risparmio

  • Cresce la domanda della legna da ardere e i prezzi vanno alle stelle

    È diventato un bene rifugio, un po’ come l’oro quando i mercati finanziari fanno le bizze: gli investitori cercano riparo nel metallo prezioso, facendo schizzare la valutazione verso l’alto. Ed è quanto sta accadendo con la legna da ardere, il cui prezzo al dettaglio, con la crisi del gas provocata dal conflitto tra Russia e Ucraina, è schizzato, in alcuni casi raddoppiando rispetto allo scorso anno. Un esempio: se a Trento nel 2021 un bancale di legna da ardere (circa 7-8 quintali di faggio o rovere) costava tra i 150 e i 170 euro, quest’anno difficilmente lo si trova per meno di 300 euro dai rivenditori trentini.

    Una situazione del tutto analoga è stata registrata per il pellet, il cui prezzo per i sacchi da 15 chili, solitamente assestato tra i 5 e i 6 euro, quest’anno ha avuto un aumento che talvolta sfiora il 100%. Un problema che va a toccare non solo l’arco alpino, dove il riscaldamento a biomassa è diffusissimo, ma molte regioni d’Italia, da nord a sud.

    Ma cos’è successo? Sono molteplici le cause. Dopo lo scoppio del conflitto lo scorso inverno e l’aumento del prezzo del gas, moltissimi italiani si sono buttati sulle cosiddette biomasse, ritenendole esenti dal rischio di uno stop improvviso: “Uno le tiene sotto casa e sa che sono sempre a disposizione”, osserva Valentino Gottardi, del Servizio foreste della Provincia autonoma di Trento. Proprio il Servizio foreste, che monitora le aste per i lotti boschivi, ha registrato un aumento dei prezzi rispetto allo scorso anno che va dal 20 al 50%, una forbice che si giustifica dalla difficoltà o meno di operare il taglio nell’area assegnata. Questo dato – spiega Gottardi – ci dice che c’è un grande interesse da parte delle aziende a reperire legna da ardere. La corsa all’acquisto genera un aumento dei prezzi alla base che poi si riversa sul consumatore finale, anche a causa dell’incremento dei costi dell’energia per la trasformazione del legname.

    Ad appesantire il quadro italiano – spiega Annalisa Paniz, direttrice dell’Associazione italiana energie agriforestali – il blocco delle importazioni da Russia, Bielorussia e Ucraina e la riduzione dai paesi dell’est (come la Romania) che temono interruzioni sulle forniture del gas. Insomma, chi la legna ce l’ha, se la tiene a casa. L’Aiel già lo scorso inverno, dopo il 24 febbraio, data di inizio del conflitto, ha registrato un forte aumento dell’interesse degli italiani per le biomasse, con un incremento degli acquisti di stufe a legna o pellet che si aggira sul 20%.

    Il quadro dei prezzi – secondo Aiel – potrebbe migliorare in un prossimo futuro “grazie” al bostrico, che si è diffuso a dismisura dopo la tempesta Vaia e che oggi sta minacciando il patrimonio boschivo: la necessità di tagliare gli alberi colpiti dal coleottero potrebbe portare ad un aumento del materiale legnoso sul mercato e quindi ad un effetto calmiere. Un po’ com’era successo proprio dopo la tempesta Vaia, che aveva avuto tra le conseguenze l’immissione sul mercato di una quantità enorme di legna, corrispondente ad un crollo dei prezzi.

    Ci si chiede a questo punto cosa potrebbe accadere se la crisi del gas dovesse prolungarsi anche nei prossimi anni. Secondo Annalisa Paniz servirebbe una diversa politica, più efficiente, nella gestione del patrimonio boschivo in Italia: “Per essere meno dipendente dalle importazioni – afferma Annalisa Paniz direttrice generale di Aiel – l’Italia avrebbe dovuto investire maggiormente nell’industria addetta alla lavorazione del legno, realizzando più segherie e strutture per la raccolta e la lavorazione. La difficoltà nel reperire lotti disponibili in Italia per la produzione di legna da ardere impedisce alle aziende di supplire alla mancanza del materiale fino a poco tempo fa di provenienza estera”.

  • Bruxelles rimane scettica sull’idea di un prezzo amministrato per il gas

    La proposta di fissare un tetto al prezzo del gas potrebbe rompere il mercato unico. Il dubbio, difficile da dissipare, frena Bruxelles dal concedere a Spagna e Portogallo il via libera a procedere con la loro ‘eccezione iberica’ di limitare il prezzo del gas in via temporanea e straordinaria. Tenendo con il fiato sospeso anche l’Italia che vorrebbe procedere sulla strada aperta da Madrid e Lisbona per intervenire contro il caro-energia acutizzato dalla guerra in Ucraina. E, nel frattempo, ha chiuso l’intesa sul gas con l’Algeria e procede a grande velocità per ridurre la dipendenza dalla Russia.

    Ferma ormai da due settimane sul tavolo dei tecnici della Commissione europea, la richiesta dei due premier Pedro Sanchez e Antonio Costa – vinte al tavolo del vertice europeo di fine marzo le resistenze politiche dei Paesi che difendono il libero mercato capeggiati dall’Olanda – si deve confrontare con le perplessità dell’esecutivo comunitario. Che non nega la legittimità dell’istanza e l’eccezionalità della condizione dei due Paesi mediterranei, ma vorrebbe più chiarezza sulle modalità di finanziamento. E si chiede se il meccanismo non apra un precedente pericoloso per il mercato unico. Se regolare il prezzo del gas nella sola Penisola iberica poco connessa con il resto dell’Ue, è il ragionamento, potrebbe già comportare ricadute sulla vicina Francia, che cosa succederebbe se a richiederlo fosse un Paese più interconnesso? Una questione su cui Bruxelles sta cercando di ragionare, stretta tra la sacralità della libera concorrenza, i costi da sostenere per la transizione climatica e la situazione di massima tensione con la Russia. L’urgenza dei rincari sempre più pesanti per le bollette di imprese e cittadini fa comunque aumentare il pressing anche da parte dell’Italia che, per bocca della vice ministra agli Affari esteri, Marina Sereni, dal Lussemburgo è tornata a spingere per un impegno dell’Europa su “misure regolatorie immediate anche temporanee”. Vale a dire il tetto temporaneo al prezzo del gas all’ingrosso – che potrebbe aggirarsi intorno agli 80 euro per megawattora per almeno tre mesi – e la riforma, voluta a gran voce anche dalla Francia, per disaccoppiare il prezzo del gas e quello dell’energia.

    Le proposte dell’Ue dovrà in ogni caso arrivare entro la fine del mese, dopo un’attenta lettura del rapporto tecnico dell’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (Acer). Il dossier resta complesso e a frenare sono soprattutto la Germania e l’Olanda, che controlla il mercato internazionale Ttf. Quello che in gergo tecnico si chiama ‘decoupling’ per evitare il ‘contagio’ del caro-gas alle bollette dell’elettricità, potrebbe essere un ‘boomerang’ che, secondo L’Aja, potrebbe causare una distorsione della concorrenza e una riduzione degli investimenti nelle rinnovabili, facendo naufragare gli obiettivi climatici dell’Ue. Nel suo faccia a faccia con Mark Rutte, Mario Draghi ha cercato di fargli cambiare idea incassando un’apertura a studiare tutte le possibilità e a usare il ‘pragmatismo’. Il resto potrebbero farlo gli sviluppi sui prezzi provocati dalla guerra.

  • Impariamo a fare uso attento e consapevole dell’acqua

    Il 22 marzo è stata la Giornata mondiale dell’acqua mentre in tutto il mondo si aggravano i problemi dovuti alla sempre più forte siccità. La mancanza di piogge ha creato e crea sempre più difficoltà alle coltivazioni e sempre più vaste sono le aree nelle quali le popolazioni sono allo stremo per la carestia dovuta proprio alla mancanza d’acqua e all’impossibilità di coltivare. Il cambiamento climatico, il dissesto idrogeologico, il continuo attacco di alcuni Stati all’ecosistema con il taglio di intere foreste e le evidenti conseguenze sui venti e le precipitazioni fanno sempre più temere per la sopravvivenza in vaste aree del mondo, sopravvivenza degli esseri umani, degli animali, delle piante. Anche in Italia si sono abbassati in modo pericoloso i letti di molti fiumi e le falde.

    In attesa che i programmati interventi dei governi siano realizzati e si cominci ad invertire  la rotta dobbiamo anche noi, cittadini ed imprese, fare tutto quanto è possibile per realizzare un miglior utilizzo dell’acqua anche attraverso il risparmio ed un consumo più attento e consapevole. Coltivare con l’innaffiamento a goccia, non lasciare i rubinetti inutilmente aperti, organizzare raccolte d’acqua per quando piove per poterla poi utilizzare per innaffiare e per tutti gli usi per i quali  non è necessario che sia potabile dovrebbe essere un impegno di tutti.

    Quello che, proprio nell’occasione della Giornata mondiale dell’acqua, vogliamo ricordare al governo italiano e a tutte le forze politiche è che in Italia la rete idrica non solo è obsoleta ma disperde più del 30% dell’acqua che dovrebbe trasportare nelle nostre case creando ogni giorno un danno  irrecuperabile, infatti l’acqua dispersa nel terreno non torna nella falda ma evapora e sparisce. Per questo uno dei primi interventi, delle grandi opere, da realizzare, come abbiamo spesso scritto sulle pagine del Patto Sociale, è proprio il rifacimento della rete idrica nazionale. Ci auguriamo  che qualcuno cominci finalmente ad occuparsene.

  • Allarme della Consob sui risparmi delle famiglie in criptovalute

    Le famiglie italiane per i loro investimenti scelgono sempre di più il trading online e le criptoattività, costituite non solo dalle criptovalute come il bitcoin ma anche dai sistemi di negoziazione che utilizzano i protocolli automatici e gli smartcontract della blockchain. E’ un motivo di allarme per la Consob che fa sempre più fatica a tutelare il risparmio e ad assicurare le conoscenze necessarie su nuovi mercati per molti versi ancora poco conosciuti, in prima battuta proprio da coloro che ci puntano i propri risparmi.

    Dall’ultimo Rapporto della Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane emerge un aumentato interesse verso i mercati azionari, il trading online e i criptoasset: il 28% degli intervistati in una ricerca realizzata su 2.700 individui, rappresentativi della popolazione dei decisori finanziari italiani, usa servizi online più di quanto facesse prima della pandemia. Ma investe senza un piano di lungo periodo e utilizzando le risorse rimaste dopo le spese che con la crisi sanitaria tante famiglie fanno sempre più fatica ad affrontare. Circa il 27% del campione afferma di aver avuto un calo del reddito familiare, il 39% fatica a far fronte alle spese e il 28% non riesce perfino a gestire una spesa imprevista di 1.000 euro.

    D’altra parte oltre il 36% degli intervistati non sa come impiegare le proprie disponibilità. Anche se è in lieve miglioramento il livello di conoscenze finanziarie – nel 2021 gli indicatori di conoscenza sono aumentati di tre punti percentuali rispetto al 2019 – i nuovi investitori, quelli arrivati nell’ultimo biennio e che spesso scelgono i criptoassets, presentano più di frequente un livello di alfabetizzazione finanziaria e di competenze digitali inferiori rispetto a quelle degli investitori di più lunga data. Ma facili da raggiungere se si pensa che molte società di criptovalute hanno messo il loro logo, come mail sponsor delle grandi squadre di calcio, sulle maglie di tanti club della serie A. E’ il caso di floki.com per il Napoli, Binance per la Lazio, digitalbits per la Roma e Fan Token by socios.com per la Roma: marchi ormai noti a schiere di tifosi.

    “Con le asimmetrie di informazioni che si determinano sul mercato finanziario a seguito del mutamento delle politiche monetarie, sempre più invasive, e della diffusione delle criptovalute, il raggiungimento dell’obiettivo Consob diventa sempre più difficile e soprattutto il compito che con questo Rapporto e altre attività cerchiamo di affrontare praticamente è combattere l’ignoranza in materia finanziaria”, ha osservato il presidente della Consob Paolo Savona alla presentazione del Rapporto. “L’ipotesi che regge la nostra attività è che un buon funzionamento e migliori informazioni migliorino la performance del mercato e quindi lo sviluppo del Paese. E’ un assunto che noi consideriamo ancora valido ma che i risultati di questo Rapporto dicono che è debole come ipotesi se l’ignoranza è ancora forte”, ha spiegato il presidente dell’authority di vigilanza sui mercati. Del resto “Gli investitori rivolgono richieste di compensare le perdite quando si realizzano e riversano sulle autorità di controllo finanziario come la Consob l’onere della loro protezione”. Inoltre “una larga maggioranza di investitori considera la garanzia di rimborso la principale variabile che influenza le loro scelte. Anche qui mi riferiscono – ha sottolineato Savona – al mondo delle criptovalute: chi è che rimborsa le criptovalute, non si sa”.

  • La Ue lancia il caricatore unico per i dispositivi mobili

    Consumatori e ambiente ringraziano. Apple no. Più volte sul punto di essere varata negli ultimi anni, la proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea di un caricabatteria universale, adatto per tutti gli smartphone, tablet, fotocamere, cuffie, altoparlanti portatili e console per videogiochi, è arrivata. E come prevedibile non è andata giù a Cupertino, dove hanno fatto sapere di non gradire affatto lo standard unico delle porte di ricarica e di considerare la mossa come un potenziale ostacolo all’innovazione.

    Giunto in sala stampa a Bruxelles reduce da una missione di quattro giorni negli Stati Uniti, il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, ha cercato di evitare le polemiche. La proposta Ue “non è contro qualcuno, Apple o altri”, ha assicurato, sottolineando che si tratta invece di “un passo importante per aumentare la praticità e ridurre gli sprechi”. Sta di fatto che, se il disegno della Commissione sarà approvato da Parlamento Ue e Stati membri, dal 2024 tutti i dispositivi mobili saranno dotati di un’unica porta universale USB-C per permettere la carica con lo stesso cavo indipendentemente dalla marca del prodotto. Uno standard che si scontra con la politica Apple, da sempre proprietaria di una sua tecnologia di ricarica (prima Dock e ora Lightning), che sarebbe costretta ad allinearsi agli altri. Per la società guidata da Tim Cook, una regolamentazione “severa che imponga un solo tipo di connettore” potrebbe “soffocare l’innovazione anziché incoraggiarla”. Da qui l’intenzione di impegnarsi in negoziati con le istituzioni Ue per trovare “una soluzione”. Ma da Bruxelles hanno ribadito che l’industria ha avuto tutto il tempo necessario – circa un decennio – per trovare soluzioni e i protocolli tecnologici della porta di ricarica USB-C sono “già conosciuti”, quindi non dovrebbero creare grossi problemi a nessuno. Non solo: quello dell’innovazione – ha rincarato Breton – è un ritornello che si ripete ogni volta che l’Ue propone un cambiamento che colpisce le Big Tech.

    A guadagnarci sono allora consumatori e ambiente. Gli uni stanchi dei troppi cavi tra cui districarsi ogni giorno e l’altro affaticato dal doverli smaltire. Oltre alla porta comune, Bruxelles prevede l’armonizzazione dei software di ricarica rapida per garantire la stessa velocità di caricamento sui diversi dispositivi. E anche la possibilità di acquistare un nuovo prodotto senza comprare anche il cavo, così da poter utilizzarne uno vecchio. Scelta che Apple ha già introdotto da alcuni anni per i suoi clienti. Tutte misure che stando alle stime di palazzo Berlaymont porteranno ogni anno a un taglio di quasi 1.000 tonnellate di rifiuti elettronici e a un risparmio per i consumatori di 250 milioni di euro su acquisti di caricabatterie non necessari.

  • Nei primi tre mesi del 2021 gli italiani hanno affidato 30 miliardi ai gestori dei risparmi

    Vola la raccolta dell’industria del risparmio gestito che nel primo trimestre mette a segno sottoscrizioni nette per 30 miliardi di euro. Il doppio sull’intero 2020 che pur impattato dall’onda lunga del Covid, si era ugualmente chiuso con un dato positivo per 14,5 miliardi.

    La consueta mappa di Assogestioni mette anche in evidenza il nuovo record per il patrimonio gestito che ammonta a 2.469 miliardi, con le gestioni collettive che superano le gestioni di portafoglio. Le prime si attestano a 1.242 miliardi mentre le seconde a 1.226 miliardi.

    Nel dato trimestrale emergono in particolare i fondi aperti che raccolgono quasi 19 miliardi e registrano il loro miglior dato dall’ultimo trimestre del 2017. Ben 13 miliardi si riferiscono ai fondi di lungo termine azionari. Tra le gestioni di portafoglio, il cui dato di raccolta complessivo è positivo per circa 10 miliardi, le gestioni prodotti assicurativi fanno registrare flussi in entrata per 3 miliardi mentre le gestioni di portafoglio retail si posizionano a 2,5 miliardi. Tra i fondi aperti, i prodotti favoriti dai risparmiatori sono gli azionari (+13,1 miliardi), i bilanciati (+4,3 miliardi), gli obbligazionari (+2,8 miliardi) ed i monetari (+1,4 miliardi).

    La mappa trimestrale, infine, analizza per la prima volta l’universo dei fondi aperti in relazione alla Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) entrata in vigore lo scorso 10 marzo. Su un patrimonio promosso dei fondi aperti pari a complessivi 1.063 miliardi, 276 miliardi – il 25,9% del totale – considerano le variabili ambientali e sociali nella politica di investimento. Il 90% di tale patrimonio promuove caratteristiche ambientali e/o sociali e rientra nell’art.8, mentre il 10% ha specifici obiettivi di sostenibilità ed è classificabile come prodotto art. 9. I fondi aperti sostenibili sono complessivamente 1.205 e la loro raccolta ammonta nel primo trimestre a 18 miliardi.

    “Il peso crescente e già significativo degli investimenti sostenibili sul totale mostra come gli investitori italiani siano pronti a contribuire con i propri risparmi alla sfida della transizione ecologica”, sottolinea Manuela Mazzoleni, direttore Sostenibilità di Assogestioni. Numeri destinati ad aumentare, e velocemente, nel tempo se si considera che tra inizio anno e fine marzo la raccolta dei fondi aperti sostenibili in termini di patrimonio promosso è stata superiore ai 18 miliardi su un totale di 15,7 miliardi, permettendo, dunque, non solo una conclusione del trimestre in territorio positivo ma contribuendo in modo decisivo al dato di raccolta complessivo dell’industria.

  • Obiettivo: il risparmio privato

    La democrazia rappresenta un sistema che esprime e tutela determinati valori e principi all’interno dei quali i sistemi politici cercano di adattarvisi per raggiungere i propri obiettivi ed attuare l’agenda politica. Questi Valori democratici definiscono il perimetro all’interno del quale gli obiettivi programmatici delle diverse forze politiche devono rimanere nell’ arco temporale della evoluzione storica di un paese: ovviamente tanto più risultano radicati questi principi tantomeno possono venire messi in dubbio.

    Il nostro Paese viene considerato una democrazia ormai consolidata, grazie alla separazione dei poteri legislativo, giurisdizionale ed esecutivo. Un consolidamento democratico, ora forse anche politico, caratterizzato quindi anche da un buon livello di alternanza alla sua guida, dopo decenni di “una democrazia bloccata” legata agli effetti della contrapposizione tra il blocco occidentale e quello sovietico, a livello internazionale, i cui effetti si manifestavano nella impossibilità di inserire il PCI come una reale alternativa per la guida dell’Italia. Dopo la caduta del muro di Berlino i due schieramenti di centrodestra e centro-sinistra, entrambi espressione di partiti costituzionalmente democratici, si contendono la guida del Paese nella democratica competizione elettorale.

    In due occasioni, tuttavia, nel novembre del 2011 e nel febbraio del 2021, la politica ha alzato bandiera bianca lasciando la guida nostro Paese prima a Monti ed ora al prof. Draghi. La democrazia italiana al di là delle diverse rotte politiche sostanzialmente si è sempre basata sulla “divisione operativa” dei poteri, una vera e propria diarchia, all’interno della quale la politica gestisce la spesa pubblica mentre il sistema bancario il settore creditizio (26.11.2018 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/).

    Come logica conseguenza di questa “divisione” dei poteri la storia della politica italiana ci dimostra come mai nessun governo, anche se espressione dei più diversi accordi di coalizione politica, si sia rivelato in grado di ridurre la spesa pubblica. Anzi, nella sua articolata complessità l’intera classe governativa ha sempre inserito nuovi capitoli di spesa per raggiungere quegli obiettivi di consenso politico che in una democrazia permettono il raggiungimento oppure il mantenimento del potere.

    La pandemia da covid-19 ha così visto il nostro Paese presentarsi nel febbraio 2019 con un debito pubblico al 135% sul PIL mentre buona parte delle altre nazioni non raggiungevano il 100% e la Germania il 69%. Numeri che indicano la responsabilità di tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi 20 anni alla guida nostro Paese e che hanno portato ad un aumento del +85% della spesa pubblica. In questo contesto l’emergenza pandemica di fatto ha reso necessario il reperimento di nuovi fondi straordinari distruggendo così questo fragile equilibrio espressione di tale diarchia.

    L’assoluta insufficienza della disponibilità finanziaria dello Stato per far fronte alle emergenze economiche e finanziarie legate alle chiusure forzate delle attività economiche ha offerto l’occasione per avanzare da parte del sistema degli istituti di credito, appoggiato da buona parte della classe politica, ad individuare come ultima chance operativa strategica il risparmio privato. In questo senso va ricordato come l’ammontare totale raggiunto dal risparmio privato attualmente vada oltre i 10.000 miliardi di euro mentre le risorse liquide “giacenti” sui conti correnti risultino di circa 1.740 miliardi, pari sostanzialmente al valore annuale del PIL italiano.

    Con questi valori le strade che si aprono ad una classe politica e dirigente italiana in difficoltà nel reperire nuove risorse finanziarie ed avendo già aumentato dall’inizio della pandemia ad oggi il debito pubblico di 25 punti percentuali (135% al 160%/Pil mentre la Germania dal 69% al 75% sono sostanzialmente due: la prima rappresentata da una patrimoniale (1) ed una seconda più articolata.

    La patrimoniale venne imposta ai contribuenti italiani nel 1992 dal governo Amato sotto forma di prelievo forzoso del 6×1000 sui conti correnti per una crisi di liquidità. Come scelta strategica di finanza straordinaria presenta comunque un orizzonte di breve termine oltre a dovere presentare come contropartita una semplificazione e una riduzione della pressione fiscale (L. Einaudi).

    La seconda opzione, invece, torna a porre al centro dell’attenzione il risparmio privato in continua crescita. Questo fenomeno risulta evidente da oltre 10 anni e si manifesta con una espressione cristallina della insicurezza del contribuente italiano nei confronti degli esiti della gestione pubblica delle risorse, quindi come logica conseguenza della mancanza di fiducia della cittadinanza nei confronti della propria classe politica.

    Con la pandemia questo senso di insicurezza ha trovato nuove motivazioni. In questo contesto la classe politica e dirigente italiana, che rappresentano la principale causa di questa situazione di incertezza, intendono penalizzare gli effetti della propria inadeguatezza in perfetta sintonia con il sistema degli istituti di credito. L’idea individua nella penalizzazione delle “giacenze” di liquidità (superiori a 50.000 euro?) a causa dell’emergenza sanitaria ed economica e conseguentemente finalizzarla verso consumi ed investimenti (2).

    All’interno, invece, di un sistema democratico consumi ed investimenti devono rappresentare la libera scelta di un consumatore e di un risparmiatore ed entrambi possono venire influenzati da sgravi fiscali e non certo penalizzati attraverso penalizzazioni fiscali.

    Anche il solo pensiero progettuale di appropriarsi del risparmio privato rappresenta la limpida espressione di uno Stato che intende sacrificare i principi costitutivi della democrazia per la “banale” ricerca di nuova liquidità straordinaria.

    Le risorse economiche rappresentano, anche nella semplice forma di liquidità depositata presso gli istituti di credito, il frutto legittimo delle attività professionali e dei sacrifici dei contribuenti. Queste già vengono mantenute all’interno del sistema bancario con l’obiettivo di trasformarsi in credito al sistema produttivo e così favorire la crescita economica.

    La pandemia ha evidenziato come tali risorse anche se in forma di liquidità non risultino più sufficienti non tanto alla crescita economica ma quanto al finanziamento complessivo della stessa diarchia. Sostanzialmente questa seconda opzione risulta finalizzata al finanziamento, ancora una volta, della spesa pubblica anche se in un momento di emergenza pandemica e magari contemporaneamente fornire risorse aggiuntive al sistema bancario stesso con l’obiettivo di acquistare anche i titoli del debito pubblico.

    Il frutto quindi di un comportamento virtuoso del quale il risparmio ne presenta l’espressione diventa adesso l’oggetto del desiderio dei soggetti titolari della diarchia i quali non esitano a bypassare senza ritegno anche gli elementari principi democratici a tutela del risparmio e del lavoro.

    L’Italia, e non da oggi, rappresenta un sistema di interessi politici ed economici nel quale la ragione di Stato esprime priorità sempre superiori anche ai principi costitutivi di un vero Stato democratico dal quale passo dopo passo il nostro Paese si sta irrimediabilmente allontanando.

  • Il 2020 è stato d’oro per la grande distribuzione, Conad s’aggiudica la maggior fetta di mercato

    Il 2020 della distribuzione moderna è atteso chiudere con un progresso del 5%, di cui l’1% attribuibile all’esplosione del canale on-line. Incrementi molto marcati per i discount (+8,7%), i super (+6,8%) e i drugstore (+6,6%). L’intero sistema dovrebbe ripiegare dell’1,6% nel 2021, cumulando nel biennio un aumento del 3,3%. Continua la crisi delle grandi superfici che si prevede perderanno il 4,8% nel biennio 2020-21. L’e-commerce (+60% nel 2021) potrebbe arrivare al 3% del mercato già nel 2021, due anni in anticipo rispetto al 2023 previsto prima della pandemia. Si tratta tuttavia di un segmento che continua a registrare margini negativi per oltre il 10%.  E’ quanto emerge dai dati dell’Osservatorio sulla Gdo italiana e internazionale a prevalenza alimentare dell’Area studi di Mediobanca.

    Nel 2020 la concentrazione del mercato italiano è in aumento: la market share dei primi 5 retailer è del 57,5% dal 52,8% del 2019. Il mercato italiano supera così quello della Spagna (50%), ma resta frammentato rispetto a Francia (78,1%), Gran Bretagna (75,3%) e Germania (75,2%). Nel 2020 Conad detiene la maggiore quota di mercato con il 14,8%, seguita da Selex al 13,7% e dalle Coop al 12,9%. Il Roi del sistema è calato al 4,9% del 2019 dal 5,6% medio del 2015-2017. Il trend discendente interessa tutti i segmenti che pure segnano livelli molto diversi: i discount dal 20,1% al 16,6%, la distribuzione organizzata dall’8,8% al 7,8% e la grande distribuzione dal 6,7% al 4%. Dinamica analoga per l’ebit margin: dal 2,5% del 2015-2017 al 2,1% del 2019, con i discount in questo caso in lieve crescita dal 4,7% al 4,9%, la distribuzione organizzata in calo dal 2,8% al 2,4% e la grande distribuzione in flessione dal 2,9% all’1,9%. Per Conad la traiettoria è’ dal 2,5% all’1,8%, mentre le Coop segnano sull’intero quinquennio un margine negativo che si fissa al -1,4% nel 2019. Crescono i 32 drugstore italiani che hanno realizzato nel 2019 vendite per 3,6 miliardi +5,1% sull’anno precedente. L’ebit margin è al 4,6%, il Roi al 12,3%. La forza lavoro complessiva sfiora le 13mila unità.

    Lidl Italia è campione di crescita delle vendite tra il 2015 e il 2019: +8,7% medio annuo, seguita da Eurospin e Agorà appaiate al +7,6%. Segue il trio Lillo-MD (+6,9%), Ve’Ge’ (+5,3%) e Crai (+5,2%). In termini di redditività del capitale investito (Roi) primeggia Eurospin (20,2%), seguita da Lillo-MD (16,5%), Agorà e Lidl Italia al 12,9% e Crai all’11,9%. Tutti i restanti operatori sono sotto la doppia cifra, capeggiati da Ve’Ge’ al 9,1%.

    Supermarkets Italiani si conferma regina di utili cumulati tra il 2015 e il 2019: 1.340 milioni, seguita da Eurospin a 1.016 milioni, Conad a 879 milioni e Ve’Ge’ a 839 milioni. Carrefour ha cumulato perdite per 603 milioni, Coop per 252 milioni. Coop Alleanza 3.0 è la maggiore cooperativa italiana con vendite nel 2019 pari a 4.043 milioni, seguita da PAC 2000 A (Gruppo Conad) a 2.851 milioni e Conad Nord Ovest a 2.586 milioni che precede Unicoop Firenze a 2.320 milioni. Il prestito soci del sistema Coop appare in costante declino dagli 11,1 miliardi del 2014 agli 8 miliardi del 2019. Negli ultimi 5 anni le Coop hanno realizzato proventi finanziari netti per 1.233 milioni e subito svalutazioni finanziarie per 845 milioni.

  • Crescono i depositi bancari, ma si teme una nuova ondata di crediti deteriorati

    Un paradossale ‘circolo vizioso’ rischia di frenare la ripresa italiana nei prossimi mesi: famiglie e imprese che se lo possono permettere stanno aumentando molto il risparmio ma questo dato, normalmente positivo, non si traduce in risorse disponibili all’investimento e deprime ancora più i consumi già in frenata a causa dei lockdown e dei timori per il futuro. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha certificato così un allarme che già da alcune settimane faceva capolino dai dati di settore: la liquidità erogata dalle banche soprattutto alle imprese, grazie anche alle garanzie statali, resta parcheggiata nei depositi e nei conti correnti. Lo ha fatto proprio alla Giornata del Risparmio, l’appuntamento organizzato dall’Acri, quest’anno tenuto in maniera solo virtuale. L’allarme è stato condiviso dal ministro dell’economia Roberto Gualtieri che ha chiesto appunto di “incanalare tali risorse verso l’economia reale” e dal padrone di casa Francesco Profumo. In un telegramma anche il capo dello Stato Sergio Mattarella ha posto l’accento sulle risorse del risparmio che “se adeguatamente utilizzate, potranno contribuire a sostenere una rapida ripresa di consumi e investimenti, una volta domata la pandemia e ridotta l’incertezza sulle prospettive future. È indispensabile creare le condizioni utili a ristabilire un clima di fiducia” ha ammonito il Presidente della Repubblica che ha indicato anche l’utilizzo delle risorse in arrivo dalla Ue per gli investimenti che devono essere mirati a “ridurre i divari, per un Paese che torni a offrire opportunità, per un futuro dignitoso, specie alle giovani generazioni”.

    E se da un lato le banche registrano un boom dei depositi, nei prossimi mesi dovranno fare i conti con l’inevitabile aumento dei crediti deteriorati. Al momento la situazione è ‘congelata’ grazie alle moratorie che verranno peraltro prorogate assieme alle garanzie sui prestiti oltre la scadenza di dicembre come ha assicurato Gualtieri. E però, ha ribadito Visco ripetendo quanto già detto qualche settimana fa, e anche qui in sintonia con il Mef questo deve spingere le banche a prepararsi per tempo per evitare “l’accumulo” dei crediti nei bilanci. La vigilanza è flessibile ma vuole evitare che si ripeta quanto accaduto nel 2012 quando dovette intervenire a furia di ispezioni e sotto la spinta della Bce per far aumentare coperture e accantonamenti a un settore bancario non convinto.

    Il governatore non vuole “un’azione indiscriminata” ma che le banche facciano quello che è il loro dovere: “sostenere i progetti imprenditoriali meritevoli, riconoscere senza indugio le perdite derivanti da esposizioni per cui si prevede un’elevata probabilità di insolvenza, ristrutturare i prestiti dei debitori in situazione di difficoltà”. Tre eterni principi validi anche nell’attuale situazione di emergenza.

    Peraltro, in base ai dati Banca d’Italia, le rettifiche fino a ora sono state portate avanti da poche banche di grandi dimensioni e “diverse banche, sia tra quelle significative sia tra quelle meno significative, presentano tassi di copertura sui crediti in bonis molto inferiori alla media del sistema. È necessario che questi divari siano colmati” ha detto Visco.

    Se il sistema bancario ha quindi, dopo qualche iniziale lentezza, sostenuto le misure straordinarie (i prestiti sono a 100 miliardi e le moratorie a 300), lavorando “notte e festivi” compiendo “quasi miracoli” come ha rivendicato il presidente Abi Antonio Patuelli, deve ora mantenere la sua solidità. Banche in crisi o comunque in difficoltà potrebbero mettere ulteriore sabbia in una ripresa ancora incertissima. Gualtieri ha indicato quale una delle soluzioni, le aggregazioni fra banche “promosse dai mercati e basate su solidi piani industriali, che siano in grado di consentire il conseguimento di economie di scala e di diversificazione e i necessari investimenti in tecnologia e innovazione”.

  • L’incertezza dovuta al Covid frena gli investimenti, boom di depositi

    L’incertezza sulla profondità e la durata della crisi Covid paralizza gli investimenti e spinge aziende e famiglie ad accumulare liquidità, magari quella ottenuta tramite i finanziamenti garantiti dallo Stato, nelle banche in caso di difficoltà. L’ultimo rapporto dell’Abi fotografa una situazione comprensibile e per certi versi anche positiva ma che rischia di diventare un grosso freno alla ripresa nei prossimi mesi perché ‘il cavallo non beve’. La raccolta bancaria (conti correnti e pronti contro termine) continua a macinare aumenti a fronte di prestiti sicuramente in crescita ma a un tasso più ridotto. Nel mese di settembre il balzo è stato dell’8% contro un +4,8% degli impieghi, soprattutto alle imprese grazie al fondo di garanzia statale che oramai viaggia sui 100 miliardi di euro di richieste. Un aumento frutto appunto dell’incertezza che sta colpendo le aziende, le quali ritardano o minimizzano gli investimenti e trattengono spesso lì la liquidità, alimentata anche dai mancati pagamenti fiscali. “Il risparmio non è di per sé negativo – sottolinea il vice dg Abi Giafranco Torriero – è chiaro che si sono comportamenti cautelativi che inducano a creare dei buffer di risorse per fare fronte a eventuali criticità. Ma se la crescita dei depositi a causa dell’incertezza diventa un comportamento strutturale, fa venire meno delle risorse aggregate per l’economia Certo giova il prolungamento delle misure di garanzia che fornisce una prospettiva più sicura per i prossimi mesi ma una spinta decisiva, aggiunge Torriero, deve venire dalle politiche economiche statali ed europee oltre, ovviamente dall’andamento della pandemia.

    Le imprese stanno comunque beneficiando delle misure per ‘comprare tempo’ varate dal governo e dalle autorità. Le moratorie e le misure di regolamentazione rallentano l’emersione automatica dei crediti deteriorati seppure dalla vigilanza si spronano le banche a iniziare a fare le pulizie proprio per evitare l’emergere di picchi improvvisi. Molto dipenderà da quanto durerà la crisi e se appunto le inadempienze probabili (Utp) si trasformeranno in crediti inesigibili. Per ora le sofferenze continuano a scendere. Sono tornate ai livelli di 11 anni fa a 24,4 miliardi e ci si aspetta un ulteriore decremento a fine anno grazie all’operazione di cessione di Mps.

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