sanzioni

  • Putin gioca a Risiko e i dipendenti italiani di Aeroflot rischiano stipendio e posto di lavoro

    Voli fermi e stipendi bloccati. Le sanzioni economiche varate dall’Unione Europea nei confronti della Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina stanno colpendo anche i 35 lavoratori italiani dell’Aeroflot, la compagnia di bandiera di Mosca.

    “Il 27 febbraio è stato chiuso lo spazio aereo per tutte le compagnie russe. Questo ha comportato lo stop per tutti i lavoratori dell’Aeroflot: niente voli, niente lavoro”, spiega Giovanna Frunzio, coordinatore Aeroflot a Fiumicino. “Dal 25 febbraio il conto della compagnia presso la Bnl di Roma è bloccato, e tutti i dipendenti Aeroflot in Italia, parliamo di 35 persone tra Milano, Roma, Venezia e Napoli, non hanno potuto percepire lo stipendio – aggiunge -. E’ stata chiesta la cassa integrazione, già dal 3 marzo, e fino ad oggi non è stata ancora approvata. Non capiamo come delle sanzioni contro la Russia vadano a colpire noi, cittadini italiani. Perché tutti i 35 dipendenti sono di cittadinanza italiana”.

    Un fulmine a ciel sereno per i lavoratori italiani, come sottolinea Giovanna Frunzio: “Prima d’ora non abbiamo mai avuto nessun tipo di problema: per noi l’Aeroflot è sempre stata una compagnia solida e, francamente, non abbiamo mai nemmeno immaginato uno scenario del genere. Ci siamo trovati dall’oggi al domani in una situazione senza alcun precedente”.

    “In questa azienda non ho mai ricevuto il mio stipendio con un solo giorno di ritardo. Non ho mai visto dei licenziamenti senza giusta causa – spiega Francesca, anche lei tra i 35 dipendenti italiani di Aeroflot -. Oggi mi ritrovo a 46 anni con due figli e il mio posto di lavoro a rischio. Ora la compagnia potrebbe avvalersi della legge 223 per un eventuale licenziamento collettivo per i 35 lavoratori italiani”.

    “Noi abbiamo un contratto italiano, il cosiddetto F.A.I.R.O. (Foreign Airlines Industrial Relations Organization) che è un contratto collettivo nazionale – precisa invece un altro dipendente, Libero Di Zillo, in forza allo scalo di Fiumicino -. La nostra compagnia sta vedendo quello che può fare, ma in ogni caso sono già stati fatti tutti i passi possibili e immaginabili. Non sono serviti però a superare la chiusura da parte delle autorità italiane a far sbloccare il conto corrente in Italia dell’Aeroflot”.

    La situazione precipitata dopo lo scattare delle sanzioni preoccupa anche la compagnia: “Abbiamo già mandato tre lettere dirette a ministeri e due alle banche, non c’è risposta – dice Andrey Dobrakov, direttore generale per l’Italia di Aeroflot -. La nostra attività è completamente bloccata. I soldi per coprire gli stipendi, le tasse e altri servizi, come il rimborso dei biglietti, sono stati inviati regolarmente dalla compagnia, e sono sul conto in banca dal 25 febbraio. Se la situazione non dovesse cambiare, il licenziamento dei dipendenti italiani resta l’unica strada percorribile. In altri paesi, come in Germania o in Gran Bretagna, i soldi per i dipendenti sono disponibili senza problemi. Le sanzioni ci sono, ma i soldi per gli stipendi restano accessibili”.

  • In Italia congelati beni russi per oltre 700 milioni di euro

    Con la guerra in Ucraina i magnati russi stanno sperimentando la promessa del comunismo: l’esproprio dei beni privati a vantaggio dello Stato. In Italia la Guardia di Finanza ha bloccato una serie di beni presenti ad alcuni oligarchi russi considerati vicini a Vladimir Putin, così come è stato previsto dall’Unione Europea, per un valore complessivo di oltre 700 milioni di euro.

    Uno degli interventi più importanti è stato il congelamento del ‘Sailing yacht A’, imbarcazione del valore di 530 milioni di euro, riconducibile all’oligarca russo Andrey Igorevich Melnichenko. Il provvedimento è stato consegnato al comandante della nave, che è un europeo. Con il congelamento amministrativo il bene non può lasciare il cantiere; ad occuparsi dei lavori di manutenzione dello yacht nell’arsenale triestino era Fincantieri. Progettato dall’archistar Philippe Starck e realizzato in Germania, ‘A’ è considerato lo yacht a vela più grande al mondo; è un veliero di 143 metri con 3 alberi e 8 ponti e ha una parte in vetro da cui è possibile osservare il mondo subacqueo. La nave batte bandiera delle Bermuda.

    Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, citando il conflitto in Ucraina, nel suo intervento al giuramento degli allievi ufficiali della Guardia di Finanza a Bergamo, nella nuova sede dell’Accademia, si è complimentato con la Gdf per il congelamento degli oltre 700 milioni ai magnati russi. “Nelle scorse settimane – ha ricordato – l’Ue ha introdotto vari pacchetti di sanzioni contro la Russia, che prendono di mira specifici settori di esportazione, banche e individui. L’ultima decisione comporta tra l’altro l’esclusione di importanti banche russe dal sistema di pagamento Swift”, concludendo coi complimenti alla Finanza, “che ha tempestivamente portato a termine importanti operazioni di congelamento di beni mobili e immobili di cittadini russi, individuati nell’ambito delle sanzioni”.

    Intanto rimane il giallo del mega yacht Scheherazade, lungo 140 metri, valore stimato in 700 milioni di dollari, visibile dal porto di Marina di Carrara (Massa Carrara), che da giorni desta la curiosità di turisti, cittadini e anche del New York Times; quest’ultimo ha ipotizzato da subito che possa trattarsi di uno dei gioielli del presidente russo. In queste ore le agenzie di intelligence americana – sempre secondo il Nyt – avrebbero trovato “i primi indizi” che il superyacht sia riconducibile a Vladimir Putin anche se non avrebbero detto quali siano gli indizi che a loro parere collegano lo yacht al presidente russo, né se o quanto spesso l’abbia utilizzato. Il capitano del mega yacht, il britannico Guy Bennett-Pearce, parlando telefonicamente con il quotidiano statunitense, si è limitato a smentire che lo Scheherazade sia di Putin o che il leader russo vi abbia mai messo piede. Il capitano non ha escluso che il proprietario sia russo, ma ha sostenuto che non figura in alcuna lista di persone colpite dalle sanzioni occidentali: Bennett-Pearce si è rifiutato di dire altro sull’identità dell’armatore, citando un «accordo di non divulgazione a tenuta stagna».

  • Bruxelles blocca gli investimenti energetici in Russia

    Introducendo ulteriori sanzioni verso la Russia, la Ue ha vietato qualsiasi nuovo investimento europeo nell’energia russa o comunque legato all’esplorazione e produzione di gas e petrolio. “Non possiamo continuare ad alimentare la nostra dipendenza energetica” da Mosca, è stata la sentenza di von der Leyen.

    L’impatto sull’Italia non sarebbe marginale. Sono circa 500 le imprese italiane che operano in Russia, e parte di queste è legata proprio con il settore energetico. Tanto che, secondo il quotidiano ‘La Stampa’, l’ambasciatore italiano a Mosca, Giorgio Starace, incontrando le aziende italiane, avrebbe chiesto prudenza nella fuga dalla Russia invitando a “non prendere decisioni affrettate”. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, interpellato a riguardo a ‘Mezz’ora in più’ su Raitre, ha tuttavia escluso qualsiasi ambiguità dell’Italia, così come aveva fatto in precedenza una nota della Farnesina. “Roma e l’Ue hanno la stessa posizione sulle sanzioni, che devono indebolire l’economia russa. Continuiamo sulla linea di sconsigliare agli italiani di rimanere” in Russia, ha sottolinea Di Maio annunciando un altro passo verso l’indipendenza dell’Italia da Mosca: il rafforzamento della partnership energetica con l’Angola, dopo la missione in Congo con lo stesso obiettivo.

    Il nuovo pacchetto di misure europee vieterà l’import e l’export di beni di lusso e l’import del ferro e dell’acciaio russo. Bruxelles, inoltre, si unirà al G7 nel chiedere lo stop alla Russia come membro privilegiato del Wto e il blocco di possibili finanziamenti verso Mosca dell’Fmi e della Banca Mondiale. E le sanzioni andranno a colpire anche il sistema delle criptovalute, per evitare flussi di risorse alternativi al sistema Swift su cui Putin e gli oligarchi potrebbero contare. Il problema, per l’Ue e i suoi alleati Occidentali, è però il resto del mondo. Solo con una seria cooperazione della Cina e dei Paesi del Golfo la Russia potrà risultare globalmente isolata.

  • Urgente

    Dopo l’invasione dell’Ucraina bisogna chiudere i rapporti con tutte le banche russe, non solo con quelle annunciate nei giorni scorsi, e mettere sotto osservazione stretta le transazioni delle banche bielorusse. E’ una decisione che va presa subito dopo l’attacco di Putin. Occorre, fino alla fine della guerra, togliere il divieto a riscaldarsi, per chi può, con sistemi alternativi al gas come la legna, divieto che vige in gran parte dell’Italia, per consentire un minimo di risparmio energetico. Bisogna dare vita immediatamente ad un piano europeo per il quale ogni Paese membro dell’Unione deve dare una disponibilità all’accoglienza dei profughi stabilendo quote ed approntando quanto è necessario. Occorre esaminare con attenzione la situazione nel Sahel dove, approfittando dell’attenzione che tutto il mondo sta giustamente dedicando alla guerra in Ucraina, la Wagner, l’associazione paramilitare finanziata dal Cremlino, sta assumendo il controllo e collaborando alla costruzione di governi filo russi. L’Europa è circondata, ora è il momento di comprendere che non possiamo continuare nell’inerzia degli anni passati.

  • Azione dell’UE nei confronti della Cina in sede di OMC a difesa del settore dell’alta tecnologia

    L’Unione europea ha avviato un’azione nei confronti della Cina in sede di Organizzazione mondiale del commercio (OMC) per le restrizioni imposte alle imprese dell’UE che adiscono un tribunale straniero per proteggere e utilizzare i loro brevetti.

    La Cina impone gravi restrizioni alle imprese dell’UE che godono di diritti su tecnologie chiave (come il 3G, il 4G e il 5G), in quanto limita le possibilità che queste imprese hanno di proteggere tali diritti da un uso illegale o non adeguatamente compensato dei loro brevetti, ad esempio da parte dei fabbricanti cinesi di telefoni cellulari. I titolari di brevetti che si rivolgono comunque a tribunali al di fuori della Cina sono spesso soggetti a pesanti ammende in Cina e, in sostanza, a pressioni affinché accettino diritti di licenza più bassi rispetto alle tariffe di mercato.

    Questa politica cinese è estremamente dannosa per l’innovazione e la crescita in Europa e, di fatto, priva le imprese tecnologiche europee della possibilità di esercitare e far rispettare i diritti che conferiscono loro un vantaggio tecnologico.

    Dall’agosto 2020 i tribunali cinesi emettono decisioni – note come “anti-suit injunction”, ossia inibitorie volte a vietare le azioni in giudizio – per esercitare pressioni sulle imprese dell’UE che detengono brevetti ad alta tecnologia e impedire loro di proteggere legittimamente le loro tecnologie. I tribunali cinesi ricorrono anche alla minaccia di pesanti ammende per dissuadere le imprese europee dall’adire tribunali stranieri.

    Le imprese europee ad alta tecnologia si trovano pertanto in una posizione di notevole svantaggio nel battersi per far valere i loro diritti. I fabbricanti cinesi chiedono queste “anti-suit injunction” per beneficiare di un accesso alla tecnologia europea a un costo inferiore o senza alcun esborso.

    L’UE ha sollevato la questione con la Cina in varie occasioni nel tentativo di trovare una soluzione, ma senza successo. Poiché secondo l’UE i provvedimenti cinesi sono incompatibili con l’accordo dell’OMC sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS), l’UE ha avanzato richiesta di consultazioni in sede di OMC.

    Le consultazioni richieste dall’UE per la risoluzione della controversia rappresentano il primo passo della procedura di risoluzione delle controversie dell’OMC. Se non condurranno a una soluzione soddisfacente entro 60 giorni, l’UE potrà chiedere all’OMC di istituire un panel che decida in merito alla questione.

    I brevetti oggetto della controversia sono brevetti essenziali (SEP), ossia brevetti che sono indispensabili per fabbricare prodotti conformi a una determinata norma tecnica internazionale. Poiché l’uso delle tecnologie protette da tali brevetti è obbligatorio per la produzione, ad esempio, di un telefono cellulare, i titolari dei brevetti si sono impegnati a concederli in licenza ai fabbricanti a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (FRAND). Per tali brevetti un fabbricante di telefoni cellulari dovrebbe pertanto ottenere una licenza (dietro pagamento di diritti di licenza negoziati con il titolare del brevetto). Se un fabbricante non ottiene una licenza e/o si rifiuta di pagare, il titolare del brevetto può esigere il rispetto del brevetto e rivolgersi a un tribunale per far bloccare le vendite dei prodotti che incorporano quella tecnologia senza una regolare licenza.

    Nell’agosto 2020 la Corte suprema del popolo cinese ha stabilito che i tribunali cinesi possono vietare ai titolari di brevetti di adire un tribunale non cinese per ottenere il rispetto dei loro brevetti emettendo una “anti-suit injunction”; la Corte suprema del popolo ha anche stabilito che la violazione dell’ordinanza può essere punita con un’ammenda giornaliera di 130 000 €. Da allora i tribunali cinesi hanno emesso quattro “anti-suit injunction” nei confronti di titolari di brevetti stranieri.

    Fonte: Commissione europea

  • Perché l’eventuale conflitto tra Russia e Ucraina riguarda l’Europa?

    La vicenda della minaccia bellica russa all’Ucraina è molto più seria di una semplice crisi tra due paesi confinanti.  E non solo per l’odioso atteggiamento di Putin che agisce come se fosse il Presidente dell’URSS e non della Federazione Russa, ritenendosi a tutti gli effetti il detentore del diritto di decidere sulle alleanze di uno stato sovrano, non più assoggettato ai desiderata del Cremlino. Ma piuttosto proprio per la delicatezza della questione che invece, da parte di molti, si sta affrontando con il solito spirito di tifoseria, propendendo a seconda delle personali convinzioni politiche, a favore di Biden o di Putin, senza riuscire a vedere le rilevanti implicazioni che ci riguardano in prima persona, e non solo per la vicinanza geografica di una guerra dagli esiti certamente disastrosi.

    La verità è che il mondo negli ultimi 10-12 anni è profondamente cambiato, e dalla presenza per una ventina di anni degli USA come unica superpotenza mondiale, dopo l’implosione dell’URSS, pian piano sono emerse altre due super potenze, la Federazione Russa e la Cina che, insieme agli USA, con crescente arroganza stanno cercando di dominare il mondo.

    L’Ucraina per la Russia fa il paio con Taiwan per la Cina, senza contare tutte le operazioni economiche e militari in Africa, in America latina ed anche in Europa, che stanno fortemente spostando gli equilibri complessivi, ovviamente a discapito e senza alcuna reazione dei Paesi Europei.

    Trattare la vicenda dell’Ucraina come fosse un derby tra Russia e USA e non l’ennesimo segnale di allarme per l’Europa rischia di distogliere l’attenzione dal vero problema. E cioè rispondere alla domanda: ma di questo passo quale sarà il ruolo dell’Europa nel mondo?

    Siamo davvero sicuri che l’alleanza con gli USA ci consentirà livelli di protezione sufficienti, o non ha insegnato nulla la vicenda dell’Afghanistan?

    E prima ancora del Vietnam?

    Ecco perché la cosa più giusta sarebbe la veloce ripresa del processo di costituzione della Federazione degli Stati Uniti d’Europa, che è l’unico modo per superare l’Unione Europea, inadeguata alla difesa della libertà e dell’indipendenza dei popoli Europei perché incapace per sua natura di avere una politica estera unica ed un esercito all’altezza delle tre super potenze.

    Se gli Stati Europei continueranno ad ignorare o a sottovalutare l’aggressività e la prepotenza delle tre superpotenze e a non organizzarsi al più presto per la tutela della loro indipendenza e libertà faranno la fine dei piccoli stati italiani preunitari e presto potranno esercitare solo un diritto, quello di scegliere di quale, tra i tre imperi, diventare colonia o protettorato.

    *già Sottosegretario per i Beni e le Attività Culturali

  • Biden, l’Europa, Putin e l’amico cinese

    La questione Russia-Ucraina, oltre che molto pericolosa, è diventata surreale con le diplomazia non in grado di formulare proposte e Capi di Stato che rischiano, con dichiarazioni e minacce, di peggiorare una situazione esplosiva per tutti. Come i cani maschi marcano il loro territorio con l’urina così i leader cercano di marcare nuovi territori politici ed economici con le parole e lo spostamento di soldati, mezzi bellici e persone. In concreto cosa vuole Putin? Che l’Ucraina non entri nella Nato per non avere ai propri confini la presenza, più o meno forte, dell’Occidente e in particolare degli Stati Uniti. E’ un problema di leadership, di potere, ma non solo perché, come sempre, incombe anche l’ombra dello spionaggio, militare ed economico. Putin ha già annesso la Crimea  e rivendica altri territori ucraini dove vivono sia russi che ucraini favorevoli alla Russia e dove, ormai da anni, vi è di fatto una guerra non dichiarata. Molti ucraini vivono in Russia e i due Stati sono legati, tramite i loro cittadini, da odi profondi ma anche da forti rapporti di parentele ed amicizie. Non è certo una novità che il presidente russo cerchi di allargare sempre più il suo raggio di influenza tramite annessioni o stringendo rapporti sempre più stretti con governi a lui vicini. Anche la recente missione in Kazakistan ne è una prova.

    In un mondo dove gli Stati liberali e democratici stanno perdendo colpi  e un certo benessere ingenera lotte interne tra i partiti, a tutto danno proprio della democrazia, gli Stati totalitari, tramite la gestione diretta di un sistema economico che ha tramutato il libero mercato in un mercato oligarchico, cercano di allargare la loro area di influenza, un esempio per tutti l’espansionismo  cinese in Africa.

    Putin vuole siano tolte le sanzioni che gravano sul suo Paese e ha una forte leva perché produce e commercializza quel gas che per l’Europa è vitale, gas che a noi centellina mentre lo offre alla Cina in quantità superiori a quelle stabilite da contratto. E Putin ha, nei giorni scorsi, siglato un nuovo patto di amicizia e collaborazione con il presidente cinese stabilendo aree di pertinenza e strategie. Guardando lontano però Putin potrebbe avere problemi con la Cina, infatti Xi Jinping è al momento il più forte e se Putin dovesse perdere nelle richieste che ha fatto all’Occidente diventerebbe per i cinesi un alleato debole e la Russia dovrebbe guardarsi non solo dagli Stati Uniti e dalla molle Europa. Battaglioni schierati, navi in esercitazione davanti a Kiev, aerei russi che violano lo spazio aereo del Regno Unito, l’organizzazione Wagner presente non solo in Libia ma in vari contesti di guerriglia in Africa, sono alcuni strumenti che Putin usa per consolidare la sua immagine all’interno e rafforzare il suo peso all’esterno. Il presidente russo non retrocederà se non potrà dimostrare di aver portato a casa qualcosa e non credo proprio che la minaccia di nuove sanzioni sia lo strumento idoneo per trovare una via d’uscita.

    È il momento di scegliere un compromesso onorevole per tutti, di concedere qualcosa a Putin per avere in cambio la garanzia del rispetto della sovranità dell’Ucraina e di qualunque  altro Paese, non possiamo infatti dimenticare che domani potremmo trovarci ad affrontare anche la minaccia di invasione delle repubbliche baltiche. Al tavolo delle trattative con il presidente russo non bisogna però dimenticare la Cina ed i suoi progetti vicini e lontani, e al mondo occidentale giova tentare in ogni modo che l’alleanza tra Putin e Xi Jinping non  diventi strutturale.

    Uno scacchiere complesso che richiede nervi saldi e ampiezza di vedute geopolitiche per il presente ed il futuro, la pace di oggi va garantita e consolidata per garantire la pace anche domani ed è difficile immaginare che lo si possa fare solo scambiandosi reciproche minacce. I negoziatori devono essere ben consapevoli di cosa si può dare e di quanto si deve ottenere in cambio.

    E in ogni trattativa bisogna ricordare di non mettere mai l’avversario nella condizione di non potere avere una onorevole possibilità di cambio di rotta.

  • Debole altolà della Ue alla Turchia sul Mediterraneo

    Una blacklist di soggetti da sanzionare, ma nessun embargo economico o militare. L’Europa lancia un nuovo avvertimento alla Turchia sulle perforazioni “illegali” nel Mediterraneo orientale, ma le misure contro Ankara restano blande e non toccano le forniture di armi.

    Mentre i leader dell’Unione si riunivano per affrontare i nodi di un rapporto che per l’Alto rappresentante Josep Borrell “sotto alcuni punti di vista è peggiorato”, il presidente Recep Tayyip Erdogan assisteva a Baku da ospite d’onore alla passerella di truppe azere e turche per la “gloriosa vittoria” in Nagorno-Karabakh, offrendo una rappresentazione plastica della distanza sempre maggiore con Bruxelles. Ma la Turchia riesce comunque a schivare le misure più pesanti, richieste dagli avversari diretti nel Mediterraneo, Grecia e Cipro, con l’appoggio dei falchi, Francia e Austria. Le decisioni vanno però approvate all’unanimità e su quelle più dure – embargo di armi e sanzioni economiche a interi comparti – manca un pieno consenso. A frenarle è stata la presidenza tedesca di turno, ma anche l’Italia e Paesi dell’est come Polonia e Ungheria.

    Sul dossier turco, il premier Giuseppe Conte aveva chiesto all’Europa di parlare con “una sola voce”, evitando però di provocare “una rapida escalation” e un maggiore isolamento di Ankara. Nella bozza di accordo, il Consiglio europeo ha quindi previsto una lista nera di soggetti e compagnie turchi, da aggiungere alle due persone fisiche già colpite dal blocco dei visti e dal congelamento dei beni. Resta comunque la minaccia di ulteriori misure punitive, se lo scontro dovesse proseguire.

    Del resto, sono forti le preoccupazioni anche per le possibili ricadute sugli equilibri interni alla Nato, come ha sottolineato il segretario generale Jens Stoltenberg. Per questo, l’Ue punta a “un coordinamento con gli Stati Uniti”, che a loro volta, forse già nei prossimi giorni e senza aspettare l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, potrebbero dare il via libera a sanzioni per l’acquisto dei missili russi S-400.

    Da Baku, intanto, Erdogan è tornato a lanciare proclami bellicosi. “Il fatto che l’Azerbaigian abbia liberato le sue terre dall’occupazione dell’Armenia non significa che la lotta sia finita”, ha avvisato il leader di Ankara dopo aver visto sfilare tremila soldati insieme ai droni turchi Bayraktar, decisivi per l’esito di un conflitto in cui ha detto di scorgere “l’inizio di una nuova era”.

  • L’UE impone sanzioni a sette ministri siriani

    L’Unione europea imporrà sanzioni mirate a sette ministri siriani di recente nomina per il loro ruolo nella violenta repressione della popolazione civile.

    La decisione del Consiglio include un congelamento dei beni contro settanta strutture e sette ministri, insieme a un divieto di viaggio. Tra i sanzionati vi sono i ministri della giustizia, delle finanze, dei trasporti, dell’istruzione, del commercio interno e della tutela dei consumatori, nonché il ministro delle risorse idriche.

    La Siria ha espresso forte condanna per la decisione dell’UE sostenendo che si basa su informazioni fuorvianti e fa parte della campagna in corso contro lo Stato siriano.

    Le sanzioni dell’UE contro il regime di Damasco sono state introdotte per la prima volta nel 2011 e altre misure già in atto includono restrizioni su determinati investimenti ed esportazioni di apparecchiature e tecnologie di monitoraggio, un divieto di importazione di petrolio e un congelamento delle attività della banca centrale siriana detenute nel territorio europeo. I recenti divieti portano a 280 il numero di persone che sono soggette alle sanzioni economiche prese dai 27.

  • Intesa sulle sanzioni della Ue alla Russia per Navalny

    L’Unione europea sceglie la linea dura e decide di sanzionare la Russia per l’avvelenamento di Alexei Navalny complicando ulteriormente i già tesi rapporti con Mosca. I ministri degli esteri dell’Unione, per la prima volta riuniti di persona a Lussemburgo dall’inizio della pandemia, hanno anche deciso di aumentare la pressione nei confronti del presidente bielorusso Alexandr Lukashenko e di inserirlo nell’elenco delle persone sanzionabili.

    A proporre un giro di vite sul caso dell’oppositore russo erano state Francia e Germania che avevano proposto ai partner Ue di sanzionare la Russia, accettando di registrare diverse persone e un’azienda russa in cui viene prodotto il Novichok (il cui uso è vietato) nell’elenco europeo delle sanzioni contro l’uso di armi chimiche. Una proposta che aveva suscitato le ire del Cremlino. Mancava però un accordo politico tra i 27 che ora è arrivato.

    “Sulla proposta franco-tedesca c’è stato una totale via libera da tutti i Paesi, nessuno si è opposto alle sanzioni”, ha detto l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell al termine del Consiglio, senza però menzionare quali persone o entità russe saranno nel mirino dell’Ue. Sul tema ci tornerà poi il Consiglio europeo. Soddisfatto il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, che ha sottolineato l’unità dimostrata dall’Unione europea, un fattore “estremamente importante in un crimine così grave che viola il diritto internazionale e la Convenzione sulle armi chimiche”. Sulla stessa lunghezza d’onda il collega francese Jean-Yves Le Drian: “Qualsiasi uso di armi chimiche richiede una reazione unitaria a questo atto destabilizzante per la sicurezza dell’Europa”, ha scritto su Twitter. Alla riunione ha partecipato anche il titolare della Farnesina Luigi Di Maio che il giorno dopo a Bruxelles aveva in agenda una serie di incontri con i vertici Ue alla vigilia di una trasferta a Mosca a incontrare il suo collega Serghei Lavrov.

    La Bielorussia è stato l’altro dossier caldo discusso dai ministri che hanno dato la loro disponibilità ad “adottare ulteriori misure restrittive nei confronti di entità e funzionari di alto rango, tra cui Aleksandr Lukashenko”, come si legge nelle conclusioni finali. Si allarga così l’elenco delle persone nel mirino delle misure restrittive già decise ad inizio ottobre nei confronti di una quarantina di nomi tra cui il ministro dell’Interno. Finora i leader europei avevano evitato di sanzionare Lukashenko nella speranza di costringerlo ad accettare la mediazione dell’Osce e di impegnarsi in discussioni con l’opposizione per organizzare una nuova elezione presidenziale. Il Consiglio dell’Ue ha poi condannato fermamente la violenza esercitata dalle autorità bielorusse contro manifestanti pacifici e ha chiesto il rilascio di tutte le persone detenute arbitrariamente, compresi i prigionieri politici.

    Intanto la situazione nel Paese, dove sono state registrate nuove ondate di arresti, non migliora. La polizia bielorussa ha avvertito che potrebbe usare armi da combattimento per reprimere le proteste in corso, mentre i pensionati sono tornati a sfilare di nuovo in piazza a Minsk e in altre città del Paese.

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