che rappresenta un controsenso nel diritto e che non valuta il nuovo contesto competitivo nel quale l’economia italiana si trova. I limiti di un sistema della propria capacità di autoriformarsi partono dalla incapacità di percepire quali siano i problemi fondamentali all’interno di un contesto internazionale.

    L’attrattività per quanto concerne gli investimenti (primo aspetto) ed il rapporto fiduciario tra risparmiatore e le diverse forme di investimento e del credito (secondo aspetto), già fortemente incrinato dalla vicenda delle banche Venete, dimostra ancora una volta come il principio della non-retroattività fiscale debba essere inserito assolutamente all’interno delle modifiche costituzionali con il fine di ridurre per una volta la lontananza tra il mercato reale, i cittadini ed il mondo economico – istituzionale.

    La retroattività fiscale modifica, inoltre, radicalmente la funzione stessa dello Stato il quale in virtù di questo principio non risulta più un sistema articolato che tutela interesse di investitori, risparmiatori e cittadini ma una vera e propria entità superiore che opera e legifera a proprio favore. La sentenza delle sezione unite della Cassazione per quanto riguarda i buoni fruttiferi dimostra come da sistema normativo che rappresenta una base normativa comune per diversi soggetti si sia direttamente  passati alla prevalenza degli interessi dello Stato che opera per proprio esclusivo interesse. Non è sicuramente questa la declinazione di uno stato democratico.

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