salario

  • Del minimo salario

    In previsione delle prossime elezioni il mondo della politica cerca di mettere il proprio cappello sull’annosa questione del costo del lavoro e sul nuovo cavallo di battaglia considerato vincente: il  salario minimo.

    Ancora una volta, In altre parole, si sceglie o meglio si cerca di affrontare un problema complesso ed articolato attraverso l’introduzione di una nuova legge in aggiunta alla già frastagliata giungla normativa italiana, a testimonianza della “produttività”del ceto politico italico ed europeo.

    In questo complesso mondo i rapporti tra lavoratori  ed imprese andrebbe ricordato come la retribuzione netta, e quindi  percepita dal dipendente, rappresenti solo  il 40% del costo complessivo a carico dell’azienda, viceversa il restante 60% è costituito dagli oneri contributivi e dall’irpef sempre a carico dell’azienda.

    Così l’intenzione  di  modificare la quota percentualmente inferiore del costo complessivo produrrà un effetto minimale per chi percepisce la stessa retribuzione e, paradossalmente, aumenterà ancora l’onere complessivo a carico dell’azienda restando inalterata la quota fiscale relativa al 60% della retribuzione.

    Il taglio del cuneo fiscale, viceversa, permetterebbe immediatamente e senza alcuna norma aggiuntiva il conseguimento immediato di un aumento della retribuzione, il che comporterebbe un conseguente primo aumento dei consumi. Questo taglio potrebbe risultare persino di due tipologie a seconda della matrice politico-ideologica adottata.

    Una prima potrebbe introdurre una riduzione del carico fiscale sulle retribuzioni  progressivamente inverso rispetto all’applicazione delle aliquote Irpef sui redditi  e così, di conseguenza, potrebbe risultare  maggiore  per i redditi inferiori fino a 28.000 e successivamente con tagli inferiori per i redditi superiori.

    Oppure, nel secondo caso, attraverso un semplice taglio lineare per tutte le fasce di reddito contando sugli effetti della applicazione del  principio dell’utilità marginale decrescente del denaro al crescere del reddito e, di conseguenza, ottenendo comunque un maggior vantaggio per le fasce di reddito più basse.

    Invece la politica cerca di porre il proprio cappello sull’intera questione con un risibile ed a basso impatto aumento del salario minimo venduto come il conseguimento di un grande  traguardo nel percorso di  equità sociale  il cui merito andrebbe attribuito al  ceto politico il quale si avvantaggerebbe, tra l’altro, del mantenimento delle risorse finanziarie messe a disposizione dalla stessa pressione fiscale sulle retribuzioni.

    Una situazione insostenibile tanto per le aziende quanto per i lavoratori ed  inquadrabile nel processo di un più ampio sostegno alla domanda interna e quindi di un aumento del reddito disponibile.

    Ancora una volta si sceglie di imporsi con nuove normative in settori complessi con l’unico obiettivo di confermare la propria esistenza in vita in particolar modo ora, in prossimità di diversi appuntamenti elettorali, assieme al mantenimento inalterato della disponibilità di risorse finanziarie destinate alla spesa pubblica.

    Un’altra problematica attuale, come quella delle retribuzioni, da oltre trent’anni in diminuzione in quanto  il nostro Paese è l’unico in Europa ad avere disponibilità di reddito in diminuzione (-3,4% rispetto alla Germania con un +34,7%), viene affrontata in modo superficiale a dimostrazione di quanto sia ormai siderale la distanza tra il mondo della politica e la realtà economica nel mondo del lavoro.

  • Soddisfazione della Commissione per l’accordo politico sui salari minimi adeguati per i lavoratori nell’UE

    La Commissione europea plaude all’accordo politico raggiunto tra il Parlamento europeo e gli Stati membri dell’UE sulla direttiva relativa a salari minimi adeguati, proposta dalla Commissione nell’ottobre 2020.

    All’inizio del suo mandato la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha promesso uno strumento giuridico per garantire ai lavoratori dell’UE un salario minimo equo e ha ribadito tale impegno nel suo primo discorso sullo stato dell’Unione del 2020.

    La direttiva istituisce un quadro per l’adeguatezza dei salari minimi legali, promuovendo la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e migliorando l’accesso effettivo dei lavoratori alla tutela garantita dal salario minimo nell’UE.

    I salari minimi adeguati sono importanti per rafforzare l’equità sociale e sostenere una ripresa economica sostenibile e inclusiva. Il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro va anche a vantaggio delle imprese, come pure della società e dell’economia in generale, stimolando la produttività e la competitività.

    La tutela garantita dal salario minimo esiste in tutti gli Stati membri dell’UE, attraverso salari minimi legali e contratti collettivi oppure esclusivamente attraverso contratti collettivi.

    Garantire che i lavoratori siano adeguatamente retribuiti è essenziale per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro e per costruire società ed economie eque e resilienti. Alcuni lavoratori risentono tuttavia della limitata adeguatezza e/o delle lacune nella copertura della tutela garantita dal salario minimo.

    La nuova direttiva mira ad affrontare questo problema istituendo un quadro dell’UE per rafforzare l’adeguata tutela garantita dal salario minimo, nel pieno rispetto delle tradizioni e delle competenze nazionali, come pure dell’autonomia delle parti sociali. La direttiva non obbliga gli Stati membri a introdurre salari minimi legali, né fissa un livello comune dei salari minimi in tutta l’UE.

    I principali elementi della direttiva sono elencati di seguito.

    • Un quadro per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali: gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali dovranno istituire un quadro di governance solido per la determinazione e l’aggiornamento dei salari minimi, che comprenda:
      • criteri chiari per la determinazione dei salari minimi (tra cui: il potere d’acquisto, tenendo conto del costo della vita; il livello, la distribuzione e il tasso di crescita dei salari; la produttività nazionale);
      • l’utilizzo di valori di riferimento indicativi per orientare la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi (la direttiva fornisce indicazioni sui possibili valori che potrebbero essere utilizzati);
      • l’aggiornamento periodico e puntuale dei salari minimi;
      • l’istituzione di organi consultivi ai quali parteciperanno le parti sociali;
      • la garanzia che le variazioni dei salari minimi legali e le trattenute su di essi rispettino i principi di non discriminazione e proporzionalità, compreso il perseguimento di un obiettivo legittimo;
      • il coinvolgimento concreto delle parti sociali nella determinazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali.
    • La promozione e l’agevolazione della contrattazione collettiva sui salari: la direttiva sostiene la contrattazione collettiva in tutti gli Stati membri, dato che i paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere una percentuale inferiore di lavoratori a basso salario, minori disuguaglianze salariali e salari più elevati. La direttiva chiede inoltre agli Stati membri in cui la copertura della contrattazione collettiva è inferiore all’80% di istituire un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva.
    • Un miglior monitoraggio e una migliore applicazione della tutela garantita dal salario minimo: gli Stati membri dovranno raccogliere dati sulla copertura e sull’adeguatezza dei salari minimi e garantire che i lavoratori possano accedere alla risoluzione delle controversie e usufruiscano del diritto di ricorso. Il rispetto e l’applicazione efficace sono essenziali affinché i lavoratori possano effettivamente beneficiare dell’accesso alla tutela garantita dal salario minimo, e promuovono una competitività basata su innovazione, produttività e rispetto degli standard sociali.

    L’accordo politico raggiunto dal Parlamento europeo e dal Consiglio è ora soggetto all’approvazione formale dei colegislatori. Una volta pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’UE, la direttiva entrerà in vigore dopo 20 giorni e gli Stati membri la dovranno poi recepire entro due anni nel diritto nazionale.

    Fonte: Commissione europea

  • I salari in Italia? Bassi e ampiamente mangiati dal fisco

    Se prometti di pagare chi non lavora, devi trovare i soldi da chi li guadagna, sembra abbastanza ovvio. Come stupirsi allora che secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), l’Italia è ai primi posti sulla tassazione del lavoro tra i 36 Paesi più sviluppati al mondo?

    In un rapporto sul cosiddetto cuneo fiscale, il totale delle imposte e dei contributi, a carico del datore di lavoro o del dipendente, che grava sulla busta paga, l’Ocse colloca l’Italia al secondo posto, meglio solo della Francia, con una quota del 39,1% nella graduatoria per la famiglie monoreddito e con 2 figli (la media Ocse è pari, invece, al 26,6%); e la colloca al terzo posto, dopo Belgio e Germania, per il peso del cuneo fiscale sui lavoratori single e senza figli: 47,9% in leggero aumento (+0,2%) rispetto al 2018, contro una media mondiale del 36,1%, in lieve flessione rispetto all’anno scorso.

    Se si calcolano solo imposte e contributi previdenziali a carico del lavoratore italiano, il netto raggiunge il 68,8% della retribuzione per i single, contro una media Ocse del 74,5%, e l’80% (contro una media dell’85,8%) per una famiglia italiana con 2 figli a carico e un solo reddito.

    Di contro, nota ancora l’Ocse, in Italia la soglia media della retribuzione è al 19esimo posto nella classifica: circa 40.240 euro, peggio solo del Canada (37.930 euro), e sotto la media generale (40.940 euro).

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