Russia

  • Tra la natura distrutta del Volga fioriscono gli affari leciti e non della Russia in guerra

    Il Corriere della Sera ha provato a scoprire come è la Russia, il Paese reale, quello che non gravità intorno al Cremlino a Mosca, dopo che Vladimir Putin con l’invasione dell’Ucraina l’ha tagliata fuori dalle relazioni con l’Occidente. Per farlo, è andato a scoprire l’area attraversata dal Volga, il fiume più lungo d’Europa, che rappresenta “l’autobiografia di un popolo”, per mutuare le parole del direttore dell’Ermitage, Michail Piotrovskij, perché è proprio in quelle terre, al centro del Paese e dove sorge tra l’altro l’ex Stalingrado (oggi Volgograd), che la Russia affonda le sue radici. Ecco cosa è emerso.

    Il paesaggio è contraddistinto da taiga e steppa, come da foreste e pianure immense, ma la fauna è molto scarsa: anitre e oche vi passano in volo durante le loro migrazioni, in loco vi sono molti corvi, di ogni dimensione, nulla, nemmeno uno scoiattolo. Pesticidi, scarichi industriali e metropolitani hanno avvelenato il fiume, tanto che il luccio perca servito nei ristoranti arriva congelato da lontano mentre tra i 200mila abitanti di Ribinsk (nome che significa la città del pesce, perché la città riforniva la mensa degli zar col miglior storione) non si pesca più neanche di frodo. A peggiorare la situazione vi è l’operazione militare speciale in Ucraina: la navigazione privata è vietata sull’asse medio e basso del Volga, perché il fiume è diventato strategico per l’economia di guerra, per bypassare le sanzioni: oltre a traghetti e navi da crociera (riscoperta del turismo interno), circolano centinaia di chiatte per il rifornimento militare al Donbass e il traffico illegale con l’Iran attraverso il Caspio.

    Astrakan, sul delta, già antico “centro commerciale” della via della Seta, è diventata cruciale per l’asse economico antioccidentale. I porti turistici sono chiusi e quelli mercantili presidiati dalle forze di sicurezza. È l’hub dell’import-export clandestino di beni agricoli e di petrolio, ma anche di turbine, ricambi meccanici, medicinali, componentistica nucleare e droni.

    Di contro, a Jaroslav, a Nizhni Novgorod, a Kazan i centri storici sono intasati di lavori pubblici, restauro di palazzi, ripristino di marciapiedi e tubature: squadre di giardinieri municipali sono all’opera nei parchi pubblici insieme a decine di liceali obbligati a contribuire al decoro urbano per due settimane durante le vacanze e nelle periferie non si sono interrotte le costruzioni di nuovi quartieri popolari. Nelle fertili pianure del medio Volga è evidente come l’industria agroalimentare sia diventata parte dell’economia di guerra, al pari di quella pesante: distese sterminate di girasoli, orzo, frumento, granoturco. Le fattorie collettive abbandonate negli anni Novanta vengono acquisite dai grandi gruppi fedeli al regime e dei 56 milioni di ettari rimasti incolti negli anni 90 ne sono rimasti una trentina. Secondo la Fao la Russia da sola può sfamare due miliardi di persone. E il cambiamento climatico (per ora) gioca a favore di Putin, perché aumentano le terre coltivabili ovunque, non solo nelle pianure del Volga centrale, dove le stagioni di crescita sono più lunghe e i raccolti migliori, ma anche nella regione degli Urali e addirittura in Siberia.

  • Operazione Pig presentato a Piacenza

    Dai legami della mafia albanese con la ‘ndrangheta ai propositi di sovvertimento dell’ordine internazionale creato dall’Occidente che Putin persegue insieme ai Brics, dalla rivalità tra Russia e Cina in Africa alla prospettiva di un mondo in cui l’intelligenza artificiale crea un Elon Musk dominante e masse di lobotomizzati cibernetici.

    La presentazione del thriller di fantapolitica ‘Operazione Pig’ di Albert de Bonnet al PalabancaEventi di Piacenza nell’ambito delle iniziative dedicata da Banca di Piacenza alla promozione di lettura e cultura è stata l’occasione per spaziare a tutto campo dal mondo della fiction al mondo così come è in realtà o come appare possibile che diventi realmente. La presentazione è avvenuta in contumacia dell’autore, perché quest’ultimo per ragioni professionali preferisce mantenersi riservato, ed a presentare il libro sono stati la sua buona amica Cristiana Muscardini, per l’occasione «portavoce» a suo stesso dire di De Bonnet, e il giornalista Andrea Vento, che assicura non essere Albert de Bonnet un nom de piume di Giuliano Tavaroli, pure atteso alla presentazione piacentina ma pure infine assente alla presentazione stessa.

    La storia di un gruppo di spie alle prese con la scomparsa di uno scienziato e alle prese con un virus modificato in Cina, questa la trama di ‘Operazione Pig’, è stata l’occasione per dibattere delle prospettive concrete di un mondo e una mentalità, quella occidentale, che mentre si interroga su quanto potrà fare la sua forza motrice ora che a guidarla vi sono Donald Trump ed Elon Musk ancora non ha capito cosa abbia generato il Covid, se e quanto i paletti posti alla ricerca scientifica in nome della tutela (nella fattispecie, l’alt di Barack Obama a certe ricerche sul suolo americano) non abbiano gettato le premesse per un assalto da Oriente, assalto che peraltro – nelle parole di Muscardini e Vento – si concretizza pressoché quotidianamente per il tramite di quella diaspora cinese che, di pari passo con l’ammissione di Pechino nel Wto nel fatale 2001, fa di ogni attività esercitata da cinesi espatriati un possibile veicolo di contagio della sicurezza e della prosperità economica altrui. La concretezza del pericolo, a fronte di quelle che sembrano esagerazioni più consone appunto a un thriller che alla vita quotidiana, è stata messa sotto gli occhi di tutti da un aneddoto e da alcuni dati raccontati da Muscardini: un imprenditore piacentino si è visto svuotare il conto in banca dopo aver portato a riparare il suo smartphone per una banale rottura del vetro dello schermo e a fronte dei pericolo di hackeraggio e infiltrazione telematica l’Italia ha impiegato i 750 milioni appositamente ricevuti dalla Ue per la cyberseecurity per creare un ufficio centrale a Roma con 7 persone e paghe da Quirinale (peraltro inferiori a quelle riconosciute ai collaboratori tecnici cui quell’ufficio affida in outsourcing i suoi compiti) mentre ha lasciato gli uffici locali della Polizia postale con organici ampiamente sottodimensionati rispetto alle necessità operative.

  • Putin indebolito

    A due anni e mezzo dall’inizio della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina appare purtroppo evidente che l’Ucraina non ha ottenuto tutti gli aiuti promessi, che quelli avuti sono arrivati con colpevoli ritardi, che tuttora non vi è via libera per utilizzare alcune armi e che, di conseguenza, la situazione diventi ogni giorno più insostenibile.

    La Russia continua a bombardare le abitazioni civili, le centrali energetiche, scuole ed ospedali prendendo sempre più di mira la capitale ucraina.

    Nel frattempo si attendono le elezioni americane, con le conseguenze che ne potrebbero derivare, e si assiste, impotenti, all’immobilismo europeo, fatti salvi alcuni paesi dell’est e del nord Europa, che si spreca in affermazioni di sostegno ma nel concreto dilaziona e prende tempo rendendo sempre più difficile la salvezza territoriale ucraina.

    Se la situazione ucraina è sempre più difficile vale la pena soffermarsi su quanto invece ha ottenuto Putin scatenando questa guerra e sacrificando centinaia di migliaia di soldati russi, immolati alla sua idea di potere.

    Se l’obiettivo di Putin era di conquistare in poco tempo l’Ucraina per russificarla, abbattere la sua classe politica, sostituendola con una di suo gradimento, rendere tutto il Paese uno stato satellite dipendente dalla grande Russia, Putin ha miseramente fallito. Al di là delle eventuali, piccole o meno, conquiste territoriali si è visto in modo inequivocabile che gli ucraini non accetteranno mai di essere russificati, su questo punto Putin ha perso.

    Se Putin voleva indebolire la Nato ha ottenuto il risultato opposto, come avevamo già scritto dopo poche settimane di guerra, la Nato è più forte e coesa di prima e gli stati della ex repubblica sovietica, salvo Slovacchia ed Ungheria, sono più che mai decisi a contrastare con ogni mezzo Putin ed hanno equipaggiamenti militari di grande potenza.

    L’operazione dello zar di tentare un ricompattamento militare ed economico con le ex repubbliche sovietiche si è rivelato un fallimento, il Kazakistan, per timore di diventare un bersaglio come l’Ucraina, viste le sue molte ricchezze e la presenza di una minoranza russa, guarda semmai alla Cina e comunque non vuole essere coinvolta da relazioni strette con il Cremlino. L’Azerbaijan ignora Mosca, l’Armenia, antico alleato di Mosca, si è sospesa dall’organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva che univa cinque delle ex repubbliche sovietiche, mentre Moldavia e Georgia, con il rischio dopo le recenti elezioni di gravi disordini, sono sempre più attirate verso l’Europa.

    La conclamata alleanza con la Cina sta rivelando risvolti poco simpatici per Putin che di fronte all’imperatore cinese non ha quella voce in capitolo che sperava ed ha ottenuto solo di vendere il suo gas senza altri significativi vantaggi economici o di prestigio, anzi perdendo sempre più peso internazionale rispetto al colosso cinese.

    Anche nei territori africani, dove la presenza russa con la Wagner, poi rinominata Africa Corps, era importante e aveva portato l’acquisizione di ricche concessioni e nuovi rapporti con le autorità locali, si sta sempre indebolendo il peso dello zar proprio perché cittadini e governi si sono resi conto di non aver tratto alcun beneficio dalla presenza russa.

    Ed è fallita anche l’aspettativa di minare i rapporti tra Stati Uniti, Francia e Germania creando un cuneo dentro l’Alleanza Atlantica.

    L’alleanza di Putin con la Corea del Nord, la presenza sul territorio russo ed ucraino di armi e militari nord coreani, testimonia come Putin, nella disperata ricerca di partner, in un mondo che sempre più lo ignora politicamente, sia disposto ad allearsi con i peggiori dittatori. D’altra parte un vecchio detto dice Chi si assomiglia si piglia e ancora Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei e più dittatore di Putin, che uccide e fa suicidare i suoi avversari, in patria, in galera e all’estero, c’è giusto Kim Jong-un, un’amicizia che ha bisogno di altro sangue per essere sancita definitivamente.

    Comunque finisca, quando finirà, la guerra, Putin non sarà mai il vincitore né a livello locale né internazionale, la sua smodata sete di potere ha scavato la fossa alla Russia e ci vorranno anni per ricucire il baratro che la guerra ha scavato fisicamente e psicologicamente tra popoli che avrebbero potuto vivere in pace nel reciproco rispetto.

    Fatte queste brevi e certamente non complete osservazioni ci troviamo davanti ad una realtà che in divenire è sempre più preoccupante per la follia sia di coloro che non hanno la capacità, la volontà di porre un limite alla loro smania di potere che di coloro che non possono fermarsi se vogliono avere una possibilità di garantire la sopravvivenza del loro popolo.

    Se a questo aggiungiamo le follie di chi pensa con la tecnologia di appropriarsi del mondo e di sostituire gli essere umani con le macchine vediamo bene come ogni giorno porti nuove paure ed insicurezze che si manifestano anche nella confusione mentale, e conseguente violenza, di tanti adolescenti, ma questo non sembra colpire più di tanto la coscienza collettiva o la politica.

  • Impianti di stoccaggio del gas dell’UE pieni al 95% prima del 1° novembre

    Durante la crisi energetica, gli Stati membri dell’UE hanno deciso di fissare un obiettivo giuridicamente vincolante per riempire gli impianti di stoccaggio del gas al 90% della capacità entro il 1° novembre di ogni anno, allo scopo di garantire una sicurezza sufficiente dell’approvvigionamento e la stabilità del mercato nei mesi invernali. Secondo gli ultimi dati ora pubblicati da Gas Infrastructure Europe, in vista della scadenza, l’attuale livello di stoccaggio del gas dell’UE è superiore al 95%. In questo momento nell’UE sono infatti stoccati circa 100 miliardi di metri cubi di gas, pari a quasi un terzo del nostro consumo annuo.

    Il regolamento sullo stoccaggio del gas del giugno 2022 stabilisce l’obiettivo vincolante dell’UE di riempire al 90% gli impianti di stoccaggio entro il 1° novembre di ogni anno, con obiettivi intermedi per i paesi dell’UE al fine di garantire un riempimento costante durante tutti i 12 mesi. Il regolamento rientra in un’ampia gamma di misure adottate dall’UE a seguito della crisi energetica innescata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, miranti a preparare meglio il sistema energetico europeo alla stagione invernale.

  • Fatti che smentiscono verità di parte

    I fatti sono la realtà che smentisce ogni presunta verità di parte.

    La Russia ha aggredito l’Ucraina, bombardato scuole, ospedali, abitazioni civili, supermercati, compiuto  stragi come quella di Bucha, messo in pericolo centrali nucleari e colpito quelle elettriche condannando al buio ed al gelo centinaia di migliaia, milioni di civili, compresi bambini ed anziani.

    La Russia ha deportato migliaia  di bambini strappandoli alle loro case, ai loro genitori e parenti, per cercare di snaturare la loro cultura e vita e trasformarli in russi.

    La Russia aveva stretto un accordo con la Cina, tramite la maggiore esportazione di gas, già nel 2021, prima dell’inizio dell’invasione, accordo che le consente oggi di utilizzare la tecnologia e  i molteplici componenti dell’industria cinese per proseguire nella sua sciagurata guerra contro l’Ucraina.

    La Russia ha stretto un’alleanza con un despota folle, nelle sue minacce ed azioni guerrafondaie, come Kim Jong-un e grazie a questo accordo la Corea del Nord ha alzato pericolosamente le sue minacce contro la Corea del  Sud ed inviato migliaia di suoi soldati e di armamenti per combattere contro l’Ucraina. E sempre la Russia ottiene da tempo armi dall’Iran.

    La Russia, tramite la Wagner, e il presunto defunto Prigozin, si è impossessata di importanti giacimenti e ricchezze in vari paesi africani.

    La Russia manovra e minaccia contro gli Stati suoi vicini, incarcera i cittadini dissidenti, fa sopprimere gli oppositori al regime, sia in patria che all’estero.

    La Russia usa hacker per destabilizzare paesi democratici.

    La Russia vuole creare un nuovo ordine mondiale nel quale avere un posto predominante.

    La Russia ha commesso molti più crimini di quelli che abbiamo elencato e continua a commetterli pur essendo nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sbeffeggiando gli stessi principi per i quali l’organizzazione è nata.

    Abbiamo detto la Russia ma non è vero, non è vero perché è Putin il fautore, la mente malvagia che ha architettato tutto questo, ed altro ancora, mentre il popolo russo è mandato come carne da cannone a combattere, mentre i russi sono tenuti all’oscuro di quanto sta realmente avvenendo con l’involontaria complicità di quanti, non solo in occidente, non riescono a contrastare lo zar, almeno con la stessa controinformazione da lui usata contro tutti coloro che non sono suoi alleati.

    Le parole di Rutte, il nuovo segretario della Nato, parole chiare e coraggiose, speriamo servono a rendere meno miopi quei leader politici che nel passato antico e recente non hanno saputo agire per prevedere ed evitare tante sofferenze e quei pericoli che oggi sono sempre più incombenti, le armi a Kiev non possono aspettare e devono poter essere usate come è necessario senza alcun tipo di restrizione e la diplomazia, se ancora esiste, cominci ad agire su tutti i fronti.

  • Il Ciad arresta due influencer russi

    Il sociologo russo Maksim Shugalej ed il suo collaboratore Samer Sueifan, vicini al leader defunto dell’ex gruppo paramilitare Wagner Evgenij Prigozhin, sono stati arrestati in Ciad in compagnia di E. Tsaryov, uomo del quale è nota solo l’iniziale. Lo ha riferito il ministero degli Esteri russo, affermando di essere “in stretto contatto” con le autorità di N’Djamena e di aver adottato tutte le “misure necessarie nell’interesse del loro rapido rilascio”. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa russa “Ria Novosti”, i tre sono stati trattenuti lo scorso 19 settembre al loro arrivo all’aeroporto di N’Djamena, quando i servizi di sicurezza ciadiani hanno rifiutato il loro ingresso. Il ministero degli Esteri russo ha aggiunto che un cittadino bielorusso era stato arrestato insieme ai tre uomini russi in Ciad, e lo ha identificato come A. Denisevich.

    Amico intimo di Prighozin – morto nell’agosto 2023 nello schianto di un aereo dopo una tentata rivolta contro il Cremlino – Shugaley è considerato “l’uomo di Mosca” in Africa. Inizia la sua carriera come sociologo e consulente politico di alto livello a San Pietroburgo prima di essere nominato a capo della rete russa di Wagner in Africa, con responsabilità legate in particolare alla gestione delle risorse minerarie. Soggetto a sanzioni dell’Unione europea dal 25 febbraio del 2023, viene ritenuto un contributore importante delle attività di propaganda e disinformazione del gruppo Wagner (ora rinominato Africa Corps). Viene notato in Ciad già in due occasioni: la prima come “osservatore” elettorale e sostenitore del leader Mahamat Deby alle presidenziali dello scorso marzo, la seconda quest’estate in occasione dell’inaugurazione della “Casa russa”, sorta di centro culturale russo nel Paese africano.

    All’inizio del 2019 Shugalev viene inviato in Libia alla guida di un team di sociologi con l’idea di redigere un rapporto da presentare in occasione del Forum economico Russia-Africa di Sochi, in agenda nell’ottobre dello stesso anno. Tuttavia, a maggio del 2019 Shugaley e Sueifan – che ugualmente partecipa alla missione – vengono rapiti a Tripoli con l’accusa di aver tentato di influenzare lo svolgimento delle future elezioni, accuse smentite da parte russa. Consegnati alle Forze di deterrenza speciale (Rada), potente milizia libica affiliata al Consiglio presidenziale e specializzata nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, saranno rilasciati solo il 10 marzo del 2020 dopo mesi di ostaggio nelle prigioni di Mitiga, controllate dai rapitori.

    Shugaley viene ritenuto un ingranaggio determinante della propaganda russa in Africa anche per l’attività esercitata nel quadro dell’Associazione per la libera ricerca e la cooperazione internazionale (Afric), organizzazione soggetta a sanzioni da parte del Tesoro statunitense per l’acclarato ruolo di società di copertura per le operazioni di influenza di Prigozhin “tramite false missioni di monitoraggio elettorale in Zimbabwe, Madagascar, Repubblica democratica del Congo, Sudafrica e Mozambico”. Il ruolo di “influencer” politico di Shugaley vede il sociologo attivo anche in Repubblica Centrafricana, altro territorio dove il gruppo Wagner ha una solida presenza. In occasione delle elezioni presidenziali del dicembre del 2020, quando il presidente uscente Faustin-Archange Touadera fu rieletto al primo turno, per le strade di Bangui campeggiarono manifesti a suo nome nei quali venivano promossi sondaggi in base ai quali la rielezione di Touadera veniva data per certa (“oltre il 98 per cento” delle preferenze) e con la richiesta di arrestare “i banditi della Cpc” – la Coalizione dei patrioti per il cambiamento, unione di gruppi armati formata nel 2020 per impedire la rielezione di Touadera – voluta dall’87,5 per cento dei presunti intervistati.

  • Russia e Cina sono amici, ma in Africa sono concorrenti

    La guerra in Ucraina sta ridisegnando le alleanze internazionali e anche quelle in Africa. Cina e Russia, per diversi motivi, stanno portando avanti le rispettive marce di “conquista” del continente africano, con interessi diversi e per taluni aspetti divergenti, anche se hanno in comune un medesimo tratto: né Mosca né Pechino chiedono principi di condizionalità ai partner africani. Ma il capitale che può offrire la Cina non è certo nelle disponibilità della Russia.

    Non è un caso che il commercio sino-africano abbia superato i 2mila miliardi di dollari nell’ultimo decennio e la Cina è rimasta il principale partner commerciale dell’Africa. Nel 2022 i nuovi investimenti diretti della Cina in Africa sono stati pari a 3,4 miliardi di dollari. Sembra, quasi, che la Cina lasci al suo partner russo in Africa solo le briciole.

    L’approccio che Pechino e Mosca riservano all’Africa, poi, è molto diverso. L’azione russa si è sempre rivolta a Paesi ad alto rischio come il Sudan, il Mozambico, parte del Sahel – Mali e Burkina Faso in testa – nella Repubblica Centrafricana, nel Nord, in Libia in particolare, in buona sostanza dove, inoltre, vi è una forte presenza jihadista. L’offerta russa si basa su un approccio securitario attraverso la Compagnia di mercenari Wagner che combattono a fianco degli eserciti regolari, come nel Sahel, o a supporto di milizie. E, poi, attraverso la fornitura di equipaggiamenti militari. Questa è un’arma di penetrazione che consente a Mosca di fare crescere la sua influenza. È stato evidente nel Sahel, in particolare in Mali, dove è riuscita, in pochissimo tempo, a sostituire l’influenza francese con la sua, anche grazie a un’azione di propaganda, attraverso i social, che ha fatto crescere il sentimento anti-francese e avvicinato le opinioni pubbliche alle sue posizioni. Le bandiere russe hanno sventolato nelle piazze di Bamako.

    L’azione della Cina, invece, è capillare e diffusa ovunque. I numeri dell’interscambio e degli investimenti diretti lo dimostrano, anche se il rapporto rimane squilibrato e a favore del dragone che sembra inamovibile dal divano africano. L’obiettivo, tuttavia, della Cina è quello di portare le importazioni cinesi dal continente africano a 100 miliardi di dollari per arrivare a 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035. Tutto ciò dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che Mosca non ha nemmeno lontanamente la capacità di influenza politica ed economica che, invece, la Cina esercita in Africa.

    Anche per queste ragioni Mosca e Pechino rimangono competitor e non partner nel continente. Ma c’è un ‘ma’, come sempre. Se l’Africa ha bisogno della Cina – sono in molti gli analisti che pensano sia in atto una nuova colonizzazione da parte di Pechino – la Russia ha bisogno dell’Africa. Ha detto Marco di Liddo, direttore del Centro Studi Internazionali: «A Mosca servirà il supporto africano. Per due motivi: il primo perché deve trovare nuovi partner, nuove fonti di approvvigionamento, e nuovi mercati alternativi a quello europeo. In secondo luogo perché il sogno della Russia è quello di rafforzare il suo ruolo di gigante minerario per cercare poi di militarizzare le risorse, sviluppando tecnologia bellica. Questa è una partita che non va sottovalutata, cruciale anche per il nostro futuro, perché l’Europa è molto fragile, e rischia di perdere terreno di influenza in Africa, con le sue risorse sempre più contese strategicamente».

  • Sostenere Kiev con tutto quello che occorre

    Se su Kiev arrivano i missili russi, è bene che a Kiev siano mandati i missili occidentali per colpire i depositi di armi in Russia.

    Come sempre, l’Europa e gli Stati Uniti si rimpallano la decisione sull’invio di armi a Kiev e sull’utilizzo di queste armi anche in territorio russo, al fine di poter minare l’avanzata delle truppe di Putin e la continua distruzione di abitazioni civili in Ucraina. Dall’altro canto Putin a metà settembre ha firmato un decreto per aumentare il numero dei militari, che ora arrivano a 1,5 milioni di unità. Intanto continuano gli attacchi alle centrali ucraine per infiacchire sempre più la popolazione, da tempo ormai periodicamente privata di riscaldamento e/o di luce. Basti ricordare, ad esempio, gli attacchi di droni russi agli impianti di Sumy.

    Sono inoltre frequenti i sorvoli da parte di aerei russi nei cieli di Paesi Nato, salvo poi ritirarsi rapidamente. Si tratta di operazioni mirate a testare l’allerta dei Paesi europei.

    Putin insiste a bombardare palazzi residenziali, facendo morti e feriti, ma inorridisce se i droni ucraini, finalmente, riescono a colpire i suoi depositi di armi. Secondo Kiev, la Russia sta preparando attacchi alle centrali nucleari ucraine e molti sembrano aver dimenticato che Mosca ha sequestrato da ormai molto tempo una centrale atomica in Europa, ricattando così il mondo intero.

    Intanto tra le vittime continuano ad annoverarsi bambini e i missili balistici russi continuano a essere lanciati anche sul porto di Odessa. Kramatorsk come vari villaggi nella regione di Kherson sono stati ulteriormente presi di mira.

    Ancora: il cannibale di Volgograd, condannato per omicidio e cannibalismo e poi graziato dal presidente russo e mandato a combattere in Ucraina è tornato nella sua città, in convalescenza. Molti russi sono preoccupati per il ritorno a casa di vari criminali graziati dal Cremlino purché andassero a combattere al fronte. Le notizie, si sa, arrivano frammentate ma pare che oltre 50 russi siano morti per mano di questi delinquenti arruolati come soldati una volta che hanno potuto fare ritorno dal fronte alle proprie abitazioni.

    Il 22 settembre sembra che il supermissile russo Sarmat sia esploso nel suo sito di lancio e che questo tipo di esplosioni sia già avvenuto in altre occasioni. Questo lascia sperare che le tanto minacciate superarmi di Putin non siano sempre così efficienti come lui afferma.

    Resta il fatto che Putin utilizza armi che gli arrivano dai suoi sanguinari alleati, dall’Iran e dalla Corea del Nord ma la Cina cosa fa veramente?
    Anche se il Consiglio europeo continua a sostenere in modo risoluto l’indipendenza, integrità e sovranità dell’Ucraina mentre i confini riconosciuti a livello internazionale, lo zar del Cremlino aumenta l’escalation della sua aggressione, in spregio alle nuove sanzioni adottate dalle Ue verso Bielorussia, Iran e Corea del Nord quale risposta al loro sostegno a Putin. Le sanzioni comunque non sembrano per ora essere quel deterrente risolutivo che si sperava, anche perché molti continuano a praticare esportazioni tramite triangolazioni e questo la dice lunga sulla moralità e correttezza di molti paesi

    I mass media, almeno in Italia, hanno ridotto molto la copertura informativa su quanto sta avvenendo in Ucraina, ma è bene che ciascuno di noi cerchi di informarsi il più possibile perché la scellerata determinazione di Putin di proseguire in questa guerra sanguinosa, che ha portato ad autentici massacri e stragi di civili (bimbi inclusi), resta una minaccia per tutti noi e non è il momento di tentennamenti o indifferenza.

    Salvini e Orban, una parte del Pd e il M5s per parte loro continuano a parlare della necessità di fermare la guerra senza indicare proposta diversa dalla resa dell’Ucraina e della sua conquista da parte di Putin.

    A chi parla di pace dovrebbe essere chiesto di presentare progetti concreti, non a scapito degli ucraini; a chi parla di diplomazia va ricordato che ad oggi, purtroppo, le feluche non sono state in grado di imbastire con Putin neppure l’avvio di una trattativa. A chi vuole seriamente la pace non resta che la strada di sostenere Kiev con tutto quello che occorre, sia per riconquistare il proprio territorio, invaso dai russi, che per garantire alla popolazione civile il massimo della sicurezza e quei sistemi energetici necessari per poter affrontare l’inverno.

  • Benefici e conseguenze di un’alleanza

    L’uomo non può prendere due sentieri alla volta.

    Proverbio africano

    I rapporti di amicizia, di collaborazione e di reciproco sostegno tra la Russia e la Serbia risalgono al medioevo. La Russia offrì rifugio ai tanti serbi che sono stati costretti a lasciare il loro paese dopo l’invasione dell’Impero ottomano nel XV secolo. Da documenti storici risulta che la nonna materna del primo zar di Russia, Ivan IV, noto anche come Ivan il Terribile (1530 – 1584), era la principesssa Anna di Serbia. I rapporti di comune amicizia tra la Russia e la Serbia sono stati in seguito ufficializzati più di due secoli fa, nel 1816, con la decisione di stabilire delle relazioni diplomatiche tra l’Impero russo ed il Principato di Serbia. I legami tra le due nazioni hanno avuto come fondamenta anche la comune appartenenza alle popolazioni slave e alle Chiese ortodosse orientali. Nonostante la forma dell’organizzazione statale, nel corso degli anni i due Paesi hanno firmato anche molti trattati e protocolli bilaterali. Ma nel corso degli anni, e soprattutto subito dopo la seconda guerra mondiale, i rapporti tra l’allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e la Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia sono stati tutt’altro che buoni. Tutto dovuto alle scelte del maresciallo Tito, capo del governo jugoslavo. Lui, a partire dal 1948, scelse di allontanarsi dall’Unione Sovietica e di costituire, nel 1956, il Movimento dei Paesi non Allineati, insieme con l’India e l’Egitto. Ma dopo la morte di Tito, i rapporti tra i due Paesi ritornarono ad essere buoni ed amichevoli come prima. Dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia all’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso, la Serbia dal 1992, essendo diventata ufficialmente la Repubblica di Serbia, ristabilì quei rapporti con la Russia. Rapporti che da allora ad oggi sono stati consolidati nell’ambito di una ritrovata alleanza tra i due Paesi. Con i dovuti benefici e le derivanti conseguenze. Soprattutto per la Serbia.

    Il 17 dicembre 2023 in Serbia si sono state le elezioni per rinnovare l’Assemblea nazionale, il Parlamento serbo. Elezioni che sono state vinte, con una maggioranza assoluta, dalla coalizione capeggiata dal Partito Progressista Serbo dell’attuale presidente della Repubblica. Subito dopo le opposizioni hanno contestato il risultato delle elezioni, scendendo in piazza a protestare, accusando di brogli e manipolazioni. Ci sono voluti circa cinque mesi prima che il nuovo governo si potesse insediare il 1o maggio scorso. Tra i membri del nuovo governo figurano anche due persone molto note per gli ottimi rapporti con la Russia. Si tratta dell’ex capo dell’Agenzia per le Informazioni sulla Sicurezza della Serbia, attualmente vice primo ministro, ed un proprietario di diverse aziende serbe con sede in Russia. Tutti e due però, dal 2023, sono delle persone sanzionate dal Dipartimento di Stato statunitense. Il vice primo ministro è stato accusato di coinvolgimento nel traffico di armi e di sostanze narcotiche, di abuso d’ufficio durante la sua attività pubblica, nonché per il suo contributo alla diffusione dell’influenza della Russia nella regione dei Balcani.

    Ebbene, proprio l’attuale vice primo ministro della Serbia, il 4 settembre scorso, è andato in Russia e ha avuto un incontro molto cordiale con il presidente russo. L’incontro è avvenuto nella città porto di Vladivostok, che si trova nell’estremo oriente russo, vicino al confine sia con la Cina che con la Corea del Nord. L’occasione era lo svolgimento del Forum economico orientale, organizzato dal 3 al 6 settembre scorso presso il Campus dell’Università federale di Vladivostok. Era la seconda visita ufficiale del vice primo ministro serbo in Russia dal maggio scorso, quando lui ha avuto quell’incarico istituzionale. “È un grande onore per me che ho il privilegio di parlare con lei. […] La prego di credermi quando le dico che è un grande incoraggiamento per tutti i serbi, ovunque essi siano”, ha detto il vice primo ministro serbo al presidente russo all’inizio del loro incontro, come confermano le fonti ufficiali di stampa.

    Sempre riferendosi alle fonti ufficiali di stampa, risulta che durante il loro incontro il vice primo ministro serbo abbia assicurato il presidente russo sull’amicizia che lega i due Paesi e sulla loro alleanza multidimensionale. Bisogna sottolineare però che il 29 aprile 2008 la Serbia ha firmato l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea. Un Accordo, quello, che è entrato in vigore il 1° settembre 2013. Il 1° marzo 2012 il Consiglio europeo ha deciso di dare alla Serbia lo status del Paese candidato all’adesione all’Unione. Mentre, durante la riunione del 28 giugno 2013, il Consiglio europeo ha approvato l’inizio dei negoziati d’adesione della Serbia all’Unione europea. Negoziati che sono stati avviati il 21 gennaio 2014. Ragion per cui la Serbia ha assunto ufficialmente, tra l’altro, anche l’obbligo di aderire alle sanzioni poste ad un determinato Paese da parte dell’Unione europea. Come nel caso della Russia dopo l’inizio, il 24 febbraio 2022, dell’aggressione contro l’Ucraina. Bisogna sottolineare che tutti i Paesi membri dell’Unione europea, compresi anche i Paesi che sono in fase di adesione all’Unione, hanno aderito a tutte le sanzioni poste alla Russia da parte dell’Unione europea. Tutti, tranne la Serbia.

    Durante il sopracitato incontro tra il vice primo ministro serbo e il presidente russo il 4 settembre  scorso a Vladivostok, l’ospite ha garantito, tra l’altro, all’anfitrione che “…la Serbia guidata da Aleksandar Vučić (presidente della Serbia; n.d.a.) è una Serbia la quale non diventerà mai un membro della NATO, non imporrà mai sanzioni alla Federazione Russa e non permetterà mai che il suo territorio venga usato per qualsiasi azione anti-russa”. Il vice primo ministro serbo ha confermato al presidente russo che lui, come il presidente serbo, è convinto che “…le sanzioni contro la Russia danneggerebbero gli interessi  nazionali della Serbia”. In più l’ospite serbo ha confermato al presidente russo che “…la Serbia non è solo un partner strategico della Russia. La Serbia è anche un alleato della Russia. E questa è la ragione per cui la pressione dell’Occidente contro di noi è [così] grande”.

    Subito dopo l’incontro tra il vice primo ministro serbo e il presidente russo, il 4 settembre scorso a Vladivostok in Russia, sono arrivate anche le reazioni ufficiali dall’Unione europea. Il portavoce del Servizio europeo d’azione esterna ha dichiarato: “Ci aspettiamo che la Serbia si astenga dall’intensificare i rapporti e i contatti con la Russia. […]. Tutti i membri del governo serbo rispettino gli impegni che la Serbia si è assunta volontariamente nel processo di adesione all’Ue, compreso l’allineamento con le decisioni e le azioni di politica estera dell’Unione. Mantenere relazioni forti o, addirittura, rafforzarle con la Russia durante la sua aggressione illegale contro il popolo ucraino non è compatibile con i valori dell’Unione europea e con il processo di adesione all’Unione”. Il portavoce ha aggiunto che le istituzioni dell’Unione notano con preoccupazione le azioni e le dichiarazioni del vice primo ministro serbo. In più lui ha definito “…abbastanza indicativo quanto spesso [il vice primo ministro serbo] sia a Mosca e quanto raramente sia invitato nell’Unione Europea”. Un fatto quello che “…va contro l’obiettivo dichiarato della Serbia di aderire all’Unione”.

    Chi scrive queste righe trova veramente incoerente e contraddittorio l’atteggiamento della Serbia. Un paese che, firmando l’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione europea, ha assunto volontariamente anche tutti i derivanti obblighi. Obblighi però che consapevolmente ha ignorato quando si tratta dei rapporti con la Russia. Ma anche dei suoi interessi. Si tratta proprio di benefici e di conseguenze di un’alleanza. L’uomo non può prendere due sentieri alla volta. Così recita un proverbio africano. E neanche un Paese può farlo. Come cerca di fare la Serbia.

  • Guerre lunghe e mercanti di armi

    La capacità di Kiev di penetrare in territorio russo, anche se sfiancata da più di due anni di una guerra condotta da Putin con particolare durezza ed efferatezza, dimostra inequivocabilmente la fermezza degli ucraini nel voler difendere la loro terra e gli errori dei loro alleati che non hanno fornito prima armi sufficienti ad impedire l’avanzata russa.
    Se l’Ucraina avesse avuto per tempo le armi di cui ora dispone i russi non sarebbero avanzati così tanto come hanno potuto fare per l’impossibilità degli ucraini di potersi difendere con mezzi adeguati.
    Coloro che vogliono sinceramente la pace vogliono il rispetto del diritto internazionale e della sovranità degli Stati e  per questo sanno che se una nazione si deve difendere da un aggressione l’unica strada per contenere le vittime ed i danni è dare risposte forti ed immediate.
    Chi crede nella pace sa che è meglio una battaglia breve e violenta, che porti ad un accordo, mentre invece le guerre che si trascinano portano migliaia di morti in più, distruzione di interi territori non solo per gli edifici rasi al suolo ma per la contaminazione del terreno causata dai tanti ordigni bellici esplosi ed abbandonati
    Le guerre lunghe portano a ferite profonde che per molti sarà difficile rimarginare anche negli anni, le guerre lunghe giovano solo ai mercanti di armi, a certe contorte visioni politiche, spesso portano a sconfitte dolorose.
    Putin, come tutti i dittatori, vede in una guerra lunga la possibilità di far vincere la forza numerica del colosso che governa, un colosso però che sempre più ha bisogno di alleanze sporche per incrementare la propria macchina bellica con nuovi strumenti di morte.
    È stato un grave errore degli alleati dell’Ucraina non aver ascoltato subito le richieste di Zelenskiy, più armi date nell’immediatezza dell’invasione avrebbero portato meno morti, stragi, sofferenze, distruzioni e Putin sarebbe stato costretto prima a finire il massacro che ha iniziato.
    I veri guerrafondai, dittatori e non, sono coloro che trascinano le guerre nel tempo e arricchiscono i fabbricanti di armi e gli speculatori.
    Se vogliamo la pace giusta diamo all’Ucraina quanto le serve ancora e impegniamo quelle diplomazie che fino ad ora sono state inconcludenti o assenti per motivi di incapacità o di bieco interesse.

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