Russia

  • Due navi militari della Russia in “visita di cortesia” a Tobruk in Libia

    Due navi militari della Federazione Russa, scortate da due sottomarini, hanno effettuato una sosta ufficiale alla base navale di Tobruk, in Cirenaica, la regione orientale della Libia. A darne notizia è stato l’ufficio stampa dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), guidato dal generale Khalifa Haftar. “Al fine di rafforzare le relazioni tra il Comando generale dell’Esercito nazionale libico e la Federazione Russa, un gruppo di navi da guerra russe, composto dall’incrociatore missilistico Varyag e dalla fregata Marshal Shaposhnikov, ha effettuato una visita di tre giorni alla base navale di Tobruk, dopo una visita nella Repubblica araba d’Egitto”, si legge in un comunicato dell’Enl pubblicato su Facebook insieme ad alcune immagini della fregata, classe Udaloy e parte della Flotta russa del Pacifico, e dell’incrociatore Varyag.

    “La visita rientra nei passi concreti atti a rafforzare la cooperazione tra Russia e Libia, ripristinare le relazioni amichevoli di lunga data e usufruire delle competenze russe per rafforzare la sovranità e l’indipendenza dello Stato libico e delle sue forze armate”, aggiunge la parte libica. Da tempo circolano voci sull’intenzione della Russia di aprire una base navale nella città della Cirenaica. “Agenzia Nova” ne ha parlato con due esperti: Jalel Harchaoui, specialista in Libia del Royal United Services Institute, e Umberto Profazio, analista dell’International Institute for Strategic Studies (Iiss).

    Harchaoui ricorda che l’ambasciatore russo a Tripoli, Haider Aganin, ha recentemente dichiarato all’emittente televisiva satellitare panaraba di proprietà qatariota “Al Jazeera” che nessuna parte libica ha chiesto alla Russia di stabilire una base militare-navale a Tobruk. “Aganin ha anche affermato che l’Occidente accusa erroneamente Mosca di espansione militare nella Libia orientale solo per giustificare la propria presenza militare in Libia e in altri paesi. In sostanza l’ambasciatore russo nega molte cose. Tuttavia, guardando i fatti, nel mese di aprile si sono verificate cinque consegne significative di armi, tutte effettuate dalla Marina russa attraverso il porto di Tobruk. Queste consegne sono avvenute e sono indiscutibili”, afferma Harchaoui. La presenza della flottiglia della Marina russa a Tobruk, questa volta non per la consegna di armi, ma per una visita formale, “rafforza l’idea di una stretta collaborazione tra la marina della coalizione Haftar e la Marina russa”, aggiunge l’esperto.

    Lo scorso 31 maggio, il viceministro della Difesa russo, Junus-bek Evkurov, si è recato a Bengasi per la sua quinta visita nel Paese dallo scorso agosto. Queste missioni consolidano le indiscrezioni secondo cui Mosca starebbe avviando in Libia la formazione di una “Legione Africana” destinata a sostituire le forze del gruppo di mercenari Wagner. La struttura di questa legione dovrebbe essere completata entro l’estate del 2024, preparandola per operare non solo in Libia ma anche in Burkina Faso, Mali, Repubblica Centrafricana e Niger. Un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha recentemente dichiarato ad “Agenzia Nova” che i mercenari del gruppo Wagner “non hanno solo destabilizzato la Libia”, ma hanno anche utilizzato il Paese come “una piattaforma per destabilizzare la regione del Sahel e il continente africano”. Secondo il progetto investigativo “All Eyes On Wagner”, negli ultimi mesi la Russia avrebbe trasferito militari professionisti e combattenti in Libia, dove ci sarebbero oggi almeno 1.800 russi dislocati principalmente in Cirenaica e in Fezzan, nei territori controllati da Haftar. L’ambasciata russa in Libia, da parte sua, ha definito questa inchiesta una “mistura di mezze verità e menzogne” che sarebbe stata “fabbricata dai servizi segreti occidentali”.

    Secondo Harchaoui, la frequenza dei contatti tra Mosca e Bengasi “significa che le forze armate russe si stanno muovendo verso uno scenario in cui possono operare liberamente attraverso il porto di Tobruk. Se l’esercito russo continua a condurre regolarmente attività navali via Tobruk, col tempo alla fine si ridurrà a una base navale russa. Naturalmente si tratta di un processo lento e richiederà mesi, ma la tendenza è cristallina”. Secondo il sito web “ItaMilRadar”, specializzato nel monitoraggio dei movimenti degli aerei militari sopra l’Italia e il Mar Mediterraneo, negli ultimi mesi il porto è già stato utilizzato come base logistica per le truppe mercenarie russe presenti in Libia. “Le infrastrutture del porto di Tobruk lasciano ancora molto a desiderare, ma ciò non deve far supporre che ci vorrà molto tempo prima che una potenziale base possa diventare operativa”, aggiunge il sito, spiegando che Mosca potrebbe “stabilire una base navale nel mezzo del Mediterraneo, a poche centinaia di miglia dalla baia di Suda e da Sigonella, le due basi Nato più importanti della zona”.

    La nuova ambasciatrice degli Stati Uniti in Libia, Jennifer Gavito, parlando alla Commissione per le relazioni estere del Senato statunitense, ha recentemente messo in guardia sulla presenza russa e cinese in Libia. La diplomatica ha sottolineato i “profondi successi” delle aziende legate alla Cina nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in Libia, suggerendo che l’industria statunitense dovrebbe fornire un’alternativa valida alle società di Pechino, in modo che la Libia non dipenda da partner “inaffidabili” per la sua sicurezza nazionale. Gavito ha poi parlato della presenza russa, che ha recentemente integrato le forze Wagner in Libia in un’attività militare più ampia, e degli sforzi del Cremlino per creare un “rapporto di difesa” più aperto e formale con i soggetti libici, nell’intento di “destabilizzare il fianco sud della Nato”.

    Secondo Profazio, la visita di cortesia delle navi militari russe “conferma il trend già visibile da aprile, quando vi era stato già un arrivo da parte di navi militari russe a Tobruk”. Il porto libico, spiega l’analista ad “Agenzia Nova”, “si conferma come punto di riferimento principale per questa collaborazione militare, soprattutto per quanto riguarda la marina tra la Russia e l’Enl”, con il generale Khalifa Haftar “principale protagonista di questa convergenza tra Mosca e Bengasi”. Secondo l’esperto dell’Iiss, Mosca vuole mostrare all’Occidente che la propria influenza in Cirenaica si sta rafforzando sempre di più. “Non vi sono al momento notizie riguardo un nuovo sbarco di mercenari o truppe paramilitari, come è successo invece ad aprile scorso. Si tratta di una semplice visita di cortesia che mostra comunque il rafforzamento delle relazioni bilaterali tra queste due parti”, aggiunge Profazio. Dal punto di vista più strategico, prosegue l’analista, “Tobruk continua a essere particolarmente importante per la Russia, soprattutto per quanto riguarda il fianco sud della Nato e i partner occidentali”. La Libia, conclude l’esperto, si configura come un hub della proiezione militare russa in Africa e diventa sempre più strategica per destabilizzare questi paesi sia sotto il punto di vista dell’hard power, come presenza militare, che del soft power, con politiche, disinformazione e flussi di informazioni non corrette.

  • Putin spedisce tre navi da guerra a Cuba

    L’annuncio di un imminente arrivo a Cuba di tre imbarcazioni e un sottomarino a propulsione nucleare russi ha acceso l’allarme degli Stati Uniti, che temono un possibile svolgimento di esercitazioni militari nei Caraibi. Manovre che sarebbero una risposta alle – quasi concomitanti – esercitazioni Nato nel Mar Baltico, in programma fino al 20 giugno. Ll’Avana aveva segnalato che dal 12 al 17 giugno riceverà in visita ufficiale la fregata “Gorshkov”, il sottomarino a propulsione nucleare “Kazan”, la petroliera della flotta “Pashin” e il rimorchiatore “Nikolai Chicker”. La visita, scrive il governo cubano, è realizzata nell’ambito delle “storiche relazioni di amicizia tra Cuba e la Federazione russa e rispetta i regolamenti internazionali”. L’Avana assicura che nessuna delle navi contiene armi nucleari”. Le visite di unità navali di altri Paesi sono una “pratica storica del governo, con nazioni con cui manteniamo relazioni di amicizia e collaborazione”, prosegue il comunicato. Le imbarcazioni russe svolgeranno diverse attività istituzionali durante la permanenza: tra queste, una visita al capo della Marina cubana e alla governatrice della capitale L’Avana. Al loro arrivo saranno sparati 21 colpi a salve come saluto a Cuba, con la risposta di una unità delle forze armate cubane.

    Washington aveva avvertito della presenza di unità militari russe già mercoledì, denunciando anche lo svolgimento di possibili esercitazioni aeree: un funzionario dell’amministrazione Usa, sentito da “Miami Herald”, ha affermato che sono attese attività aeree e navali che includono mezzi da combattimento. Si tratterebbe della prima esercitazione aereo-marittima coordinata di Mosca nell’emisfero occidentale in cinque anni. “Siamo delusi ma non sorpresi dalla decisione di Cuba di accogliere i mezzi russi”, ha detto ieri il funzionario, assicurando che l’intelligence statunitense supervisionerà le esercitazioni pur non considerandole una minaccia diretta e ritenendo che non ci siano armi nucleari a bordo. “Sono esercitazioni navali di routine, accelerate dopo il supporto degli Usa all’Ucraina e dopo le attività di addestramento a supporto degli alleati Nato”. Per gli Stati Uniti, hanno peraltro avvertito che le navi potrebbero fare tappa anche in Venezuela.

    Stando a quanto riporta l’agenzia governativa russa “Tass”, le navi fanno parte di una flotta settentrionale della marina e sono salpate lo scorso 17 maggio per “assicurare la presenza navale in aree importanti della zona oceanica”. La fregata Gorshkov ha effettuato un’esercitazione ad un target simulato nell’oceano atlantico, utilizzato il complesso di artiglieria Ak-192m e missili Palash. Il sottomarino kazan può trasportare missili di precisione a lungo raggio, capaci di colpire obiettivi a terra, in mare e in aria. Secondo quanto riporta l’istituto navale Usa, è dal 1969 che sottomarini russi visitano periodicamente l’isola. Nello stesso periodo della presenza a Cuba, altri mezzi militari russi e personale dell’esercito sono entrati in Nicaragua per fornire “assistenza e vantaggi reciproci in caso di emergenza”, come si legge in una nota del governo nicaraguense che ne autorizza l’ingresso fino al 31 dicembre 2024. Le truppe da Mosca lavoreranno insieme all’esercito locale per condurre operazioni di sicurezza e contro la criminalità e per condividere addestramenti con il Comando di operazioni speciali.

    Le esercitazioni russo-cubane si svolgono, peraltro, quasi in concomitanza con le Baltops, le tradizionali manovre navali della Nato nel Mar baltico. La 53esima edizione delle Baltops viene osservata con grande attenzione dalla Russia che si trova a confrontarsi, dopo l’adesione all’Alleanza atlantica di Svezia e Finlandia, con un Mar Baltico a trazione decisamente atlantista. Le esercitazioni della Nato si svolgono da oggi sino al 20 giugno e coinvolgeranno venti nazioni che sono già giunte la scorsa settimana a Klaipeda, in Lituania. Nelle manovre saranno impiegati quattro gruppi anfibi e diverse unità operative multinazionali composti da più di 50 navi, 25 aerei e 9 mila militari provenienti da Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti. Le operazioni di addestramento prevedono attività di guerra antisommergibile, esercitazioni di artiglieria, operazioni anfibie, sminamento e interventi medici. Sin dalla prima edizione nel 1971, le Baltops sono aumentate sia in termini numerici di partecipazione che in complessità poiché la Nato ha rafforzato la sua dottrina relativa alla minaccia proveniente dal fianco orientale, ovvero la Russia.

  • I costi di questa guerra per noi

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta

    Quali siano le ragioni che abbiano spinto gli americani e gli europei a decidere che l’Ucraina dovesse diventare membro della NATO e dell’Unione Europea è bene cominciare a valutarne il prezzo per le tasche dei contribuenti occidentali. Lasciamo da parte i costi indiretti sulle economie europee che sono già sotto gli occhi di tutti e guardiamo a quelli messi a bilancio. È bene, tuttavia, ricordare che molti dei soldi usati per aiutare in vario modo l’Ucraina in questa guerra non sono rubricati in quanto tali ma sono presi da altre voci di bilancio ed è quasi impossibile quantificarli tutti.

    Già dal 2008, su iniziativa di polacchi e svedesi, Bruxelles aveva cominciato a lavorare per portare Kiev nell’orbita occidentale attraverso il Programma Eastern Partnership (Partenariato Orientale). Il progetto fu avviato dalla Polonia e successivamente fu elaborata una proposta più dettagliata in collaborazione con la Svezia. Il meccanismo fu fatto proprio da tutta la Commissione e fu inaugurato a Praga, nel maggio 2009. Lo scopo ufficiale dichiarato era di costruire nuove relazioni con gli Stati post-sovietici: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina. Si parlava di democrazia, prosperità e stabilità ma, in realtà, erano già previsti interventi nel settore della difesa. Il tutto rientrava in un piano pensato da americani e polacchi e britannici per “isolare” la Russia. Furono subito stanziati 600 milioni di Euro per il periodo 2010-2013. Quando il Presidente ucraino Yanukovich, che in un primo momento aveva accettato di dialogare, decise di ritirarsi da quel programma partirono subito le manifestazioni di Piazza Maidan fino al colpo di Stato che realizzò il cambiamento di regime.

    Per quanto riguarda gli USA, per capire il loro ruolo è sufficiente ricordare che, durante le manifestazioni sulla piazza Maidan a Kiev e quando sembrava poter funzionare l’accordo mediato da Francia e Germania con Yanukovich e con i manifestanti, la Sottosegretaria agli esteri americana Victoria Nuland disse al suo ambasciatore in Ucraina che quell’accordo doveva saltare perché “noi non abbiamo investito più di 5 miliardi di dollari” per lasciar finire tutto così. E sulla piazza cominciarono gli spari. Il nuovo primo ministro che assunse la carica fu scelto proprio dagli stessi americani (a questo proposito, chi dubita che quanto sto riferendo sia frutto di fantasia o ingigantito vada ad ascoltarsi la registrazione della telefonata citata che si può trovare in internet. Senza dubbio la registrazione è stata fatta in modo fraudolento dai servizi russi, ma così succede).

    Gli aiuti “particolari”, militari e finanziari, a favore dell’Ucraina cominciarono subito dopo l’annessione russa della Crimea e la ribellione delle regioni secessioniste russofone del Donbass. Da allora è stato un continuo crescendo di impegni finanziari dell’Occidente.

    Le cifre individuate dal The Ucraine Support Tracker di Kiel – Germania (riportate dalla rivista americana Geopolitical Future) sono impressionanti anche se riguardano soltanto il periodo che va dal 24 gennaio 2022 al 29 febbraio 2024. A quella data gli aiuti ufficiali complessivi erano di 87,28 miliardi di dollari in armamenti, 68,28 miliardi in mezzi finanziari, 14,28 miliardi per ragioni umanitarie e 92,68 per l’assistenza ai rifugiati. In totale in circa due anni sono stati “regalati” da EU e USA all’Ucraina più di 262 miliardi di dollari. Va bene inteso il termine “regalati” perché tutti sanno che l’Ucraina è in bancarotta e il suo debito che ammonta a più di un trilione di Euro non sarà mai ripagato

    Se vogliamo scendere nei dettagli, il Paese europeo che più ha “investito” sui nuovi governi di Kiev è la Germania, con circa 38 miliardi di dollari (altre fonti parlano di 43 miliardi di Euro). Segue la Commissione Europea con 30 miliardi, la Polonia (soprattutto per i costi dovuti all’ospitalità dei rifugiati) con 26 miliardi, la Gran Bretagna con 11 miliardi e così via. L’Italia, da par suo e senza contare quanto di sua competenza pagato attraverso Bruxelles, ha “investito” “solamente” 5 miliardi (sono esclusi gli armamenti che vanno rimpiazzati).

    Una voce a parte riguarda gli Stati Uniti. Formalmente questo Paese è il maggiore donatore avendo speso circa 67 miliardi di dollari di cui più del 90% in armamenti. Tuttavia non va dimenticato che anche le armi “donate” dai Paesi europei sono principalmente di fabbricazione americana e vanno rimpiazzate, facendo così la gioia dei produttori USA di materiale bellico Un esempio del modo di fare dei nostri alleati lo si ricava dall’ultimo stanziamento voluto da Biden e approvato dal Congresso. Si tratta di ben 61 miliardi aggiuntivi a quelli precedenti ma l’80% di questa cifra non arriverà direttamente in Ucraina poiché sarà destinato alle industrie americane per produrre nuove armi che serviranno a rimpiazzare quelle già mandate in Ucraina.

    Inoltre, si deve ricordare che il dopo-guerra è già stato ipotecato da Blackrock e J.P. Morgan tramite gli accordi sottoscritti con loro da Zelensky pochi mesi dopo l’inizio del conflitto. Infine, secondo alcune fonti, Washington avrebbe garantito, almeno in parte, i prestiti concessi a Kiev attraverso la possibilità di disporre alla fine della guerra di due terzi delle terre coltivabili ucraine.

    Un aspetto positivo(sic!) di tutto questo è che la maggior parte dei Paesi europei ha mandato in Ucraina armi considerate quasi obsolete e queste saranno rimpiazzate con armi di ultima generazione. Un altro aspetto positivo (altro sic!) è che da Washington hanno ben pensato, convincendo gli europei a fare altrettanto, che si dovrebbero sequestrare tutti i beni russi, statali e privati, attualmente presenti in USA e in Europa per usarli come “aiuto per l’Ucraina”. Purtroppo, si fa finta di non sapere che rompere le regole dei diritti di proprietà nella comunità economica mondiale oltre a violare il tanto invocato “diritto internazionale” uccide la fiducia degli investitori internazionali e incide negativamente, di conseguenza, anche sul commercio globale.

  • L’Ue adotta nuove sanzioni verso la Russia per violazioni dei diritti umani

    La Commissione accoglie con favore l’adozione da parte del Consiglio di un nuovo regime di sanzioni contro la crescente e sistematica repressione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto da parte delle autorità russe.

    Il nuovo regime fornisce il quadro di riferimento per la designazione delle persone coinvolte in violazioni e abusi dei diritti umani e in repressioni e azioni che compromettono la democrazia e lo Stato di diritto. Oggi sono già stati adottati venti inserimenti in elenco per chiamare coloro che violano i diritti umani e che partecipano alle repressioni a rispondere delle loro azioni. Il regime di sanzioni fornisce inoltre un quadro di riferimento specifico per negare all’apparato repressivo russo beni e tecnologie che possono essere utilizzati impropriamente a fini di repressione interna. Un elenco di tali beni e tecnologie figura nel regolamento. Rientrano nel divieto di fornitura anche i beni e le tecnologie non elencati ma destinati a essere utilizzati a fini di repressione interna in Russia.

    Il regime di sanzioni risponde alle politiche sempre più repressive delle autorità russe. Ne sono un triste esempio la morte di Alexei Navalny nel febbraio 2024 e la detenzione per motivi politici di dissidenti quali Oleg Orlov, Alexandra Skochilenko e Vladimir Kara-Murza.

    Il nuovo quadro di riferimento è parte di una più ampia politica dell’UE a sostegno dei difensori dei diritti umani e degli attivisti in Russia. In tale contesto si inseriscono anche coloro che osano esprimersi contro la brutale guerra di aggressione della Russia in Ucraina e la relativa disinformazione diffusa dal regime russo.

  • Pacifici non pacifisti

    Se Giano era bifronte la verità sembra avere molte più sfaccettature, infatti mentre la Russia può continuare a colpire uno stato sovrano e indipendente, massacrando civili inermi con i suoi bombardamenti, e ritiene di poterlo fare se gli ucraini rispondono, distruggendo qualche postazione militare in territorio russo, per altro vicino al confine, diventa per Putin una dichiarazione di guerra della Nato.

    La Cina parla di pace ma si ritira dal vertice organizzato in Svizzera e parla di altri, più o meno misteriosi, piani, sembra condivisi anche dalla Turchia, e che hanno sempre il presupposto che l’Ucraina ceda molti suoi territori ai russi.

    Il diritto internazionale possiamo scordarcelo possa tutelare tutti, ormai sembra debba essere rispettato solo dai deboli mentre  i forti, gli arroganti, i dittatori possono fare come vogliono perciò, con buona pace di tutti i pacifisti del mondo noi, che siamo pacifici, che siamo quelli che rispettano le leggi, ci siamo veramente stancati e alziamo cuori e bandiere contro gli aggressori, i terroristi, i potenti che parlano di pace, come il presidente cinese che fa affari e vende armi al dittatore russo.

    Non è di oggi né di ieri la innegabile realtà: se vuoi la pace devi avere la forza di impedire che ti aggrediscano, perciò uno stato che non ha le armi per difendersi prima o poi sarà preda di chi ha deciso di conquistarlo.

    Oggi ai russi fanno gola le ricchezze ucraine, forse un domani non lontano vorranno conquistare anche il Campidoglio e San Pietro.

  • Pace in Ucraina

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta

    Da più parti si chiede che la guerra in Ucraina si trasformi presto in pace o almeno in una tregua che apra a negoziati per la fine definitiva del conflitto. È più che giusto che si desideri porre fine a una carneficina che tocca soldati e civili da una parte e dall’altra e che ci si interroghi su come arrivare a questa soluzione. Tuttavia, prima di ragionare su cosa fare credo che sia bene che qualcuno, chiunque egli sia, risponda (almeno a sé stesso) a due domande.

    La prima: quali sono gli interessi dell’Europa nel volere che l’Ucraina entri nella NATO? Tutti, salvo gli ipocriti, sanno che la guerra è scoppiata dopo che, per diverse volte, Mosca aveva pubblicamente fatto sapere di considerare come un attentato alla propria sicurezza il possibile ingresso dell’Ucraina nella NATO. Non a caso, quando gli americani vollero che all’ordine del giorno dell’incontro NATO di Bucarest del 2008 fossero inseriti anche l’ingresso nell’Alleanza Atlantica di quel Paese e della Georgia, Germania e Francia (e sottovoce anche l’Italia) si opposero, esprimendo la preoccupazione che tale atto avrebbe causato una risposta della Russia tutt’altro che pacifica. Gli americani dovettero fare buon viso a cattiva sorte ma, in cambio della rinuncia, ottennero che la questione fosse solo rimandata a data successiva. Dopo quanto era accaduto nel 1999 con l’attacco della NATO contro la Serbia (non avallato dall’ONU) e alcune “rivoluzioni colorate” scoppiate i Paesi limitrofi alla Russia, a Mosca si era cominciato a pensare, a torto o a ragione, che l’Occidente stesse puntando a destabilizzare ciò che restava dell’ex-Unione Sovietica. Ad avvalorare tale ipotesi aveva contribuito la trasformazione dello scopo ufficiale della NATO, da puramente difensivo al momento della sua creazione, in un’organizzazione che si poneva come obiettivo di intervenire ovunque si giudicasse (da parte di Washington?) fossero a rischio la democrazia e i diritti umani. A tal proposito vedi Dichiarazione di Roma nel 1991 e la sua formalizzazione a Washington nel 1999 attraverso il “Nuovo Concetto Strategico”.  Naturalmente si sarebbero chiusi gli occhi se le violazioni fossero avvenute in Paesi considerati “amici” o “utili”. E, infatti, nessuno ha aiutato o inviato armi all’Armenia democratica attaccata dall’Azerbaigian autoritario nel Nagorno-Karabakh con l’esodo forzato di decine di migliaia di etnicamente armeni costretti a1988-2024d abbandonare tutto.

    Dunque: Gli americani avevano una loro logica, giusta o sbagliata che fosse, ma gli europei? Voglio quindi ripetere la domanda: che interesse aveva, ed ha, l’Europa ad avere l’Ucraina nella NATO? Chi rispondesse che serve per “contenere” la Russia giustificherebbe le reazioni di Mosca.

    La seconda: Qual è l’interesse dell’Europa nell’avere, e magari in tempi rapidi, l’Ucraina come membro dell’Unione Europea? Dopo che gli USA con l’Inflation Reduction Act hanno messo in ginocchio alcuni settori dell’industria europea invitandoli a delocalizzare verso gli Stati Uniti, vogliamo forse distruggere anche l’agricoltura dell’Europa? È risaputo che, grazie alla mano d’opera a buon mercato e alle immense distese di territori coltivabili ucraini, importare senza dazi i prodotti agricoli da quel Paese metterebbe fuori mercato le nostre aziende e in Polonia sono stati i primi ad accorgersene. Senza contare che, dopo tutti i bombardamenti con proiettili a uranio impoverito dalle due parti in conflitto, ogni prodotto frutto dei campi colpiti dalla guerra arriverebbe da noi contaminato da polveri non radioattive ma estremamente velenose (più del piombo – vedi le malattie mortali riscontrate da civili serbi e soldati NATO in Serbia, Iraq e Afghanistan). E poi, chi dovrebbe pagare i costi della ricostruzione dopo che la guerra sarà finita? Come sempre è successo per i futuri nuovi ingressi, miliardi di euro sono stati mandati da Bruxelles ai Paesi candidati per “adeguare le leggi e le infrastrutture” agli standard europei. Nel caso dell’Ucraina, oltre alla sua dimensione superiore ad ogni precedente Paese entrato, si dovranno aggiungere i fondi necessari a ricostruire strade, fabbriche e intere città. Sanno i cittadini europei cosa sarà trattenuto dalle loro tasche per assecondare i vaneggiamenti di quattro irresponsabili politici a Bruxelles e nelle varie capitali?

    E allora: dove sta l’interesse degli europei a far entrare questo nuovo “membro”, tra l’altro considerato dal FMI come il più corrotto d’Europa? Chi rispondesse che le nostre aziende guadagnerebbero dalla ricostruzione fa solo fantasia e non conosce gli accordi già sottoscritti da Zelensky con Blackrock e J.P. Morgan.

    Veniamo ora alla pace che tutti vogliamo. O almeno a una possibile tregua.

    Il 15 e il 16 giugno prossimi, vicino a Lucerna in Svizzera, si terranno colloqui per identificare un percorso che porti verso una pace giusta e duratura in Ucraina. Ottima iniziativa, se non fosse che la Russia, salvo variazioni dell’ultimo momento, ha già annunciato che non vi parteciperà. È possibile concordare una qualunque pace tra due contendenti nell’assenza di uno dei due?

    Purtroppo, i veri problemi di una negoziazione da intraprendere oggi stanno nel fatto che, checché se ne dica, la vera guerra non è tra Ucraina e Russia ma tra Occidente (in primis gli USA) e la Russia e che nessuno dei contendenti ha fiducia nella buona fede dell’altro. Entrambi sono pervasi da intenzioni massimaliste. Almeno per ora Kiev e l’Occidente, dopo tutti i morti inutili tra la popolazione ucraina, non possono permettersi di perdere la faccia rinunciando a far entrare l’Ucraina nella NATO e abdicando alla rivendicazione dei territori perduti e della Crimea. Inoltre, pensano che l’obiettivo di Mosca sia di instaurare a Kiev un governo fantoccio manovrabile da Mosca. Da parte russa si è sinceramente convinti che l’obiettivo dell’Occidente sia di assicurarsi una “sconfitta strategica” della Russia, la sostituzione dell’attuale regime e il futuro “spezzettamento” della Federazione. Se le due parti sono su queste linee è evidente che l’unica soluzione che si può intravedere è tra la capitolazione o la continuazione dei combattimenti.

    Comunque sia, anche chi nega che la storia sia maestra di vita dovrebbe ricordare come sono finite le guerre nel mondo degli ultimi 70/80 anni. Tutte le volte che sono cessate o sono state sospese grazie a un negoziato senza che sia stato drasticamente risolto il motivo che le aveva scatenate, le ostilità sono ricominciate in breve tempo.

    Vediamo qualche esempio tra i tanti:

    Guerra del Vietnam (1955-1975). Gli accordi di pace di Parigi permisero il ritiro americano dal conflitto ma la guerra continuò fino a che il Vietnam del nord arrivò a detronizzare il governo di Saigon.

    Guerra dei 6 giorni (1967). Gli accordi di Camp David arrivarono solo nel ’78 e consistettero nella vittoria di Israele sull’Egitto sancendo il riconoscimento ufficiale dell’esistenza dello stato israeliano. Dunque: vittoria di Israele.

    Prima guerra del Golfo (1990-1991). Ci fu un cessate il fuoco mediato dall’ONU che sospese temporaneamente il conflitto ma fu sostituito da sanzioni pesanti contro l’Iraq. La guerra ricominciò nel 2003 arrivando alla sconfitta definitiva di Saddam Hussein.

    Guerra civile in Bosnia (1992-1995). Con gli accordi di Dayton si creò un governo federale tra le varie etnie bosniache, croate e serbe che, tuttavia, continuano ancora oggi a essere una polveriera con minaccia di scissioni.

    Guerra del Kossovo (1998-1999). Finì solo con la sconfitta totale della Jugoslavia e gli accordi del ’99 furono, di fatto, la resa di Belgrado. La Serbia tuttora non riconosce l’esistenza autonoma dello stato Kossovaro.

    Guerre tra Armenia e Azerbaigian (1988-2024) Le tensioni etniche tra armeni e azeri datano almeno dall’inizio del ‘900. Nel 1988 con la fine dell’URSS l’Armenia si re-impadronì del Nagorno-Karabakh abitato prevalentemente da armeni. La guerra subito scoppiata finì grazie alla mediazione russa per ricominciare nel 1994 e incattivirsi nel 2016 (guerra dei quattro giorni). Nel 2020 scoppiò di nuovo e ancora la Russia fece da mediatrice imponendo un accordo tra le parti. Accordo reso nullo dalla recente invasione azera del 2024 con successo di quest’ultima grazie all’aiuto della Turchia.

    Se anche l’attuale guerra in Ucraina dovesse finire con un accordo tra le parti che non costituisca una vera vittoria per uno dei due, molto probabilmente si tratterebbe di una soluzione temporanea e, prima o poi, le ostilità ricomincerebbero. Alcuni alti funzionari americani ritengono che la guerra debba finire con un accordo negoziato ma nessuno di loro ha mai detto né agli alleati né tanto meno al governo ucraino su quali basi ciò potrebbe avvenire.

    Dobbiamo dunque rinunciare a cercare la pace? Nessuno dovrebbe permetterselo! Quale pace, tuttavia? Accetterà l’occidente che ciò che resta dell’Ucraina diventi un Paese neutrale come furono l’Austria, la Finlandia e la Svezia, senza che la Nato ci metta becco?  O, in alternativa, accetterà Mosca di rinunciare ai territori che ha già inglobato nella Federazione e che Kiev diventi un nuovo membro dell’Alleanza Atlantica? Entrambe le soluzioni sembrano ad oggi piuttosto improbabili.

    Nel frattempo non va dimenticato che un decreto presidenziale voluto da Zelensky nel Settembre 2022 e tuttora in vigore ha stabilito “l’impossibilità di aprire negoziazioni con il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin” e chi lo facesse sarebbe immediatamente accusato di alto tradimento. Forse bisognerebbe cominciare con il cancellare questo “ukase”.

  • Amicizia senza limiti tra due potenti alleati geostrategici

    La cosa peggiore per i potenti è che non possono fidarsi degli amici.

    Eschilo

    Domenica scorsa, anche in piazza San Pietro a Roma, gremita di credenti, è stata celebrata la festa di Pentecoste. Si tratta di un importante evento del cristianesimo, che si riferisce all’effusione dello Spirito Santo. Dopo la preghiera del Regina Coeli Papa Francesco ha detto che “lo Spirito Santo è Colui che crea l’armonia, l’armonia! E la crea a partire da realtà differenti, a volte anche conflittuali”. E ha pregato lo Spirito Santo di donare ai governanti “…il coraggio di compiere gesti di dialogo, che conducano a porre fine alle guerre”. In seguito il Santo Padre ha ricordato “le tante guerre di oggi” dove si combatte e si perdono vite, tante vite di persone innocenti. Ragion per cui Papa Francesco, rivolgendosi non solo alle persone in piazza San Pietro, ha chiesto: “…pensiamo all’Ucraina. Il mio pensiero va in particolare alla città di Kharkiv, che ha subito un attacco due giorni fa. Pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele. Pensiamo a tanti posti dove ci sono le guerre. Che lo Spirito porti i responsabili delle nazioni e tutti noi ad aprire porte di pace!”.

    Si continua a combattere, dal 24 febbraio 2022, in Ucraina. E mentre molti Paesi del mondo, così come l’Unione europea e le più importanti organizzazioni internazionali, hanno condannato quell’aggressione, ci sono altri Paesi che non solo non lo hanno fatto, ma stanno attivamente collaborando, in vari modi, con la Russia. Uno di questi Paesi, che da alcuni decenni sta esercitando un ruolo geopolitico e geostrategico sempre più importante a scala globale, è la Cina. I rapporti di collaborazione tra i due Paesi sono tra i migliori, compresi quelli politici. Ed ottimi sono anche i rapporti di stretta amicizia tra i due presidenti. Lo hanno affermato di persona ed in più occasioni anche loro due. E non a caso. Si perché oltre a vari interessi economici, geopolitici e geostrategici, loro si somigliano anche per il modo autocratico della gestione del potere. Si sono incontrati per la prima volta nel marzo del 2010, poi nel 2013, quando l’attuale presidente cinese, appena ricevuto il suo primo mandato, ha deciso di effettuare la sua prima visita ufficiale proprio in Russia. E dopo essere rieletto, nel marzo dell’anno scorso, come presidente della Repubblica popolare cinese, ha fatto di nuovo la stessa scelta: la sua prima visita ufficiale lo ha fatto proprio in Russia. Risulterebbe che in questi ultimi dieci anni i due presidenti si sono incontrati circa quaranta volte ed in varie occasioni.

    Durante queste due ultime settimane, sia il presidente cinese che quello russo sono stati molto attivi. Prima il presidente cinese ha cominciato una settimana di visite ufficiali in Europa, con quella in Francia il 6 e 7 maggio scorso, e poi in Serbia ed in Ungheria. Il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe delle tre visite e di quanto è stato discusso e deciso in ciascuno dei Paesi (Scelte che evidenziano determinati interessi geopolitici; 13 maggio 2024). Mentre la scorsa settimana, il 16 e 17 maggio, è stato il presidente russo ad effettuare la sua visita in Cina. Visita che è stata anche la prima, dopo la sua rielezione come presidente nel marzo scorso. Una visita che coincide anche con un periodo in cui l’esercito russo ha circondato e sta attaccando la città ucraina di Kharkiv. Città che ha ricordato domenica scorsa Papa Francesco, pregando per i suoi abitanti. Bisogna però ricordare che dopo l’aggressione russa in Ucraina, più di due anni fa ormai, i rapporti tra la Russia e la Cina si sono ulteriormente rafforzati e la loro collaborazione multilaterale sta diventando sempre più stretta e attiva. Una collaborazione che viene determinata anche da interessi, sviluppi e congiunture geopolitiche e geostrategiche. Si tratta di interessi che portano, in modo inevitabile, allo scontro con alcuni Paesi occidentali, soprattutto con gli Stati Uniti d’America.

    Ebbene, durante la sua visita della scorsa settimana in Cina, il presidente russo è stato diretto ed ha dichiarato che sia la Russia che la Cina  “…respingono i tentativi occidentali di imporre un ordine basato su bugie e ipocrisia, su alcune regole mitiche create da nessuno sa di chi”. Ed è proprio per affrontare “i tentativi occidentali” che la Cina e la Russia sono stati due tra i quattro primi Paesi fondatori di un raggruppamento economico ben strutturato, ufficializzato nel 2010. Un raggruppamento al quale si è aggiunto subito dopo anche il Sudafrica che da allora è noto come BRICS (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica; n.d.a.). A questa struttura internazionale, all’inizio di quest’anno, si sono uniti anche l’Egitto, l’Etiopia, l’Iran e gli Emirati Arabi Uniti. Oltre a BRICS, la Russia e la Cina fanno parte anche di quella che, dal 2001, è comunemente nota come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Un’organizzazione della quale fanno parte anche quattro altri Paesi, ex repubbliche dell’allora Unione sovietica; Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbekistan. Ebbene, la scorsa settimana, durante la sua visita ufficiale in Cina, il presidente russo ha sottolineato, riferendosi a questi due raggruppamenti internazionali, che loro “…si sono ben affermati come pilastri chiave dell’emergente ordine mondiale multipolare”. Aggiungendo, che “…possono essere citati come vividi esempi di cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Sono diventati piattaforme internazionali affidabili e dinamiche i cui partecipanti costruiscono politiche costruttive”.

    Il presidente cinese, sempre durante la visita ufficiale in Cina del suo omologo russo, ha ribadito, tra l’altro, che la collaborazione tra i due Paesi sta progredendo come tra “buoni vicini, buoni amici e buoni partner”. Assicurando che la Cina rispetterà sempre il cosiddetto “rapporto senza limiti”. Facendo proprio riferimento a quello che il presidente russo annunciò nel febbraio 2022, pochi giorni prima dell’inizio dell’aggressione contro l’Ucraina. Un rapporto che si basa anche su “un’amicizia senza limiti”, come hanno più volte confermato i due presidenti in questione. La scorsa settimana hanno concordato anche sulla “soluzione” della guerra in Ucraina. Tutto si basa su una proposta di dodici punti, annunciata l’anno scorso dalla Cina. Una proposta, la quale prevede negoziati di pace partendo dallo status quo. Una proposta quella, ben accolta dalla Russia, che però è in palese contrasto con la proposta di trattative presentata dal presidente ucraino. Per lui le trattative tra l’Ucraina e la Russia non possono essere avviate senza il ritiro della Russia dalle regioni di Donbas e di Crimea, invase nel 2014. Bisogna sottolineare che la proposta cinese è ben diversa da quella che verrà discussa in Svizzera il 15 e 16 giugno prossimo. Si tratta di una conferenza nella quale i rappresentanti della Russia non saranno presenti, mentre la Cina non ha ancora confermato la partecipazione dei suoi rappresentanti. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe ha trattato per il nostro lettore solo alcuni argomenti discussi ed accordati durante l’incontro dei due potenti alleati geostrategici, il presidente cinese e quello russo. Alleati legati anche da un’amicizia senza limiti. Ma chissà se e quanto durerà questa amicizia. Perché, come affermava circa venticinque secoli fa Eschilo, il noto drammaturgo della Grecia antica, la cosa peggiore per i potenti è che non possono fidarsi degli amici.

  • Tribunale russo mette sotto sequestro 239 milioni di euro investiti da Deutsche Bank

    Il tribunale arbitrale di San Pietroburgo e della regione di Leningrado, su richiesta della società RusChemAlliance, gestore del progetto per la costruzione di un complesso di trattamento e liquefazione del gas a Ust-Luga, ha sequestrato proprietà, conti e titoli di Deutsche Bank per un importo di 238,61 milioni di euro o l’importo equivalente in rubli. Lo si legge nel fascicolo dei casi arbitrali secondo quanto riporta il sito web dell’agenzia “Tass”. In precedenza, RusChemAlliance aveva intentato una causa contro Deutsche Bank per 22,2 miliardi di rubli (238,1 milioni di euro di pagamenti in garanzia e 479,51 mila euro di sanzioni) come parte delle richieste di garanzia bancaria e ha chiesto il pignoramento delle filiali al 100% di Deutsche Bank in Russia.

    Il sequestro per un importo di 238,61 milioni di euro o l’equivalente in rubli è stato imposto su titoli e beni di proprietà di Deutsche Bank e della controllata russa Deutsche Bank LLC, oltre che di Deutsche Bank Technology Center LLC. Il tribunale ha inoltre vietato a Deutsche Bank di cedere il 100 per cento delle azioni del capitale autorizzato di Deutsche Bank LLC e Deutsche Bank Technology Center LLC. Allo stesso tempo, il tribunale arbitrale ha rigettato la richiesta di RusChemAlliance di sequestrare il 100 per cento delle azioni di Deutsche Bank in Deutsche Bank LLC e Deutsche Bank Technology Center LLC. La Corte ha inoltre ritenuto che, “quando si adottano misure provvisorie sotto forma di sequestro”, è necessario indicare che esse non si applicano ai fondi dei clienti situati in tali conti.

    Nella giornata di ieri, lo stesso tribunale, sempre su richiesta della medesima società, ha disposto il sequestro di proprietà, conti e titoli di Unicredit Bank Jsc e di Unicredit Bank Ag, le controllate rispettivamente russa e tedesca di Unicredit. Il caso è legato all’emissione di un “performance bond” da parte di Unicredit e di altre banche su un contratto stipulato tra RusChemAlliance e il consorzio Linde per la costruzione di un impianto di trattamento del gas. Il consorzio Linde si è tirato indietro dall’impegno a causa del regime sanzionatorio Ue e la società russa ha preteso il pagamento delle garanzie da parte delle banche. Queste si sono rifiutate di effettuare il pagamento e la contesa viene affrontata adesso in tribunale, dove è stato disposto un sequestro conservativo di asset Unicredit per un valore di 463 milioni di euro.

    Fonti della Farnesina riferiscono che il ministero degli Affari esteri sta seguendo il caso dell’azione giudiziaria intrapresa nei confronti di Unicredit. Anche questa disputa verrà affrontata nella riunione immediatamente convocata lunedì prossimo del “Tavolo Russia”, attivato dal ministro Antonio Tajani alla Farnesina con le aziende e le istituzioni impegnate nel mercato russo.

  • Mosca pronta a infiltrarsi dietro le linee europee per sabotarle

    Soldati francesi contro russi ancora non se ne sono visti, ma attentatori e sabotatori russi saranno presto all’opera in Europa, secondo quanto i servizi segreti riferiscono ai rispettivi governi, invitandoli a prendere misure per evitare sabotaggi, attentati e incendi dolosi in Europa.

    Il Financial Times riferisce che a queste conclusioni sono giunti tre diversi Paesi europei condivise con il Financial Times. “Riteniamo che il rischio di atti di sabotaggio controllati dallo Stato aumenterà in modo significativo”, ha affermato Thomas Haldenwang, capo dell’intelligence interna tedesca. La Russia ora sembra a suo agio nel portare avanti operazioni sul suolo europeo con “un alto potenziale di danno”, ha detto il mese scorso in una conferenza sulla sicurezza ospitata dalla sua agenzia, l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione tedesca. Il tutto dopo che due cittadini russo-tedeschi a Bayreuth, in Baviera, con l’accusa di aver complottato per attaccare siti militari e logistici in Germania per conto della Russia.

    Alla fine di aprile due uomini sono stati accusati nel Regno Unito di aver appiccato un incendio in un magazzino contenente spedizioni di aiuti per l’Ucraina. La procura inglese li accusa di lavorare per il governo russo. In Svezia, i servizi di sicurezza stanno nel frattempo indagando su una serie di recenti deragliamenti ferroviari, che sospettano possano essere atti di sabotaggio appoggiati dallo Stato. A Berlino una fabbrica di uno stabilimento legato alla produzione di missili per l’Ucraina è andato a fuoco. La nube tossica ha messo in allerta la zona orientale della capitale tedesca. Una coincidenza sospetta, che lascia aperta l’ipotesi che i sabotaggi forse sono già iniziati.

    Sul fronte ucraino nulla di nuovo invece e ovviamente nulla di positivo. Che Putin arruoli nelle carceri perché nessuno ha voglia di andare al fronte era noto e in parte anche ovvio: il personale reclutato non ha una formazione militare ma è comunque educato alla violenza. Ora la Russia sta utilizzando la brutalità di quelle reclute anche per spaventare gli avversari, come emerge dalla notizie riportate dal canale francese TF1. Due dei criminali più brutali della Russia sono stati scarcerati e inviati al fronte per combattere la guerra contro l’Ucraina. Uno ha ucciso un uomo e poi ne ha cucinato il cuore. L’altro ha smembrato due giovani donne.

  • Attacco russo a due voli finlandesi sopra l’Estonia, in pieno spazio Nato

    Risulta che nell’area balcanica nel corridoio di Suwalki la Russia abbia messo la sede del Baltic Jummer. Negli ultimi giorni due voli della compagnia aerea Finnair in viaggio da Helsinki verso Tartu in Estonia, e cioè in pieno spazio Nato, giunti nei pressi dell’aeroporto, non abbiano potuto atterrare a seguito di un attacco ai loro sistema di navigazione.

    I Gps degli aerei sono stati completamente oscurati e perciò senza alcun segnale per proseguire la rotta, i due aerei, uno giovedì sera e l’altro venerdì sera, non potendo atterrare sono dovuti ritornare all’aeroporto di partenza.

    Il Lotte-Triin Narusk, che è il responsabile delle comunicazioni dei servizi aerei estoni, ha dichiarato che le interferenze Gps sono aumentate con gravi problemi per le procedure del traffico aereo. Il disturbo dei Gps è in atto dalla fine del 2022 e le notizie darebbero la responsabilità alla Russia e al suo Baltic Jummer che ha sede nell’enclave di Kaliningrad.

    Nel passato vi erano stati altri problemi dei segnali Gps per aerei che viaggiavano da Varsavia a Berlino e proprio sopra Kaliningrad ci sarebbe il più alto livello di interferenze.

    Secondo quanto riportato dal Messaggero l’aviazione britannica ha pubblicato, nei giorni scorsi, un report dal quale risulta che oltre 45.000 voli siano stati colpiti da interferenze dai loro sistemi di navigazione mentre sorvolavano l’area balcanica. Le fonti dell’aviazione sospettano che la Russia abbia lanciato pericolosi attacchi elettronici contro voli turistici britannici.

Pulsante per tornare all'inizio