Russia

  • L’Italia revoca le onorificenze al premier di Mosca e ad altri tre cittadini russi

    Un gesto dal forte valore simbolico che ben dipinge l’atteggiamento del governo rispetto alla dirigenza russa. L’Italia ha infatti revocato quattro importanti onorificenze assegnate negli anni scorsi ai vertici del potere russo e le ha annullate – si legge nella Gazzetta ufficiale – per “indegnità”.

    Non si tratta di onorificenze qualsiasi, peraltro assegnate a illustri sconosciuti. La misura va infatti a colpire soprattutto Mikhail Vladimirovich Mishustin, attuale primo ministro di Vladimir Putin. Gli è stata tolta l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine della Stella d’Italia. Insieme a lui sono stati colpiti Denis Manturov, Ministro dell’industria e del commercio della Federazione Russa, Viktor Leonidovich Evtukhov, Segretario di Stato e Andrey Leonidovich Kostin, Presidente della Banca russa VTB, uno dei più grandi istituti della Federazione.

    La decisione è stata ufficializzata con la pubblicazione in Gazzetta  nella data dello scorso 25 maggio. Si tratta di una revoca che riguarda la Farnesina e che è stata naturalmente firmata dal presidente Mattarella. Il mondo delle onorificenze è particolarmente complesso e ne esistono di diversi tipi. Alcune onorificenze sono regolate per legge, spesso risalenti a diversi decenni fa. In questi casi risulta particolarmente lungo e laborioso il processo di revoca che è dettagliatamente indicato dalle norme.

    I radicali da tempo chiedono di annullare una serie di onorificenze che sarebbero state assegnate in passato con una certa leggerezza: per questo anche oggi, pur rallegrandosi delle quattro revoche, tornano a chiedere “con forza che anche le altre 26 onorificenze rimanenti vengano revocate”. “Vi deve essere – osservano i radicali – una completa e inequivocabile cesura con un passato di vergognosa connivenza con Putin”.

  • La libertà prevalga sulla legge del più forte

    Il sacrificio dei soldati, donne ed uomini, e dei  civili che per 84 giorni hanno combattuto nell’acciaieria Azvostal aveva impedito, per quasi tre mesi, la caduta definitiva di Maripoul e la totale occupazione del Mar d’Azov da parte dei russi che oggi invece controllano quel mare, quel territorio e si stanno spingendo sempre più oltre.

    I soldati, proprio perché soldati, hanno obbedito agli ordini dei loro superiore e del presidente Zelensky e sono usciti consegnandosi a coloro che hanno distrutto la città di Mariupol e le  vite di troppe persone inermi. Ora spetta veramente alla comunità internazionale fare sì che la Russia rispetti gli accordi e che queste donne e questi uomini, che hanno anteposto la libertà dell’Ucraina alla loro stessa vita, possano tornare in patria senza subire quelle violenze che sappiamo fanno parte dei sistemi post sovietici.

    Rimanga a tutti impresso, nel presente e nel futuro, che ci sono ancora persone che credono che la libertà, la sovranità nazionale vadano difese contro ogni sopruso perché la legge del più forte, del più potente, del più sanguinario non può ancora prevalere. Lo ricordino i cittadini europei e in speciale modo diversi politici italiani.

  • Putin, il narcisista che si sente uno zar

    In queste settimane ci sono state molte supposizioni, non solo in occidente, su presunte malattie del presidente russo. Presunte malattie che avrebbero, secondo indiscrezioni ed osservazione dei filmati, spiegato i suoi comportamenti e le nefaste conseguenze che ne sono derivate per tutti.

    Intanto la guerra continua in un’escalation di violenza che travolge anche migliaia di giovani russi portati a morire, come carne da cannone, sul campo di battaglia. Le crudeltà ed efferatezze verso i civili ucraini, spesso torturati prima di essere uccisi, si moltiplicano mentre continua la distruzione sistematica di città e villaggi. Non sappiamo, ovviamente, se Putin prenda farmaci per curare questo o quel problema, quello che comunque è chiaro, dai suoi comportamenti anche passati, è il suo narcisismo. Come tutti i narcisisti ha fantasie grandiose, progetti di illimitato potere e successo e, come tutti i narcisisti, se non è soddisfatto prova rabbia ed ira.

    il narcisismo è un disturbo della personalità caratterizzato tra l’altro da egocentrismo e incapacità a provare empatia emotiva, e porta a fidarsi solo di se stessi trovando tutti gli altri inferiori ed inadeguati. I narcisisti hanno una grandissima percezione di se ed ogni critica è vista come un attacco personale, si sentono superiori agli altri con i quali non amano avere contatti ravvicinati. I narcisisti sanno essere convincenti, carismatici e manipolatori e non dimenticano o perdonano presunti torti subiti. All’origine del disturbo ci possono anche essere problemi e traumi legati all’infanzia.

    Forse sarebbe bene che coloro che intendono provare nuovamente ad avere un incontro con Putin, per continuare sulla sempre più difficile strada di un compromesso di pace o almeno di armistizio, studino quali sono i comportamenti ed i modi di dialogo che è meglio tenere con un narcisista, specie quando questi  si sente uno  zar.

  • Testimonianze di crudeltà, sofferenze ed inganni istituzionali

    L’arroganza, la presunzione, il protagonismo, l’invidia:

    questi sono i difetti da cui occorre guardarsi.

    Plutarco

    Da 68 giorni ormai continua la guerra in Ucraina. Dal 24 febbraio scorso, quando le truppe armate russe entrarono nei territori ucraini, violando la sovranità di una nazione indipendente e membro dell’Organizzazione delle Nazione Unite, la popolazione ucraina sta subendo tutte le crudeltà della guerra. Di quella guerra che il dittatore russo e la sua propaganda cinicamente l’hanno considerata e continuano a farlo, come “un’operazione militare speciale”. Di quella guerra che, dal 5 marzo scorso, in Russia è vietata per legge considerarla come tale: chi trasgredisce rischia una pena fino a 15 anni di carcere. Una guerra che non riguarda soltanto e purtroppo i cittadini ucraini, ma per le dirette e/o indirette conseguenze derivate, riguarda anche i cittadini di molti altri Paesi. Perciò riguarda, purtroppo, tutti noi. Si, perché le mancate forniture di gas, di altri carburanti, nonché di generi alimentari di primissima necessità, come il grano, il mais, l’olio alimentare ecc., ormai stanno generando una crisi multidimensionale e a livello globale. Secondo un alto rappresentante del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite “…quasi 4,5 milioni di tonnellate di grano sono state bloccate nei porti ucraini a causa dell’invasione russa”. Sottolineando e ribadendo che “…La fame non dovrebbe diventare un’arma”. Ma, dati e fatti accaduti e che stanno tuttora accadendo alla mano, il dittatore russo e/o chi per lui stanno usando quell’arma consapevolmente ed irresponsabilmente non solo contro gli ucraini, ma in una vasta scala globale. La stessa allarmante situazione l’ha confermata oggi anche il presidente ucraino. Secondo lui “…Il conflitto in Ucraina potrebbe innescare una crisi alimentare che interesserà tutti i Paesi del mondo”. Egli ha affermato anche che “…l’Ucraina potrebbe perdere decine di milioni di tonnellate di grano perché la Russia ha bloccato i suoi porti sul Mar Nero”. Ragion per cui diventa obbligatorio, seguire sempre con la massima attenzione e trattare con la massima responsabilità quanto accade in Ucraina. Ma anche capire le ragioni che hanno portato ad una simile, grave, preoccupante, pericolosa e drammatica situazione. Comprese tutte le derivanti conseguenze.

    Le crudeltà dell’invazione russa in Ucraina e della spietata aggressione che continua ormai da 68 giorni ha causate molte vittime tra gli inermi, innocenti ed indifesi cittadini. Solo nella martoriata Mariupol, la “città di Maria”, secondo quanto ha dichiarato ieri il sindaco, le vittime sembrerebbe siano veramente molte. Paragonando quelle attuali alle vittime della seconda guerra mondiale, il sindaco di Mariupol affermava ieri che “Nell’arco di due anni, i nazisti uccisero circa 10mila civili a Mariupol. Gli occupanti russi ne hanno uccisi 20 mila in due mesi. Oltre 40 mila persone sono state trasferite con la forza”. Per lui si tratta di “…uno dei peggiori genocidi di una popolazione pacifica della storia moderna”. E riferendosi proprio ai crimini di guerra, proprio ieri la procuratrice generale ucraina dichiarava che “…sono oltre 9 mila, nel dettaglio 9.158, i casi di crimini di guerra indagati in Ucraina e che sarebbero stati commessi dalle forze russe dall’inizio dell’invasione”. Mentre l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati rapportava oggi che “…sono più di 5,5 milioni le persone che sono fuggite dall’Ucraina dall’inizio dell’invasione russa”. Solo nella regione di Kiev “…Sono 219 i bambini uccisi e 405 quelli rimasti feriti in Ucraina dall’inizio della guerra lanciata dalla Russia lo scorso 24 febbraio”. L’ha confermato oggi il procuratore generale della capitale ucraina. E riferendosi solo alla regione di Kiev, il capo della polizia della regione ha dichiarato oggi pomeriggio che “Purtroppo, abbiamo reperti orribili e abbiamo registrato i crimini commessi dall’esercito russo nella regione di Kiev quasi ogni giorno. Dei 1.202 corpi di civili uccisi, 280 sono ancora da identificare”. E queste sono una minima parte di quanto è accaduto in Ucraina dall’inizio della guerra 68 giorni fa e che continua ad accadere. Purtroppo si tratta di numeri che inevitabilmente sono destinati ad aumentare con il passare dei giorni. Oggi pomeriggio l’Ufficio dell’organizzazione delle Nazioni Unite per i diritti umani ha rapportato che in Ucraina “… sono 3.153 i morti accertati fra i civili dopo l’invasione russa del 24 febbraio”. Ribadendo però che “…si tratta delle uccisioni verificate, ma che il vero numero potrebbe essere molto più alto”.

    Dopo lunghe e difficili trattative tra i rappresentanti istituzionali ucraini, insieme con quelli dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e del Comitato internazionale della Croce Rossa da una parte e i rappresentanti russi dall’altra si è arrivato finalmente a un accordo d’evacuazione. Grazie a quell’accordo sono cominciati ieri, domenica, e stanno continuando anche oggi ad uscire i primi gruppi di civili assediati da diverse settimane nei sotterranei del complesso siderurgico di Mariupol. La “città di Maria”, pesantemente bombardata da settimane con artiglieria, missili di ogni genere e ormai rasa al suolo, è diventata la città simbolo delle barbarie, della spietatezza e della programmata devastazione messa in atto dalle forze armate russe in Ucraina. Le immagini trasmesse in diretta dalle emittenti televisive locali ed internazionali testimoniano le drammatiche e vissute sofferenze di centinaia di donne e bambini asserragliati da tempo ed in condizioni disumane nei sottofondi dell’acciaieria di Mariupol. Quel complesso siderurgico, o meglio quello che è rimasto dopo pesanti e lunghi bombardamenti, rappresenta anche l’ultimo baluardo dove si sono ritirati e stanno continuando la loro resistenza anche i militari del battaglione Azov. Le immagini, trasmesse durante le ultime ore oggi mostrano donne e bambini che sembra uscissero dalle tenebre, dalle catacombe. Riuscivano con molta difficoltà ad abituarsi alla luce naturale. Sono delle testimonianze viventi della crudeltà degli invasori russi, che hanno causato tante privazioni e tante sofferenze umane per i civili asserragliati nei sotterranei dell’acciaieria di Mariupol, la martoriata “città di Maria”. Ma sono, allo stesso tempo, anche delle testimonianze viventi ed inconfutabili che evidenziano, smentiscono e denunciano tutti gli inganni istituzionali e della propaganda russa, da quando è cominciato questa sanguinosa e orrenda guerra.

    Ieri, domenica 1 maggio, il ministro degli Esteri russo durante un’intervista a “Zona Bianca”, un programma di approfondimento politico di Rete 4 (Mediaset; n.d.a.), ha dichiarato tra l’altro, che “…La denazificazione dell’Ucraina non è argomento delle negoziazioni ma esiste”. Mentre per il battaglione Azov che sta difendendo eroicamente dall’inizio della guerra Mariupol ha dichiarato che “[esso] sostiene apertamente Hitler e il suo credo”. Il battaglione per il quale, oggi, il presidente ucraino ha dichiarato che “… fa parte della Guardia nazionale”. Il ministro degli Esteri russo, durante la sopracitata intervista televisiva, riferendosi alle origini ebree del presidente ucraino ha affermato che “…anche Hitler aveva origini ebree, i maggiori antisemiti sono proprio gli ebrei”. Le dichiarazioni del ministro degli Esteri russo hanno subito suscitato la reazione delle massime autorità istituzionali in Israele, ma anche dei rappresentanti delle istituzioni in Ucraina e delle altre organizzazioni. Sono “gravi” per il primo ministro di Israele le dichiarazioni del ministro russo. Aggiungendo anche che…si smetta immediatamente di ricorrere alla Shoah (parola ebraica che significa catastrofe, disastro e distruzione; n.d.a.) del popolo ebraico come strumento per polemiche politiche”. Per il ministro degli Esteri di Israele le parole del suo omologo russo sono “imperdonabili, oltraggiose e un errore storico”. Riferendosi alla Shoah del popolo ebreo durante la seconda guerra mondiale, il vice presidente della Commissione europea ha detto oggi che “I commenti di Lavrov sulla Shoah sono inaccettabili”. Aggiungendo anche che “Qualsiasi tentativo di trasformare le vittime della Shoah in carnefici è inaccettabile”. Mentre per il ministro degli Esteri ucraino le dichiarazioni dell’omologo russo fatte ieri “…Più in generale, dimostrano che la Russia di oggi è piena di odio verso le altre nazioni”.  Un simile parere lo ha espresso oggi anche uno dei consiglieri del presidente ucraino, per il quale “…Mosca sta semplicemente cercando argomenti per giustificare gli omicidi di massa degli ucraini”. Per il presidente di Yad Vashem il Museo della Memoria di Gerusalemme, le parole del ministro russo sono “False, deliranti e pericolose”, aggiungendo che si tratta di affermazioni “degne di ogni condanna”. Ha reagito anche la Comunità ebraica di Roma, tramite la sua presidente. Per lei “Le affermazioni del Ministro degli Esteri russo Lavrov sono deliranti e pericolose”.

    L’autore di queste righe valuta che, riferendosi alle sopracitate dichiarazioni del ministro degli Esteri russo, sarebbe proprio il caso di fare riferimento al Salmo 12 dell’Antico Testamento, quello attribuito a Davide, re degli ebrei.  Sono molto significativi i seguenti versi del Salmo: “Si dicono menzogne l’uno all’altro, labbra bugiarde parlano con cuore doppio. Recida il Signore le labbra bugiarde, la lingua che dice parole arroganti” (Salmo 12/3-4).

    Gli stessi versi sono molto significativi anche per degli altri rappresentanti diplomatici. Ma non in Ucraina e neanche in Russia. Bensì in Albania. Si tratta dell’ambasciatrice statunitense che, da quanto è stata accreditata, ha palesemente e consapevolmente violato quanto prevede l’articolo 41 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Lo ha fatto in ogni occasione presentata e/o creata “a proposito” per appoggiare, accreditare qualsiasi azione governativa. Ma anche per giustificare e/o addirittura offuscare e, se possibile, annientare qualsiasi scandalo governativo. E questi ultimi sono innumerevoli, sempre milionari e in palese violazione delle leggi in vigore. La stessa ambasciatrice, dati e fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, sta coprendo anche il voluto, ben programmato ed altrettanto bene attuato fallimento della riforma del sistema della giustizia in Albania. Tutto per mettere il sistema sotto il controllo personale del primo ministro e/o di chi per lui. L’autore di queste righe da anni ormai e molto spesso, partendo dal 2016, quando sono stati approvati gli emendamenti costituzionali per avviare la Riforma del Sistema di giustizia, ha informato il nostro lettore con la necessaria oggettività di tutto ciò. Ebbene il 12 aprile scorso è stato pubblicato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America il Rapporto annuale sui diritti dell’Uomo. Il contenuto del capitolo sull’Albania è stato molto critico, evidenziando anche il controllo del sistema “riformato” della giustizia, la corruzione, il controllo, il condizionamento e la manipolazione dei risultati elettorali da parte delle istituzioni governative, il controllo crescente del potere politico sui media e tanto altro. Si tratta proprio dell’esatto contrario di quello che da anni l’ambasciatrice statunitense, dipendente proprio di quel Dipartimento di Stato, ha fatto e sta cercando di fare tuttora. Chissà perché ed in cambio di che cosa?!

    Chi scrive queste righe è convinto che l’ambasciatrice statunitense in Albania è diventata, nolens volens, una “validissima sostenitrice” di tutte le malefatte del primo ministro e dei suoi. Mettendosi così in palese violazione non solo dell’articolo 41 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche. Ma così facendo lei si è messa anche in palese contrasto con quanto viene scritto da anni sull’Albania nei rapporti ufficiali del Dipartimento di Stato, suo datore di lavoro. Così facendo però lei sta appoggiando il consolidamento della nuova dittatura sui generis in Albania, come da anni sta cercando modestamente di denunciare chi scrive queste righe. E in tutto quello che l’ambasciatrice statunitense ha fatto e sta facendo si nota la sua arroganza, la sua presunzione, il suo protagonismo. Non si sa se si tratta anche della sua invidia. Ma invidia o no, secondo il saggio Plutarco, tutti gli altri rappresentano dei difetti dai quali occorre guardarsi.

  • Un filo conduttore di menzogne

    Che esista uno stretto filo conduttore tra l’Unione sovietica e l’attuale Unione russa è chiaro da tempo e l’intervista al ministro Lavarov lo ha reso evidente anche a quella parte del mondo che, per interesse o vigliaccheria, cercava di negarlo. Un filo conduttore di menzogne, contro informazione, disinformazione mischiate con impudenza ed indifferenza rispetto alla realtà.

    Il modo di operare della dirigenza russa e dei suoi servizi segreti, da sempre, è negare l’evidenza, confondere le acque, mentire comunque ed accusare gli altri, sempre, non importa che i fatti reali siano diversi, opposti, da quello che loro sostengono. Chi mente in modo spregiudicato sa che può far nascere un dubbio e, a forza di mentire anche a se stesso, si convince di potere modificare la realtà secondo i propri interessi, mente sapendo di mentire perché quella menzogna è la sua verità.

    I droni ed i satelliti hanno fotografato i morti abbandonati nelle strade durante l’occupazione russa, giornalisti di tutto il mondo hanno visto le fosse comuni, le persone uccise da colpi alla nuca mentre erano legate ed imbavagliate. Le città rase al suolo, le case, gli ospedali, le scuole, i teatri che sono ormai solo macerie non possono essere negati, i cittadini di Mariupul costretti a vivere senza acqua e cibo, obbligati a non poter scappare, i costanti bombardamenti sull’acciaieria dove vi sono civili, bambini, feriti, le violenze fatte alle donne hanno migliaia di testimoni ma Lavarov dice che non è vero e il mondo dovrebbe credere a lui? A lui e al suo padrone Putin il blasfemo?

    Il delirio di onnipotenza del presidente russo sta per infrangersi contro la dura realtà: non si riescono a sterminare i popoli che hanno scelto la libertà e quelle menzogne che avevano reso forti Putin e i suoi soci e servitori ora, nonostante la tragedia della guerra, li stanno rendendo ridicoli.

    Cosa ci può essere di più ridicolo di un ministro degli Esteri di uno dei più grandi Stati del mondo che, nell’aplomb del suo abito di sartoria, nega le affermazioni che ha fatto lui stesso i giorni precedenti e paragona il presidente ucraino a Hitler sostenendo che anche il Führer era ebreo?

    Agghiacciante, inverecondo, patetico ma anche assurdo e ridicolo, ridicolo che un uomo, Putin, per sentirsi potente debba viaggiare con la valigetta del nucleare al seguito ed un altro, per compiacere il suo capo, debba mentire, sapendo di mentire, davanti a mezzo mondo.

    Il nuovo pericolo che dobbiamo saper prevenire ed affrontare è quello che deriverà dal loro rendendosi conto di come sia ormai impossibile sfuggire alla realtà dei crimini che hanno commesso e cerchino di alzare sempre di più l’asticella dell’orrore.

  • Prima delle sanzioni dall’Italia medaglie e riconoscimenti ai gerarchi moscoviti

    Prima delle sanzioni, con congelamento delle proprietà (ville e, ove ancora ancorati, yacht) in Italia, il nostro Paese ha tributato riconoscimenti a figure di spicco della Russia. Il 15 gennaio scorso, su proposta del ministro degli Esteri Luigi Di Maio e tramite decreto del presidente della Repubblica, il sottosegretario all’Industria del governo di Mosca, Viktor Leonidovich Evtukhov, è stato creato commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia insieme all’oligarca Andrey Leonidovich Kostin. Come riferisce Panorama, Costi è stato insignito anche dalla Ue, ma questa volta non di un riconoscimento, bensì della qualifica di persona da sanzionare in seguito alla «operazione militare speciale» di Mosca in Ucraina. Sempre il 15 gennaio scorso, altri due russi sono stati insigniti del titolo di Cavaliere di Gran Croce, anche il primo ministro russo Mikhail Mishutin e il ministro dell’Industria e Commercio estero Denis Mantunov (insieme a loro, riporta il settimanale, la medesima onorificenza è stata riconosciuta a monsignor Gianfranco Ravasi). Infine, già dal 2017 sono commendatori Ordine al Merito della Repubblica italiana Dmitry Peskov, portavoce di Vladimir Putin, e Igor Sechin, amministratore delegato della lil company Rosneft, mentre il ceo di Gazprom Alexei Miller dal 2010 è Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

  • La migliore Italia

    In un periodo di crisi completa, assoluta espressione di una sintesi nefasta tra i postumi della pandemia, e del perseverare del covid, e la terribile guerra voluta da Putin ed ancora in assenza di una strategia diplomatica europea la situazione economica volge drammaticamente verso una recessione figlia anche della infantile illusione di una ripresa nel 2021 legata, invece, quasi esclusivamente ai bonus ed alla esplosione della spesa pubblica ben oltre i mille (1.000) miliardi.

    In questo contesto l’Italia, quella vera, cioè del lavoro e delle imprese dalla cui unione nasce la possibilità di creare una vera crescita del Pil, con l’obiettivo di superare l’impasse dell’intero mondo politico italiano, dimostra la propria capacità di reazione alle avversità.

    Questa Italia della concretezza opposta a quella della politica si espone per la sopravvivenza della propria azienda e dei posti di lavoro assicurati sul territorio e dimostra di non attendere le vuote dinamiche politiche, troppo prese dagli accordi di lista in vista delle prossime elezioni di giugno, i cui vertici non si dimostrano neppure in grado di comprendere come senza ordini dei mercati esteri, e quindi anche di quello russo, il fatturato non possa crescere e tanto meno possono venire assicurati i posti di lavoro*.

    La distonia del mondo politico viene poi confermata dalle “iniziative politiche” di alcuni leader privi di un minimo senso del ridicolo e della tempistica i quali blaterano di un necessario aumento delle retribuzioni non ponendosi in alcun modo nell’ottica del primo obiettivo odierno rappresentato dalla sopravvivenza del tessuto industriale minato dalla recessione.

    Questa è la vera ed unica Italia di cui essere fieri, composta da persone intraprendenti e capaci di affrontare anche le terribili conseguenze di una economia di guerra e lontana anni luce dall’imbarazzante atteggiamento della politica ad ogni livello, comunale, regionale e nazionale, la quale sembra giocare anche in questo terribile momento (oltre due anni!) con la sopravvivenza di un sistema economico e quindi con le prospettive di vita dei cittadini solo ed esclusivamente per un vantaggio personale sia esso professionale, economico, narcisistico o ideologico.

    Solo pochi anni fa venni premiato proprio a Fermo, capitale del distretto calzaturiero marchigiano, per la mia attività a favore del Made in Italy, del quale il distretto calzaturiero marchigiano ne rappresenta un valido esempio, e posso assicurare come già dal 2014 questo importante distretto industriale soffrisse gli effetti delle sanzioni nei confronti di uno dei principali mercati di riferimento come la Russia.

    Ora, dopo otto anni di estrema difficoltà, ha deciso invece di reagire per la propria stessa sopravvivenza: a loro dovrebbe andare il più convinto appoggio come a tutte le famiglie il cui futuro dipende dalla continuazione dell’attività produttiva della aziende e dalla decisione degli imprenditori marchigiani di affrontare le conseguenze di una terribile guerra senza attendere i vuoti tempi della politica.

    Questa è l’unica Italia nella quale ci si dovrebbe riconoscere con orgoglio e speranza contrapposta alla mediocrità nella quale siamo immersi.

    *https://www.corriereadriatico.it/fermo/fermo_sfidano_europa_sanzioni_guerra_ucraina_calzaturieri_partono_fiera_mosca_ultime_notizie-6646537.html

  • Ukraine crisis: Why India is buying more Russian oil

    As calls continue for India to keep its distance from Moscow after the invasion of Ukraine, its oil purchases from Russia have more than doubled from last year.

    The Indian government has defended the move to buy Russian oil, and said what it buys from Russia in a month is less than what Europe buys from Russia in an afternoon.

    Why is India buying more Russian oil?

    India has taken advantage of discounted prices to ramp up oil imports from Russia at a time when global energy prices have been rising.

    The US has said that although these oil imports do not violate sanctions, “support for Russia…is support for an invasion that obviously is having a devastating impact”.

    UK Foreign Secretary Liz Truss also urged India to reduce its dependence on Russia during a trip to Delhi in March, which took place at the same time as a visit by the Russian foreign minister, Sergei Lavrov.

    Mr Lavrov told his Indian counterparts that Russia was willing to discuss any goods that India wanted to buy and urged that payments be made in roubles.

    Where does India get its oil?

    After the US and China, India is the world’s third-largest consumer of oil, over 80% of which is imported.

    But in 2021, only around 2% of its total oil imports (12 million barrels of Urals crude) came from Russia, according to Kpler, a commodities research group.

    By far the largest supplies last year came from oil producers in the Middle East, with significant quantities also from the US and Nigeria.

    In January and February, India didn’t import any oil from Russia.

    But so far, the amount of Urals oil contracts made for India covering March, April, May and June – around 26 million barrels – is higher than the quantity purchased during the whole of 2021, according to Kpler.

    What’s the deal India is getting?

    Following its invasion of Ukraine, there are now fewer buyers for Russia’s Ural crude oil, with some foreign governments and companies deciding to shun Russian energy exports, and its price has fallen.

    While the exact price of the sales made to India is unknown, “the discount of Urals to Brent crude [the global benchmark] remains at around $30 per barrel”, says Matt Smith, an analyst at Kpler.

    These two types of crude normally sell at a similar price.

    At one point in March, as the price of Urals crude continued to drop, the difference between them reached an all-time record, he adds.

    So “India is likely to purchase at least some of this [Russian] crude at a significant discount,” he says.

    What’s the impact of financial sanctions?

    Although the price is attractive, India’s big refining companies are facing a challenge trying to finance these purchases, because of sanctions on Russian banks.

    It’s a problem facing trade in both directions.

    One of the options India is looking at is a transaction system based on local currencies, where Indian exporters to Russia get paid in roubles instead of dollars or euros.

    The US has made clear its reservations with this, saying it could “prop up the rouble or undermine the dollar-based financial system”.

    Where else is India looking to buy oil?

    India’s oil imports from the US have gone up significantly since February, according to analysts at Refinitiv.

    However, market analysts say this may not be sustainable in the future as the US seeks to use its domestic oil production to replace supplies from Russia after its invasion of Ukraine.

    There are also suggestions that trade with Iran could resume under a barter mechanism which Indian oil refiners could use to buy its oil. This arrangement stopped three years ago, when the US re-imposed sanctions on Iran.

    But this is unlikely to resume without a wider deal reached in international negotiations with Iran over its nuclear programme.

  • Il Bitcoin diventa valuta legale nella Repubblica Centrafricana

    La Repubblica Centrafricana adotta il Bitcoin come valuta legale divenendo così il secondo Paese al mondo, dopo El Salvador, a fare ricorso a tale misura. Lo Stato africano, uno dei più poveri del mondo sebbene sia ricco di diamanti, oro e uranio, è devastato da un conflitto ultra decennale ed è uno stretto alleato della Russia, con mercenari del gruppo Wagner che fiancheggiano le forze ribelli locali.

    L’uso legale del Bitcoin è stato votato all’unanimità, come dichiarato dalla Presidenza della Repubblica secondo la quale tale mossa pone lo Stato “sulla mappa dei paesi più audaci e visionari del mondo”.

    Quando El Salvador ha adottato per primo il Bitcoin come valuta legale, nel settembre 2021, è stato fortemente criticato da mole realtà del mondo economico, compreso il Fondo Monetario Internazionale.

    Nel 2019, solo il 4% degli abitanti della Repubblica aveva accesso a Internet, secondo il sito Web WorldData. Ed la Rete è necessaria per utilizzare qualsiasi criptovaluta, incluso il Bitcoin.

    Il Paese attualmente utilizza il franco CFA (Franco delle Colonie francesi d’Africa), sostenuto dalla Francia insieme alla maggior parte delle altre ex colonie francesi in Africa. Tanti vedono nella legalizzazione del Bitcoin un tentativo per minare il CFA, all’interno di una vera e propria gara tra chi, Francia e Russia, possa mettere le mani su di un paese assai ricco di risorse. “Il contesto, data la corruzione sistemica e un partner russo che deve affrontare sanzioni internazionali, incoraggia i sospetti”, ha detto all’agenzia di stampa AFP l’analista francese Thierry Vircoulon.

    La Repubblica Centrafricana ha sofferto per i numerosi conflitti che si sono susseguiti, ed ancora in corso, sin dalla sua indipendenza nel 1960.

    Nel 2013, ribelli principalmente musulmani hanno preso il controllo del Paese in gran parte cristiano. Furono formate milizie di autodifesa per contrattaccare, causando numerosi massacri. Dopo l’elezione del presidente Faustin-Arcangelo Touadéra nel 2016, il Paese ha iniziato a spostare la sua alleanza strategica dalla Francia alla Russia.

  • L’Italia punta sull’Africa per liberarsi dalla dipendenza dal gas russo

    La “campagna del gas” avviata dal governo italiano per ridurre la dipendenza energetica da Mosca procede a ritmo sostenuto, e dopo l’Algeria e l’Egitto, è stata la volta dell’Angola e del Congo. Costretto a casa dal Covid-19, il premier Mario Draghi ha dovuto dare forfait alla missione e così la delegazione è stata guidata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dal titolare della Transizione ecologica Roberto Cingolani, accompagnati dall’ad di Eni Claudio Descalzi. Il 20 aprile firma a Luanda di una joint-venture ad ampio raggio nel settore energetico per la produzione di materie prime (petrolio, gas naturale e gas naturale liquefatto) spingendo anche sulle fonti rinnovabili. Successivamente la lettera d’intenti per rafforzare la cooperazione energetica tra Roma e Brazzaville cui si aggiunge anche un accordo ad hoc firmato da Eni con il ministro congolese degli Idrocarburi che dà ufficialmente il via all’estrazione di Gnl nel 2023. Proprio nell’ottica di rafforzare la cooperazione nel settore energetico, Roma sta usando le ottime relazioni che il gruppo energetico italiano ha costruito in circa 70 anni di presenza in Africa, dove è leader sia in termini di produzione che di riserve.

    L’intenzione del governo italiano è di sviluppare un progetto già avviato da Eni nel paese africano, provando così a rendere indipendente il nostro Paese dalle forniture di Gazprom prima ancora che in sede europea si trovi una posizione unica sul pagamento delle forniture. L’anno scorso il gigante russo energetico ha garantito oltre 29 miliardi di metri cubi di metano. Il gas aggiuntivo dei giacimenti angolani e congolesi arriverebbe sotto forma di Gnl, gas naturale liquefatto, e proprio per questo il Governo italiano sta lavorando anche a un maggior utilizzo dei terminali di gassificazione, che in Italia attualmente sono tre. Peraltro i piani di Eni prevedono una crescita di investimenti e attività nei Paesi africani nei prossimi anni: a sud del Sahara i principali hub dell’Eni si trovano in Congo, Angola, Nigeria e Mozambico, aree in cui le attività estrattive sono aumentate in modo considerevole.

    Nel 2020, la produzione annuale di gas della società guidata da Descalzi è ammontata a 1,4 miliardi di metri cubi mentre quella complessiva di idrocarburi è stata pari a 27 milioni di boe. Con l’accordo siglato ora, viene impresso un sensibile colpo d’accelerazione alla produzione di gas in Congo: tramite lo sviluppo del progetto di gas naturale il cui avvio è previsto nel 2023, si punta a ottenere una capacità a regime di oltre 3 milioni di tonnellate/anno (oltre 4,5 miliardi di metri cubi/anno). L’export di gnl permetterà così di valorizzare la produzione di gas eccedente la domanda interna congolese. La Repubblica del Congo ed Eni hanno anche concordato la definizione di iniziative di decarbonizzazione per la promozione della transizione energetica sostenibile nel Paese. L’ad di Eni ha spiegato che così facendo il Congo è diventato “un laboratorio di energie future con tecnologia italiana. Per questo – ha aggiunto – è un momento importante per entrambi i Paesi e anche per la nostra società”. Descalzi ha ricordato che Eni è l’unico produttore di gas ma che ora “stiamo ampliando la nostra attività a tutta la parte agricola per creare biocarburanti, al solare, all’economia circolare”.

    Soddisfatto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che, in conferenza stampa, ha sottolineato come l’operazione di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia rappresenti per l’Italia una “priorità”. Non solo, ma il governo italiano sta lavorando “duramente” anche sull’istituzione di un tetto al prezzo del gas europeo, su cui alcuni Paesi dell’Eurozona hanno espresso perplessità. E invece, ha sottolineato, “per noi rappresenta una priorità – ha aggiunto – e ci aspettiamo sostegno su questo”. Anche il titolare del dicastero della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha rilevato l’importanza dell’accordo in Congo in questo senso e “l’Italia è uno dei paesi più virtuosi” in questo percorso. Parole di apprezzamento per l’intesa in Congo sono state espresse dal ministro congolese degli Affari esteri, della francofonia e dei congolesi all’estero Jean-Claude Gakosso che ha così commentato: “Si dice che tutto il mondo passa attraverso l’energia. Siamo felici di concludere accordo con l’Italia, e anche con Eni che qui si è dedicata anche in altri campi come la ricerca. Ma oggi si apre una strada nuova, quella della transizione energetica, una sfida che Eni è riuscita a cogliere”. Dopo la firma al ministero degli Affari Esteri, la delegazione italiana è stata ricevuta dal presidente della repubblica del Congo, Denis Sassou N’Guesso.

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