Salvini

  • Salvini invece che a Mosca vada da Orban

    Apprezzabile, da parte di chiunque, l’appello alla pace e i tentativi per mettere in essere iniziative che possano agevolarla, facendo la massima attenzione per evitare di inficiare quanto hanno già posto in essere, e continueranno a fare, il governo italiano, l’Unione Europea e le altre istituzioni internazionali.

    In questo quadro l’attenzione di Salvini dovrebbe concentrasi sul suo collega Orban che ha continuato e continua a mettere ostacoli agli accordi europei, dall’embargo al petrolio russo a quelle contro sanzioni Kirill, il patriarca di Mosca, ben noto per il suo appoggio alla guerra contro l’Ucraina  e le cui proprietà  personali sono decisamente molto, troppo  ingenti per un uomo che non è, ufficialmente, un oligarca ma  rappresenta la chiesa ortodossa russa.

    Orban si frappone o cerca di ritardare ogni iniziativa atta a cercare di mettere la Russia in difficoltà mentre sembra completamente indifferente alla tragedia che sta vivendo il popolo ucraino massacrato dai missili di Putin.

    Sappiamo tutti che l’unico strumento, oltre le armi, per cercare di portare Putin al tavolo della pace, a quel cessate il fuoco necessario per salvare vite umane e la distruzione sistematica delle città ucraine, sono e restano le sanzioni, strumento lento, spesso non di totale, immediata efficacia ma comunque utile.

    Chiudere i rubinetti che convogliano miliardi, che siano in euro o in rubli poco conta, al governo russo e sanzionare tutti coloro che appoggiano la guerra o addirittura la fomentano è l’unica strada, oltre, lo ripetiamo convintamente, all’invio più tempestivo di armi, maggiormente efficaci, ai valorosi resistenti ucraini.

    Un’azione diplomatica, politica Salvini potrebbe e dovrebbe portare avanti parlando con Orban e convincendolo che il futuro del suo popolo resta l’Unione Europea e non la Russia del suo amico Putin.

    Se poi Salvini condivide l’atteggiamento di Orban e pensa anche lui che sia meglio la Russia dell’Unione Europea lo dica ora definitivamente così  tutti, elettori e lui stesso compresi, avranno le idee più chiare.

  • In Europa quale Commissario per l’Italia?

    Torna la politica dei veti incrociati, delle minacce, me ne vado, no me ne vado io. Torna? In effetti non se n’era mai andata la politica dei piccoli, grandi, giochi di potere e su questi giochi alla fine è caduto Berlusconi, si è arenato Monti senza che prima né D’Alema né Prodi avessero cavato un ragno dal buco. Letta è stato divorato dall’arroganza di Renzi, quel Renzi poi caduto nel suo stesso tranello, i furbi finiscono spesso per essere vittime di se stessi. E come Renzi dal vertice del suo 40% di voti alle Europee è tornato a casa, sconfitto dalla sua stessa arroganza, i 5 Stelle hanno dimezzato i propri consensi nell’insipienza e nel pressapochismo progettuale. Ora Salvini cavalca l’ubriacatura di consenso e veste i panni, sempre più marcati, del decisionista che può fare a meno di tutti, ignaro che rischia di essere il terzo, dopo Renzi e Di Maio, a pagare il fio di una politica autoreferenziale e incolta.
    Mentre in Italia i veti incrociati e le dichiarazioni ad effetto si susseguono e l’economia è sempre
    più in crisi, in Europa si decide, attraverso l’assegnazione dei vari incarichi, il futuro di cinquecento e più milioni di cittadini. Cittadini che vorrebbero continuare ad essere esentati da situazioni di guerra, sia economica che militare, che vorrebbero un rilancio economico per arginare le povertà sempre più dilaganti, che chiedono politiche comuni sia in tema di immigrazione che di lotta al terrorismo, che vogliono che lo stato di diritto si coniughi con la libertà di impresa e con la certezza di leggi, regolamenti, impegni.
    Le grandi multinazionali, specie nel settore informatico, la fanno da padrone e non pagano le tasse, la Cina sta occupando tutti i mercati ed i territori, gli Stati Uniti sollecitano il Regno Unito a definire la Brexit e tentano, in tutti i modi di impoverire, sia politicamente che economicamente, l’Unione europea. Le guerre ai nostri confini continuano e l’Africa, nostro partner naturale per ragioni non solo geografiche, è al di là dei nostri pensieri e dei nostri immediati progetti economici e politici.
    I leader del governo italiano dovrebbero essere a Bruxelles a trattare il dicastero, il commissario europeo che per noi è importante ottenere, senza arroganza ma con le idee chiare, conoscendo i dossier, le debolezze e le richieste degli altri Stati, dovrebbero, tra l’altro, mettere sul piatto della bilancia che l’Italia lascia tre posizioni chiave, sopratutto la BCE, e che, anche come Stato fondatore e potenza industriale mondiale, abbiamo diritto ad un dicastero economico o comunque di peso.
    I nostri leader sono invece qui, in Italia, a discutere su chi lo ha più lungo, come giovani cani in un prato o adolescenti alle prime pruderie e di Bruxelles parlano solo per vedere in quale posto riuscire a collocarsi o per fare polemiche che inaspriscono ulteriormente rapporti già tesi da troppo tempo. Veti incrociati o incrocio di incompetenze e arroganze col disegno, ormai non tanto nascosto, per alcuni di salvare il salvabile e per altri di passare dalla democrazia allo stato forte ed autarchico. Peccato che senza democrazia e senza Europa ci sia solo il buio ed il declino.

  • En vue des Elections europeennes de 2019

    Irnerio Seminatore

    L’évolution de la conjoncture européenne en vue des élections parlementaires de 2019 résulte d’une opposition entre dirigeants européens et américains à propos des deux notions, du “peuple” et du “gouvernement”, se présentant comme une opposition entre populistes et élitistes, ou encore entre ” nationalistes” et “progressistes”, “souverainistes illibéraux” (Orban, Salvini et autres) et “libéraux anti-démocratiques”, tels Macron, Merkel et Sanchez. Cette opposition reprend la classification de Yascha MounK, Professeur à Harvard,dans son essai, “Le peuple contre la Démocratie”, qui explique pourquoi le libéralisme et la démocratie sont aujourd’hui en plein divorce et pourquoi on assiste à la montée des populismes.La crise de la démocratie libérale s’explique, selon Mounk, par la conjonction de plusieurs tendances, la dérive technocratique du fait politique, dont le paroxisme est représenté par l’Union Européenne, la manipulation à grande échelle des médias et une immigration sans repères qui détruit les cohésions nationales.

    Ainsi l’atonie des démocraties exalte les nationalismes et les formes de “patriotisme inclusif”, qui creusent un fossé entre deux conceptions du “peuple”, celle défendue par Trump, Orban et les souverainistes européens, classifiés comme “illibéraux démocratiques” et celle des “libéraux anti-démocratiques”, pour qui les processus électoraux sont contournés par les bureaucraties, la magistrature (en particulier la Cour Suprême aux États-Unis) et les médias, dans le buts de disqualifier leurs adversaires et éviter les choix incertains des électeurs. Ce type de libéralisme permet d’atteindre des objectifs antipopulaires par des méthodes détournées.

    Or, dans la phase actuelle, la politique est de retour en Europe, après une longue dépolitisation de celle-ci, témoignée par le livre de F. Fukuyama, qui vient de paraître aux États-Unis, au titre: “Identité: la demande de dignité et la politique du ressentiment”. Fukuyama nous expliquait en 1992, que “la fin de l’histoire” était la fin du débat politique, comme achèvement du débat entre projets antagonistes, libéralisme et socialisme, désormais sans objet. Au crépuscule de la guerre froide, il reprenait au fond la thèse de Jean Monnet du début de la construction européenne sur la “stratégie de substitution” de la politique pour atteindre l’objectif de l’unité européenne. Une stratégie qui s’est révélée une “stratégie d’occultation” des enjeux du processus unitaire et de lente dérive des nouveaux détenteurs du pouvoir, les “élites technocratiques”, éloignées des demandes sociales et indifférentes, voire opposées au “peuple”. Pour Fukuyama l’approfondissement de sa thèse sur la démocratie libérale comme aboutissement du libéralisme économique, implique encore davantage aujourd’hui, après trente ans de globalisation, un choix identitaire et un image du modèle de société, conçue en termes individualistes, d’appartenance sexuelle, religieuse et ethnique. Le contre choc de la globalisation entraîne un besoin d’appartenance et une politique des identités, qui montrent très clairement les limites de la dépolitisation. Les identités de Fukuyama sont “inclusives”, car elles réclament l’attachement des individus aux valeurs et institutions communes de l’Occident, à caractère universel.

    Face à l’essor des mouvements populistes, se réclamant d’appartenances nationales tenaces, les vieilles illusions des fonctionnalistes, pères théoriques des institutions européennes, tels Haas, Deutsch et autres, selon lesquelles la gestion conciliatrice des désaccords remplacerait les conflits politiques et l’efficacité des normes et de la structure normative se substitueraient aux oppositions d’intérêts nationaux, sont remises radicalement en cause, à l’échelle européenne et internationale, par les crises récentes de l’Union. En effet, la fragilité de l’euro-zone, les politiques migratoires, les relations euro-américaines et euro-russes révèlent une liaison profonde, conceptuelle et stratégique, entre politique interne et politique étrangère.

    Elles révèlent l’existence de deux champs politiques, qui traversent les différences nationales et opposent deux conceptions de la démocratie et deux modèles de société, celle des “progressistes (autoproclamés)” et celle des souverainistes (vulgairement appelés populistes).

    “L’illibéralisme” d’Orban contre “le libéralisme anti-démocratique” de Macron

    Ainsi l’enjeu des élections européennes de mai 2019 implique une lecture appropriée des variables d’opinions ,le rejet ou l’acquiescence pour la question migratoire, l’anti-mondialisme et le contrôle des frontières. Cet enjeu traduit politiquement une émergence conservatrice, qui fait du débat politique un choix passionnel, délivré de tout corset gestionnaire ou rationnel Ce même enjeu est susceptible de transformer les élections de 2019 en un référendum populaire sur l’immigration et le multiculturalisme, car ce nouveau conservatisme, débarrassé du chantage humanitaire, a comme fondement l’insécurité, le terrorisme et le trafic de drogue,  qui se sont  installés partout sur le vieux continent.  Il a pour raison d’être l’intérêt du peuple à demeurer lui même et pousse les dirigeants européens à promouvoir une politique de civilisation. Il n’est pas qui ne voit que le phénomène migratoire pose ouvertement la question de la transformation démographique du continent et, plus en profondeur, la survie de l’homme blanc, En perspective et par manque d’alternatives, l’instinct de conservation pourra mobiliser tôt ou tard les peuples européens vers un affrontement radical et vers la pente fatale de la guerre civile et de la révolte armée contre l’Islam et le radicalisme islamique Ainsi autour de ces enjeux, le débat entre les deux camps, de “l’illibéralisme” ou de l’État illibéral à la Orban et du “libéralisme sans démocratie” à la Macron, creuse un fossé sociétal dans nos pays, détruit les fondements de la construction européenne et remet à l’ordre du jour le mot d’ordre de révolution ou d’insurrection. Il en résulte une définition de l’Europe qui, au delà du Brexit, n’a plus rien à voir avec le marché unique ou avec ses institutions sclérosées et désincarnées, mais avec  des réalités vivantes, ayant une relation organique avec ses nations.

    Les élections parlementaires de 2019 constitueront non seulement un tournant, mais aussi une rupture avec soixante ans d’illusions européistes et mettront en cause le primat de la Cour européenne des droits de l’homme, censée ériger le droit et le gouvernement des juges au dessus de la politique. Ainsi le principe de l’équilibre des pouvoirs devra être redéfini et le rapport entre formes d’État et formes de régimes, revu dans la pratique, car mesuré aux impératifs d’une conjoncture inédite. Le fossé entre élites et peuple doit être réévalué à la mesure des pratiques des libertés et à l’ostracisassions  du discours des oppositions, classé “ad libitum” comme phobique ou haineux, ignorant les limites constitutionnelles du pouvoir et de l’État de droit classiques.

    Or la conception illibérale de l’État, dont s’est réclamé Orban en 2014, apparaît comme une alternative interne à l’équilibre traditionnel des pouvoirs et , à l’extérieur, comme une révision de la politique étrangère et donc comme la chance d’une “autre gouvernance” de l’Union, dont le pivot serait désormais la nation, seul juge du bien commun.  Cette conception de” l’État non libéral, ne fait pas de l’idéologie l’élément central de l’organisation de l’État, mais ne nie pas les valeurs fondamentales du libéralisme comme la liberté”. En conclusion “l’illibéralisme d’Orban “résulte d’une culture politique qui disqualifie, en son principe, la vision du libéralisme constitutionnel à base individualiste et fait du “demos” l’axe portant de toute politique du pouvoir. Le débat entre “souverainistes” et “progressistes” est une preuve de la prise de conscience collective de la gravité de la conjoncture et de l’urgence de trancher dans le vif et avec cohérence sur l’ensemble de ces questions vitales. En France le bonapartisme est la quintessence et la clef de compréhension de l’illibéralisme français, qui repose sur “le culte de l’État rationalisateur et la mise en scène du peuple un”. Orban réalise ainsi la synthèse politique de Poutine et de Carl Schmitt, une étrangeté constitutive entre “la verticale du pouvoir” du premier et du concept de souveraineté du second, qui s’exprime dans la nation et la tradition et guère dans l’individu.

    Cette synthèse fait tomber “un rideau du doute” entre les deux Europes, de l’Est et de l’Ouest, tout au long de la ligne du vieux “rideau de fer”, allant désormais de Stettin à Varsovie, puis de Bratislava à Budapest et, in fine de Vienne à Rome. D’un côté nous avons le libre-échange sauvage, la morale libertine et une islamisation croissante de la société, sous protection normative de l’U.E et de certains États-membres, de l’autre les “illibéraux” de l’Est, qui se battent pour préserver l’héritage de l’Église et de la chrétienneté. L’espace passionnel de l’Europe centrale, avec, en fers de lance la Pologne et la Hongrie puise dans des “gisements mémoriels”, riches en histoire, les sources d’un combat souverainiste et conservateur, qui oppose à l’Ouest deux résistances fortes, culturelles et politiques.

    Sur le plan culturel une résistance déclarée à toutes les doctrines aboutissant à la dissolution de la famille, de la morale et des mœurs traditionnelles (avortement et théorie du genre).

    Sur le plan politique, la remise en question du clivage droite-gauche, la limitation des contre-pouvoirs, affaiblissant l’autorité de l’exécutif et au plan général, la préservation des deux héritages, la tradition et l’histoire, qui protègent l’individu de la contrainte, quelle qu’en soit la source, l’État, la société ou l’Église; protection garantie par une Loi fondamentale à l’image de la Magna Carta en Grand Bretagne (1215), ou de la Constitution américaine de 1787.

    Cette opposition de conceptions, de principes et de mœurs, aiguisés par la mondialisation et la question migratoire, constitueront le terrain de combat et de conflit des élections européennes du mois de mai 2019 et feront de l’incertitude la reine de toutes les batailles, car elles seront un moment important pour la création d’un nouvel ordre en Europe et, indirectement, dans le monde.

     

    Bruxelles 27 septembre 2018

  • In attesa di Giustizia: figli di un Dio minore

    Devo fare una premessa alle considerazioni che seguiranno: parlo da cittadino che ritiene corretto modulare i flussi migratori, che auspica che l’Europa contribuisca allo sforzo che il nostro Paese deve affrontare rispetto agli sbarchi che quasi quotidianamente si riversano sulle nostre coste.

    Quella penisola che ai tempi della Guerra Fredda era considerata una portaerei NATO nel Mediterraneo è diventata, ma non può continuare ad essere per la sua posizione geografica, un molo di attracco per popolazioni in fuga ma prive di prospettive immediate di integrazione: ciò a prescindere dalle eventuali intenzioni criminali che possono ben animare qualcuno.

    Tuttavia, il recentissimo “Decreto Salvini” posto a baluardo della immigrazione incontrollata offre spunti critici che è auspicabile il Parlamento corregga in sede di approvazione poiché mostra gli estremi della incongruenza costituzionale. E uno Stato di Diritto non può rinunciare a che le garanzie fondamentali vengano limitate nei confronti di talune categorie di persone, eccessivamente compiacendo le ansie dell’opinione pubblica: di fronte alla legge, che non a caso è definita come uguale per tutti, non possono esserci distinguo per provenienza etnica.

    Vediamo, sinteticamente e cercando di impiegare la maggiore chiarezza possibile di cosa si tratta per punti salienti del provvedimento: innanzi tutto appare passibile di scrutinio di costituzionalità la previsione di un obbligo di lasciare il territorio nazionale per i richiedenti asilo (che sono categoria a sé tra i migranti) se condannati in primo grado per alcuni reati (taluni, oltretutto, di marginale gravità).

    Così facendo si infrangono almeno due precetti della Carta Fondamentale dello Stato che disciplinano il diritto alla difesa, la limitazione della libertà personale e la presunzione di non colpevolezza.

    Il problema non è – dunque – nel maggior rigore, che va bene, sui requisiti per fare domanda di asilo e protezione per chi proviene da territori devastati dalle guerre ma sulla prevista espulsione di chi sta affrontando un processo e che – se allontanato – avrà minori opportunità di far valere le proprie ragioni. Sul punto, in casi analoghi, in passato la Corte Costituzionale si è già pronunciata valorizzando e facendo prevalere il diritto di difesa. Il legislatore di tali precedenti dovrebbe fare buon governo attivando, se mai, meccanismi di controllo sui soggetti sotto processo sino al suo esito finale.

    Anche il “trattenimento” degli stranieri in attesa di espulsione lascia perplessi nella misura in cui, costituendo una limitazione della libertà personale omologabile a una detenzione, non è possibile che avvenga sulla scorta di un provvedimento amministrativo essendo necessario quello di una Autorità Giudiziaria…sempre in ossequio a quanto prevede la Costituzione.

    Ciò detto e pur considerando le migliori intenzioni della compagine governativa nell’affrontare quello che sicuramente è un problema avvertito e reale, l’auspicio non può essere che quello di adottare ogni intervento utile in tal senso ma nel rispetto di quella Costituzione su cui chi si è fatto carico di guidare il Paese ha giurato e dovrebbe conoscere.

    Il tutto senza dimenticare che il nostro è stato ed è ancora in certa misura un popolo di migranti e come tale dovrebbe avere la sensibilità che non porta a considerare chi oggi si trova in condizioni analoghe come destinatario di un “diritto del nemico” e figli di un dio minore.

  • Verhofstadt propone un’alleanza a Macron per le Europee del 26 maggio

    I deputati liberali del Parlamento europeo vogliono formare un “movimento” antinazionalista con il leader francese Emmanuel Macron per contestare l’estrema destra delle elezioni europee del prossimo anno e Guy Verhofstadt, leader del gruppo liberale al Parlamento europeo, ha presentato l’offerta: «Siamo pronti a creare questa alternativa con Macron», ha detto Verhofstadt, ex primo ministro belga, al quotidiano francese Ouest-France. «Sarà qualcosa di nuovo – ha proseguito – un movimento, un’alternativa pro-europea ai nazionalisti. Il nostro gruppo è pronto a partecipare ora, senza aspettare. L’obiettivo è creare un gruppo decisivo nel futuro parlamento, uno strumento per fermare l’ondata nazionalista».

    Resta da vedere se la festa di Macron, La Republique en Marche, riprende l’offerta. «Non siamo pronti per un’alleanza», ha detto all’agenzia di stampa Reuters Christophe Castaner, il capo del partito. Ma Macron e Castaner stanno attualmente girando l’Europa per reclutare politici dalla mentalità simile a formare una nuova piattaforma pro-europea entro la fine dell’anno. L’iniziativa arriva dopo che Macron si è dichiarato «l’avversario principale» di un’asse nazionalista-populista guidata da Ungheria e Italia.

    Il gruppo liberale Alde ha 68 deputati al PE. Quella cifra potrebbe gonfiarsi a oltre 100 nella nuova formazione proposta con il partito di Macron. Il progetto di Macron ha anche attirato politici di centro-sinistra in Danimarca e Svezia. La piattaforma potrebbe diventare ancora più grande se attirasse deputati del gruppo Ppe di centro-destra, alle prese con un conflitto interno sul fatto che il leader ungherese Viktor Orban sia idoneo a restare un membro delle sue fila.

    «Queste soluzioni progressive che portiamo sono le più rispettose dei valori della nostra Europa, ma anche i più efficienti per affrontare le sue sfide», ha detto Macron dopo aver incontrato i leader di Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi.«Consideriamo questo come una cooperazione tra le forze progressiste che combatteranno l’estrema destra: dobbiamo formare una massa critica», ha detto Pieyre-Alexandre Anglade, parlamentare del partito Macron.

    Nel frattempo, le forze di estrema destra si sono unite ulteriormente, quando i populisti italiani e olandesi si sono incontrati a Cernobbio. Matteo Salvini, leader della Lega, ha anche collaborato con Steve Bannon, un capo dei media hard-right americano, che sta aprendo una consulenza a Bruxelles per aiutare la parte populista a vincere seggi nel prossimo maggio Voto dell’Ue. La collaborazione di Salvini con Bannon ha dimostrato che «questo è il posto giusto per l’unificazione del movimento populista in Europa», ha detto Mischael Modrikamen, l’uomo di Bannon a Bruxelles. Il partito italiano, che spera di conquistare un terzo dei seggi nel voto dell’UE, intende creare un “potere di blocco” nel Parlamento europeo che potrebbe paralizzare la legislazione dell’Ue, ha affermato Modrikamen.

  • Un po’ di chiarezza sulle scorte

    Secondo i dati pubblicati, sabato 23 giugno, dal Corriere della Sera in Italia sarebbero 560 le persone che godono di una scorta e gli agenti addetti alla tutela sarebbero 2000. Non sono né troppi né pochi, dipende dalle motivazioni che hanno portato a dotare 560 italiani di una protezione e dall’uso effettivo della scorta. Come abbiamo chiesto il 21 giugno, per trasparenza e democrazia, sarebbe giusto conoscere i nomi almeno di coloro che rivestono un incarico pubblico, sarebbe giusto avere conferma che la scorta tutela la persona in pericolo durante le sue funzioni e non mentre eventualmente va a divertirsi in un locale notturno. La scelta di dare o confermare una scorta non può basarsi sulla simpatia o sull’appartenenza partitica o culturale e le polemiche nate intorno alla scorta di Saviano ci sembrano l’ulteriore utilizzo di notizie, battute, minacce per scopi propagandistici mentre un paese serio deve pensare a tutelare chi è in pericolo punto e basta così come chi è in pericolo non può utilizzare la scorta per andare a divertirsi.

    Per troppo tempo in Italia la scorta ha rappresentato, per alcuni, una sorta di status symbol e si sono date scorte a chi non era in pericolo e tolte a coloro che, come Marco Biagi, erano nel mirino. Ci auguriamo che il ministro dell’Interno, esternando meno, effettui una verifica corretta sull’utilizzo delle scorte non facendosi guidare da emotività e pregiudizi: chiunque governi deve comprendere che non rappresenta più soltanto i propri elettori ma un intero Paese e che quanto può sembrare utile oggi ad ottenere qualche voto in più può trasformarsi un domani in un boomerang elettorale, e comunque il fine di chi governa deve essere il bene comune e non quello della propria parte politica. Gli esempi di questi anni hanno dimostrano quanto i proclami e le battute abbiano il fiato corto, Renzi docet.

  • Pensieri

    Positivo che Francia e Germania con Italia e Spagna si confrontino per trovare finalmente soluzioni comuni,  e cioè europee, al decennale problema migranti, sperando che arrivino anche i fatti dopo le dichiarazioni. Meno positivo è che per smuovere le acque paludose di un’Europa vecchia di idee e povera di contenuti ed azioni siano stati più utili i toni duri di Salvini che le tragiche realtà ed inadempienze di questi anni.

    Cosa ha impedito all’Europa di comprendere la comune realtà? Di trovare solidarietà reciproche, di modificare quell’orrido accordo di Dublino? Se anche le voci dall’Italia non sono state né incisive né coerenti negli anni passati la realtà era ed è, comunque, sotto gli occhi di tutti i leader europei, così come sono da tempo evidenti le inadempienze di alcuni Paesi. Se siamo ancora in un contesto sociale internazionale nel quale si dà ascolto a chi urla di più e non ai ragionamenti ed ai confronti si avvicinano tempi bui.

    Difendere da ingressi incontrollati ed eccessivi le proprie frontiere non può tramutarsi in azioni violente che colpiscono comunque i bambini. Le iniziative del Presidente americano cancellano qualunque immagine degli Stati Uniti come Paese leader per il rispetto dei diritti umani, una nazione che per anni concedeva la cittadinanza a chi andava a combattere a suo nome e che oggi separa i bambini piccoli dai propri genitori non può ergersi a paladina, nel mondo, di libertà e democrazia, come dimostrano le molte guerre fatte per motivi economici e non certo di giustizia. E se nel passato l’America ha più volte sbagliato, lasciando spesso agli altri il peso e le conseguenze delle sue colpe, oggi dimostra di aver perso per sempre i valori della frontiera, quei valori che anche i film di una volta ci insegnavano, e cioè che la giustizia ed i buoni alla fine trionfano, oggi più che mai è solo il dio denaro che conduce la politica.

    Diceva Voltaire “se vuoi parlar con me fissa i tuoi termini”, vale a dire che nel parlare si deve sapere cosa si sta dicendo e se a volte si usa un linguaggio provocatorio per ottenere maggiore attenzione è anche vero che di provocazione in provocazione si può arrivare a non essere più credibili. La cosiddetta schedatura dei Rom è certamente incostituzionale come non appartiene ad un Paese civile che vi siano zone nelle quali si vive in mezzo alle immondizie, i bambini non vanno a scuola e molti delinquono professionalmente. Così come non è da Paese civile che ormai a due anni dal terremoto le macerie siano ancora lì e troppe persone senza casa ed aiuto per ricominciare. Abbassare i toni e migliorare i contenuti è l’invito che rivolgiamo al governo perché troppi hanno l’impressione che i toni siano tenuti alti non solo per fini elettorali ma perché non si sa ancora come risolvere i molti problemi che affliggono il Paese e che non dipendono dai Rom…

  • Delusione per il non accordo su Dublino

    Siamo stati tutti soddisfatti nell’apprendere che l’Europa si è sentita rassicurata dalle parole del ministro Tria, dopo giorni di battute infelici dette a sproposito ed inutili allarmismi lanciati da esponenti europei. Rimaniamo invece insoddisfatti e preoccupati per la mancanza di un concreto e corretto progetto di revisione del regolamento di Dublino, a distanza di pochi giorni dal nuovo vertice europeo. Se la disponibilità spagnola apre lo spiraglio ad una maggior collaborazione tra i paesi del Mediterraneo, in attesa di un cambio radicale della sciagurata e pericolosa scelta fatta a Dublino nel 1990 e ribadita nel 2003, rimangono aperti tutti i problemi connessi all’immigrazione, tra i quali la condivisione di responsabilità tra tutti i paesi europei, la necessita di impedire che nei paesi di origine del fenomeno migratorio si creino tali storture e violenze tali, da imporre in troppi casi l’esodo di persone disperate, la lotta ai trafficanti di esseri umani protetti da governi conniventi o ricattati ed impauriti. Salvini dice che alzare la voce paga. Io penso che paghi avere una voce chiara  per sostenere programmi chiari e realizzabili, che abbiano un rapporto diretto con la realtà e siano abbastanza lungimiranti da poter attuare iniziative per cambiarla in meglio. In Europa forse non è necessario urlare per farsi ascoltare, basta esserci e far sentire la propria voce, basta esserci e non parlare a vanvera, basta esserci con determinazione ed altrettanto buon senso. Molto di quanto non ci soddisfa è dovuto alle nostre assenze, alla nostra impreparazione e alle nostre omissioni. Salvini dovrebbe saperlo bene.

  • Il festival dell’incoerenza e della malafede

    Se ci fosse un premio Nobel per l’incoerenza e la malafede non sarebbe difficile trovare coloro che lo meriterebbero. Le recenti vicende politiche italiane e in particolare la crisi costituzionale provocata dai capi politici del M5s e Lega, Di Maio e Salvini, offrono lo spunto per l’assegnazione del premio a questi due personaggi. Ce ne sarebbero altri meritevoli del premio, ma quelli che spiccano per la loro adamantina incongruenza sono i due politici citati. Gli esempi concreti li ricorda Mattia Feltri su La Stampa di oggi. Il primo si riferisce a Luigi Di Maio, che il 18 febbraio scorso affermava: “Carlo Cottarelli ha stilato la lista della spesa che dovrà seguire un governo per prendere soldi dove non servono e metterli dove servono. Il nostro piano di governo ripartirà da lui. Gli altri governi, invece di eliminare le spese inutili e i privilegi hanno eliminato Cottarelli”.

    Ieri, però, lo stesso Di Maio ha dichiarato: “Al ministero volevano Cottarelli del Fondo monetario internazionale che ci ha riempito la testa che dobbiamo distruggere la scuola e tagliare la sanità”, ma una personalità indicata da Di Maio per il ministero dell’Economia, Andrea Roventini, prima di proporre Paolo Savona, confermava che “si possono fare tagli mirati alla spesa realizzando il piano Cottarelli”. Un altro M5s, Alessandro Di Battista, domenica sera diceva invece che “Cottarelli è un uomo del Fondo monetario, è la dimostrazione che avevano un piano già pronto”. La coerenza, già! La coerenza! Chi la può pretendere in politica, soprattutto ai massimi livelli, cioè ai livelli di chi pretendeva di fare il presidente del Consiglio? L’incoerenza è redditizia – afferma Feltri – nessuno sarà chiamato a renderne conto, poiché prevale l’avvenenza dell’impudente.

    Il secondo spunto lo offre Salvini. “Cottarelli è molto bravo, ha una grande esperienza internazionale” – disse Silvio Berlusconi durante una conferenza stampa nel mese di marzo, mentre alla sua sinistra Matteo Salvini approvava. Ieri però Salvini dichiarava: “Cottarelli è l’emblema di quei poteri forti per i quali l’Italia o si allinea a certi diktat o non ha il diritto di dar seguito alla volontà popolare”. Ma allora, è bravo o è soltanto una personificazione dei poteri forti?

    Di Maio, ancora, giovedì scorso: “Della squadra dei ministri se ne occupano il presidente Conte e il presidente Mattarella”. Domenica, invece: “E’ inutile, i governi li scelgono sempre gli stessi”. Ieri, ancora: “Mattarella è andato oltre le sue prerogative”. Prima poteva scegliere ed era assolutamente normale, ora non più. Quindi accuse di tradimento della democrazia, impeachment, messo in stato d’accusa. Secondo Salvini non poteva neanche prima, perché sono i partiti usciti vincitori dalle elezioni che devono decidere il presidente e i ministri del governo. Ma Mattarella ha precisato che la Costituzione gli offre prerogative alle quali non intende sottrarsi e non ha nascosto alla pubblica opinione la sua irritazione per i diktat che gli venivano imposti. Salvini allora s’è scusato – è un semplice fraintendimento: “Ma quale diktat, sono idee, proposte, suggerimenti …” Era giovedì, ma domenica il registro cambia. Anche per Salvini si tratta di poteri forti, di lobby, di banche, di potenze straniere.

    Ad un certo punto Paolo Savona non è più un suggerimento, una proposta, E’ una conditio sine qua non per fare il governo, cioè un diktat. Di Maio: “In questi Paese puoi essere un criminale condannato, un condannato per frode fiscale, puoi aver fatto reati contro la Pubblica amministrazione, puoi essere una persona sotto indagine per corruzione e il ministro le puoi fare, ma se hai criticato l’Europa no”. Ancora Di Maio: “Un’alternativa a Savona era Armando Siri”, vale a dire uno che ha patteggiato per bancarotta fraudolenta; è meritevole allora di fare il ministro se lo suggeriscono gli M5s? Ma un altro M5s, Alfonso Bonafede, ha liquidato Cottarelli con questa sentenza: “Non si è nemmeno presentato alle elezioni”. Forse questo illustre personaggio soffre d’amnesia e non ricorda che anche Giuseppe Conte, il presidente da loro designato, non si era presentato alle elezioni e non ricorda nemmeno che neanche Paolo Savona da loro indicato come ministro dell’Economia, si era presentato alle elezioni. E’ possibile che sia l’amnesia responsabile di queste bufale?  Non lo crediamo e siamo convinti che queste bufale funzionano. I fanatici non conoscono la logica, la ragionevolezza, il significato esatto delle parole. Feltri conclude il suo articolo con altri esempi di coerenza e precisione. Salvini, nel dicembre del 2017: “Escluso l’appoggio della Lega a un governo di Maio. Basta vedere Spelacchio a Roma (l’albero di Natale in piazza san Pietro che si è rinsecchito e che perdeva gli aghi, spelacchiando i rami). Dico no al governo Spelacchio, aggiungendo che va bene cambiare idea, ma che “il Movimento cambia idea continuamente”. Di  Maio replicò: “Questa di Salvini è una buona notizia: finalmente vi metterete l’anima in pace su accordi o inciuci rea M5S e Lega”. E poi aggiunse: “Noi cambiamo idea? L’ultima volta aveva detto “perché no?” Ci usa soltanto per fare notizia. Nessun accordo, nessun inciucio”.

    Infatti, s’è visto! L’incoerenza è probabilmente un portato dell’attività politica. Non ce ne scandalizziamo oltre misura. Ma la malafede ha una valenza morale che non possiamo accettare ed i politici che la praticano non possono pretendere di essere creduti e rispettati, anche se il fanatismo passa oltre questi difetti e considera le loro bufale come verità assolute.

  • Al gioco della fune qualcuno resta sempre per terra

    Se a molti è nota la professionalità ed il valore di Savona era anche noto ai più che la posizione, sull’euro e sull’Europa, dell’economista contrastava con la necessità di non creare i presupposti per un ulteriore aumento di sfiducia nella capacita italiana di  affrontare il proprio debito e rimanere nella zona euro. Le riforme e i necessari interventi, compresi i posti di lavoro, a favore dei cittadini, dipendono anche dalla fiducia degli investitori stranieri, dalla possibilità per la BCE di continuare a sostenerci e dal rapporto con i nostri alleati e partner europei. Che questa Europa debba essere migliorata è evidente, che non si possa migliorare con slogan, populismi ed improvvisazioni è ancora più evidente. Salvini e Di Maio sapevano benissimo quanto la proposta di Savona al ministero economico fosse uno scoglio insormontabile e forse proprio per questo hanno insistito caparbiamente, nonostante avessero, nei giorni precedenti, ripetuto più volte che non avrebbero fatto imposizioni alle scelte di Conte e di Mattarella. Anzi avevano dichiarato che il Presidente della Repubblica si era mosso con grande accortezza e che a lui spettavano le scelte!

    Il governo del cambiamento si è invece fermato davanti a un nome pur avendo ottenuto tutto il resto: Conte aveva l’incarico, la lista dei ministri era stata accettata, a prescindere dalle competenze effettive di alcuni, ma tutto è stato gettato alle ortiche di fronte all’unica richiesta del Presidente della Repubblica e cioè indicare un altro nome per l’economia. Se il professor Savona avesse voluto modificare, ammorbidire quanto affermato nei suoi scritti e nelle sue dichiarazioni avrebbe potuto farlo e che non lo abbia fatto, pur con tutta la sua precedente esperienza di uomo ben uso alla politica  ed alle istituzioni, dimostra in modo inequivocabile che il recondito pensiero di Cinque Stelle e Lega era ed è l’uscita dalla moneta unica. Il progetto non è più impegnarsi per migliorare l’Europa, raggiungere l’unione politica ed i traguardi promessi ed ancora lontani, Salvini e Di Maio non vogliono l’Europa, non vogliono neppure difendere l’orgoglio italiano, ma mirano a nuove alleanze e strategie economiche che possono essere un salto nel buio e senza rete.

    Il legittimo no del Presidente della Repubblica si è tramutato nel delitto di lesa maestà  per i due capi partito che hanno dimostrato di essere o troppo giovani o troppo cinici perché è evidente, ormai, che non volevano veramente governare ora ma tornare alle urne. Forse anche manipolati alcuni da regie esterne e Incapaci di comprendere che il gioco alla fune lascia sempre qualcuno per terra. Più che a uno scontro istituzionale da uno scontro di piazza in un momento nel quale un po’ tutti hanno gli animi esacerbati da mille reali e quotidiani problemi. Nelle prossime ore in molti saranno costretti a tirare giù le carte e i bluff verranno scoperti, resta comunque una sola verità: avevano in mano il Presidente del Consiglio e tutti i ministri che avevano scelto salvo uno. Chiunque, se voleva veramente il bene del Paese, avrebbe accettato una piccola sconfitta per una grande vittoria: governare l’Italia, misurarsi in Europa, dimostrare al mondo cosa si è capaci di realizzare. Savona è stato il pretesto per non misurarsi con la realtà, per continuare nella politica delle promesse, per sentirsi vittime invece che provare a diventare, se non statisti almeno politici veri, quelli che mancano da anni in Italia. Salvini e Di Maio hanno gettato via un’occasione per mire inconfessate, l’Italia forse può sperare in una diversa opportunità.

    Tutto questo purtroppo non indebolisce ma rafforza chi, a partire dai giornali tedeschi, tenta ingerenze e manovre e le conseguenze ricadranno, come sempre, non sulla grande finanza o sul capitalismo autoreferenziale ma sull’economia reale e sulla gente comune. Se però qualcuno pensa, togliendo le foto di Mattarella da qualche sperduto comune, o portando in piazza forcaioli e arrabbiati di distruggere le nostre istituzioni si sbaglia. L’obbiettivo della maggioranza degli italiani è di liberare le istituzioni da tutti coloro che le utilizzano a proprio uso e consumo e purtroppo Salvini e Di Maio hanno dimostrato di fare anche loro parte del branco.

Pulsante per tornare all'inizio