Sanità

  • La Commissione adotta il programma di lavoro “UE per la salute” 2024

    La Commissione europea ha adottato il programma di lavoro “UE per la salute” per il 2024, che mira a realizzare le principali priorità della politica sanitaria dell’UE nel quadro dell’Unione europea della salute. Il bilancio di 752,4 milioni di € ne stimolerà lo sviluppo e fornirà finanziamenti per affrontare importanti questioni sanitarie in tutta l’UE. L’obiettivo è migliorare la preparazione dell’Unione alle crisi tramite l’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA) e la capacità di affrontare sfide come quelle connesse alla guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina. Garantirà inoltre la diffusione di iniziative digitali chiave come lo spazio europeo dei dati sanitari (EHDS), volto in particolare a sfruttare i dati sanitari digitali per migliorare l’assistenza sanitaria dei pazienti in tutta l’UE. Sosterrà inoltre le iniziative emergenti, con particolare attenzione alla salute mentale, alla salute mondiale e all’evoluzione dei medicinali.

  • Autunno caldo per la sanità, mancano 4 miliardi

    La ripresa delle trattative per il rinnovo del contratto dei medici, le nomine dei vertici degli enti pubblici vigilati, il payback sui dispositivi, la mai sopita polemica sulle Case di Comunità previste dal Pnrr. Non mancano motivi per definire caldo l’autunno che attende il mondo della sanità, con i sindacati medici che si dicono “sul piede di guerra” e “pronti alla mobilitazione” in vista della partita più importante, quelle della risorse per la sanità in Manovra.

    Riprendono all’Aran le trattative per il contratto della dirigenza medica 2019-2021. I nodi da sciogliere sono ancora l’orario di lavoro e i fondi contrattuali. Ma, stretto tra risorse contingentate e carenza di personale, il contratto non esaurisce le rivendicazioni dei sindacati. “Per la sopravvivenza del Servizio sanitario nazionale servono 4 miliardi aggiuntivi, di cui 2,7 miliardi solo per il rinnovo del contratto dei medici e veterinari per il triennio 2022-2024», spiega Pierino di Silverio, segretario dell’Anaao Assomed. I 4 miliardi, rivendicati anche dalle regioni e chiesti dal ministro della Salute Schillaci al Mef, però, non bastano. “Occorre aumentare dell’1,5% – precisa di Silverio – la percentuale della spesa sanitaria pubblica sul Pil. Se non ci sono risposte non resteremo con le mani in mano”.

    Il Def scritto dal Governo pochi mesi fa, aggiunge Michele Vannini, segretario nazionale della Fp Cgil con delega alla sanità, “programma di portare la spesa pubblica rispetto al Pil al 6,2% nel 2025, inferiore ai livelli pre pandemia”. Il tutto mentre cresce il costo della vita, le spese di tasca propria e la rinuncia alle cure. “Va rovesciata la scelta di disinvestire sulla sanità pubblica – precisa Vannini – o il Governo si dovrà assumere la responsabilità di averla affossata”.

    Tra i temi caldi, la partita, la cui conclusione dovrebbe essere imminente, per la nomina del successore di Silvio Brusaferro alla presidenza dell’Istituto Superiore di Sanità, il cui incarico scade il prossimo 11 settembre. Anche l’Agenzia Italiana del Farmaco attende il nuovo direttore generale che, dopo la riforma, succederà alla facente funzione Anna Rosa Marra, nominata da Schillaci. Ma il decreto attuativo sulle modalità di nomina non ha ancora concluso l’iter di approvazione.

    Intanto questa settimana riprendono i lavori nelle Commissioni parlamentari, con l’obiettivo di chiudere quel che è possibile prima della sessione di bilancio. La Affari sociali del Senato, presieduta da Franco Zaffini (FdI), prosegue l’esame del ddl per l’istituzione della contestata commissione d’inchiesta sull’emergenza Covid-19 e incardinerà il ddl sul diritto all’oblio per le persone guarite da tumore: entrambe hanno già avuto il via libera della Camera. A sua volta, la dodicesima Commissione di Montecitorio, presieduta da Ugo Cappellacci (FI), riprenderà i lavori sull’istituzione dello psicologo di base e sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse.

    Le Commissioni saranno chiamate anche a dare un parere allo stato di attuazione del Pnrr che alla Missione Salute destina 15 miliardi, puntando su telemedicina e nuovi macchinari per la diagnostica ma anche sulle Case di Comunità, che rischiano di essere scatole vuote, se non si assumono infermieri e medici di famiglia.

    Con tutta questa carne al fuoco sembra lontana la scadenza della proroga, il 30 ottobre, del pagamento del payback sui dispositivi medici. “La speranza delle imprese è che nella legge di bilancio – spiegano da Confindustria Dispositivi medici – si trovino risorse, stimate intorno al miliardo, per mitigare gli effetti della discussa norma. In attesa della sua eliminazione».

  • L’Anaao batte cassa per la sanità pubblica

    Il Servizio sanitario nazionale più che curare va curato, secondo quanto lamenta l’Anaao Assomed, il sindacato più rappresentativo di medici e dirigenti del Ssn.

    Sulla base di una ricerca condotta a giugno 2023, il sindacato avverte che la sanità pubblica è l’unico modo per evitare che un ricovero possa costare da 422 a 1.278 euro al giorno, come succederebbe se si ricorresse alla sanità privata. Senza strutture pubbliche, la sala operatoria – proseguente il sindacato fornendo altri esempi – costerebbe 1.200 euro l’ora, la degenza 600 euro al giorno in un reparto chirurgico e 400 euro al giorno in un reparto di medicina, un ricovero ordinario post acuzie 165 euro al giorno.

    Sulla base di questi dati, il sindaco batte cassa, lamentando che il finanziamento della sanità pubblica italiana patisce una carenza significativa di risorse. Secondo il 18° Rapporto del Crea Sanità, uscito a gennaio 2023, per raggiungere un’incidenza media sul Pil simile agli altri paesi dell’Unione Europea, sarebbero necessari almeno 50 miliardi di euro aggiuntivi (al minimo). Attualmente, la spesa sanitaria del nostro Paese presenta una forbice del -38% circa rispetto agli altri paesi della Ue, con una diminuzione sia della spesa privata (-12%) che della spesa pubblica (-44%) nel 2021. Tuttavia, tale calcolo è sottostimato. Dal 2000 al 2021, la spesa sanitaria in Italia è cresciuta con un tasso medio annuo del 2,8%, circa il 50% in meno rispetto agli altri Paesi della Ue di riferimento. Inoltre, anche durante la pandemia, la crescita della spesa è stata meno dinamica rispetto agli altri paesi.

    Secondo il Rapporto, nel 2021 il finanziamento pubblico si ferma al 75,6% della spesa contro una media europea dell’82,9%. La spesa privata ha raggiunto 41 miliardi di euro (il 2,3% del PIL, contro una media europea del 2%): oltre 1.700 euro a nucleo familiare (5,7% dei consumi).

    D’altronde, la sanità pubblica è tutt’altro che sana, sotto il profilo della gestione dei conti, come ampiamente evidenziato dalla Corte dei conti nel suo ultimo rapporto di maggio sul coordinamento della finanza pubblica.

  • Sos ospedali: mancano 100mila posti letto

    ‘Salvare gli ospedali’. E’ l’appello che 30 società scientifiche indirizzano alla premier Giorgia Meloni, sulla scorta di numeri che non lasciano dubbi circa la criticità della situazione: nel Servizio sanitario nazionale mancano 30.000 medici ospedalieri, 70.000 infermieri e circa 100.000 posti letto. In 10 anni (2011-2021), in Italia, sono stati chiusi 125 nosocomi, ben il 12%. E in soli 12 mesi eliminati quasi 21.500 posti letto. Il diritto alla salute, averte Francesco Cognetti, coordinatore del Forum delle Società Scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani (Fossc), “è in grave pericolo”.

    I medici innanzitutto: oggi sono 130mila, 60mila unità in meno della Germania e 43mila in meno della Francia. Si assiste, inoltre, a un consistente esodo di medici neolaureati e specializzandi, più di 1.000 l’anno, perché all’estero gli stipendi e le condizioni di lavoro sono nettamente migliori. In particolare, nei Pronto Soccorso la carenza di personale è quantificabile in 4.200 camici bianchi (in sei mesi, da gennaio a luglio 2022, se ne sono dimessi 600, circa 100 al mese). A fronte di ciò, sul versante economico la previsione della spesa sanitaria sul Pil per il periodo 2023-2026 registrerà già nel 2024 il ritorno al valore del 6,3% rispetto ad una media dell’8,8% dei 37 Paesi dell’Ocse e del 10% circa di Francia e Germania. Per questo, in conferenza stampa, i rappresentanti delle 30 Società Scientifiche riunite in Fossc si sono rivolti direttamente alla presidente Meloni per chiedere la completa revisione dei parametri organizzativi degli ospedali sanciti dal Decreto Ministeriale 70.

    “Vogliamo far sentire la nostra voce. Servono interventi tempestivi. Rivolgiamo le nostre richieste alla premier: più risorse per assumere personale e assicurare migliori condizioni di lavoro – afferma Cognetti -. La crisi del sistema ospedaliero, a causa delle politiche deliberatamente anti ospedaliere dei precedenti governi, paradossalmente ignorata dal Pnrr, è innegabile ed ha raggiunto livelli critici”. Tuttavia, sottolineano le società scientifiche, “abbiamo appreso con estremo interesse le intenzioni della presidente del Consiglio di voler cambiare l’indirizzo e i campi d’applicazione del Pnrr e riteniamo che questa sarebbe un’occasione unica per la sanità di impiegare una quantità cospicua di fondi”. Non bastano infatti, avvertono, “le 1350 Case di Comunità previste dal Pnrr a risolvere i problemi della sanità, se non si affrontano i nodi centrali della crisi profonda degli ospedali e delle risorse per il reclutamento del personale”. Anche l’Ocse, ricordano clinici e universitari, si è dichiarata molto preoccupata per nuove crisi sanitarie nei Paesi che investono minori risorse in sanità e per l’Italia prevede un investimento pari ad almeno l’1,4% in più rispetto al Pil 2021, che equivale ad un aumento annuo di ben 25 miliardi di euro. In questa situazione, afferma ancora il Forum, “riteniamo sia impensabile distrarre personale dai nosocomi verso le strutture territoriali previste dal Pnrr, cioè Case od Ospedali di comunità”.

    La recente Conferenza della Sanità del G7, che si è svolta in Giappone, ha prodotto un documento finale in cui viene rilanciato l’impegno a rafforzare i sistemi sanitari. Anche Papa Francesco e il presidente della Repubblica hanno più volte dichiarato la loro viva preoccupazione, lanciando moniti e raccomandazioni per sostenere il sistema sanitario pubblico. “Ci auguriamo – concludono le società scientifiche – che il governo ascolti questi moniti ed i clinici che ogni giorno curano i cittadini negli ospedali”.

  • Piano pandemico non aggiornato? Dal 2006 al 2020 sette ministri della Sanità

    Abbiamo tutti letto, ed in molti apprezzato, che i Pm di Bergamo, dopo una lunga e difficile indagine, abbiano deciso, per poter accertare chi abbia vere responsabilità, di indagare diciannove tra politici e tecnici per quanto avvenuto durante i primi tragici mesi di covid.

    Ovviamente non entriamo nel merito per quanto riguarda la mancata zona rossa e la chiusura ed apertura dell’ospedale di Alzano, attendiamo la magistratura e speriamo che anche i media si astengano da processi televisivi o sulla carta stampata.

    Su questi punti, e su altri altrettanto inquietanti, ci siamo già espressi nel libro I nostri domiciliari pubblicato dalla casa editrice Ulisse nel febbraio 2021, libro che è stato anche presentato sul secondo canale Rai, il nostro pensiero, da impotenti settori chiusi in casa è stato scritto in modo chiaro.

    Vogliamo però, sommessamente, ricordare, per quanto riguarda il mancato aggiornamento del piano pandemico, piano che risale al 2006 e che da allora è rimasto fermo, che dal 2006 al 2020 si sono succeduti, nella Sanità, diversi ministri e riteniamo che ciascuno di loro avrebbe potuto, dovuto aggiornare il piano.

    Sono in effetti molti perché è stato un lungo periodo con numerosi e diversi governi.

    Andando a memoria Livia Turco, Sacconi, Ferruccio Fazio, Balduzzi, Lorenzin, Giulia Grillo fino ad arrivare a Roberto Speranza che, oggettivamente, essendo l’ultimo della catena non dovrebbe essere l’unico al quale imputare il mancato aggiornamento del piano pandemico.

    Detto questo e sperando che anche su questo ci sia un chiarimento vorremmo anche sapere se oggi il piano pandemico è aggiornato anche rispetto all’allerta che l’Oms ha fatto alcune settimane fa per l’influenza aviaria, secondo il detto, mai sufficientemente applicato, prevenire è meglio che reprimere.

  • Strano silenzio stampa sulle dichiarazioni dell’Oms per l’influenza aviaria

    L’Oms,dopo gli errori e le omissioni iniziali nei primi giorni dell’era covid,non è vista con particolare fiducia ma questo non giustifica il silenzio con il quale la maggior parte degli organi di stampa e di informazione hanno accolto il nuovo allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

    Secondo una recente analisi dell’Oms l’evoluzione dell’influenza aviaria di tipo A, che in genere è circoscritta al pollame e ad alcune specie di uccelli, potrebbe rappresentare un grave pericolo per l’umanità.

    Il direttore generale Tedros Ghebreyesus  ha spiegato che il virus responsabile dell’influenza aviaria si è diffuso in maniera esponenziale tra gli uccelli selvatici e quelli domestici di allevamento negli ultimi 25 anni, ma vi sono stati anche casi di contagio nei mammiferi, visoni, lontre, volpi etc.

    Il pericolo è che se l’infezione comincia a colpire mammiferi vicini all’uomo il virus potrebbe poi ulteriormente modificarsi diventando molto infettivo per gli esseri umani e adattandosi ad agire velocemente.

    L’Oms raccomanda a tutte le autorità sanitarie monitoraggio ed attenzione e di studiare attentamente i casi di infezione da influenza aviaria negli esseri umani prima che da pochi casi si finisca in una nuova pandemia.

    L’Organizzazione raccomanda, e stupisce che le regioni ed i comuni non abbiano avvertito la popolazione, specie quella che abita in zone rurali, di non toccare o raccogliere animali selvatici morti o ammalati, che invece devono essere segnalati alle autorità locali, e di consultare il medico, o nel  caso di animali il veterinario, se vi è un sospetto di infezione in quanto è in aumento il rischio di trasmissione del virus.

    Se fino ad ora i casi di infezione nell’uomo erano legati a contatti con pollame d’allevamento che si era infettato con l’aumento della trasmissione dell’infezione nei mammiferi il rischio per l’uomo è aumentato e si teme possa succedere, se non c’è adeguata prevenzione e controllo, quello che è successo con il corona virus.

    Nell’uomo i sintomi dell’aviaria, causata da ceppi virali asiatici H5N1 eH7N9, sono simili a quelli  dell’influenza stagionale, febbre, tosse, mal di gola, dolori muscolari, malessere e stanchezza, congiuntivite, difficoltà respiratorie e possibili polmoniti, per questo è necessario non trascurare l’allarme che l’Oms questa volta, ha lanciato tempestivamente.

  • Covid: l’OMS stila le cinque misure da adottare per evitare una recrudescenza dei contagi

    Alla luce dell’aumento dei casi di Covid nel mondo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ricordato quali sono le misure da tenere contro la pandemia: aumento della diffusione del vaccino nella popolazione generale; somministrare ulteriori dosi di vaccino ai gruppi prioritari; promuovere l’uso della mascherina all’interno e nei trasporti pubblici; ventilare gli spazi affollati e pubblici come scuole, bar e ristoranti, uffici open space e trasporti pubblici; fornire terapie precoci e appropriate ai pazienti a rischio di malattia grave.

    Hans Henri Kluge, direttore regionale per l’Europa, come riporta TGCom24, afferma che “entrando nel 2023, i Paesi di tutta Europa e dell’Asia centrale devono raddoppiare i loro sforzi per attuare strategie di comprovata efficacia ed evitare di essere compiacenti”. Per l’Oms questo “significa reinvestire urgentemente e impegnarsi nuovamente per una maggiore sorveglianza virologica e genomica, compresa la sorveglianza delle acque reflue, se possibile. Ciò significa – continua Kluge – investire e salvaguardare la forza lavoro sanitaria la cui situazione precaria in molti luoghi potrebbe minare l’effettiva erogazione dei servizi sanitari”. Le tre parole chiave per garantire maggiore sicurezza per tutti, secondo il rappresentante dell’OMS, sono: scienza, sorveglianza, responsabilità.

  • La verità sul MES

    L’opposizione politica all’adozione del MES, acronimo del Meccanismo Europeo di Stabilità, giustifica questa scelta evocando improbabili scenari di pericolosità inaudita per i destini del Paese, senza però indicarne concretamente nessuno, ma limitandosi a ipotesi generiche e approssimative, che richiamano unicamente alla memoria il duro e sacrificato salvataggio della Grecia.

    Un esempio che non calza per niente, alla luce del fatto che l’Italia non è la Grecia, che aveva a suo tempo falsificato i bilanci ed era ad un passo dal default, e soprattutto perché l’eventuale utilizzo dei prestiti, non riguarderebbe il salvataggio dello Stato, ma costi e utilizzi contenuti e sostenibili.

    Quindi siamo di fronte ad una fobia anti MES, che mal si concilia con le logiche della politica, che devono analizzare le questioni e i dossier, per trarne il giusto giudizio e cogliere la valenza delle scelte.

    Ma quando la politica si veste con l’abito della demagogia, basta gridare al lupo al lupo e la razionalità va a farsi benedire.

    Ma l’Italia davvero vuole correre il rischio di non ratificare il nuovo MES, sulla base di pregiudizi che sono inesistenti? Ovvero giocare la carta, un tantino ipocrita, del rifiuto del governo a prendere una posizione definitiva a favore della ratifica, per lasciare la purezza del rifiuto a Premier e Ministro dell’Economia, affidando al Parlamento la “libertà” di votare a favore della ratifica, salvando contemporaneamente la narrazione demagogica e il buon vicinato con i partner UE?

    Ma davvero si sente il bisogno di un finto gioco delle parti, in cui un Parlamento di nomina dall’alto e senza alcuna libertà di scelta, pena la non ricandidatura, consenta la ratifica che i leader sotto copertura euroscettica non vogliono ufficialmente concedere? Non sarebbe ora che la narrazione uscisse dalle logiche del sì o no al MES, per prendere atto che la nuova versione non costituisce per nessun Paese, e meno che mai per l’Italia, un pericolo alla propria sovranità, specie in termini di obbligo alla ristrutturazione del debito pubblico?

    Basta leggere il dossier per verificare come funziona il meccanismo di stabilità e per prendere atto della totale inesistenza di pericoli simil Grecia.

    In primo luogo perché l’unica condizione è che i fondi concessi vengano usati per spese sanitarie dirette e indirette, rafforzare la sanità territoriale, ma anche la prevenzione sanitaria in altri campi, come la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e delle scuole. Non sono previsti altri vincoli, come quelli imposti in occasione del salvataggio della Grecia e non viene richiesta alcuna riforma economica o di bilancio.

    L’unico controllo è, prima della concessione del prestito, la valutazione del debito preesistente del Paese da finanziare, che deve essere sostenibile, cosa che l’Italia ha notoriamente avuto riconosciuto. Ma nella peggiore ipotesi, qualora non venisse riconosciuto, l’unica conseguenza sarebbe la mancata concessione del prestito, e la questione finirebbe lì.

    Ecco perché appare strumentale e parossistico l’atteggiamento di paura nei confronti delle presunte conseguenze di accedere al prestito dei fondi Mes.

    Ma c’è davvero qualcuno che potrebbe pensare che l’Italia possa finire come la Grecia?

    L’Italia con il suo PIL, il diritto di veto di cui gode, insieme a Francia e Germania, che gli proviene dalla partecipazione con il 17,7% di contributo al fondo e con la sua potenza economica, non potrebbe mai essere messa in un angolo per il prestito di appena 37-40 Mld di euro, da destinare alla Sanità nazionale, pari al valore di una manovra finanziaria.

    Come potrebbe mai un debito così insignificante, mettere il Paese in ginocchio?

    La situazione è quindi del tutto diversa, ed il punto politico non è la ratifica, ma l’utilizzo dei 37-40 Mld di euro, che oggi potrebbero se richiesti e spesi con velocità e intelligenza, riuscire a recuperare le falle mostruose della sanità nazionale, e consentire di riportare il rapporto dell’assistenza medica e ospedaliera di nuovo a livelli di civiltà, salvando migliaia di vite umane, altrimenti a rischio. Non è pensabile, per questioni ideologiche, di penalizzare ancora gli italiani.

    Il nostro sistema sanitario è stato massacrato da una miriade di tagli nei finanziamenti degli ultimi decenni, nel corso dei quali gli investimenti sono diminuiti in maniera esponenziale e gli stipendi dei medici ed infermieri, si sono ridotti dal 40% al 30% del totale. Erano 27 miliardi di euro nel 2000, sono stati 36 Miliardi di euro nel 2019, con un aumento nominale del 32%, molto più basso dell’inflazione, che nello stesso periodo è stata del 50%.

    In termini di potere d’acquisto quindi gli stipendi del personale sanitario si sono ridotti del 18%, facendo degli operatori della sanità italiana una delle categorie meno pagate d’Europa nel loro settore.

    Da qui conseguenze a cadere con i pronto soccorso strapieni e sotto stress, l’assenza di una medicina dei territori, la riduzione del numero dei medici ed infermieri in servizio, in pratica il serio rischio di implosione dell’intero sistema.

    Per questo, ciò che c’è da fare è l’esatto contrario di ciò che si è fatto negli ultimi vent’anni, investendo su un maggior numero di medici e infermieri, realizzare più presidi territoriali, organizzare la medicina dei territori, incoraggiare di nuovo i giovani a intraprendere le carriere sanitarie e fornire servizi sanitari veri ai cittadini.

    Abbiamo con il MES una fonte di risorse a costo praticamente zero, rispetto a qualsiasi altro strumento finanziario, e non è pensabile che si possa rinunciare al suo utilizzo, per questioni di identità politica o per paure astratte, che non hanno alcuna giustificazione.

    Per questo il MES va ratificato ed utilizzato, lo impone la situazione della sanità nazionale, ed il dovere di dare risposte concrete ai cittadini italiani più fragili perché bisognosi di aiuto.

  • Prima dell’autonomia regionale bisogna dare a tutti gli italiani un uguale ed efficiente servizio sanitario

    Tra i diversi temi che ci sono quotidianamente riproposti c’è la riforma per le autonomie con tutti i pro e i contro che ogni schieramento sostiene, tra i tanti problemi emergono le spaventose carenze del sistema sanitario al quale mancano medici, infermieri, tecnici e adeguate strutture sul territorio. La pandemia ha, una volta di più, dimostrato che un buon sistema ospedaliero può collassare se non funziona la medicina territoriale.

    Ci sentiamo, perciò, di chiedere alla Presidente del Consiglio e ai due ministri competenti, per Sanità e Autonomie regionali, se, prima di varare la riforma per le autonomie, abbiano verificato, in modo corretto ed esaustivo, la reale situazione della sanità in tutte le regioni italiane. Se sia stato valutata la necessità, per il comparto sanità, di procedere alle autonomie solo quando ad ogni italiano sarà garantito un servizio funzionante e non differenziato e carente a seconda delle aree geografiche di appartenenza.

    Il Ministro della Sanità è in possesso, o ha già richiesto, una mappatura dei servizi sanitari territorio per territorio, non solo su base esclusivamente regionale? Si conoscono quanto personale sanitario occorre nelle varie strutture ospedaliere, quanto sul territorio, quanti macchinari sono mancanti o non funzionanti ed obsoleti?

    Si conoscono i tempi di attesa per gli esami diagnostici e per le visite specialistiche?

    Se a Milano, città che sappiamo ha una sanità di gran lunga migliore di tante altre realtà, ci sono tempi d’attesa, come riporta un’inchiesta del Corriere della Sera del 9 novembre 2022, incompatibili con le necessità dei malati, cosa avviene in altre città e regioni? Alcuni esempi dei tempi di Milano, riportati nell’articolo e ovviamente mai smentiti, cinque mesi per una visita ginecologica con ecografia, sette mesi per una ecografia alla spalla e alla colonna vertebrale.

    L’assessore regionale della Lombardia Guido Bertolaso ha detto in Consiglio regionale, l’8 novembre, che al fabbisogno lombardo mancano 1120 dirigenti medici e 1521 infermieri, quanti mancano nelle altre regioni?

    Qualunque riforma deve prendere atto della realtà e di quanto va fatto, subito, per ridare a tutti gli italiani un servizio sanitario all’altezza delle oggettive necessità.

  • I problemi degli ospedali, dei pazienti e dei medici

    Secondo alcune notizie l’Ospedale S. Anna di Como ha chiamato una paziente per una visita richiesta 11 anni prima, in Calabria si assumono medici venuti d’oltre oceano e in Veneto dalla Spagna.
    La carenza di medici ed infermieri è ormai nota da molti anni, nonostante il personale andato in pensione sia stato in molti casi richiamato in servizio i problemi, per i pazienti, aumentano di giorno in giorno mentre il personale sanitario lamenta turni di servizio eccessivi.
    L’assistenza sul territorio è purtroppo quella che conosciamo e durante il covid abbiamo visto tutte le carenze ed inadeguatezze con il conseguente aggravarsi dei problemi per i pronto soccorsi.
    In questi giorni a Bobbio, in provincia di Piacenza, come in tanti altri presidi di pronto soccorso, è in atto una nuova crisi che, per mancanza di personale, penalizzerà ancora i malati.
    All’ospedale di Piacenza molti medici sembra abbiano deciso, o stiano meditando, di lasciare l’incarico per indirizzarsi verso strutture private e che ci sia una certa insofferenza per eventuali posti apicali che sarebbero riservati a medici di Parma, comunque il personale resta insufficiente.
    Per questi e altri motivi che i cittadini di Piacenza conoscono bene, visto che alcuni ormai si rivolgono direttamente a Milano, ci chiediamo quali obiettivi, effettivamente utili alla collettività, ci siano dietro il continuo insistere per la costruzione di un nuovo ospedale, per il quale ci vorranno anni e che si troverà comunque con lo stesso problema di carenza di personale.
    Non sarebbe più sensato, specie in un momento di grave crisi come questo, pensare a rendere più funzionante l’attuale ospedale mettendosi alla ricerca dei medici ed infermieri necessari e dando  maggior soddisfazione a quelli che già faticosamente lavorano nella struttura?
    E questa considerazione vale, ovviamente, per le tante realtà simili per il resto d’Italia.

    C’è poi il problema dei test per le facoltà sanitarie e speriamo che, prima o poi, sarebbe meglio prima, qualcuno se ne occupi.

    Rimane, nonostante tante parole, aperto il problema della sanità territoriale con gravi conseguenze, specie per i cittadini più anziani o nei casi di epidemie.
    Al nuovo governo un rinnovato augurio e l’invito a dare una svolta seria alla sanità.

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