scandalo

  • Tutte storie brevi

    Dopo le tante sollecitazioni arrivatemi, da amici e lettori, mi trovo anch’io a parlare del giallo dell’estate 2024, tornando con la memoria ad un altro gossip, con conseguenze anche giudiziarie, che infiammò l’estate 2009 e scosse per qualche tempo il mondo della politica.

    Allora la Guardia di Finanza svelò un sistema, messo in piedi da Tarantini, il quale aveva confidenza con Berlusconi e con molti politici pugliesi, per ottenere favori nel mondo delle attività imprenditoriali. Berlusconi lo aveva conosciuto solo l’estate precedente, comunque il Cavaliere si fidò di lui tanto da ricevere nei palazzi del potere un gruppo di sue ‘amiche’. La pietra dello scandalo, per il Presidente del Consiglio, fu la D’Addario, che all’epoca molti definirono un’escort e che, in seguito, divenne testimone dell’inchiesta consegnando registrazioni sui suoi rapporti col Cavaliere e sugli incontri che aveva avuto con lui a Palazzo Grazioli.

    La D’Addario sparì poi dalle cronache per ritornarci, nella primavera 2022, con alcune interviste relative all’antica problematica ‘sesso e potere’. E in quell’occasione raccontò disperata che era stata abbandonate da tutti e che si doveva occupare di pulizie.

    Lungi da me paragonare la D’Addario alla Boccia o Sangiuliano a Berlusconi. Ma se i personaggi cambiano e sono diversi, come diverse sono le storie e il loro finale, in genere comincia tutto, più o meno, nella stessa maniera: una persona di potere, di norma maschio, una bella donna che vuole farsi strada, che ritiene di meritarlo, che è disponibile a prendere scorciatoie per arrivare all’obiettivo e auspica riconoscenze congrue per i favori, affettivi o sessuali non fa differenza, che ha concesso.

    La storia della D’Addario ce la siamo tutti dimenticata ma andando su internet la ritroviamo. Questo dimostra due cose: che abbiamo tutti la memoria corta e che il web invece non perdona perché la sua memoria è eterna.

    Se, come abbiamo detto, i personaggi cambiano ma le storie iniziano tutte, sostanzialmente, allo stesso modo, continuiamo però a chiederci come sia possibile che persone colte, avvedute e di un certo potere diventino così fragili da affidare le chiavi del proprio cuore, dei propri sentimenti e addirittura delle stanze del potere a persone che conoscono da pochissimo tempo, magari neanche due mesi.

    Com’è possibile che agli uomini, specie non più giovani, non passi mai per la testa che alcune fanciulle alte e bionde possano avere anche interessi diversi rispetto a quello di ascoltare la loro intelligenti conversazioni o a usufruire delle loro, più o meno, fantasmagoriche prestazioni?

    La carne è debole, va bene, ma il cervello dovrebbe saper resistere e ricordare di utilizzare sempre, magari anche mentre si parla nell’auto di scorta o sul taxi, in aereo e finanche in famiglia e ancor più poi con persone quasi estranee, che un bel tacer non fu mai scritto e che il ricatto, più o meno manifesto, è prassi in gran parte del mondo politico e non solo in quello.

    Mi dispiace che la signora D’Addario sia in condizioni critiche, una seconda chance, dopo tanti anni, dovrebbe essere data a tutti, e non si dispiaccia la signora Boccia, che non conosco e mi auguro di non conoscere mai, se io, come tanti altri, pensiamo che non sia tutta farina del suo sacco il suo tampinamento a Sangiuliano, tampinamento che continua tuttora con quotidiane dichiarazioni sui social network.

    Se ci sono estremi civili o penali ovviamente lo vedrà la magistratura, se sarà chiamata a intervenire. Ciò che è assolutamente certo è che, al di là delle eventuali promesse non mantenute da Sangiuliano, la signora Boccia da un punto di vista morale, ammesso che il termine morale si possa ancora usare, è persona infrequentabile in quanto inaffidabile, al di là delle sue eventuali capacità ed intelligenze lavorative (chissà se la Rayban la contatterà visto la pubblicità fatta agli occhiali che registrano e riprendono?).

    Auguriamo ovviamente all’ex ministro di superare velocemente il trauma, di ritrovare una serena vita affettiva con sua moglie e anche un proseguimento di carriera confacente alle sue competenze.

    Gli italiani dimenticano, dice un detto siciliano ‘chinati giunco che passa la piena’. Sangiuliano si è inchinato di fronte ai suoi errori, gli auguriamo di potersi presto rialzare.

  • Qatargate, diritti fondamentali e democrazia europea

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo

    Il 10 dicembre è stata la giornata internazionale dei diritti fondamentali che si celebra ogni anno per ricordare la Dichiarazione universale proclamata dalle Nazioni Unite nel 1948.

    Questa giornata internazionale ha paradossalmente coinciso con l’esplodere del cosiddetto Qatargate e cioè con le informazioni diffuse dalla Procura federale belga sull’inchiesta avviata cinque mesi fa per una serie di azioni criminose secondo cui “gli inquirenti della polizia giudiziaria sospettano che uno Stato del Golfo abbia cercato di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo”. “Sono stati sequestrati contanti per seicentomila euro oltre a materiale informatico e telefoni cellulari” ha aggiunto la Procura federale belga.

    Nonostante il carattere molto scarno del comunicato, ambienti vicini alla Procura federale belga si sono immediatamente attivati per informare i due maggiori quotidiani belgi francofono e fiammingo sull’identità dei fermati, sul numero e sulle località delle perquisizioni, sui capi d’accusa e sul nome dello Stato del Golfo che avrebbe esercitato il tentativo di influenza: ciò in pieno disprezzo – come avviene purtroppo in molti paesi europei a cominciare dall’Italia nei rapporti di “buona collaborazione” fra la magistratura o le cancellerie e la stampa – delle ragioni che dovrebbero essere alla base degli avvisi di garanzia e della presunzione di innocenza.

    L’azione ultra vires della Procura federale belga ha avuto l’effetto immediato di aprire un processo mediatico nei confronti non solo degli indagati/fermati ma di tutto il Parlamento europeo: “sécoué – scrive Le Monde – par un Qatargate”; “soldi del Qatar al Parlamento europeo” (Il Sole 24 Ore); ancor di più “Eurocorruzione” aggiungendo che “il Qatar ha corrotto la democrazia europea” (La Repubblica).

    A proposito di presunzione di innocenza vale la pena di sottolineare che la Procura si è attivata il 9 dicembre perché fossero diffusi sulla stampa i nomi dei fermati (6) ma che non ha usato la stessa premura e sollecitudine perché fosse diffusa sulla stampa la notizia che uno dei fermati (Luca Visentini) era stato liberato seppure sous conditions.

    Il Movimento europeo condanna senza riserve le azioni dei corrotti – quando esse saranno provate – e ritiene che l’opinione pubblica europea debba essere rapidamente e ampiamente informata sulle dimensioni non solo finanziarie della corruzione ma anche sugli effetti delle azioni dei corrotti nelle decisioni “economiche e politiche” del Parlamento europeo relative alla denuncia delle violazioni del rispetto dei diritti fondamentali nel Qatar e più in generale negli Stati del Golfo.

    Il Movimento europeo prende anche atto con soddisfazione delle sanzioni prese con estrema rapidità dal Parlamento europeo attraverso la propria presidente Roberta Metsola, dal Gruppo S&D e dal Pasok nei confronti della vicepresidente Eva Kaili e si attende che la stessa fermezza e la stessa rapidità siano adottate nei confronto di altri eventuali indagati appartenenti a qualsiasi titolo all’istituzione così come la totale estraneità dell’ETUC alle ipotesi di corruzione su cui indaga la magistratura belga.

    Noi invitiamo a leggere con attenzione la risoluzione “sui diritti umani nel contesto della Coppa del Mondo FIFA 2022 nel Qatar” approvata dal Parlamento europeo il 24 novembre 2022 a Strasburgo frutto di un compromesso raggiunto fra Renew Europe, PPE, S&D e ECR.

    Nella risoluzione si condannano le morti (quelle che in Italia vengono chiamate ipocritamente “incidenti sul lavoro”) e le violenze di cui sono stati vittime i lavoratori nella preparazione dei campionati del mondo di calcio, le discriminazioni nei confronto di centinaia di migliaia di migranti, la mancanza di trasparenza e di responsabilità della FIFA nelle scelta del Qatar avvenuta nel 2010, la lunga storia di corruzione “rampante e sistemica” della FIFA che ha gravemente danneggiato l’immagine e l’integrità del calcio, l’assenza del rispetto dei diritti fondamentali e dei principi dello stato di diritto da parte degli sponsor delle manifestazioni sportive, la mancanza di una riforma profonda delle regole per l’attribuzione delle sedi dei campionati del mondo di calcio e di una informazione trasparente sull’attribuzione del campionato 2022 al Qatar e il mantenimento della pena di morte nel Qatar (dove è in vigore la legge islamica della Sharia, n.d.r.).

    Si deve invece sottolineare che un approccio più flessibile nel giudicare lo stato della protezione dei diritti nel Qatar ed in particolare dei lavoratori migranti (come si riscontra dal Testo della Risoluzione) sembrerebbe derivare soprattutto dal fatto che sia l’ILO che l’ITUC hanno considerato le riforme adottate dal Qatar come un “esempio” per gli altri Stati del Golfo e che quindi varrebbe la pena di indagare sull’influenza del Qatar all’interno di queste due organizzazioni internazionali.

    La magistratura belga e con essa le magistrature degli altri paesi europei possono e debbono agire con pene esemplari contro i corrotti europei e le istituzioni europee possono e debbono accompagnare le pene giudiziarie con sanzioni amministrative congelando e poi cancellando i diritti finanziari maturati da membri delle istituzioni così come la Commissione e il Consiglio dovranno indagare per verificare se ci sono stati tentativi di influenze illegali al proprio interno.

    La vicenda del Qatargate deve permettere tuttavia di lanciare un forte allarme non solo sulla presenza dei corrotti ma anche sull’azione dei corruttori e cioè delle lobbies che agiscono da paesi al di fuori dell’Unione europea sapendo che la regolamentazione e la trasparenza sulle lobbies europee deve essere rafforzata e completata con un accordo interistituzionale ma che non c’è nessuna regola e nessuna misura per impedire l’azione e le ingerenze di lobbies extra-europee. Una pronta reazione del Parlamento all’accaduto con il varo di misure preventive ed efficaci a tutela dell’autenticità e dell’autonomia delle procedure di formazione della volontà collettiva dell’organo a mandato universale dei cittadini europei sarebbe la prima, doverosa, risposta all’ attuale turbamento dell’opinione pubblica continentale, nell’attesa che la Magistratura chiarisca la reale entità dei fatti.

    Il Movimento europeo chiede infine al Parlamento europeo di creare una commissione di inchiesta sul Qatargate a partire dalla lista di denunce e di condanne contenute nella risoluzione del 24 novembre 2022.

    Bruxelles, 11 dicembre 2022

  • Si sa di chi è la colpa

    Colui che sorride quando le cose vanno male ha pensato a qualcuno cui dare la colpa.

    Arthur Bloch, da “La legge di Murphy”

    Era il 1935. In Francia una canzone ha avuto subito un grande successo. Il titolo della canzone era Tout va très bien, madame la marquise (Tutto va molto bene signora marchesa, n.d.a.). Il testo era concepito come un dialogo telefonico tra una marchesa ed il suo maggiordomo. La marchesa, assente da due settimana, chiedeva quali fossero le novità. L’astuto maggiordomo l’assicurava che tutto andava bene. Ma era accaduta anche una disgrazia. E le disgrazie accadute erano più di una. Dopo la prima domanda della marchesa il suo maggiordomo rispose, assicurandola prima che “tutto va molto bene signora marchesa”. Aggiungendo però che c’era una piccola cosa da deplorare: in un incidente “è morta la sua giumenta grigia”. Ma “…a parte ciò, signora la marchesa, tutto va molto bene, tutto va molto bene”. Preoccupata, la marchesa chiedeva come era morta la sua cara giumenta. Il maggiordomo, rassicurandola che tutto andava bene, la informava che la perdita avvenne dopo che la scuderia era andata in fiamme. E poi, in seguito alle sue domande, la marchesa apprendeva un’altra notizia, sempre più grave della precedente. Così la marchesa apprese dell’incendio del suo castello e, alla fine, la morte per suicidio del suo caro marito. Ma sempre e comunque, l’astuto maggiordomo finiva la sua informazione con la solita frase. E cioè che “Tutto va molto bene, tutto va molto bene”. Questa canzone, resa subito popolare nel 1935 in Francia ed altrove, simboleggia perciò uno sdolcinato, maldestro e misero comportamento per nascondere la realtà. La cruda e gravosa realtà.

    Ogni volta che viene colpevolizzato e si trova in difficoltà, non assume mai le sue responsabilità. Cerca sempre di incolpare gli altri. E da alcuni anni ormai, lui si trova sempre più spesso in difficoltà. Difficoltà generate dall’abuso del potere e dagli innumerevoli scandali di ogni genere. Scandali che si susseguono e che, non di rado, non lasciano neanche il tempo di prestare la dovuta e necessaria attenzione. Ma ci sono anche altri scandali che si generano e/o si rendono pubblici semplicemente per spostare l’attenzione da un altro, scottante e che coinvolge direttamente e/o indirettamente lui. Lui, il primo ministro albanese, che da più di nove anni abusa clamorosamente della cosa pubblica. In questi ultimi giorni sta suscitando molto scalpore la pubblicazione di quello che viene ormai denominato come lo scandalo dei “voli charter”. Uno scandalo reso noto dopo la pubblicazione, dagli hacker iraniani, di dati riguardanti proprio gli spostamenti del primo ministro albanese all’estero con un “aereo personalizzato” secondo i suoi gusti e bisogni.

    Il nostro lettore è stato informato alcune settimane fa di un vasto attacco informatico attuato da parte degli hackers iraniani appartenenti all’organizzazione Homeland Justice (Giustizia per la Patria; n.d.a.). Attacchi avviati, almeno secondo i dati ufficiali, dal luglio scorso. Gli hackers si sono impossessati di moltissimi dati. Si tratta di dati ufficiali, riservati e sensibili in possesso di molte istituzioni governative e statali, compresi anche i servizi segreti e la polizia di Stato. Dati che, per legge, dovevano essere custoditi con la massima garanzia e sicurezza. Ma purtroppo, fatti alla mano, così non è accaduto. Il nostro lettore è stato informato alcune settimane fa che uno degli obiettivi degli hacker iraniani era il tanto sbandierato sistema “e–Albania”, vanto propagandistico del primo ministro. Un servizio on line che usava ed accumulava innumerevoli dati. Un sistema costato diversi milioni, che però non si sa come siano stati spesi e dove siano finiti realmente. Una cosa si sa però: che gli appalti sono stati sempre “vinti” dai soliti “clienti governativi”. L’autore di queste righe informava il nostro lettore che “Si tratta anche di dati molto sensibili e che potrebbero mettere in pericolo anche la sicurezza nazionale. Ma essendo l’Albania uno Stato membro della NATO, la gravità aumenta e si propaga”. Aggiungendo però che, a scandalo accaduto e reso pubblico dagli stessi hacker iraniani, “…il primo ministro, con la solita ed innata sfacciataggine cerca di mentire. A danni fatti, il primo ministro e i suoi, come sempre, hanno cercato di minimizzare tutto e di garantire che niente di serio era successo, che tutti i dati sensibili erano protetti e sicuri”. Il primo ministro dichiarava che “…L’aggressione non ha per niente raggiunto il suo obiettivo, nessuna seria fuga oppure cancellazione di dati” (Sic!). Dichiarazione smentita nell’arco di pochi giorni da lui stesso, con altre dichiarazioni. L’autore di queste righe sottolineava che “…Nel frattempo a niente sono servite le misere dichiarazioni del primo ministro. Anzi, sono state tutte delle dichiarazioni subito smentite dalla rapida e spesso incontrollata fuga delle informazioni, basate soprattutto sui rapporti delle istituzioni specializzate internazionali. Compreso anche l’ultimo del FBI (Federal Bureau of Investigation; n.d.a.) e della CISA (The Cybersecurity and Infrastructure Security Agency; n.d.a.) pubblicato il 22 settembre scorso e dedicato interamente ai sopracitati attacchi degli iraniani”. Ma, allo stesso tempo però “…la procura di Tirana ha ordinato a tutti i media e ai giornalisti di non pubblicare nessuna notizia che riguardasse i dati sensibili ormai resi pubblici in rete. Violando così uno dei diritti e dei doveri fondamentali dei media e dei giornalisti: quello di informare il pubblico, rispettando sempre e comunque tutte le regole internazionalmente stabilite dalle convenzioni e dalle decisioni prese della Corte europea per i diritti dell’uomo”. (Preoccupanti attacchi informatici e ingerenze abusive; 26 settembre 2022).

    E non poteva essere altrimenti. Si, perché tutte le istituzioni dei sistema “riformato” della giustizia in Albania, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, prendono ordini direttamente dal primo ministro e/o da chi per lui. Invece di indagare sugli abusi milionari con il sistema dei servizi on line e–Albania, di indagare sul modo con il quale sono stati effettuati gli appalti e sui “vincitori” degli stessi appalti, la procura ha cercato di spostare la colpa e di intimidire i giornalisti e i media non controllati dal primo ministro. Si sa però di chi è la colpa e da chi partono gli ordini anche in questo caso. Perché si tratta di un déjà vu. Il nostro lettore è stato precedentemente informato di un caso simile. Era l’aprile del 2021. Due settimane prima delle elezioni politiche in Albania. L’11 aprile 2021 un media non controllato pubblicò una notizia che ha attirato subito tutta l’attenzione pubblica. Uno scandalo ormai noto come “lo scandalo dei patrocinatori”. L’autore di queste righe informava allora il nostro lettore che i “patrocinatori” erano “…delle persone che dovevano ‘stare vicino’ ad altre persone, molte più persone, non tanto per proteggerle, quanto per sapere tutto di loro, promettendo ‘vantaggi’ se avessero votato per il primo ministro, oppure minacciando loro se il voto a favore non fosse stato dimostrato e verificato”. Ed i “patrocinatori” erano non pochi, bensì 9027. Dai dati pubblicati quell’11 aprile 2021, tenendo presente che l’intera popolazione attualmente residente in Albania non supera 2.800.000 persone, risultava che erano non poco ma “…910.061 le persone ad essere contattate e/o sulle quali i ‘patrocinatori’ dovevano raccogliere ed elaborare tutte le necessarie informazioni. Dati alla mano ormai, la persona più giovane dell’elenco aveva circa 18 anni, mentre quella più anziana circa 99 anni!”. In più, l’autore di queste righe informava il nostro lettore che “…la maggior parte dei ‘patrocinatori’ erano dei dipendenti dell’amministrazione pubblica, sia centrale che locale”. Specificando però che “erano anche dei dipendenti delle istituzioni, per i quali la legge impedisce categoricamente il diretto coinvolgimento in simili attività politiche, come tutti i dipendenti della polizia di Stato, delle strutture dell’esercito e della Guardia repubblicana”. Aggiungendo, convinto, che “…in Albania le leggi, quando serve al potere politico, soprattutto quello del primo ministro, valgono quanto una carta straccia. Per il primo ministro, i suoi stretti collaboratori e la propaganda governativa i ‘patrocinatori’ erano soltanto dei ‘membri del partito che fanno un valoroso lavoro’ (Sic!)”. Ma anche allora le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia in Albania, un altro “vanto” del primo ministro e, purtroppo, anche dei soliti “rappresentanti interazionali”, invece di indagare sulla palese ed inconfutabile violazione delle leggi in vigore in Albania sui dati personali, hanno colpevolizzato ed indagato il media che ha pubblicato lo scandalo (Scenari orwelliani in attesa del 25 aprile, 19 aprile 2021). Il media colpevolizzato ed indagato dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, per aver pubblicato lo scandalo dei “patrocinatori” si era rivolto subito alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Con una sua delibera del 22 aprile 2021, quella Corte ha considerato la decisione presa dal tribunale albanese non valida. Anche di questo fatto il nostro lettore è stato informato a tempo debito (Uso scandaloso di dati personali, 31 gennaio 2022).

    Ebbene, tornando al sopracitato scandalo dei “voli charter” del primo ministro, gli stessi hacker iraniani che hanno messo sotto sopra tutti i sistemi informatici in Albania durante i caldi mesi d’estate, hanno pubblicato una decina di giorni fa anche molti dati presi del sistema TIMS (Total Information Management System – Sistema di gestione totale delle informazioni; n.d.a.), usato dalla polizia albanese. Dati che riguardavano gli spostamenti all’estero del primo ministro. Si tratta di dati che dimostrano e testimoniano, senza equivoci, degli abusi clamorosi milionari del primo ministro con i suoi “voli charter”. In realtà si tratta di un aereo modificato e ristrutturato che viene usato solo da lui. Prima di questo aereo, lui ha usato altri, presi in affitto da diverse compagnie aeree. I dati del sistema TIMS, in possesso degli hacker iraniani, riguardano tutti gli spostamenti con aereo del primo ministro albanese dal 2015 in poi. Ebbene, da questi dati risulta che lui, il primo ministro di uno dei Paesi più poveri d’Europa, ha speso per 137 “voli charter” circa 22 milioni di euro. Non solo ma, dagli stessi dati, risulta che il primo ministro albanese non ha smesso di volare con il suo “aereo personalizzato” neanche durante il periodo della pandemia. Solo nel 2020 ha effettuato 22 voli. Risulta però che alcuni spostamenti all’estero non sono resi pubblici dall’ufficio stampa del primo ministro. Chissà perché?! Si sa però che negli stessi giorni che lui, come testimoniato ormai dal sistema TIMS, non è stato in Albania, i media da lui controllati trasmettevano dei servizi che lo facevano vedere in diverse attività in Albania. Hanno trasmesso perciò dei servizi precedentemente registrati. Cosa aveva allora da nascondere il primo ministro?! Proprio lui che goderebbe anche la facoltà dell’ubiquità, cioè di essere presente allo stesso tempo in più luoghi. Come il Dio e qualche santo! Per lo scandalo dei “voli charter” ormai reso pubblicamente noto, il primo ministro ha subito fatto quello che sempre ha fatto: ha cercato di incolpare gli altri. Ma così facendo ha semplicemente confermato i suoi abusi milionari con quei “voli charter”.

    Chi scrive queste righe informerà il nostro lettore, anche in seguito, di questo scandalo tuttora in corso. Così come lo informerà anche di altri scandali, come quello dello “scontro diplomatico” del primo ministro albanese con il governo britannico riguardo gli emigranti clandestini albanesi nel Regno Unito. Uno “scontro” quello anche per spostare l’attenzione dallo scandalo dei “voli”. Ma anche da altri. Si sa però di chi veramente è la colpa e la responsabilità. Ed il primo ministro non può difendersi con simili miseri “trucchi” e messinscene.  Chi scrive queste righe, riferendosi a lui, condivide la convinzione di Arthur Bloch, secondo cui colui che sorride quando le cose vanno male ha pensato a qualcuno cui dare la colpa. E si ricorda anche del maggiordomo della marchesa che, nonostante fossero accadute nel frattempo delle cose gravissime, come la morte della giumenta, l’incendio del castello e della scuderia, nonché la morte per suicidio del marito della marchesa, lui, il maggiordomo, diceva sempre “Tutto va molto bene, tutto va molto bene”. Mentre il primo ministro albanese, nonostante la gravosa realtà, afferma che tutto stia andando per il meglio.

  • Inutile scandalizzarsi su Piacenza se non si cambia subito sistema

    La vicenda della caserma dei carabinieri di Piacenza non è, purtroppo, un caso isolato: negli ultimi tempi vi sono state altre occasioni di grave malaffare nelle quali sono stati coinvolti militari dell’Arma. Vi è stata mancanza di controlli sufficienti ed adeguati, superficialità o negligenze? Certamente l’Arma dei Carabinieri, che da sempre ha rappresentato un punto fermo, di sicurezza e abnegazione del dovere, nella vita della nostra Repubblica è un periodo che sta offrendo alcuni esempi molto negativi minando, di conseguenza ed in parte, la fiducia che in lei tutti abbiamo sempre riposto. Altrettanto certamente alcune mele marce non inficiano il lavoro ed il sacrificio di tanti militari dell’Arma che ogni giorno mettono a repentaglio la loro vita per difendere la nostra e per tutelare le istituzioni.

    Un tempo per diventare carabiniere bisognava rispondere a requisiti morali spesso eccessivamente onerosi perché coinvolgevano anche i famigliari, mentre oggi per l’arruolamento all’Arma si sono abbandonati quei rigori che invece rappresentano la scrematura necessaria per potere far parte di un organismo che deve, a tutto campo, rappresentare un incorruttibile baluardo contro l’illegalità. Siamo in una società che perde ogni giorno valori comuni di riferimento e il denaro facile, l’esibizione del potere, la violenza ed il sopruso sono diventati prevalenti. La politica, i media, anche la cosiddetta intellighenzia culturale, non danno certo esempi limpidi di rispetto delle leggi e delle regole di civile convivenza. Siamo in un periodo di grave decadenza morale e sociale e il campanello d’allarme, che molte volte ha suonato senza che alcuno lo ascoltasse, non può più essere ignorato. I carabinieri di Piacenza, come quelli che si sono macchiati di altri episodi delittuosi, non devono soltanto far riconsiderare i modi di arruolamento e i controlli all’interno dell’Arma ma devono imporre una seria ed immediata riflessione sullo stato di salute della società italiana dove, come abbiamo nuovamente visto nelle ultime settimane, anche una parte della magistratura discredita se stessa e toglie ogni certezza del diritto e della giustizia. La corruzione dilaga e le associazioni criminali si stanno sempre più appropriando della vita di imprese e di famiglie garantendo prestiti ed aiuti laddove lo Stato è carente o latitante. Lassismo ed indifferenza quando non anche connivenza stanno trascinando il Paese verso il baratro nonostante il disperato tentativo di associazioni, laiche o legate a religiosi, che hanno fatto della lotta alle mafie la loro ragione di vita e sono loro stessi in costante pericolo di morte.

    Se non riusciremo a ricreare dal basso una catena umana capace di costringere la politica e le istituzioni a bonificare, colpire, punire, riorganizzare il sistema l’Italia non avrà futuro nella libertà e nella certezza delle leggi ma diventerà, sempre più velocemente, una nazione nella quale allo stato di diritto si sostituirà lo stato del malaffare. E’ già molto tardi e soltanto la reazione di ciascuno di noi, se sarà capace di denunciare le irregolarità e di non accettare personali scorciatoie, potrà imporre a chi governa, di ogni colore politico e a qualsiasi grado istituzionale, quel cambio di passo necessario ed urgente. Inutile scandalizzarsi su Piacenza se non si cambia subito sistema.

     

  • Il premier canadese Trudeau nei guai per i rapporti con una Ong

    Il premier canadese Justin Trudeau è accusato per la terza volta di conflitto di interessi: un ente di beneficenza cui il governo aveva aggiudicato non molto tempo fa un importante finanziamento pubblico ha pagato complessivamente centinaia di migliaia di dollari alla madre, al fratello e alla moglie del leader per farli partecipare ad alcuni suoi eventi. E i suoi rivali politici chiedono ora che sia aperta un’indagine penale nei suoi confronti.

    La vicenda, con il suo corollario di polemiche, è esplosa quando il commissario ai conflitti d’interesse, un funzionario indipendente dal parlamento, ha aperto un’indagine etica. Le rivelazioni hanno spinto l’opposizione conservatrice a reclamare un’inchiesta per eventuali frodi. “E’ una cosa molto più seria di un conflitto di interessi”, ha dichiarato Pierre Poilievre, portavoce conservatore incaricato degli affari finanziari, mentre dal New Democratic Party hanno definito “più che inquietante” la situazione e il Bloc québécois ha chiesto al leader liberale di ritirarsi per qualche mese e di farsi rimpiazzare dalla vicepremier Chrystia Freeland, almeno finché la situazione non sarà chiarita del tutto. Dopo aver perso la maggioranza in parlamento alle elezioni dell’ottobre scorso, la sopravvivenza del governo Trudeau dipende dal sostegno dei partiti dell’opposizione, anche se per il momento nessuno dice di voler rovesciare l’esecutivo.

    A beneficiare di fondi governativi per una somma equivalente a 587 milioni di euro è stata l’associazione ‘We Charity’. L’ong ha ammesso di aver pagato a sua volta complessivamente circa 191mila euro ai tre famigliari del premier: 162mila euro a sua madre Margaret Trudeau, per dei discorsi pronunciati in 20 eventi tra il 2016 e l’anno in corso, 21mila euro al fratello Alexandre per la sua partecipazione a otto iniziative e 1.000 euro a sua moglie Sophie per un evento nel 2012, prima che il leader diventasse capo del governo. Dati che cozzano con quanto dichiarato qualche giorno fa dall’ufficio del premier: lo staff di Trudeau aveva assicurato ai principali quotidiani canadesi che la coppia presidenziale non aveva mai ricevuto somme di denaro per la sua presenza ad iniziative dell’ong. We Charity aveva ottenuto un contratto pubblico per la gestione di un programma di borse di studio ma ora, dopo le polemiche, si è ritirata dal programma. Trudeau peraltro non è l’unico membro del governo ad avere legami con l’organizzazione, che ha pagato anche una figlia del ministro delle Finanze Bill Morneau.

    Non è la prima volta che Trudeau finisce nell’occhio del ciclone per questioni etiche. La sua popolarità era già stata intaccata dopo che il commissario aveva concluso due volte che il premier ha infranto la legge sul conflitto di interesse: nel 2017 per aver accettato una vacanza sull’isola privata dell’Aga Khan e lo scorso anno per aver tentato di influenzare un procedimento giudiziario nel caso Snc-Lavalin.

  • Bugie scandalose elevate a livello statale

    Il linguaggio politico è concepito in modo da far sembrare vere le bugie.

    George Orwell

    Dicono che il vizio va via con l’ultimo respiro. E sembra essere vero, almeno per quanto riguarda il primo ministro albanese. Le sue bugie, riguardanti la vissuta realtà in Albania, da qualche anno a questa parte, sono talmente tante e clamorose che lo hanno sbugiardato e reso ridicolo. Ma lui continua, perché quello di mentire sembrerebbe essere un suo innato vizio del quale non può farne senza. Soprattutto quando si trova in difficoltà. Soltanto durante i due mesi appena passati lui ha scandalosamente, vergognosamente, spudoratamente, ma consapevolmente, dato pubblicamente sfogo, per l’ennesima volta, al suo vizio. Questa volta però, da territori stranieri. Ha cercato di ingannare di nuovo gli albanesi, mentendo senza scrupolo alcuno e senza batter ciglio. Lo ha fatto dopo aver incontrato il segretario di Stato degli Stati Uniti d’America e la cancelliera tedesca. Lo ha fatto anche da Bruxelles. Perché, succube della sua disperazione, delle sue bugie e dei suoi inganni, cerca almeno di “vendere” come successi soltanto invenzioni ingannevoli della sua spregiudicatezza. Invenzioni che mirano a far credere agli altri, che lui gode di un appoggio internazionale per il suo operato, sia in Albania, che nella regione. Ma le smentite ufficiali alle sue bugie, in lingue straniere, sono state immediate e chiare durante questi due ultimi mesi. Smentite che lo hanno reso di nuovo ridicolo, nonostante lui taccia e faccia finta di niente. Come sempre in casi simili che non sono stati pochi, anzi!

    Quello di mentire e di ingannare sembra essere veramente un vizio del primo ministro albanese. Dal settembre del 2013, quando ha cominciato il suo primo mandato governativo, lui ha mentito. Anzi, lo ha fatto anche prima. Lo ha fatto durante la campagna elettorale, promettendo mari e monti agli albanesi, consapevole però, che erano soltanto promesse per avere il loro appoggio. Una volta avuto il mandato, ha dovuto avere a che fare con la realtà, che non si poteva affrontare con delle belle parole e promesse ingannevoli, ma solo e soltanto con la dovuta responsabilità. Lui però è sfuggito a quelle responsabilità e ha fatto quello che sa fare meglio. Ha mentito e scaricato le sue responsabilità agli altri, cercando “nemici e sabotatori” ovunque, in Albania e sparsi per il mondo. Ormai, dopo più di sei anni che il primo ministro ha avuto l’incarico, dati e fatti accaduti alla mano, risulterebbe che lui non ha governato la cosa pubblica, non ha fatto niente di utile e di buono per i cittadini, non ha mai mantenuto almeno una delle sue promesse. Sempre dati e fatti accaduti alla mano, risulterebbe che il primo ministro albanese, durante questi anni, abbia consapevolmente e clamorosamente abusato del potere conferitogli e abbia deriso e calpestato la fiducia datagli dai cittadini. Dati e fatti accaduti alla mano, risulterebbe che durante questi anni, lui sia stato costretto, nolens volens, ed abbia soltanto cercato di governare gli innumerevoli scandali e i continui abusi con la cosa pubblica, suoi e di tutti coloro che lo circondano e hanno il suo appoggio e che, a loro volta, lo sostengono. Ma anche lo condizionano. Criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali compresi.

    Dal 1o gennaio fino al 31 dicembre di quest’anno, l’Albania eserciterà la Presidenza dell’OSCE (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). A proposito, il primo ministro albanese ha cercato in tutti i modi, sostenuto anche della sua propaganda governativa, di far credere che quella Presidenza fosse un suo personale successo. Anche in quel caso ha mentito vergognosamente. Perché quella Presidenza è stata negoziata dal 2006 e decisa finalmente nel 2013, quando al governo c’erano i suoi avversari politici. Il nostro lettore è stato informato di tutto ciò il 20 gennaio scorso. Il 5 febbraio 2020, il primo ministro albanese, nella veste del presidente di turno dell’OSCE, essendo anche il ministro degli esteri ad interim, ha incontrato il Segretario di Stato statunitense. Incontro dovuto proprio a quell’incarico. Incontro che però, il primo ministro albanese ha cercato di “venderlo” come un importante successo politico e personale, “scordandosi” di chiarire la verità. Dopo l’incontro, il primo ministro ha dichiarato che aveva discusso con il Segretario di Stato sulle sue ultime iniziative politiche in Albania, sull’Accordo regionale denominato come il “Mini-Schengen balcanico” ecc.. Il nostro lettore è stato costantemente informato di queste iniziative, e più specificatamente, sia la scorsa settimana che il 13 gennaio 2020. Ebbene, la portavoce del Segretario di Stato statunitense, poco dopo che il primo ministro albanese avesse mentito spudoratamente e consapevolmente, ha dichiarato chiaramente che durante l’incontro, si era discusso “delle priorità comuni durante la presidenza albanese dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa”! Sempre secondo la sua portavoce, il Segretario di Stato si era congratulato con il primo ministro albanese per “il contributo dell’Albania nella NATO e la presa di posizione contro le attività malefiche dell’Iran”. Si riferiva, soprattutto, ai circa 3200 membri dell’organizzazione MEK (Mojahedin-e Khalq), residenti in Albania da alcuni anni e in dura opposizione con il governo iraniano.

    Il 27 gennaio scorso il primo ministro albanese ha incontrato la cancelliera tedesca. Di nuovo, sia lui personalmente che, in seguito, la sua propaganda governativa, hanno mentito su quanto era stato discusso durante quell’incontro. Ma lui più ci si impegna e più si impantana e si trova in altre difficoltà, cercando di giustificare quanto ha detto precedentemente. E così facendo entra in un inevitabile cerchio vizioso di bugie e di inganni. Dopo il sopracitato incontro con la cancelliera tedesca, il primo ministro albanese ha dichiarato che aveva discusso ed aveva avuto il consenso e l’appoggio della cancelliera riguardo al sopracitato accordo del “Mini-Schengen balcanico”. Subito però è arrivata la smentita dal ministero degli Esteri tedesco. Secondo la dichiarazione ufficiale del ministero, la cancelliera considera la collaborazione regionale nei Balcani come “una priorità del Processo di Berlino”. Processo quello che, sostenendo solo un accordo tra tutti i sei paesi balcanici che stanno affrontando i loro percorsi europei, esclude proprio l’Accordo del “Mini-Schengen balcanico”, sostenuto da Serbia, Albania e Macedonia del nord. Altri inganni e bugie del primo ministro albanese, subito sbugiardate ufficialmente.

    Il primo ministro ha cercato di mentire e manipolare l’opinione pubblica in Albania anche con gli aiuti internazionali per i danni del terremoto di 26 novembre scorso. Lui e la sua propaganda governativa, subito dopo la “Conferenza dei donatori”, organizzata dalla Commissione europea a Bruxelles il 17 febbraio scorso, hanno parlato di aiuti. Ma in seguito, quando la Commissione ha pubblicato le donazioni, si è capito chiaramente che si trattava, nel circa 70% della somma totale (1.15 miliardi di euro), di crediti bancari e non di aiuti. Crediti che aggraverebbero ulteriormente il debito pubblico albanese, già di per se a livelli allarmanti e pericolosi.

    Un altro clamoroso scandalo, corredato di bugie e di inganni, riguarda una richiesta, da parte del Parlamento albanese, alla Commissione di Venezia (Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto) e reso pubblico due settimane fa. Scandalo tuttora in corso, sul quale il nostro lettore verrà informato in seguito.

    Chi scrive queste righe è convinto che in qualsiasi altro paese normale sarebbe bastato uno solo di questi scandali per far cadere il governo. Ma non in Albania però. Perché lì il linguaggio politico è concepito in modo tale da far sembrare vere le bugie. E soprattutto perché in Albania ormai è stata restaurata una nuova dittatura che ha elevato le bugie e gli inganni ad un livello statale.

  • Sequestrati 2 milioni di euro al partito della Le Pen

    I magistrati transalpini non sono da meno di quelli italiani e hanno deciso di confiscare i 2 milioni di euro che il Rassemblement National (RN, ex Front National) avrebbe dovuto ricevere il 10 luglio, come gli altri partiti, a titolo di anticipo sul finanziamento pubblico. Il partito, per la decisione dei giudici che indagano sul caso, in cui il RN è accusato di aver impiegato a spese di Strasburgo assistenti utilizzati per il partito, rischia di dover rimborsare un danno di 7 milioni di euro. A tanto ammonterebbe la cifra indebitamente sottratta e per la quale sono sotto inchiesta 10 persone, fra le quali la Le Pen. “Confiscando la nostra dotazione pubblica senza sentenza su questo pseudo caso degli assistenti – ha scritto la presidente del partito di estrema destra francese su Twitter – i giudici applicano la pena di morte ‘a titolo conservativo'”.

    L’appello che la Le Pen ha già annunciato di voler presentare, “non è sospensivo” della decisione, definita dal partito “un colpo di mano senza alcuna base legale”, per il quale il RN “non potrà pagare gli stipendi” dei dipendenti. Tanto più, sottolinea un comunicato, che il RN non ottiene ormai da mesi alcun prestito dalle banche. In una lettera aperta ai sostenitori, Marine Le Pen invita i militanti a “rivoltarsi” contro “una dittatura che vuole uccidere il primo partito di opposizione”. “Il carattere politico dell’iniziativa non è neppure in dubbio”, aggiunge passando ad attaccare le toghe, “poiché uno dei due giudici è membro del Sindacato della Magistratura”, situato politicamente a sinistra, “e l’altro è un suo compagno di strada”. Il FN riceve finanziamenti pubblici per 4,5 milioni di euro, che rappresentano la principale fonte di finanziamento dei partiti in Francia, che nel 2018 devono incassare un totale di 68 milioni. Le indagini, che non hanno finora portato ad alcuna sentenza, hanno però ritrovato – a quanto si apprende – numerosi indizi come messaggi e-mail e tabelle in base alle quali si desume che i compensi di alcuni dipendenti venivano modulati sulla base di quanto messo a disposizione degli eurodeputati per gli assistenti parlamentari a Strasburgo.

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