sanzioni

  • La Germania chiede all’UE sanzioni contro gli hacker russi per il cyber attacco al Bundestang nel 2015

    Il governo tedesco ha proposto all’UE di imporre sanzioni agli hacker russi responsabili di un attacco informatico al Bundestag nel 2015. Se la proposta inviata agli Stati membri sarà approvata si tratterà del primo utilizzo del sistema di sanzioni informatiche dell’UE adottato nel 2017.

    Il massiccio attacco alla camera bassa del Parlamento tedesco nel 2015 aveva costretto i suoi sistemi informatici ad essere chiusi per giorni, con l’agenzia di intelligence tedesca che accusava l’intelligence militare russa (GRU) di cyber hacking.

    Si è trattato del più grande atto di pirateria informatica mai realizzato contro il Bundestag e considerato un tentativo di spionaggio e sabotaggio. Circa 16 gigabyte di dati, documenti ed e-mail sono stati rubati dalla rete del parlamento di Berlino, tra cui migliaia di e-mail dall’ufficio di Angela Merkel.

    A maggio, il procuratore generale tedesco ha emesso un mandato di arresto nei confronti del cittadino russo Dmitry Badin, membro del gruppo APT28, sospettato di essere responsabile dell’attacco, mentre il Paese ritiene che sia stato coinvolto anche un hacker del GRU.

  • Bruxelles estende le sanzioni contro la Russia per il conflitto in Ucraina

    L’Unione Europea ha esteso le sue sanzioni contro la Russia fino al 31 gennaio 2021. Nel 2014 Bruxelles ha imposto le misure restrittive in risposta all’annessione della Crimea da parte della Russia, che l’UE, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e la Turchia considerano illegali. L’Ucraina incolpa la Russia anche per la violenza separatista dell’Ucraina orientale. Le misure sono state estese a causa della riluttanza di Mosca ad attuare pienamente l’accordo di Minsk, che ha lo scopo di stabilire un cessate il fuoco nell’Ucraina orientale. Le misure restrittive riguardano alcune banche e società russe che avranno un accesso limitato ai mercati dei capitali dell’UE e vietano anche il commercio di tutti i beni legati alla difesa e le tecnologie sensibili che possono essere utilizzati nel settore energetico russo.

  • OSCE members slam Russia’s lack of response to human rights violations in Chechnya

    In a joint statement, 16 members of the Organisation for Security and Cooperation in Europe (OSCE) said Russia has failed to address severe human rights violations in the semi-autonomous region of Chechnya.

    The statement was delivered to OSCE by the Danish delegation to the organisation on behalf of the delegations of Belgium, Canada, Denmark, Estonia, Finland, France, Germany, Iceland, Ireland, Latvia, Lithuania, the Netherlands, Norway, Sweden, the United Kingdom, and the United States.

    It was issued 17 months after a fact-finding report, called Moscow Mechanism Report that was presented at the OSCE, said the authorities in Chechnya had committed “very serious” human rights violations and abuses.

    The OSCE members stressed that “the climate of impunity” continues to prevail, citing continuous attacks against journalists, human rights defenders and the LGBTI community. According to their statement, those groups of people are being harassed and persecuted, unlawfully arrested, subjected to torture and even extrajudicially executed.

    The countries called on Russia to fully implement the recommendations included in the report, calling the situation in Chechnya “deeply worrying”.

    “We will continue to raise our concerns with regard to the numerous credible allegations of ongoing serious human rights violations and abuses in Chechnya until we receive a substantive response from the Russian Federation and observe tangible progress in the region,” their statement reads.

    The leader of Chechnya, Ramzan Kadyrov, since appointed by Vladimir Putin in 2007, has been implementing aggressive measures to rule the region, leaving no space for minority groups, journalists and activists.

    Amid the Coronavirus pandemic, Kadyrov said in an interview to state-run media that people who fail to self-isolate after testing positive for COVID-19, should be killed. After his statement circulated in Russian media, people who spread the news apologised for their move, with human rights groups citing fears that the confessions were coerced.

  • L’UE esorta la Turchia a fermare le perforazioni illegali al largo di Cipro. E intanto prepara nuove sanzioni

    L’Unione europea, mentre prepara nuove sanzioni, ha esortato la Turchia a interrompere le sue attività di perforazione “illegali” nella zona economica esclusiva di Cipro (ZEE) dopo aver annunciato che la nave di Yavuuz condurrà ulteriori attività di esplorazione e perforazione nell’area. In una dichiarazione rilasciata sabato, il portavoce della politica estera dell’UE, Peter Stano, ha affermato che le azioni della Turchia minano la stabilità regionale e che “sono necessari passi concreti per creare un ambiente favorevole al dialogo civile”.Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan “ha promesso” giovedì di iniziare a perforare al largo della costa di Cipro “il più presto possibile”, mentre Ankara a novembre ha firmato un accordo per le zone marittime con il governo del generale Khalifa Haftar, con sede a Tripoli, rivendicando vaste aree di acque territoriali della Grecia e di Cipro.

    “Il diritto internazionale del mare, il principio delle relazioni di buon vicinato, la sovranità e i diritti sulle zone marittime di tutti gli Stati membri devono essere rispettati”, ha affermato l’UE nella sua dichiarazione.

    Intanto la nave Yavuz avanza nell’area autorizzata “G” nel sud di Cipro per condurre un’altra operazione di perforazione in un’area autorizzata dalle società energetiche Eni e Total.“I ciprioti turchi hanno diritti tanto quanto i ciprioti greci. Se petrolio e gas naturale dovessero essere trovati in quest’area, entrambe le parti condivideranno le entrate insieme”, ha aggiunto il portavoce dell’AMF Hami Aksoy. Nella stessa dichiarazione si commenta anche la decisione dell’UE che starebbe applicando politiche non realistiche, pregiudizievoli e di doppio standard nel suo approccio alla Turchia e ai turco-ciprioti.”La Turchia si sta trasformando in uno stato pirata nel Mediterraneo orientale”, ha dichiarato la presidenza cipriota. “La Turchia insiste nel percorrere la strada dell’illegalità internazionale”, in quanto ha “provocatoriamente ignorato” l’UE che chiede il rispetto del diritto internazionale e la cessazione delle sue attività di trivellazione.

  • La Ue proroga le sanzioni a carico del Venezuela

    Il Consiglio dell’Ue ha deciso di prorogare fino al 14 novembre 2020 le misure restrittive nei confronti del Venezuela per azioni contro la democrazia, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani. Un comunicato rilasciato dal consiglio di Bruxelles afferma che la decisione è stata presa in relazione alla «crisi politica, economica, sociale e umanitaria» che il Paese sudamericano sta attualmente vivendo.

    Tra le misure adottate dal Consiglio dell’Ue c’è embargo sulla fornitura di armi e attrezzature adatte a scopi repressivi interni. Inoltre, stiamo parlando di un divieto d’ingresso nell’Ue e del congelamento di partecipazioni bancarie per 25 persone che ricoprono incarichi ufficiali nello stato e sono responsabili della violazione dei diritti umani o di attentati contro la democrazia e lo stato di diritto in Venezuela.

    «Queste misure hanno lo scopo di promuovere la ricerca di soluzioni democratiche comuni al fine di garantire la stabilità politica nel paese e soddisfare le urgenti esigenze della popolazione. Queste misure mirate sono flessibili e reversibili e progettate in modo da non danneggiare la popolazione venezuelana», spiega il Consiglio dell’UE.

  • Le tensioni Ucraina-Russia banco di prova per la Ue e l’asse atlantico

    Con le recenti intimidazioni e violenze perpetrate dalla Russia contro l’Ucraina – la cattura di 3 navi militari ucraine e il blocco dello stretto di Kerch strategicamente importante – Vladimir Putin sta testando l’unità occidentale e la sua capacità di risposta. Ue, Nato e Dipartimento di Stato degli Usa hanno preso posizione, ma il grande assente è stato Donald Trump, che ha commentato l’accordo sulla Brexit ma non ha speso una parola sulle nuove tensioni tra Ucraina e Mosca (perfino il mancato incontro con Putin al G20 è parso dettato dai suoi consiglieri e più legato a questioni di politica interna, l’indagine dell’Fbi su collusioni con Mosca, piuttosto che da tutela delle ragioni dell’Occidente). Anche l’Austria, il cui ministro degli esteri Karin Kneissl ha legami con Putin, ha ipotizzato sanzioni europee verso Mosca, di cui la Ue discuterà questo mese. Tali sanzioni sono osteggiate dai Paesi dell’Ue guidati da partiti populisti, ma un’uniformità di visione e di azione  da parte degli Stati comunitari appare particolarmente importante prima delle elezioni europee del prossimo anno, che minacciano di fornire una piattaforma per partiti di estrema destra allineati al Cremlino (c’è già chi chiede di potenziare la task force East StratCom, una cellula anti-disinformazione del servizio estero dell’Ue).

  • I grandi d’Europa chiedono agli Usa una deroga per commerciare con l’Iran

    «I ministri delle finanze e degli esteri di Germania, Francia e Gran Bretagna hanno inviato una richiesta, sottoscritta anche dall’alto rappresentante Federica Mogherini, alle controparti statunitensi, Steve Mnuchin, segretario al tesoro, e Mike Pompeo, segretario di Stato, nel tentativo di ottenere un’esenzione dalle nuove sanzioni all’Iran reintrodotte unilateralmente dall’amministrazione Trump e che entreranno in vigore il prossimo novembre», scrive Paolo Balmas su Transatlantico, rivista a cura di Andrew Spannaus.

    Ecco, nel dettaglio, il reportage: «La richiesta proveniente dall’Unione Europea riguarda, in particolare, i settori energetico, finanziario e farmaceutico. L’obiettivo è di evitare la rottura dei contratti firmati dalle proprie imprese con l’Iran a partire dal 2016. La richiesta si fonda sulla convinzione che il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) è il migliore strumento per assicurare che l’Iran non persegua il suo programma di armamento nucleare. Nella richiesta europea, si legge che in qualità di alleati ci si aspetta che gli Stati Uniti non agiranno in modo da ledere gli interessi strategici europei.

    La richiesta è stata inviata dopo che l’Unione Europea aveva avviato, circa due settimane prima, il “blocking statute”, una procedura che difende i cittadini e le imprese europee che potrebbero essere colpite dalle sanzioni di secondo livello (secondary sanctions), in questo caso imposte dagli Usa contro chi commercia con l’Iran. In tal modo, l’UE sta cercando anche di permettere alla Banca europea d’investimento (Bei) di continuare con le attività in Iran e, in generale, di assicurare i pagamenti per le importazioni di greggio iraniano da parte delle banche europee. Malgrado l’impegno delle istituzioni, le imprese europee hanno già dichiarato di volersi ritirare dall’Iran. Il rischio di subire le sanzioni, di avere accesso limitato al mercato statunitense e, soprattutto, di essere colpite sul fronte finanziario, hanno determinato una lunga serie di decisioni in aperta opposizione con i tentativi dell’amministrazione europea. Ciò dimostra quanto gli Stati Uniti abbiano un potere contrattuale incontrastabile, che oggi agisce principalmente attraverso una leva finanziaria. La stessa Bei non ha preso di buon grado la volontà delle istituzioni europee, secondo quanto riporta Reuters, per il fatto che circa un terzo delle sue attività sono denominate in dollari e aumentare l’esposizione in Iran la metterebbe di fronte a potenziali ritorsioni.

    Fra le grandi imprese che sono pronte a ritirarsi dall’Iran vi sono, fra le altre, la Total, la Maersk, la Shell. Ma lo spettro delle sanzioni danneggia, oltre l’Iran e le imprese straniere che vi stanno investendo ormai da due anni, anche quelle imprese europee coinvolte in progetti con controparti iraniane all’estero. Un esempio è la British Potroleum che ha annunciato di voler bloccare le attività nel Mare del Nord che ha intrapreso insieme alla Iranian Oil Company. Il contrasto che è sorto fra il tentativo dei governi di mantenere in vita il JCPOA e le imprese che non vogliono entrare in conflitto con gli Stati Uniti, non riguarda solo l’UE. Anche l’India e la Russia, che sostengono il patto sul nucleare iraniano, vedono le proprie imprese pronte a stracciare i contratti firmati con Teheran. La russa Lukoil ha già confermato di volersi ritirare da tutte le attività aperte in Iran, mentre l’indiana Reliance Industries, ha deciso di bloccare tutte le importazioni di greggio iraniano. Il vuoto che lasceranno queste imprese, almeno per quanto riguarda la Total e la Shell, sarà colmato dalle imprese di Stato cinesi. Infatti, Pechino non ha alcuna intenzione di rinunciare all’Iran, tanto meno al suo petrolio.

    L’abbandono del JCPOA da parte dell’amministrazione Trump ha avuto due principali ripercussioni. La prima è stata la fuga delle imprese dall’Iran, eccezion fatta per quelle cinesi. Anche le imprese sudcoreane e giapponesi impegnate nella realizzazione di nuovi impianti di raffinazione si sono ritirate, o sono sul punto di farlo. Si tratta forse di uno dei danni più gravi all’economia iraniana, in quanto i progetti seguiti dalla Daelim, dalla Hyundai e dalla Chiyoda Corporation, avrebbero aumentato le capacità di raffinazione del 22% e la produzione di materiali di base per l’industria petrolchimica del 57%. Gli investimenti delle imprese coreane e giapponesi superano in totale i 5 miliardi di dollari. Non è un caso che il governo Abe, fortemente colpito anche dai dazi sull’acciaio, abbia utilizzato per la prima volta parole così dure contro Washington. La seconda ripercussione, invece, consiste nell’aver lasciato il campo libero alle imprese cinesi e nell’aver spinto l’Iran ancora di più nell’orbita della Shanghai Cooperation Organization (SCO), l’organizzazione che unisce fra le altre Russia, Cina e India sul piano dello sviluppo e della sicurezza in Asia.

    Pechino ha sottolineato l’importanza della presenza iraniana nel prossimo summit della SCO, che si terrà fra il 9 e 10 giugno 2018 a Qingdao, in Cina. Il governo cinese ha ricordato che le consultazioni con la controparte iraniana avverranno con l’esplicito intento di mantenere in vita il JCPOA, ma anche di ampliare la cooperazione su un piano bilaterale. L’avvicinamento dell’Iran alla SCO, che dopotutto era già inevitabile, è strettamente legato alle crisi mediorientali, dalla Siria, alla Palestina e allo Yemen, in cui Teheran è direttamente coinvolta, e al rapporto di quest’ultima con Mosca. Il Cremlino si sta impegnando per mediare gli attriti fra Israele e Iran, in relazione alle forze iraniane che operano nei pressi del confine siro-israeliano. L’isolamento di Teheran attraverso le sanzioni non può che avere ripercussioni negative a livello regionale. La risposta iraniana consiste nel riprendere le attività di arricchimento dell’uranio, soluzione che potrebbe innescare confronti ben più preoccupanti.

    La manovra dell’amministrazione Trump è volta certamente a esercitare una pressione estrema per ottenere un maggior controllo e una maggiore presenza in Iran. Se le trattative in stile Trump stanno in parte funzionando con la Cina e la Corea del Nord, non è detto che avranno successo con l’Iran, paese contro il quale i noti storici nemici (Israele e Arabia Saudita) sono disposti a rischiare un conflitto. Un secondo obiettivo di Washington consiste nel rallentare lo sviluppo della produzione e dell’export iraniano di idrocarburi. Le sanzioni segnano la messa fuori gioco di un potenziale avversario nella riorganizzazione del mercato globale del greggio e del gas. Dalla fine del 2015, gli Usa sono divenuti esportatori di greggio, dopo il divieto durato decenni di vendere il proprio petrolio all’estero. Le crisi in Venezuela, in Libia, in Nigeria, e i ritardi in Brasile e in altri paesi, ora in Iran, hanno agevolato la politica commerciale Usa in questo settore, volta inoltre a riequilibrare la propria bilancia commerciale.

    In ogni caso, a perdere insieme all’Iran sarà l’Unione Europea, i cui paesi sono quelli attualmente più coinvolti nel futuro dell’economia iraniana. L’UE ne esce nuovamente indebolita, di fronte alle esigenze delle singole imprese e dei governi che non vogliono rischiare ripercussioni più gravi dagli Stati Uniti. Le recenti vicende politiche di alcuni paesi, come ad esempio l’Italia, in cui sono giunti al governo partiti populisti, si inseriscono in questo delicato contesto internazionale. Il nuovo governo Conte dovrà affrontare il G7 [articolo pubblicato l’8 giugno, n.d.r], che si accavalla nel giorno del 9 giugno al summit SCO, e mantenere una posizione ambigua fra Bruxelles e Washington, in quanto appoggerà la politica dei dazi, ma tenterà di difendere le proprie imprese coinvolte in Iran (l’Italia è il principale partner europeo di Teheran). Inoltre, sosterrà una posizione di apertura alla Russia. Se da un lato Roma potrebbe avere la forza di divenire uno degli strumenti per assicurare il riavvicinamento di Mosca a Bruxelles, sembra lontana l’ipotesi di una posizione di netto contrasto a Washington, o di costruttiva mediazione, sulla questione iraniana. Sotto la minaccia delle secondary sanctions, i paesi europei, che stanno di fatto contribuendo a un processo di pace in Medio Oriente attraverso lo sviluppo di un’economia emergente, quella iraniana, di 80 milioni di persone, rischiano di deragliare insieme al tentativo di regolare le situazioni più delicate della politica internazionale attraverso la diplomazia. Tentativo al quale sono stati dati meno di tre anni di possibilità».

  • Sanzioni Ue alla Siria in vigore ancora per un altro anno

    Il Consiglio Ue ha prorogato di un anno, fino al primo giugno 2019, le sanzioni nei confronti del regime siriano. I ministri degli esteri dei 28 hanno anche aggiornato persone ed entità colpite dalle misure restrittive su stop ai visti e congelamento dei beni, dove ora figurano 259 persone e 67 entità. Sono state incluse persone per il loro ruolo nell’uso di armi chimiche.

    Più in generale, le sanzioni attualmente in vigore nei confronti della Siria includono un embargo sul petrolio, restrizioni su alcuni investimenti, il congelamento dei beni della banca centrale siriana detenuti nell’Ue e restrizioni all’esportazione di attrezzature e tecnologie che potrebbero essere usate a fini di repressione interna nonché di attrezzature e tecnologie per il monitoraggio o l’intercettazione delle comunicazioni telefoniche o online.

  • Cina e Ue provano a superare la reciproca diffidenza per fare più business

    Ue e Cina si trovano sempre più alleate nel voler sostenere il multilateralismo nelle relazioni internazionali, spinte anche dall’unicameralismo di Donald Trump, ma tra di loro persiste mancanza di fiducia. Ue e Cina potrebbero lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, una serie di obiettivi fissati nel 2015 per prevenire la povertà e cambiamenti climatici e affrontare la salute, l’istruzione, i servizi igienico-sanitari, l’energia e la giustizia sociale nei paesi in via di sviluppo. A fronte della linea “America First» proclamata da Trump, la Cina ha iniziato a dipingersi come difensore del multilateralismo e del commercio basato su regole globali e l’Ue ha incoraggiato Pechino a ricoprire un ruolo centrale nella lotta al protezionismo, insistendo sulla necessità di una riforma per essere equa nei confronti degli investitori e dei commercianti europei. La Cina è la principale fonte di importazioni dell’Ue e il suo secondo mercato di esportazione (Cina ed Europa si scambiano in media oltre un miliardo di euro al giorno). L’ambasciatore cinese Zhang Ming ha detto che «lo sviluppo sostenibile sarebbe fuori questione senza una solida ripresa economica e un commercio basato su regole e un ambiente di investimento. L’attuale ambiente per lo sviluppo non è sufficientemente resiliente e non può permettersi atti spericolati di unilateralismo e protezionismo. Dobbiamo sostenere con fermezza il sistema multilaterale di scambi che è libero, aperto e non discriminatorio e combattere il protezionismo in qualsiasi forma o sotto qualsiasi pretesto: la Cina e l’Ue hanno una responsabilità comune in questo senso». Ed ha aggiunto che Pechino è pronta a «intensificare il dialogo» in materia di protezione ambientale, energia pulita ed economia circolare (in base alla quale più materiali vengono riciclati e riutilizzati nei prodotti).

    Il vicepresidente della Commissione europea Jyrki Katainen ha convenuto che l’Ue e la Cina devono rifiutare l’unilateralismo ma ha insistito sulla necessità di «sostenere i valori democratici a casa, lo stato di diritto». Affermando che Ue e Cina «devono promuovere un ordine aperto, fondato sulle regole e leale», Katainen ha spiegato che «ciò significa che dobbiamo sostenere l’OMC [Organizzazione mondiale del commercio], ma anche aggiornare le sue regole – ad esempio negoziando nuove regole sui sussidi – per combattere le sovraccapacità e promuovere condizioni di parità».

    La sovraccapacità cinese nell’acciaio e le sue esportazioni a basso costo sono state attribuite alle nuove tariffe statunitensi introdotte da Trump, nonostante la riluttanza dell’amministrazione statunitense ad affrontare la questione accanto ai suoi alleati europei – piuttosto che introdurre tariffe punitive unilaterali. Un osservatore del commercio con sede in Svizzera, Global Trade Alert, ha tuttavia avvertito che il concetto di eccesso di capacità globale, comunemente citato contro la Cina, è esagerato come giustificazione per il protezionismo statunitense.

    Ma l’eccesso di capacità non è l’unico problema che riguarda l’Ue. Gli investitori europei sono preoccupati per gli ostacoli cinesi. Nel 2016, gli investimenti cinesi verso l’Ue sono saliti al livello record di quasi 40 miliardi di euro, mentre gli investimenti dell’Ue in Cina sono scesi a un minimo da 10 anni inferiore a 8 miliardi di euro. La questione dovrebbe essere affrontata nell’ambito dell’accordo di investimento Ue-Cina, in corso di negoziazione dal 2013. «Dobbiamo anche garantire più apertura reciproca l’uno verso l’altro – ha detto Katainen – La Cina ha ancora molte barriere agli investimenti stranieri e ha ripetutamente annunciato che li revocherà: è importante che tali riforme vengano attuate e che ciò sia sancito da un ambizioso accordo bilaterale di investimento».

  • La Commissione Europea apre un’indagine sul prestito di Alitalia

    Il 23 aprile la Commissione europea ha aperto un’inchiesta per accertare se il prestito ponte italiano di 900 milioni di dollari all’Alitalia fosse legale ai sensi dei regolamenti dell’UE. Nel 2017 la Commissione ha ricevuto una serie di denunce secondo cui il prestito era, in realtà, un aiuto che il governo italiano aveva esteso ad Alitalia e non era conforme ai regolamenti dell’UE. Gli aiuti concessi da uno Stato membro mantengono a galla le imprese in difficoltà finanziaria, ma hanno anche il potenziale di falsare la concorrenza nel mercato unico dell’UE, spostando l’onere dell’adeguamento strutturale ad altri e mettendo i soggetti più efficienti e innovativi che non ricevono tali aiuti a uno svantaggio. Il commissario alla concorrenza, Margreth Vestager, ha affermato che il compito dell’esecutivo dell’UE è “di garantire che i prestiti concessi alle società dagli Stati membri siano in linea con le norme dell’UE sugli aiuti sanzionati dallo Stato. Dovremo indagare se questo è il caso di Alitalia”. Il governo italiano ha concesso un prestito ad Alitalia nel gennaio 2018 come parte di un pacchetto di salvataggio che all’epoca aveva ritenuto di aver seguito i regolamenti dell’UE sui prestiti statali. Secondo la Commissione, tuttavia, quello che originariamente si pensava fosse un prestito potrebbe invece aver costituito un aiuto di Stato. La Commissione esaminerà ora se il prestito soddisfa le condizioni previste dagli orientamenti dell’UE

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