ritardi

  • Il 78% delle aziende europee concede dilazioni nei pagamenti a causa del coronavirus

    La maggior parte delle aziende europee, il 78%, a fronte del 59% nel 2019, ha accettato termini di pagamento più lunghi per portare avanti la propria attività dopo l’emergenza coronavirus. Una percentuale che scende al 61% in Italia. A rivelarlo sono i dati dello Epr White Paper (European  Payment Report White Paper), una survey condotta da Intrum, operatore europeo dei credit service, intervistando le posizioni apicali di 9.980 aziende in 29 Paesi europei e di 11 settori industriali, sia nella fase pre Covid-19 (febbraio 2020) che durante (maggio 2020).

    Tra i settori in cui in Europa vengono accettate più dilazioni ci sono energia, minerario e utility (86%), farmaceutica, medicina e biotecnologie (85%), con tecnologie, media e telecomunicazioni (83%). In Italia il 61% che accetta di ritardare lo fa per un’unica ragione: non rovinare il rapporto col cliente. Nel 2019 il 33% aveva accettato pagamenti più lunghi dalle multinazionali, il 51% dalle piccole e medie aziende e il 24% del settore pubblico, mentre il 16% non ne aveva accettati.

    Le dilazioni però non piacciono, non solo in Italia, infatti in Europa quasi la metà delle aziende vorrebbe che le aziende stesse si organizzassero per prendere iniziative contro i pagamenti in ritardo (+15% rispetto al 2019). In Italia però si crede meno in un impegno comune delle aziende in tale direzione: solo il 29% si aspetta iniziative comuni contro i ritardati pagamenti, mentre il 54% crede che sia lo Stato a doversene fare carico. Cresce intanto l’adozione della direttiva sui ritardati pagamenti, che permette alle aziende di applicare un tasso d’interesse e un minimo di 40 euro per i costi di recupero del credito: il 23% delle aziende europee dice di applicarla (8% dello scorso anno), mentre il 57% no (37% nel 2019). In Italia il 44,5% la applica qualche volta, il 12% sempre e il 28,5% mai.

  • In crescita i ritardi dei pagamenti delle aziende ai propri fornitori

    Negli ultimi otto anni, secondo quanto emerge dallo Studio Pagamenti 2018 di CRIBIS (società del gruppo CRIF specializzata nella business information) le aziende italiane che pagano clienti e fornitori con più di 30 giorni di ritardo sono raddoppiate, passando dal 5,5% all’11,4% del totale (+108%), con un picco del 15,7% toccato nel 2013 e 2014.

    L’analisi evidenzia che nell’ultimo trimestre dell’anno scorso le imprese che pagano entro i termini previsti sono calate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente dal 37,3% al 35,5% mentre sono leggermente aumentate (dal 52,2% al 53,1%) quelle che adempiono ai propri obblighi di pagamento con un ritardo massimo di 30 giorni. I pagamenti con ritardi superiori al mese sono aumentati del 9%.

    “Nell’ultimo trimestre 2018 – spiega Massimiliano Solari, direttore generale di CRIBIS – tra i settori con la minore incidenza di imprese con ritardi oltre i 30 giorni sono state nel manifatturiero (8,1%), nel settore finanziario (8,7%) e nel commercio all’ingrosso (8,8%). La situazione più critica nel commercio al dettaglio con incidenza di imprese con ritardi gravi del 17,3%”. I ritardi superiori ai 30 giorni sono molto diffusi anche nel settore rurale, caccia e pesca (12,1%), dei servizi (10,1%) e minerario (10%), mentre percentuali di poco più contenute sono state rilevate nel comparto costruzioni (9,9%), trasporti e distribuzione (9,1%).

    A livello territoriale il 44,1% delle aziende che mantiene i propri impegni entro i termini previsti si trova nel Nord-Est e il 41,3% nel Nord-Ovest, mentre maggiori difficoltà incontrano le aziende del Sud e delle Isole, dove il 19,1% esegue i pagamenti con più di 30 giorni di ritardo) e del Centro (13,1%). In Lombardia ed Emilia-Romagna (45,2% ciascuna) ci sono le aziende più puntuali, mentre in Sicilia (22,1%) e Calabria (21,2%) quelle che dilazionano le scadenze oltre i 30 giorni.

  • L’Europarlamento esamina i ritardi della pubblica amministrazione nel pagare i fornitori

    In media sono ancora 104 i giorni che impiega la pubblica amministrazione italiana per pagare i fornitori, 57 in più rispetto alla media europea e ben 74 in più rispetto ai 30 previsti dalla direttiva Ue. È quanto emerso nel corso di un’audizione alla commissione mercato interno dell’Europarlamento, in cui si è fatto il punto sullo stato di attuazione della direttiva sul ritardo dei pagamenti del 2011. In questa sede la Commissione Ue ha ricordato che l’Italia è già stata deferita alla Corte di giustizia Ue per rispondere dell’inadempienza rispetto alla norma europea. E gli imprenditori italiani Sergio Bramini (Incom) e Rossella Pezzino De Geronimo (Dusty) hanno raccontato le loro esperienze.

    Mancanza di flusso di capitale, ma anche cattiva gestione delle procedure e lunghi contenziosi in caso di inadempimenti sono tra i motivi del persistere di ritardi, ha detto l’eurodeputato Sabine Verheyen che ha sostituito nella conduzione del dibattito Lara Comi, tornata in Italia per motivi familiari. Riscontrate nei primi anni di attuazione anche pratiche sleali e tecniche dilatorie da parte delle Pa, come la richiesta di rinuncia agli interessi e imposizioni contrattuali di termini di pagamento superiori ai 60 giorni.

    A portare l’esperienza delle Pmi italiane, l’imprenditore Sergio Bramini, la cui azienda Icom era fallita dopo aver accumulato un credito di 4 milioni nei confronti dello Stato, e recentemente chiamato al Mise come consulente. “Chiedo che l’Europa faccia qualcosa per chi rischia di chiudere la propria impresa e per le centinaia di imprenditori che in Italia si sono suicidati per questo motivo” ha detto Bramini.

    Dello stesso tono l’altra imprenditrice intervenuta, Rossella Pezzino De Geronimo manager dell’azienda catanese Dusty operante nel settore rifiuti. “L’Ue deve costringere l’Italia a pagare e a rispettare in futuro i termini della direttiva.” Una rappresentante della Commissione europea ha riconosciuto le ripercussioni positive della direttiva, ma anche le debolezze strutturali sul lato attuativo e ha rassicurato gli operatori italiani: “Stiamo conducendo una politica molto rigorosa e abbiamo portato per questo motivo Italia e altri Stati membri con ritardi eccessivi alla Corte di giustizia Ue».

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