Russia

  • Vladimir Putin sta adescando l’Africa

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ‘ItaliaOggi’ l’8 aprile 2023

    Si intensificano le relazioni della Russia con l’Africa, perciò riteniamo che nei rapporti con i Paesi africani l’Italia e l’Ue dovrebbero mantenere un approccio sobrio e realistico, senza cedere alla tentazione di credere troppo alle narrazioni dell’Occidente sugli andamenti geopolitici planetari. Le loro priorità sono l’anticolonialismo, l’indipendenza e lo sviluppo del continente in un mondo multipolare.

    Basti riflettere sui risultati del meeting «Russia Africa Parliamentary Conference» sul tema di un mondo multipolare, tenutosi a Mosca il 19-20 marzo, cui hanno partecipato parlamentari di 40 Stati africani. Si tratta di uno degli incontri preparatori per il secondo «Summit Russia-Africa» dei capi di Stato e di governo già fissato il 28-29 giugno a San Pietroburgo. Le delegazioni africane a Mosca erano più delle 36 che nel 2019 avevano partecipato al primo Summit di Sochi.

    Prevedibile l’affondo politico del presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, che ha denunciato «Washington e Bruxelles di voler controllare le risorse naturali della Russia e dell’Africa, con tutti gli strumenti possibili, anche con la forza».

    Sebbene in quei giorni fosse impegnato negli incontri con il presidente cinese Xi Jinping in visita a Mosca, Vladimir Putin ha parlato alla conferenza. Il presidente russo ha affermato che i rapporti con i paesi africani sono una priorità di Mosca. Ha ricordato l’appoggio dell’Urss nella lotta per l’indipendenza contro il colonialismo e per la cooperazione economica nel continente. Sebbene oggi i paesi africani rappresentino soltanto il 3% del pil mondiale, Putin ha detto che con un miliardo e mezzo di abitanti e un terzo di tutte le riserve minerarie del globo essi naturalmente saranno leader del nuovo ordine multipolare globale.

    Ha evidenziato che lo scorso anno il commercio è cresciuto fino a 18 miliardi di dollari e che Mosca ha cancellato vecchi debiti dei paesi africani per oltre 20 miliardi. Ha anche offerto la possibilità di una collaborazione tra l’Unione economica eurasiatica e l’Area continentale africana di libero scambio creata nel 2021.

    Il presidente russo si è impegnato a mantenere le forniture di cibo, di fertilizzanti e di energia verso l’Africa e a prolungare di 60 giorni l’accordo sul grano fatto a Istanbul per far transitare i prodotti agricoli ucraini attraverso il Mar Nero. Dopo tale periodo la Russia sarebbe pronta a mandare, a titolo gratuito, la stessa quantità di grano inviato in Africa nei mesi passati. Ha poi lanciato una provocazione: «Del totale di grano esportato dall’Ucraina, circa il 45% è andato ai paesi europei e solo il 3% all’Africa».

    Propaganda russa? Speriamo si possa dimostrare, poiché le convinzioni africane non sono quelle dell’Occidente.

    Dopo aver detto che circa 27.000 studenti africani frequentano le università russe, ha aggiunto che il personale militare di oltre 20 paesi africani si perfeziona nelle università del ministero della Difesa russo, i rapporti si sono fatti molto intensi, un po’ in tutti i campi, anche in quello delle nuove tecnologie. Il 13-14 aprile prossimi si terrà a Mosca il forum Russia – Africa sulle tecnologie digitali e governi e imprese private discuteranno su come realizzare la digitalizzazione nei settori della pubblica amministrazione, dell’economia, dell’educazione e della sanità.

    Un ruolo importante di battistrada della cooperazione continentale africana lo svolge il Sudafrica, membro del gruppo Brics. In un incontro tra rappresentati governativi russi e sudafricani si è convenuto di promuovere la creazione di una Brics geological platform che mapperà i territori per individuare nuovi depositi di minerali.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • L'”arte” della guerra

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    La guerra, qualsiasi guerra, presenta un aspetto relativo alla battaglia territoriale ed un altro contemporaneo giocato nell’articolato contesto diplomatico al quale aggiungere nella contemporaneità della nostra società anche l’aspetto mediatico.

    Il successo in una guerra, quindi, necessita ovviamente di una superiorità militare espressa con una capacità strategica vincente, ma anche di una parallela visione diplomatica attraverso la quale trovare delle soluzioni politiche per un cessate il fuoco, senza dimenticare l’obiettivo di isolare quanto più possibile il nemico che si intende abbattere.

    La Grande Alleanza nata tra Stati Uniti, Gran Bretagna ed Unione Sovietica aveva l’obiettivo, per altro perfettamente riuscito, di isolare la Germania nazista e quindi porre le basi militari, politiche e diplomatiche finalizzate alla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale.

    L’amministrazione Biden, già prima dell’inizio della guerra russo-ucraina avviata da Putin, decise scientemente di annullare le alleanze che la precedente amministrazione Trump aveva definito, come l’accordo tra gli Stati Uniti con l’Arabia Saudita. Un’intesa di carattere politico ed economico con vicendevoli opportunità per i due contraenti che aveva assicurato il mantenimento del pezzo del petrolio a 60 dollari grazie proprio all’alleanza tra il primo produttore di petrolio al mondo, cioè gli Stati Uniti, con la prima nazione per riserve petrolifere, cioè la sunnita Arabia Saudita. Contemporaneamente l’intero mondo occidentale vedeva il potere dell’Opec, con la sua politica ricattatoria, ridimensionato come mai in precedenza.

    L’apertura, invece, dell’amministrazione Biden allo storico nemico sciita, l’Iran, fu giustamente vissuta come un tradimento da parte dell’Arabia Saudita la quale, in più occasioni, ha dimostrato il proprio risentimento appoggiando senza esitazione le politiche restrittive relative alle estrazioni di petrolio da parte dell’Opec.

    Una apertura americana che ha visto ovviamente l’appoggio dell’Unione Europea, da sempre incapace di elaborare una propria politica estera e che ha determinato, in più, il beffardo appoggio tecnologico e militare dello stesso Iran alla Russia di Putin, quindi contro gli stessi Stati Uniti ed Unione Europea.

    L’annuncio di questi giorni della ulteriore riduzione delle estrazioni di petrolio di oltre un milione di barili di petrolio rappresenta l’ennesima conferma della sempre più evidente contrapposizione tra il mondo occidentale con i paesi esportatori di petrolio a causa proprio della politica estera dell’amministrazione Biden.

    La situazione risulta talmente problematica che i nemici di sempre, Iran e Arabia Saudita, sotto l’egida della Cina (*), hanno ora addirittura raggiunto un primo storico accordo tra le due declinazioni della religione araba da sempre in guerra, cioè sciita e sunnita, compattando il fronte economico e politico che si contrappone nella complessa guerra russo-ucraina.

    Emerge evidente come, diversamente dalla vittoriosa strategia della Seconda Guerra Mondiale, la quale ha unito mondi politici ed istituzionali diversi come Stati Uniti Gran Bretagna ed Unione Sovietica, la contemporanea strategia americana, della NATO e della stessa Unione Europea tenda sempre più a non solare il nemico dichiarato, cioè la Russia di Putin, quanto a fortificare le alleanze tra Cina, Russia e mondo arabo.

    La supremazia militare mondiale degli Stati Uniti, quando non viene supportata da una adeguata politica estera e diplomatica, si riduce alla semplice esposizione dei primati militari e tecnologici. Traguardi i quali, tuttavia, perdono ogni effetto “deterrente” a favore dell’efficacia complessiva di una visione strategica politica, militare e diplomatica delle quali l’attuale amministrazione Biden, come la stessa Unione Europea, sembrano esserne assolutamente deficitarie.

    (*) La Cina acquisisce una nuova centralità nella geopolitica mondiale proprio in ragione degli errori statunitensi.

  • L’amore di una figlia strappata al papà che aveva condannato l’attacco di Putin all’Ucraina

    «Tutto andrà bene e torneremo insieme. Sappi che vinceremo, che la vittoria sarà nostra, indipendentemente da quello che accade…”. E’ un breve stralcio della lettera che Masha Moskaleva, ragazzina russa di 13 anni, ha scritto a suo padre condannato il 28 marzo a due anni di carcere per aver postato commenti contro la guerra scatena da Putin in Ucraina, e fuggito il giorno prima dagli arresti domiciliari. Quella di Masha e suo padre è una storia di dolore e di grande amore cominciata l’anno scorso quando suo papà, Alexei Moskaley, sui social aveva espresso forte disappunto per l’offensiva di Mosca e la bimba, a scuola, aveva fatto un disegno contro la guerra. E’ iniziata così la tremenda persecuzione, durata mesi, nei confronti di padre e figlia fatta di arresti e interrogatori durante i quali l’uomo è stato anche picchiato.

    Un tribunale russo, dopo un processo lampo, ha condannato al carcere Moskaley mentre la ragazzina, mandata dapprima in orfanotrofio in una località sconosciuta, è stata successivamente internata in una struttura «per la riabilitazione sociale».  Alexei Moskaley è fuggito dagli arresti domiciliari ai quali era già sottoposto, togliendosi anche il braccialetto elettronico e diventando di fatto latitante per sfuggire a un caso giudiziario costruito ad arte contro di lui. La difesa ha annunciato che farà appello contro il verdetto del tribunale e Masha rimarrà per il momento nella struttura statale russa dove potrebbe restare ancora a lungo per poi essere trasferita in un orfanotrofio, dopo che sarà quasi sicuramente tolta la custodia al genitore. La piccola sta però dimostrando grande forza come si evince dalle parole della lettera che scrive a suo padre: «Non arrenderti. Abbi fiducia. Tutto andrà bene e torneremo insieme. Sappi che vinceremo». «Voglio che tu non ti preoccupi. Io sto bene. Ti voglio molto bene e so che non hai alcuna colpa per nulla. Ti sosterrò sempre e qualunque cosa tu faccia va bene». Un messaggio di amore e speranza, quella della figlia per il padre, che conclude: «Tutto andrà bene e torneremo insieme. Sappi che vinceremo, che la vittoria sarà nostra, indipendentemente da quello che accade… Siamo insieme, siamo una squadra, sei il migliore. Sei forte, siamo forti, persevereremo. Sono orgogliosa di te. Non voglio scrivere di come sto, di che umore sono, non voglio darti pensieri, ma capisco che la verità amara è meglio di una dolce bugia. Ma non preoccuparti, ci vedremo e ti dirò tutto».

  • Helsinki ha avviato la costruzione del muro con la Russia

    La data del 24 febbraio 2022 è uno spartiacque da cui non si tornerà indietro facilmente. Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ripete spesso i concetti ma al summit delle nazioni nordiche – organizzato quest’anno a Helsinki – ha voluto essere di una chiarezza cristallina: «Nemmeno la fine della guerra in Ucraina – ha avvertito – prevede un ritorno alla normalità nelle relazioni con la Russia». Perché lo scenario della sicurezza europea è «radicalmente mutato». La premier Sanna Marin, da padrone di casa, annuisce convinta. E non a caso la Finlandia ha appena dato il via ai lavori di costruzione del ‘muro’ lungo i confini con la Russia.

    La frontiera russo-finlandese, infatti, si estende per 1.300 chilometri ed è destinata a diventare uno dei punti caldi della nuova guerra fredda ora che Helsinki ha deciso di entrare nella Nato. Certo, blindarla tutta è impossibile. Ma il governo a novembre aveva presentato un piano per mettere in sicurezza i confini con una recinzione di circa 200 chilometri. Adesso si parte, con la rimozione degli alberi su entrambi i lati del valico di frontiera di Imatra e un primo troncone di tre chilometri di recinto per testarne la resistenza alle gelate invernali (o un eventuale massiccio afflusso di persone da est). Questa prima parte di muro di prova dovrebbe essere pronta a giugno. I cantieri poi continueranno e tra il 2023 e il 2025 saranno istallati ulteriori 70 chilometri di recinzione, principalmente nel sud-est del paese nordico – il progetto prevede reti di oltre tre metri con filo spinato, telecamere per la visione notturna, luci e altoparlanti.

    «Abbiamo dovuto prendere decisioni difficili, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia era chiaro che lo status quo per Finlandia e Svezia non era più sostenibile», ha sottolineato Marin augurandosi che il processo di ratifica d’ingresso nella Nato del suo Paese da parte di Ungheria e Turchia si concluda «il prima possibile». Stoltenberg, interpellato più volte dai giornalisti sul punto, ha detto che «sono stati fatti dei progressi» e che ora è arrivato il momento di chiudere la partita, dato che Finlandia e Svezia «hanno rispettato» le clausole del memorandum firmato con la Turchia. L’obiettivo è quello di concludere le procedure in tempo per il summit di Vilnius dei leader dell’Alleanza, in calendario a luglio. Così facendo, il quadrante nord sarà definitivamente in sicurezza. «La Nato è l’unico confine che la Russia non osa varcare», ha tagliato corto Marin.

    Nel mentre, concordano i Paesi nordici, bisogna fare il possibile per aiutare Kiev a resistere all’assalto russo. “Quando la guerra finirà, dobbiamo essere sicuri che la storia non si ripeta e che Putin non possa invadere l’Ucraina un’altra volta», ha notato Stoltenberg parlando della necessità di rafforzare le capacità di autodifesa di Kiev. «Gli alleati – ha chiarito – hanno stabilito che il futuro dell’Ucraina è nella Nato ma si tratta di una prospettiva di lungo termine». Ecco perché, in generale, non si può tornare indietro e serve «spendere di più in difesa», anche a costo di altre voci importanti come «salute e istruzione». «Non c’è nulla di più cruciale della nostra sicurezza».

  • I delitti non resteranno impuniti

    Tutti coloro che credono nei valori e nei diritti universali oggi si sentono particolarmente vicini alla Corte dell’Aja dopo la condanno di Putin, e aspettano l’ulteriore passo: l’elenco e la condanna di coloro che hanno eseguito gli ordini di Putin. Costoro devono sapere che i loro delitti non resteranno impuniti, che non potranno più uscire da confini della Russia, che quando un giorno, nella Federazione Russa, ci sarà un governo di persone civili saranno condannati anche nel loro Paese.

    Ogni russo che ha deportato un bambino, ogni russo che, in un modo o nell’altro, è stato connivente di questo spaventoso delitto dovrà pagarne le conseguenze e da oggi ogni russo, sapendo che nulla sarà perdonato, dovrebbe cominciare ad opporsi, a dare il suo contributo per denunciare, per tentare di riportare a casa, in Ucraina,i bambini rapiti.

    La condanna di Putin apre anche una nuova speranza per i tanti cittadini russi che vorrebbero vivere in un paese libero.

  • Campi profughi a gestione europea, Cristiana Muscardini scrive alla Presidente del Parlamento europeo Roberta Metzola

    A seguito dell’articolo sul problema migranti pubblicato da Il Patto Sociale lo scorso 8 marzo, l’On Muscardini ha scritto alla Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metzola.

    Nella lettera si chiede che la Presidente 1) si faccia promotrice, presso le altre Istituzioni europee, della costituzione di campi profughi a gestione europea, previo accordo con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo nei quali i migranti vivono spesso in condizioni disumane  e dai quali  partono verso l’Europa, incontrando anche la morte; 2) di costituire una delegazione di parlamentari europei con lo scopo di visitare i campi profughi di questi paesi per potere concretamente relazionare sulle condizioni di vita dei migranti.

    Dopo la notizia arrivata dall’intelligence che segnala la reale possibilità dell’arrivo, specie dalla Libia, di centinaia di migliaia di migranti l’On. Muscardini ha inoltre dichiarato che: “vi può essere una specifica regia dietro l’aumento di questo esodo. Vi sono noti interessi a cercare di dividere, destabilizzare l’Europa, tuttora priva di una politica comune efficace anche sul tema immigrazione. L’arrivo di centinaia di migliaia di extracomunitari porterebbe a nuove tensioni tra i paesi membri stornando in parte l’attenzione dagli aiuti all’Ucraina. Per questo andrebbe valutato quanto la presenza russa e della Wagner in Libia, possa influire su quanto sta avvenendo, tenuto conto dell’aumento esponenziale di sbarchi dall’inizio della guerra e delle sanzioni europee alla Russia”

    On. Roberta Metzola

    Presidente del Parlamento europeo

    Rue Wiertz, 600

    1047 Bruxelles

    Milano, 13 marzo 2022

    Gentile stimata Presidente,

    sono stata per 25 anni parlamentare europeo e ora mi sento in dovere di rivolgermi a lei per alcune proposte e considerazioni sul tema immigrazione.

    Non staremo a ripetere che l’immigrazione è un problema che l’Europa non ha affrontato a tempo debito e che anche ora, per problemi politici nazionali, lunghezze burocratiche ed istituzionali, non riesce a risolvere con la necessaria tempestività.

    Non tutti sembrano conoscere, con la sufficiente chiarezza, la reale situazione dei campi profughi esistenti da anni non solo in vari Paesi africani, campi a volte gestiti o controllati dall’Unhcr, a volte da autorità locali o da nessun soggetto istituzionale.

    Nei campi, abitati da centinaia di migliaia di persone disperate, senza nulla, non vi è un minimo di vita dignitoso, si consumano inaudite violenze e si propagano malattie ed epidemie mentre i bambini perdono ogni speranza di poter aspirare ad un futuro degno.

    Come pensare di fermare la disperata volontà di tanti di scappare per cercare, anche a rischio della morte, di attraversare il Mediterraneo e arrivare in Europa? Non certo soltanto fermando gli scafisti, né facendo ipotetici accordi con governi, come quello libico, che non possono garantire sicurezza neppure a se stessi, o che hanno un concetto della libertà e dei diritti inesistente.

    Penso che si potrebbe cercare un accordo dell’Europa con Paesi come Marocco, Tunisia, Egitto, in base al quale l’Unione prenda in affitto per tot anni aree sufficienti per costruire campi profughi organizzati come veri villaggi, con scuole, negozi, luoghi dove le persone possano vivere senza torture e vessazioni e i più giovani possano studiare, imparare un mestiere per essere pronti alla vita sia in Europa che tornando nei loro Paesi una volta terminati guerre e terrorismo. Campi villaggio ovviamente sotto il controllo di personale europeo.

    Gli Stati dell’Unione spendono molto per la cooperazione e gli aiuti ai Paesi più poveri che però non arrivano agli abitanti dei villaggi africani, privi di acqua e condannati a non poter né coltivare né allevare. Siccità significa carestia, morte per fame, chi non tenterebbe di scappare?

    E’ cosi difficile dare vita subito a progetti per i pozzi e la desalinizzazione nei villaggi?

    Chi, potendo provare, non tenterebbe di scappare dall’Afghanistan, dalla Somalia, dai lager libici?

    Possiamo dimostrare con nuove iniziative che il grado di civiltà della nostra parte di Occidente è capace di impedire che noi si sia sopraffatti da un’immigrazione incontrollata e che coloro che fuggono trovino la morte.

    I campi come quelli terribili vicino a Garrissa in Kenya, gestiti dalle Nazioni Unite, non ci competono ma quanto avviene nei Paesi sulle coste del Mediterraneo,Turchia compresa, è un nostro problema.

    Credo inoltre si debba chiedere, visti i recenti numerosi sbarchi e la notizia che ci sono decine di migliaia di persone pronte ad imbarcarsi dalla Libia, se non ci sia dietro un disegno specifico dovuto alla presenza russa e della Wagner. Sappiamo infatti che l’arrivo di altre decine di migliaia di immigrati potrebbe destabilizzare l’Unione ed i rapporti tra i suoi membri e questo sarebbe vantaggioso per la Russia. Non sono forse aumentate gli sbarchi da quando è noto l’appoggio europeo all’Ucraina?

    La ringrazio per l’attenzione, spero che Lei possa dare un forte segnale e che valuti l’invio di una delegazione del PE col compito di visitare i campi profughi siti nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Se i parlamentari vedranno coi propri occhi forse riusciranno a smuovere le istituzioni europee e i loro governi.

    In attesa di cortese risposta Le rinnovo il mio vivo apprezzamento per il suo lavoro.

    Cristiana Muscardini

    Alcuni esempi

    Algeria

    Quattro campi a sud est della città di Tindouf accolgono circa 175.000 persone su un altopiano desertico. Risalgono agli anni 70.

    Etiopia

    Il campo di Nguenyyiel nella regione di Gambella ospita 424mila persone. L’Unhcr è attiva nel Paese.

    Gibuti

    Il campo di Marzaki accoglie profughi dallo Yemen.

    Kenya,

    A Dadaab contea di Garissa 350mila persone sono distribuite in 5 campi. La gestione dei migranti avviene in collaborazione con l’Unhcr.

    Libia

    Misrata, Khoms e Tajoura erano centri di detenzione di migranti intercettati in mare, risultano ufficialmente chiusi dal 2019.

    Marocco

    I campi sono suddivisi in 5 wilaya (province) che derivano il nome da 5 città del Sahara occidentale, ora territorio occupato: El Aaiun, Auserd, Smara, Dakhla e più recentemente anche Capo Bojador che ha inglobato il piccolo campo 27 Febbraio, costituito dal collegio femminile; infine Rabouni.

    Siria

    Campi profughi al Hol (60-70mila persone, perlopiù bambini) e al Roj. Il campo Shallash, a nord di Raqqa, in una zona vicina al confine con la Turchia, ospita circa 300 persone. L’Unhcr fornisce assistenza.

    Tunisia

    Er-roued, a 20 km da Tunisi, è un campo di recente istituzione. Prima c’erano i campi di Sfax, Medenine, Zarzis, nel Sud del Paese. L’Unhcr è attiva nel Paese.

    Turchia

    Campi profughi Nizip 1 e Nizip 2. Il campo profughi di Boyunyogun nei pressi della cittadina di Altınözü nella provincia di Hatay/Antiochia a pochi chilometri dal confine siriano, ospita circa 5.000 persone; sul confine ci sono altri 3 campi profughi analoghi e un quinto è in costruzione. E ancora: struttura informale (non ufficiale) presso Izmir; nel 2018 c’erano 21 Temporary Accomodation Centers (TACs) locati nelle province turche a ridosso del confne siriano vicino le 10 città di Sanlurfa, Gaziantp, Hatay, Kilis, Osuaniye, Adana, Mardin, Adiyauan, Malatya e Kahrauanuarasxii.

    L’Unhcr collabora con le autorità del Paese.

    Uganda

    I 10 campi profughi operativi sono: Achol Pii e Palabek nel nord del paese (ospitano per lo più rifugiati del Sud Sudan); Bidi Bidi, Imvempi, Rhino, Palorinya e Pagirinya situati nel nordovest del Paese ed essi pure hanno in maggioranza rifugiati sud-sudanesi. Kyakaii, Nakivale e Kyangwali si trovano nell’Uganda dell’ovest e ospitano rifugiati da Repubblica democratica del Congo, Rwanda ed Eritrea. Mentre Kiryandongo – nell’area centronord del Paese ospita profughi da Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo ed Eritrea. Infine Kampala ospita rifugiati da Repubblica democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Rwanda, Burundi e Sud Sudan.

    L’Unhcr è presente nel Paese.

  • A Volgograd (già Stalingrado) un busto dedicato a Stalin

    Lo spettro di Stalin si aggira per la Russia. Il mito del dittatore sovietico responsabile del Terrore degli anni ’30 e ’40, ma anche leader della resistenza alle truppe d’invasione tedesche e della vittoria su Hitler, rinasce in concomitanza con quella che il presidente Vladimir Putin ha presentato come la lotta ai “neonazisti” al potere a Kiev. Così un busto alla memoria di quello che un tempo la stampa sovietica salutava come ‘il padre delle nazioni’ è stato inaugurato a Volgograd, l’attuale nome di Stalingrado, nell’ottantesimo anniversario della battaglia che in gran parte segnò le sorti della Seconda guerra mondiale.

    Funzionari locali e rappresentanti della città hanno partecipato alla cerimonia, durante la quale alcuni soldati hanno deposto fiori ai piedi della statua di Stalin e di quelle dei due generali che lo affiancano: Alexander Vasilievsky, capo di Stato maggiore e mente delle più importanti battaglie del conflitto contro i nazisti, e Georgy Zhukov, il comandante sul campo che con le sue truppe arrivò fino a Berlino nell’aprile del 1945, portando alla sua conclusione vittoriosa quella che in Russia è ricordata come la Grande Guerra Patriottica e che ancora unisce il popolo nella memoria dell’eroico passato.

    I busti sorgono vicino al museo dedicato alla battaglia di Stalingrado, che nell’inverno 1942-43 vide l’eroica resistenza della città e poi la resa delle truppe tedesche del generale Friedrich von Paulus. Le tre statue sono opera dello scultore Serghei Shcherbakov. «Tutto è stato veloce, abbiamo dovuto eseguire l’ordine in poco tempo», ha raccontato l’artista. Il culmine dei festeggiamenti per l’ottantesimo anniversario della battaglia di Stalingrado sarà domani, quando in città è in programma una parata con la partecipazione di Putin. Per favorire lo svolgersi delle cerimonie e prevenire eventuali problemi per la sicurezza è stato vietato fino a giovedì il transito dei camion, oltre che di treni e veicoli che trasportano “carichi pericolosi”. Oggi e domani, inoltre, sono stati dichiarati giorni festivi per gli impiegati statali della città.

  • 24 febbraio

    Sappiamo che gli ucraini sfollati, rifugiati fuori dall’Ucraina in cerca di scampo dalle bombe e dalla distruzione sono, al momento, 8 milioni.
    Non sappiamo quanti sono i morti,
    quanti sono i feriti, quanti bambini sono stati sottratti alle loro famiglie e portati in Russia, quanti bambini sono rimasti orfani, quante donne, persone hanno subito violenze e torture.
    Non sappiamo quante case, edifici civili e pubblici, ospedali, scuole, sono stati distrutti, quante abitazioni rase al suolo completamente o comunque sono inagibili.
    Quante persone, che  hanno perso completamente tutto, soffrono il freddo e la fame, hanno dovuto rinunciare alle cure mediche.

    Quante migliaia di ettari di terreno coltivato è stato reso, per anni improduttivo, per le bombe, i missili, le mine antiuomo, i residuati bellici contaminati e contaminanti.

    Non sappiamo quante persone, quanti vecchi, quanti bambini saranno un domani in grado di dimenticare gli orrori e le paure che hanno vissuto.
    Non sappiamo quanti oggetti preziosi o di uso comune sono stati rubati dai soldati di Mosca né quanti russi siano stati mandati scientemente  al macello per soddisfare le follie megalomani di un despota supportato da un miscredente ammantato da paludamenti religiosi e coadiuvato o da macellai o da pavidi.
    Non sappiamo quanto sangue e quanto dolore ingiusto il popolo ucraino dovrà ancora sopportare.

    Sappiamo, sappiamo con certezza inoppugnabile, che tutto questo sangue, tutto questa distruzione si devono solo ad un uomo, Putin, che  per coronare la sua smania di  onnipotenza, per passare alla storia, non ha nessun freno: la sua amoralità lo protegge da ogni sentimento umano.
    Sappiamo con certezza che i suoi sodali Kirill ed Evgeny Prigozhin sono le facce della stessa medaglia: potere e denaro
    Sappiamo con certezza che la  pace per essere tale deve essere giusta, che le regole del diritto internazionale non possono essere calpestate, che un popolo che vive in uno stato libero e sovrano ha diritto di difendersi e di chiedere aiuto.

    Sappiamo che troppi di coloro che chiedono pace vorrebbero che gli aiuti militari all’Ucraina cessassero con la immediata, ovvia  conseguenza di consentire a Putin di invadere completamente il Paese e di continuare a sterminare, deportare, distruggere.

    Sappiamo che troppi di coloro che parlano di iniziative diplomatiche non sono in grado di proporre un progetto realistico perché non c’è pace reale se non riaffermando il diritto internazionale, il diritto alla libertà ed integrità di uno stato sovrano e non c’è un interlocutore in Russia per parlare di questo.

    Sappiamo che siamo stati e saremo a fianco di questo popolo aggredito, a fianco dell’Ucraina fino a che la sua libertà ed indipendenza, la sua sicurezza saranno riconfermate ovunque.

    Sappiamo che ogni totalitarismo, ogni autocrazia  sono un pericolo per tutti, ovunque nel mondo, e che la tragedia dell’Ucraina deve farci riflettere anche sui nostri rapporti commerciali perchè tutto quanto rende più forti i prevaricatori, i violenti, prima o poi si ritorcerà anche contro di noi.

  • Ad un anno dall’invasione russa Milano ricorda il Premio Sakharov per la libertà di pensiero al popolo ucraino

    Venerdì 24 febbraio l’ufficio del Parlamento europeo a Milano, in collaborazione con la Rappresentanza a Milano della Commissione europea, il Consolato generale ucraino a Milano, Linkiesta e la sua sezione in lingua ucraina Slava Evropi promuove un’iniziativa per ricordare, a un anno dalla brutale invasione russa, l’assegnazione del premio Sakharov per la libertà di pensiero al coraggioso popolo ucraino.

    Alle ore 18, al Centro Brera (Via Formentini 10) tavola rotonda moderata da Christian Rocca (direttore editoriale Linkiesta) con i saluti istituzionali Maurizio Molinari, capo dell’Ufficio del Parlamento europeo a Milano Massimo Gaudina, capo della Rappresentanza della Commissione europea a Milano Andrii Kartysh, console generale d’Ucraina a Milano, e gli interventi di Pina Picierno, vice presidente del Parlamento europeo, Yaryna Grusha Possamai, scrittrice, docente di lingua e letteratura ucraina, curatrice di Slava Evropi Viktoriia Lapa, Lecturer, Università Bocconi, UaMi Artem Zaitsev, testimone e rappresentante di UaMi Olga Tokariuk, giornalista, fellow al Reuters Institute (in collegamento). Momento musicale con Nelly Kolodii, violinista ucraina orchestra dell’Accademia della Scala

    Dalle ore 20 in piazza Duomo partecipare al sit-in giornaliero della Comunità ucraina.

    Il prossimo 24 febbraio ricorrerà il primo anniversario dell’aggressione contro l’Ucraina della Federazione russa. Questa data assume un forte significato simbolico, poiché il popolo ucraino ha dimostrato una capacità incredibile di resistenza e risposta ad un’invasione ingiustificata, violenta e non provocata. Infatti, l’esercito russo e le loro forze armate per procura – come il gruppo di mercenari «Wagner» – hanno ripetutamente commesso esecuzioni sommarie, violenze sessuali, torture o veri e propri massacri, prendendo di mira i civili residenti in alcune città (come e Bucha, Irpin, Izium e Lyman), oppure edifici pubblici (come l’attacco al teatro di Mariupol), provocando migliaia di vittime. Lo scorso dicembre anche il Parlamento europeo ha formalmente riconosciuto gli sforzi eccezionali compiuti dal popolo ucraino, dedicandogli il Premio annuale Andrej Sakharov per la libertà di pensiero. Per ricordare e riflettere sul primo anno di guerra in Ucraina, venerdì 24 febbraio si terrà l’evento «Il Premio Sakharov per la libertà di pensiero al coraggioso popolo ucraino».

  • La Commissione conclude il progetto con l’Agenzia internazionale per l’energia che ha aiutato gli Stati membri a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi

    La  Commissione conclude un progetto relativo allo strumento di sostegno tecnico che ha sostenuto 17 Stati membri negli sforzi per eliminare gradualmente la dipendenza dai combustibili fossili russi, come indicato nel piano REPowerEU.

    Il progetto è stato avviato nel marzo 2022 mediante un apposito invito nell’ambito della risposta della Commissione alla crisi energetica provocata dall’attacco della Russia contro l’Ucraina. La Commissione, insieme all’Agenzia internazionale per l’energia, ha fornito ai partecipanti consulenza e sviluppo di capacità per individuare e intraprendere riforme e investimenti specifici nel settore delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica, della produzione di idrogeno rinnovabile e di soluzioni innovative per decarbonizzare l’industria in linea con gli obiettivi di REPowerEU. I 17 Stati membri partecipanti sono Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Irlanda, Grecia, Spagna, Croazia, Italia, Cipro, Ungheria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Finlandia. Il progetto ha aiutato concretamente gli Stati membri a prepararsi per l’inverno e per i mesi successivi, sostenendo nel contempo il loro percorso verso l’azzeramento delle emissioni nette. Lo strumento di sostegno tecnico è il principale strumento di cui dispone la Commissione per fornire sostegno tecnico alle riforme nell’UE, su richiesta delle autorità nazionali. Fa parte del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e del piano per la ripresa dell’Europa.

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