Serbia

  • Scelte che evidenziano determinati interessi geopolitici

    Possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, ma siamo

    obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

    Proverbio cinese

    La scorsa settimana è stata molto attiva per il Presidente della Repubblica popolare della Cina, allo stesso tempo segretario generale del partito comunista cinese. Ha effettuato tre visite di Stato in Europa: il 6 ed il 7 maggio era in Francia, poi è arrivato in Serbia ed, infine, in Ungheria. Il Presidente cinese ritornava in Europa dopo cinque anni. Il motivo dichiarato ufficialmente delle visite in Francia ed in Ungheria era la celebrazione del 60° e 75° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche, rispettivamente, con la Francia e l’Ungheria. Mentre in Serbia si ricordava il bombardamento del 7 maggio 1999, durante la guerra in Kosovo, dell’ambasciata cinese a Belgrado dagli aerei della NATO. Bombardamenti che causarono la morte di tre giornalisti cinesi ed il ferimento di diverse persone. Ma un altro motivo importante delle visite del Presidente cinese nei tre sopracitati Paesi era quello economico e geopolitico.

    A Parigi il Presidente cinese è stato accolto all’Eliseo, il palazzo presidenziale, dal suo omologo francese. Durante l’incontro ufficiale ed ai successivi colloqui ha partecipato anche la presidente della Commissione europea. Quest’ultima ha affrontato, durante l’incontro, questioni di interesse per l’Unione europea, come le diverse controversie commerciali con la Cina. Ma è stata affrontata anche la situazione in Ucraina. Il Presidente francese ha sottolineato, tra l’altro, che il ruolo della Cina è decisivo, riferendosi alla guerra in Ucraina. Ma anche a quella nella Striscia di Gaza. Mentre, per quanto riguarda i rapporti commerciali tra i Paesi dell’Unione europea e la Cina, il Presidente francese ha ribadito che è necessario che siano stabilite e rispettate delle “regole eque per tutti”. Aggiungendo: “…L’avvenire del nostro continente dipenderà chiaramente anche dalla nostra capacità di continuare a sviluppare in modo equilibrato le nostre relazioni con la Cina”. Anche la presidente della Commissione europea, dopo l’incontro trilaterale, riferendosi alla guerra in Ucraina, ha dichiarato, che il Presidente cinese “…ha avuto un ruolo importante sulla riduzione delle minacce nucleari irresponsabili di Mosca” e di essere fiduciosa “che continui a farlo, anche alla luce degli ultimi sviluppi”. Ma ha anche chiesto alla Cina di intervenire sulle “minacce nucleari russe”. Mentre, per quanto riguarda i rapporti economici e commerciali, la presidente della Commissione europea ha sottolineato che con il Presidente cinese avevano discusso “delle questioni economiche e di commercio”. Specificando: “…Ci sono degli squilibri che suscitano gravi preoccupazioni e siamo pronti a difendere la nostra economia se serve”. Il Presidente cinese ha ammesso che tra la Cina e l’Unione europea ci sono “numerose controversie”, ma ha anche ribadito che “come due grandi potenze mondiali, la Cina e l’Ue devono rimanere partner, perseguire il dialogo e la cooperazione, approfondire la comunicazione strategica, rafforzare la fiducia reciproca strategica, consolidare il consenso strategico e impegnarsi nel coordinamento strategico”. Bisogna però evidenziare e sottolineare che, nonostante le massime autorità della Cina dichiarino la loro “neutralità” nell’ambito della guerra in Ucraina, la stessa Cina non ha mai condannato l’aggressione Russa in Ucraina. Non solo, ma fatti alla mano, risulterebbe che l’aumento reale degli scambi commerciali tra la Cina e la Russia durante l’anno scorso abbia contribuito a diminuire l’effetto reale delle sanzioni economiche poste dall’Unione europea, ma non solo, contro la Russia.

    Un altro Paese che ha stretto molti rapporti di vario tipo con la Russia è anche la Serbia. E in rispetto di questi rapporti, la Serbia, un Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, non ha condiviso le sanzioni poste alla Russia dalla stessa Unione, dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Ebbene, in seguito alla visita ufficiale in Francia, il Presidente cinese è arrivato in Serbia la sera del 7 maggio scorso. Ricordando così il bombardamento di 25 anni fa, proprio la sera del 7 maggio 1999, dell’ambasciata cinese a Belgrado dagli aerei della NATO.  L’indomani, l’8 maggio, l’illustre ospite è stato accolto dal suo omologo, il Presidente serbo, con tutti gli onori previsti dal protocollo ufficiale. Lui, dopo aver convintamente affermato il grande interesse della Serbia ad aumentare la collaborazione tra i due Paesi, ha ringraziato il Presidente cinese “…per aver scelto la Serbia come una tappa del suo primo viaggio in Europa dopo cinque anni”. Bisogna evidenziare che la Cina rappresenta il secondo Paese, dopo la Germania, per quanto riguarda i rapporti economici e gli investimenti fatti in Serbia. Mentre il Presidente cinese era in Serbia, veniva pubblicata dal quotidiano serbo Politika una sua lettera intitolata “Possa la luce della nostra amicizia d’acciaio risplendere sulla cooperazioni tra Serbia e Cina”. In quella lettera, tra l’altro, il Presidente cinese affermava che “…L’amicizia serbo-cinese, forgiata col sangue dei nostri compatrioti, rimarrà nella memoria condivisa dei popoli serbo e cinese e ci ispirerà ad andare avanti a grandi passi”. Nell’ambito della visita sono stati firmati ben 29 accordi bilaterali tra i due Paesi. La Serbia è uno dei Paesi che ha attivamente aderito alla nota iniziativa strategica cinese nota come la Nuova Via della Seta (in inglese Belt and Road Initiative; l’Iniziativa un Nastro ed una Via; n.d.a.). C’è stata anche un’espressa intesa politica e geopolitica. Per la Serbia, come dichiarato dal Presidente serbo, “Taiwan è Cina”. Lui ha altresì ribadito che la Cina sosterrà la Serbia in tutte le questioni che vengono discusse alle Nazioni Unite; compresa la questione del riconoscimento dello Stato del Kosovo.

    Dalla Serbia il Presidente cinese è arrivato in Ungheria. Una visita che coincide con il 75° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi che hanno stabilito buoni rapporti di vario tipo, quegli economici compresi. Il Presidente cinese ha anche dichiarato che “…Cina e Ungheria sono buoni amici e partner che si fidano l’uno dell’altro”. E, guarda caso, la Cina finanzia quasi tutto il progetto della costruzione di una linea ferroviaria tra Budapest e Belgrado. Una linea che trasporterà merci di vario tipo, arrivate al porto greco di Pireo e dirette verso l’Europa occidentale. Un progetto parte integrante dell’iniziativa strategica cinese la Nuova Via della Seta. Bisogna sottolineare che l’Ungheria è il primo Paese dell’Unione europea che ha aderito a questa iniziativa, nota anche come Belt and Road Initiative. Il 9 maggio scorso l’ospite è stato onorato dalle massime autorità ungheresi. Ed anche in Ungheria sono stati firmati diversi accordi bilaterali tra i due Paesi.

    Chi scrive queste righe avrebbe altri argomenti di trattare per il nostro lettore, che riguardano  le scelte di collaborazione con la Cina, fatte dalla Serbia, dall’Ungheria, ma anche da altri Paesi. Scelte che evidenziano comunque degli interessi geopolitici, economici ed altro. Ma lo spazio non lo permette. Egli però chiude queste righe con un proverbio cinese che avverte: possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

  • Si sentono responsabili alcuni rappresentanti internazionali?

    Oltre i trent’anni, ciascuno è responsabile della propria faccia.

    Oscar Wilde

    Di nuovo scontri armati nel nord del Kosovo. E purtroppo di nuovo dei morti. Tutto cominciò nelle primissime ore di domenica scorsa. Da una segnalazione arrivata poco prima alla polizia, risultava che due camion senza targhe avevano bloccato la strada vicino ad un ponte in una località nel nord del Paese, vicino al confine con la Serbia. Non erano ancora le tre del mattino quando una pattuglia delle forze speciali della polizia del Kosovo, arrivata sul posto, è stata attaccata da persone armate che sparavano da diverse postazioni. Da quell’attacco è rimasto ucciso un poliziotto e due sono stati feriti. Le forze speciali della polizia del Kosovo hanno seguito gli aggressori armati che si sono ritirati in un terreno boschivo, dirigendosi verso un monastero ortodosso serbo che si trova in quella zona. Gli scontri sono continuati per tutta la giornata di domenica, per finire solo in serata. Durante gli scontri intorno al monastero, le forze speciali della polizia del Kosovo hanno ucciso quattro degli aggressori ed hanno catturato altri sei. Dalla serata di domenica ed in seguito, dopo la fine degli sconti tra le forze speciali della polizia del Kosovo e il gruppo paramilitare degli aggressori serbi, dai controlli fatti, risulta che sono state trovate e sequestrate ingenti quantità di armi e munizioni di vario tipo, nonché delle attrezzature diverse e apparecchiature di comunicazione radio.

    Immediate sono state le reazioni delle massime autorità del Kosovo. Non sono mancate neanche le condanne dell’aggressione da parte dei rappresentanti istituzionali e diplomatici delle istituzioni dell’Unione europea, e di alcuni stati membri, degli Stati Uniti d’America, Italia compresa. Hanno reagito contro l’attacco militare anche il comandante del KFOR (acronimo di Kosovo Force, un contingente militare internazionale a guida NATO; n.d.a.), presente in Kosovo dal 12 giugno 1999. Hanno espresso le loro ferme condanne anche i rappresentanti del UNMIK (acronimo di United Nations Interim Administration Mission in Kosovo – La Missione di Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo; n.d.a.) e dell’EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo – Missione dell’Unione Europea sullo Stato di Diritto in Kosovo; n.d.a.). Una struttura, quest’ultima, che rappresenta la più grande missione civile, operante nell’ambito della politica di sicurezza e della difesa comune dell’Unione europea.

    Il primo ministro del Kosovo, durante una conferenza stampa con i giornalisti, domenica mattina, ha informato su quanto era accaduto alcune ore prima. Lui ha informato su quello che ha definito come un “attacco terroristico”, che ha avuto un “appoggio politico, finanziario e logistico” da parte della Serbia. Il primo ministro del Kosovo ha specificato che si trattava di un gruppo di “almeno 30 persone pesantemente armati, professionisti, militari e poliziotti”, che si trovavano circondati dalle forze di polizia. E siccome gli aggressori avevano cercato di camuffare tutto e di dare le parvenze di un’attività di contrabbando, il primo ministro del Kosovo ha dichiarato che “…L’attacco di oggi non ha nulla a che fare con il contrabbando. Si tratta di un attacco da parte di un gruppo militante venuto a combattere in Kosovo. Non si tratta di bande criminali, ma di formazioni militari o di polizia”. Ribadendo e garantendo che “noi non vogliamo la guerra”. In più lui ha dichiarato che faceva appello agli aggressori “…sia come formazione che come individui di consegnarsi agli organi di sicurezza”. Aggiungendo che “… in seguito le nostre istituzioni di sicurezza e la procura, certamente, svolgeranno delle indagini”. Il primo ministro del Kosovo ha poi ribadito che “…difendiamo ed applichiamo la legge, difendiamo i cittadini senza distinzione ed il Kosovo indipendente”. Garantendo anche che “… il governo della repubblica di Kosovo e le istituzioni dello Stato sono pronte e coordinate per rispondere al crimine e ai criminali, al terrore e ai terroristi”. Riferendosi agli attacchi armati contro la pattuglia delle forze speciali della polizia, domenica scorsa ha reagito anche la presidente del Kosovo. Lei ha ribadito che “… questi attacchi testimoniano, ancora una volta, la potenza destabilizzante delle bande criminali, organizzate dalla Serbia, che da molto tempo ormai, come è stato dimostrato anche dagli attacchi contro le truppe del KFOR, i giornalisti e i cittadini, stanno mirando a destabilizzare il Kosovo e la regione [balcanica]”. La presidente della repubblica di Kosovo è convinta che “…gli attacchi contro le forze dell’ordine della repubblica del Kosovo sono attacchi contro la sovranità della repubblica del Kosovo”. In più la presidente della repubblica del Kosovo ha sottolineato: “Oltre alla severa condanna di questa aperta aggressione della Serbia nei confronti del Kosovo, mi aspetto che i nostri alleati sosterranno Pristina [capitale del Kosovo] nel suo sforzo di imporre legge e ordine e preservare la sovranità in ogni parte del Kosovo”.

    Nella serata di domenica e soltanto dopo la fine degli scontri tra le forze speciali della polizia del Kosovo e paramilitari serbi, quattro dei quali sono stati uccisi e sei altri catturati vivi, ha reagito anche il presidente della Serbia. Di fronte ai giornalisti lui, riferendosi agli aggressori che hanno attaccato la pattuglia delle forze armate della polizia del Kosovo nelle primissime ore di domenica, 24 settembre, uccidendo uno di loro e ferendo due altri, ha detto che no si trattava di un gruppo armato arrivato dalla Serbia, ma si trattava, invece, di “alcuni serbi del Kosovo”, i quali si sono ribellati perché “…non vogliono più soffrire il terrore” causato contro di loro dal primo ministro del Kosovo. “All’incirca alle ore 02:46 dell’odierna notte (di domenica, 24 settembre; n.d.a.) un gruppo di serbi dal Kosovo […] ha posto due camion come barricate a Banjska (villaggio nel nord del Kosovo a maggioranza serba; n.d.a.). Dopo è andata la polizia del Kosovo ed ha tentato di rimuovere quelle barricate. C’è stato un conflitto con i serbi che hanno posto le barricate e in quel conflitto è rimasto ucciso un poliziotto … ed un altro e rimasto ferito”. In più il presidente serbo ha specificato che “…tre serbi dal Kosovo sono stati uccisi, due dai tiratori scelti, due sono stati gravemente feriti, e si teme anche per l’uccisione di una quarta persona”. Strano però che il presidente della Serbia sapeva già della quarta persona uccisa da domenica sera, mentre in Kosovo si è saputo solo nel primo pomeriggio di lunedì, dopo aver trovato il suo corpo in un bosco vicino al monastero ortodosso serbo!

    Il presidente della Serbia, durante la sua conferenza stampa con i giornalisti, la sera di domenica 24 settembre, ha fatto pubblicamente una dichiarazione che riguarda proprio il punto cardine e la vera ragione di tutte le discordie e degli scontri tra i due Paesi, la Serbia ed il Kosovo. Lui ha anche criticato i rappresentanti internazionali che stanno mediando per trovare una comune soluzione tra i due Paesi. Lui ha affermato che la Serbia non riconoscerà mai il Kosovo come un Paese indipendente. Ma mai aveva fatto prima con tanta forza, con tanta enfasi, una simile dichiarazione. Rivolgendosi anche ai rappresentanti internazionali, il presidente serbo ha dichiarato convinto e determinato: “Non riconosceremo il Kosovo indipendente. Potete ucciderci tutti, [potete] dire quello che volete. Mai la Serbia riconoscerà il Kosovo indipendente. Una creatura che l’avete creata bombardando la Serbia. L’avete bombardata con varie bugie. Per parlare parleremo, ma che sia scordato il riconoscimento [dell’indipendenza]del Kosovo!”. Ed in seguito ha ripetuto di nuovo questa affermazione, punzecchiando anche i rappresentanti internazionali. “L’ipocrisia è il loro nome di mezzo; questo è sostanziale, la pressione contro la Serbia finché noi riconoscessimo il Kosovo. Ma noi non riconosceremo il Kosovo indipendente. E sempre parleremo. Siamo sempre pronti a colloquiare”, ha detto domenica sera il presidente della Serbia. Lui però, allo steso tempo, si è rivolto ai rappresentanti internazionali chiedendo la costituzione delle Associazioni dei comuni con maggioranza serba della popolazione. Aggiungendo anche che in quei comuni, nel nord del Kosovo, i poliziotti dovranno essere di etnia serba. “Abbiamo avuto una riunione del Consiglio della Sicurezza nazionale durante tutta la giornata [di domenica]. Prenderemo delle decisioni con cautela. Prepareremo in dettaglio quelle decisioni che saranno rese pubbliche al nostro popolo nei giorni in seguito”. E poi ha aggiunto: “Facciamo appello alla comunità internazionale […] che i serbi siano i poliziotti nel nord [del Kosovo] perché questo è l’unico modo che i serbi non siano cacciati via e che non si verifichino più dei conflitti”. E così facendo ha svelato anche uno dei veri obiettivi strategici che la Serbia mira a raggiungere durante i colloqui con i massimi rappresentanti del Kosovo e con la mediazione dei rappresentanti dell’Unione europea e spesso in presenza anche dei rappresentanti statunitensi. Una richiesta quella delle Associazioni dei comuni con maggioranza serba della popolazione che è uno dei punti che stanno discutendo da alcuni anni ormai i massimi rappresentati della Serbia e del Kosovo con la mediazione dei massimi rappresentanti della Commissione europea. L’autore di queste righe ha spesso informato il nostro lettore di questa situazione di stallo nei negoziati tra la Serbia ed il Kosovo (Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022; Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023; La ragione del più forte e anche del più influente, 19 giungo 2023; Ciarlatani disposti a tutto, anche a negare se stessi, 3 luglio 2023).

    Bisogna sottolineare che dei contingenti paramilitari serbi aggrediscono i cittadini di etnia albanese nel nord del Kosovo per vari e futili motivi. Alcuni mesi fa hanno aggredito di nuovo i cittadini e i giornalisti. Ma anche dei poliziotti. Come hanno fatto nelle primissime ore della scorsa domenica. Per fortuna però che allora non ci sono stati dei morti. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore anche dei conflitti tra la Serbia ed il Kosovo, avviati il 26 maggio scorso e durati per più di una settimana. Tutto cominciò dopo l’insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese in quattro comuni nel nord del Kosovo. “Le proteste cominciate il 26 maggio scorso sono proseguite poi per tutta la successiva settimana. Da fonti di informazione credibili risulterebbe che in quelle proteste c’erano anche molti “violenti” arrivati dalla Serbia, tra paramilitari e persone con precedenti penali”. Ed in seguito si informava il nostro lettore che “…il 29 maggio, il governo del Kosovo ha deciso di intervenire e di permettere ai nuovi sindaci di cominciare ad esercitare il loro mandato. E siccome gli edifici comunali erano circondati dai “contestatori”, è dovuta intervenire anche la polizia del Kosovo. Ma i “contestatori” hanno aggredito i poliziotti. Poi, dopo l’intervento dei militari della KFOR […] i “contestatori” serbi hanno aggredito anche loro. Risulta che sono stati 30 i militari della KFOR, 11 soldati italiani e 19 ungheresi, feriti durante gli scontri il 29 maggio scorso” (Non c’è pace nei Balcani; 5 giugno 2023). In seguito alcune settimane dopo, sempre delle truppe scelte arrivate dalla Serbia ed entrate clandestinamente nel Kosovo hanno preso in ostaggio tre poliziotti delle forze speciali, portandoli dentro il territorio serbo. Anche allora il presidente serbo ha negato tutto all’inizio. Ma poi, dopo tanti fatti documentati resi pubblici e dopo una “forte pressione internazionale”, lui ha accettato di restituire i tre poliziotti presi in ostaggio. Ma non disse niente altro. Nel frattempo però i massimi rappresentanti della Commissione europea, coloro che stanno mediando per un accordo tra la Serbia ed il Kosovo, hanno “stranamente” appoggiato palesemente il presidente serbo, mentre criticavano il primo ministro del Kosovo. E, sempre “stranamente”, hanno imposto al Kosovo delle misure restrittive, tuttora attive. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe pensa che alcuni rappresentanti internazionali, dopo quello che è accaduto nelle primissime ore di domenica scorsa in Kosovo, dovrebbero sentirsi in colpa. Perché come affermava Oscar Wilde, oltre i trent’anni, ciascuno è responsabile della propria faccia.

  • La ragione del più forte e anche del più influente

    La ragione del più forte è sempre la migliore.

    Jean de La Fontaine; dalla favola “Il lupo e l’agnello”

    “Il lupo e l’agnello” è una favola scritta più di venticinque secoli fa da Esopo, uno tra i più celebri scrittori dell’antichità. Una favola con un significato sempre attuale, dalla quale bisogna trarre lezione. Come da tutte le favole d’altronde. Questa favola è stata riscritta circa venti secoli fa dal noto scrittore romano Fedro, Ma il contenuto della favola “Il lupo e l’agnello” non poteva non attirare l’attenzione di Jean de La Fontaine, un altro noto scrittore di favole che, nella seconda metà del diciasettesimo secolo la inserì nella sua celebre raccolta intitolata Fables choisis mises en vers (Favole scelte messe in versi; n.d.a.). “La ragione del più forte è sempre la migliore”. (La raison du plus fort est toujours la meilleure). Così comincia il testo originale della favola in versi “Il lupo e l’agnello” scritta da La Fontaine. Il contenuto della favola, in tutte le successive versioni, rimane sempre lo stesso, quello concepito e scritto da Esopo. I due personaggi della favola sono, ovviamente, il lupo e l’agnello. E si sa, un lupo, quando trova di fronte a se un agnello, non fa altro che saltargli addosso, azzannarlo e poi mangiarlo. Un cibo prelibato per il lupo. E si sa, nel mondo delle favole, anche gli animali ragionano e parlano. “Un lupo vide un agnello che beveva ad un torrente sotto di lui e gli venne voglia di mangiarselo”. Così cominciava la versione originale della favola scritta da Esopo. Mentre Fedro scrive: “Allora il malvagio, incitato dalla gola insaziabile, cercò una causa di litigio”. Il lupo, che voleva trovare una qualsiasi scusa per incolpare l’agnello e poi mangiarlo, gli grida pieno di rabbia: “E chi ti ha detto/d’intorbidar la fonte mia così?”. Questo ci racconta Jean de La Fontaine. E poi prosegue con le parole dell’agnello, che chiama maestà il lupo: “… s’ella guarda, di subito vedrà/ch’io mi bagno più sotto la sorgente/d’un tratto, e che non posso l’acque chiare/della regal sua fonte intorbidare”. Ma il lupo non voleva sentir ragione e continuò ad accusare l’innocente agnello di cose mai accadute. “Tu sei l’agnello che l’anno scorso ha insultato mio padre, povera anima”, scriveva Esopo. Sei mesi fa hai parlato male di me!”. Un’altra infondata accusa come ci racconta Fedro. Si, perché l’agnello non era nato ne l’anno prima e neanche sei mesi prima. Glielo disse, ma il lupo sapeva quello che voleva. E allora gridò al povero e tremante agnello: “Di voi, dei vostri cani e dei pastori/vendetta piglierò”. Questa ferma determinazione del lupo ce lo testimonia Jean de La Fontaine. Affamato com’era, il lupo smise di inventare altre infondate accuse. Tanto lui lo sapeva; si trattava semplicemente di scuse, prima di portare a compimento quello che non vedeva l’ora di farlo. Perciò il lupo, che aveva dalla sua parte la ragione del più forte, “…saltò addosso al povero agnellino e lo mangiò”. Così scriveva Esopo e con questa frase la favola finisce. Ma si sa, dalle favole devono imparare non solo i bambini. La saggezza millenaria del genere umano ci insegna che i messaggi pervenuti dalle favole sono utili per tutti, bambini ed adulti.

    Il monito trasmesso dalla favola “Il lupo e l’agnello” rimane sempre attuale e dovrebbe servire da lezione a chi di dovere. Si, perché i “forti del mondo”, pur non avendo né ragione e neanche diritto, approfittano dalle “circostanze”, dalle congiunture e cercano di sopraffare i più deboli. Una valida ed utile lezione che ci da la storia, fatti accaduti da millenni sul nostro pianeta alla mano. E anche quanto sta accadendo in queste ultime settimane tra la Serbia ed il Kosovo ne è una significativa testimonianza. Purtroppo le decisioni che hanno preso e che stanno prendendo “i grandi del mondo” evidenziano anche l’irresponsabilità e la loro convinzione che “la ragione è dalla parte del più forte”. Non sono valse a niente le drammatiche conseguenze delle loro scelte fatte e decisioni prese in diverse precedenti occasioni, in altre parti del mondo, durante questi ultimi decenni. In nome della “stabilità” hanno volutamente ignorato e calpestato i principi base della democrazia. In nome della “stabilità” hanno chiuso occhi, orecchie e cervello ed hanno consapevolmente appoggiato degli autocrati i quali, in seguito, hanno generato tante sofferenze e hanno consolidato i loro regimi che con la democrazia non avevano/hanno niente in comune. Purtroppo quanto sta accadendo in Ucraina dal 24 febbraio 2022 testimonia proprio il fallimento delle scelte fatte dai “grandi del mondo” nel 2014, dopo l’annessione della Crimea alla Federazione Russa ed il referendum nella regione di Donbass. Il dittatore russo, l’attuale presidente, convinto di essere “il più forte”, ha deciso ed ha messo in atto quello che voleva. Come il lupo della favola. Mentre i “grandi del mondo” hanno formalmente “protestato e condannato” e, allo stesso tempo però, hanno anche collaborato con lui, beneficiando delle “opportunità” che offriva/offre la Russia, idrocarburi e grano inclusi. Ma non è solo questo fallimento subito dai “grandi del mondo”. Quanto è accaduto in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria, in alcuni Paesi dell’America centrale e quella Latina lo testimonia. Perché hanno scelto di appoggiare “il più forte” a scapito dei principi della democrazia. Principi che però pretendevano di difendere e di garantire. Chissà perché non ci sono riusciti?!

    La saggezza secolare del genere umano ci insegna che dagli errori fatti bisogna sempre trarre delle lezioni. Ma sembrerebbe che i “grandi del mondo” non riescano a farlo. Chissà perché?! Quanto sta accadendo in queste settimane nel nord del Kosovo lo sta dimostrando. Hanno scelto e deciso di appoggiare il presidente della Serbia, l’ormai loro “amico ed alleato”, ignorando le vere, vissute e ben note realtà. Ignorando anche il passato politico dell’attuale presidente della Serbia come ministro ed uno degli stretti collaboratori di Slobodan Milošević, inserito allora nella Black List (Lista nera; n.d.a.) dell’Unione europea. Si, proprio lui che ormai è, addirittura, “un partner che diventa sempre migliore” (Sic!), come affermava alcuni giorni fa l’ambasciatore statunitense in Serbia. L’appoggio che i “grandi del mondo”, compresi anche i massimi rappresentanti della Commissione europea, stanno dando al presidente della Serbia dagli ultimi giorni del maggio scorso, quando sono iniziati di nuovo gli scontri violenti nel nord del Kosovo, è palese. Ovviamente, anche in questo caso si tratterebbe di un affermato appoggio per delle “ragioni di stabilità” nella regione dei Balcani occidentali. Un appoggio condizionato da determinati sviluppi dopo l’inizio dell’agressione russa contro l’Ucraina e legato a degli “interessi geopolitici e geostrategici”. Un appoggio dato ad una persona che ha dimostrato sempre di non rispettare la “parola data” e gli accordi presi. Accordi che il presidente della Serbia non a caso preferisce non firmare però. Come nel caso dei due accordi con il Kosovo il primo a Bruxelles, il 27 febbraio scorso ed il secondo ad Ohrid, il 18 marzo scorso. Accordi che il primo ministro del Kosovo era dichiaratamente pronto a firmare in qualsiasi momento. Il nostro lettore è stato informato su quanto sta accadendo nel nord del Kosovo dal fine del maggio scorso e sulle ragioni che hanno portato a questo nuovo conflitto tra la Serbia ed il Kosovo (Non c’è pace nei Balcani, 5 giugno 2023; Bisogna pensare responsabilmente alle conseguenze, 12 giugno 2023). Allora come ci si potrebbe fidare di una simile persona, qual è il presidente della Serbia?! Non sono valse ancora le lezioni dei precedenti fallimenti del passato, causati proprio dalle scelte sbagliate delle persone da appoggiare?! E come sempre nel passato, le conseguenze sono state e spesso ancora continuano ad essere drammatiche. Questo accade quando i “grandi del mondo” decidono, in base a delle determinate congiunture internazionali e a degli interessi di parte, chi sono “i più forti” ed in seguito considerano e trattano le loro ragioni come “le ragioni migliori”, perciò da prevalere sulle altre e da essere prese in considerazione. Ma la storia, questa grande ed infallibile maestra, ci insegna che la “ragione del più forte” spesso non è anche la dovuta ragione che genera i necessari sviluppi i quali, a loro volta, portano e garantiscono la pace duratura, i principi della democrazia e la giustizia. Spessoi più forti” non pensano alle conseguenze a medio e lungo termine; pensano soltanto ai “successi effimeri”, nonché agli interessi, “condizionati” dagli interventi lobbistici di certi raggruppamenti occulti internazionali. Ma spesso però a scapito di intere popolazioni. Quanto purtroppo è successo e sta ancora succedendo in Afghanistan, dopo il ritiro vergognoso delle truppe militari internazionali da Kabul nella seconda metà di agosto 2021 ed il preoccupante ritorno al potere dei talebani, ne è una chiara testimonianza. E non solo in Afghanistan. La storia, anche quella di questi due ultimi decenni lo dimostra. Così come dimostra e testimonia anche le barbarie, le sanguinose violenze che hanno subito le popolazioni in Croazia, in Bosnia ed Erzegovina ed in Kosovo in seguito alle operazioni di pulizia etnica dell’esercito jugoslavo. L’attuale presidente della Serbia era il ministro dell’informazione proprio quando in Kosovo si stavano attuando delle atroci crudeltà e si svolgeva un vero e proprio genocidio contro la popolazione di etnia albanese.

    Quanto sta accadendo adesso tra la Serbia ed il Kosovo è parte integrante di una strategia resa pubblica molto prima, già nel lontano 1844. Strategia che è stata in seguito elaborata e ripresentata nel 1937 da un noto professore universitario serbo. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito del contenuto di questa strategia (Drammatiche conseguenze dell’indifferenza; 3 febbraio 2020). Una strategia che prevedeva la colonizzazione dei territori abitati dagli albanesi che “…dev’essere l’unico elemento costante dei governi serbi. Tutto può dividere i serbi tra di loro, ma mai e poi mai il comportamento contro gli albanesi”! Compresa la “soluzione finale”. Una soluzione che prevedeva anche l’uso della violenza per raggiungere l’obiettivo strategico. Ma quella non è l’unica strategia che si sta attuando nei Balcani occidentali. Nel 1999, dopo la fine della guerra tra la Serbia ed il Kosovo, è stato pubblicato un articolo che presentava i punti cardini di quella strategia. L’autore dell’articolo era George Soros, un multimiliardario speculatore di borsa statunitense e fondatore delle Fondazioni della Società Aperta (Open Society Foundations). Lui, riferendosi alla regione, ribadiva che i Balcani occidentali “non si possono ricostruire sulle basi degli Stati nazionali”. In più lui suggeriva che la regione dei Balcani occidentali “…deve essere più vasta dell’ex Jugoslavia … e deve comprendere anche l’Albania.”! Anche di questa nuova strategia il nostro lettore è stato informato a tempo debito (Preoccupanti avvisaglie dai Balcani; 8 novembre 2021). Bisogna sottolineare che sono ben noti all’opinione pubblica gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” di George Soros sia con il presidente della Serbia che con in primo ministro albanese. Rapporti passati in questi ultimi anni in “eredità” da Soros padre a suo figlio. E sono altresì ben noti all’opinione pubblica anche gli stretti rapporti di “collaborazione e di amicizia” che i Soros, padre e figlio, hanno con molti “potenti” negli Stati Uniti e in altri paesi, compresi alcuni massimi dirigenti dell’Unione europea. Ma nei Balcani occidentali si incrociano anche altri interessi. Sono presenti quelli della Russia, che gode della lunga e provata amicizia con la Serbia. I suoi interessi sono soprattutto geostrategici, ma non solo. Anche la Turchia è interessata ai Balcani occidentali, sia dovuta alla “Dottrina Davutoğlu” (il nostro lettore è ormai informato), che per interessi economici. I Paesi del Golfo Persico sono interessati e presenti nella regione. Così com’è interessata anche la Cina per degli interessi economici, parte del loro noto progetto “La nuova via della seta” (Belt and Road Initiative; n.d.a.).

    Chi scrive queste righe sta seguendo l’evolversi della situazione nel nord del Kosovo perché valuta che si tratta di sviluppi geopolitici, geostrategici e di interessi economici che vanno oltre quelli tra la Serbia ed il Kosovo. Egli è convinto che i “grandi del mondo” stanno sbagliando di nuovo, pensando, come scriveva La Fontaine all’inizio della sua favola “Il lupo e l’agnello”, che “La ragione del più forte è sempre la migliore”.

  • Pericolose ma consapevoli scelte di appartenenza geopolitica

    Possiamo scegliere quello che vogliamo seminare,

    ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

    Proverbio cinese

    “Non facciamoci illusioni. Siamo in un mare agitato. All’orizzonte si intravede un inverno segnato dal malcontento globale. […] Le persone soffrono e quelle più vulnerabili soffrono di più. La Carta delle Nazioni Unite e gli ideali che rappresenta sono in pericolo. Abbiamo il dovere di agire, ma siamo bloccati da una disfunzione colossale e globale.. Così ha dichiarato, tra l’altro, il Segretario generale delle Nazioni Unite, il 19 settembre scorso, durante il suo intervento all’apertura dei lavori della 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Una sessione svoltasi dal 19 al 26 settembre 2022 presso la sede centrale dell’Organizzazione delle Nazioni unite a New York. Durante quella settimana capi di Stato e di governo, nonché altri rappresentanti delle più importanti istituzioni internazionali, hanno presentato le loro opinioni e le loro priorità sulle principali sfide globali. Come tali sono la guerra in Ucraina, le crisi energetica e quella alimentare scatenate proprio da quella guerra, ma anche la lotta contro il cambiamento climatico ed altre ancora. In quei giorni ci sono stati tanti anche gli incontri ufficiali ed informali tra i più alti rappresentanti delle singole nazioni. Non sono mancati neanche gli accordi discussi, alcuni dei quali firmati poi in seguito. Come l’accordo tra la Russia e la Serbia sulla collaborazione nell’ambito della politica estera. Un’accordo quello firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo. All’indomani della firma dell’accordo anche il presidente serbo ha incontrato il ministro russo degli affari esteri. Tutto ciò, mentre quasi tutti i capi di Stato e di governo che sono intervenuti durante i dibattiti della 77a sessione dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite hanno condannato l’aggressione russa in Ucraina. Compreso il presidente serbo. In più lui ha condannato, il 28 settembre scorso, anche i referendum svolti tra il 23 e il 27 settembre nelle quattro autoproclamate repubbliche nel sud dell’Ucraina. La Serbia “non può e non riconoscerà” l’annessione alla Russia di quelle quattro repubbliche separatiste. Nel frattempo però si sa che la Serbia, nonostante abbia firmato le convenzioni delle Nazioni Unite, non ha aderito alle sanzioni poste dall’Unione europea alla Federazione Russa proprio in seguito all’aggressione in Ucraina. Un obbligo quello per la Serbia, visto che ha firmato con l’Unione europea l’accordo stabilizzazione e associazione già dal 29 aprile 2008. E poi, in seguito, il Consiglio europeo ha approvato il 1o marzo 2012 anche lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione europea per la Serbia. Ma nonostante ciò la Serbia sempre ha rifiutato di aderire alle sanzioni. Durante la 77a sessione dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il presidente serbo non ha risparmiato delle accuse neanche alla stessa Organizzazione, dichiarando che “…La serietà del momento mi obbliga di condividere con voi delle parole difficili, ma vere. Ogni cosa che stiamo facendo oggi qui sembra impotente ed incerta. Le nostre parole hanno un vuoto eco comparate con la realtà con la quale ci stiamo affrontando. E la realtà è che qui nessuno ascolta nessuno. Nessuno [qui] non si impegna a [attuare] dei veri accordi, alla soluzione dei problemi”. E tutto ciò secondo il presidente serbo, perché “…tutti tengono presente solo i propri interessi”.

    Subito dopo la firma dell’accordo firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo sulla collaborazione nell’ambito della politica estera, è arrivata anche la ferma condanna dell’Unione europea. Il portavoce della Commissione europea, riferendosi al sopracitato accordo, ha sottolineato che un simile accordo è stato firmato proprio mentre la Russia continua la sua aggressione contro l’Ucraina. Proprio mentre la Russia ogni giorno“…sta violando il diritto internazionale, le sue truppe stanno attuando crimini contro i civili e nei territori occupati sta organizzando dei referendum illeciti”. In seguito alla sua dichiarazione ufficiale, il portavoce della Commissione europea ha ribadito che “…se in simili circostanze notiamo che il ministro serbo degli esteri firma un accordo, con il quale si impegna per delle consultazioni con lo Stato che genera atti come questi, allora questo è un segno che la Serbia sta rafforzando i rapporti con la Russia.”. Aggiungendo che tutto ciò non può non creare delle serie preoccupazioni. Perché secondo il portavoce della Commissione europea “…i rapporti [della Serbia] con la Russia non possono essere trattati come se niente fosse. Tutto ciò noi [Commissione europea] lo consideriamo come molto serio”. Il portavoce della Commissione, sempre riferendosi all’accordo firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo sulla collaborazione nell’ambito della politica estera ha dichiarato che “…l’Unione europea è stata completamente chiara con tutti i Paesi membri e i partner, compreso anche un Paese candidato come la Serbia, che i rapporti con la Russia non possono essere un affare comune sotto l’ombra dell’occupazione non provocata e irragionevole in Ucraina”. Mentre nel frattempo e dopo le dichiarazioni del portavoce della Commissione europea, il ministro serbo degli affari esteri, rispondendo il 25 settembre scorso ai giornalisti, ha detto che “…tutto ciò che ha a che fare con le critiche” ma anche con l’accordo stesso, è legato alla “ricerca delle ragioni per attaccare e per biasimare la Serbia”.

    L’accordo tra la Russia e la Serbia sulla collaborazione nell’ambito della politica estera firmato il 23 settembre scorso dal ministro russo degli affari esteri e il suo omologo serbo durante la 77a sessione dell’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è il primo documento diplomatico che la Serbia e la Russia hanno firmato dall’inizio dell’aggressione russa in Ucraina. Ma non è l’unico accordo tra i due Paesi durante questi ultimi mesi. Si, perché proprio il 29 maggio scorso, durante un colloquio telefonico, il presidente serbo ed il presidente russo si sono accordati di continuare “il partenariato strategico tra la Russia e la Serbia” e la fornitura della Serbia di gas e petrolio russo con dei prezzi vantaggiosi. Un “partenariato strategico” quello tra la Russia e la Serbia ribadito chiaramente anche dal ministro degli Interni serbo, in visita ufficiale in Russia il 22 agosto scorso. Lui ha considerato come “sbagliato e inutile” il tentativo dell’isolamento della Russia, durante un incontro con il Segretario del Consiglio di Sicurezza della Russia. Perché, secondo il ministro serbo, la Russia “…come territorio è il più grande del mondo”. Il ministro serbo degli Interni ha avuto il 22 settembre scorso un incontro anche con il ministro russo degli affari esteri. Dopo l’incontro il ministro serbo ha dichiarato che “…la Serbia è l’unico Paese in Europa che non ha attuato delle sanzioni contro la Russia e non ha partecipato all’isteria antirussa”. In più il ministro serbo degli Interni ha dichiarato che la Serbia “…non dimentica la fratellanza secolare [con la Russia]”. Durante l’incontro del ministro degli Interni serbo e il ministro russo per gli affari esteri è stato confermato che “…anche in tempi di grandi sfide, la Serbia e la Russia hanno delle straordinarie relazioni diplomatiche e una collaborazione bilaterale di successo”. Così come anche i due presidenti, quello russo e quello serbo “hanno delle relazioni personali straordinariamente buone”. Più chiaro di così!

    L’autore di queste righe informava nel giungo scorso il nostro lettore di una visita non realizzata il 5 giugno scorso a causa del blocco degli spazi aerei da tre Paesi balcanici per un aereo russo a bordo del quale si trovava il ministro degli Esteri russo. Lui, insieme con una delegazione da lui guidata doveva andare a Belgrado per degli incontri con le massime autorità della Serbia. I tre Paesi che hanno chiuso gli spazi aerei, la Bulgaria, la Macedonia del Nord ed il Montenegro, sono dei Paesi i quali, insieme a quelli dell’Unione europea e ai tanti altri, hanno aderito alle sanzioni restrittive contro la Russia dopo l’invasione del territorio ucraino il 24 febbraio scorso. Ebbene, il 6 giugno scorso il ministro russo degli affari esteri ha dichiarato che “…è accaduto qualcosa di inimmaginabile. Ad uno Stato sovrano è stato negato il diritto di seguire la [sua] politica estera”. Aggiungendo che “Le attività internazionali della Serbia verso la Russia sono bloccate”. Lui però ha ribadito altresì la sua convinzione, e cioè che “la cosa più importante è che nessuno potrà distruggere i nostri legami con la Serbia”! L’autore di queste righe informava il nostro lettore che il ministro russo ha dichiarato anche che “Se la visita del ministro degli Esteri russo in Serbia è percepita in Occidente come una minaccia su scala globale, allora, chiaramente, le cose in Occidente vanno piuttosto male”. Mentre il ministro serbo degli Interni dichiarava allora che “…Il mondo in cui i diplomatici non possono attuare la pace è un mondo in cui non c’è la pace”. Lui ha sottolineato anche che era rimasto “profondamente dispiaciuto per l’ostruzione alla visita di un grande e comprovato amico della Serbia”. Per poi ribadire in modo diretto e perentorio che “…Chi ha impedito l’arrivo di Lavrov non vuole la pace, sogna di sconfiggere la Russia e la Serbia è orgogliosa di non far parte dell’isteria anti-russa”! Ma il ministro russo degli affari esteri, dopo essere rientrato a Mosca, il 6 giungo scorso, durante una sua conferenza online con i media, ha dichiarato, senza mezzi termini, che alla Serbia e al suo presidente non mancherà l’appoggio della Russia. Durante la stessa conferenza con i giornalisti il ministro russo degli affari esteri ha parlato anche di un’iniziativa della quale l’autore di queste righe da più di due anni sta informando il nostro lettore, l’iniziativa non a caso chiamata Open Balkans (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 2021; Importanti decisioni, vergognose manipolazioni e una protesta, 20 dicembre 2021; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022; Volgari arroganze verbali balcaniche e verità che accusano, 28 giugno 2022; Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà, 4 luglio 2022; Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022). Ebbene, il ministro russo degli affari esteri, parlando il 6 giugno scorso dell’iniziativa Open Balkans ha scoperto, anche la “paternità” dell’iniziativa. L’autore di queste righe ha riportato le frasi del ministro russo in merito. Lui, riferendosi all’Unione europea, ha detto che “…Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkan per l’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. L’autore di queste righe sottolineava allora che il ministro russo degli affari esteri “ha confermato proprio l’appoggio russo all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkans”. Aggiungendo in seguito che lui “…ha contribuito, nolens volens, proprio ad un ulteriore smascheramento di un accordo regionale occulto.” (Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto; 13 giugno 2022).

    Chi scrive queste righe ha informato il nostro lettore anche del “sostegno incondizionato”, nonché della “avvocatura gratis” che il primo ministro albanese ha dato/fatto alle scelte della Serbia nei confronti della Russia. Lui, il primo ministro albanese, ha sempre giustificato la scelta della Serbia di non aderire alle sanzioni poste alla Russia dall’Unione europea, obbligatorie anche per la Serbia (Volgarità e arroganza verbale di un voltagabbana in difficoltà; 4 luglio 2022). Il primo ministro albanese lo ha fatto anche durante la 77a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Chi scrive queste righe è convinto, fatti alla mano, che le scelte della Serbia, ma anche dell’Albania sono delle pericolose ma consapevoli scelte di appartenenza geopolitica a fianco della Russia. Ma condivide anche la saggezza del proverbio, secondo il quale noi possiamo scegliere quello che vogliamo seminare, ma siamo obbligati a mietere quello che abbiamo piantato.

  • Pericolose somiglianze espansionistiche

    Non ci si piglia se non ci si somiglia.

    Proverbio

    Il 24 agosto è una data che per gli ucraini ha un importante valore storico. Era proprio il 24 agosto del 1991 quando il Parlamento adottò ed approvò l’Atto d’indipendenza dall’Unione sovietica, dichiarando l’Ucraina uno Stato indipendente e democratico. Ragion per cui il 24 agosto scorso gli ucraini hanno celebrato il 31o anniversario dell’indipendenza, quest’anno però, e purtroppo, sotto la reale minaccia di attacchi da parte delle forze armate della Russia. Attacchi che proprio il 24 agosto scorso hanno causato altre vittime innocenti. Sono 25 le vittime di un bombardamento dei russi della stazione ferroviaria di Chaplyne nel sud-est del Paese. Tra quelle vittime civili due erano dei bambini. Nel frattempo sono passati ormai sei mesi dall’inizio dell’invasione russa dei territori ucraini. Era proprio l’alba del 24 febbraio scorso, quando il presidente russo ordinò l’attuazione di quello che lui stesso aveva annunciato alcune ore prima, la sera precedente, durante un suo lungo discorso in diretta televisiva. Cominciò così, sei mesi fa, una ben ideata e programmata invasione che il dittatore russo, con un irritante cinismo, la ha sempre considerata come una “operazione militare speciale”. Una spietata, crudele e sanguinosa invasione quella che ebbe inizio il 24 febbraio scorso, come parte integrante dell’attuazione di quella che ormai è nota come la strategia per la ricostituzione della “Grande Russia”. Il 24 agosto ha segnato il 182o giorno di una vera e propria guerra spietata e sanguinosa. Ormai sono di dominio pubblico le tante barbarie e crudeltà attuate dalle forze armate russe in Ucraina. Sono purtroppo di dominio pubblico anche le immagini che mostrano fosse comuni dove sono state buttate decine di vittime innocenti, dopo essere state uccise con le mani legate. E tutto ciò, nell’ambito di quella che il dittatore russo continua a considerare una “operazione militare speciale”! Durante questi sei mesi di guerra, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, sono stati 5.587 civili inermi uccisi e 7.890 feriti. Ma tutti sono convinti che il numero reale delle vittime civili sia molto più grande. Sempre facendo riferimento ai dati ufficiali delle vittime registrate risulta, secondo l’organizzazione Save the Children, che purtroppo 356 sono minori tra i quali il 16% aveva un’età inferiore ai 5 anni. Mentre, secondo quanto rapporta l’agenzia Ukrinform il 25 agosto, dal 24 febbraio scorso il numero dei bambini uccisi è di 376 e di quelli feriti è almeno di 733. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani conferma che la maggior parte dei morti e dei feriti “…sono state vittime di armi esplosive come artiglieria, missili e attacchi aerei”. Risulterebbe inoltre che dal 24 febbraio scorso, circa un terzo dell’intera popolazione dell’Ucraina è stata costretta ad abbandonare le proprie case. Secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani, i cittadini ucraini che hanno lasciato il Paese si valuta che siano più di 6.6 milioni. Durante i sei mesi di guerra, di quella guerra che però il dittatore russo, con un irritante cinismo, continua a considerarla semplicemente una “operazione militare speciale”, anche i danni materiali sono ingenti. Dalle valutazioni fatte da diverse istituzioni internazionali specializzate risulterebbe che la ricostruzione del Paese, a guerra finita, potrebbe costare oltre 750 miliardi di euro. Secondo una valutazione del ministero ucraino della Protezione Ambientale e delle Risorse Naturali, solo i danni ambientali, causati durante questi sei mesi di guerra, superano i 10.7 miliardi di euro.

    Il 24 agosto scorso, al termine dell’udienza generale, Papa Francesco, sei mesi dopo l’inizio della sanguinosa guerra in Ucraina, ha rinnovato “l’invito ad implorare dal Signore la pace per l’amato popolo ucraino che da sei mesi patisce l’orrore della guerra”. Poi, riferendosi ai bambini ucraini, il Santo Padre ha detto che si tratta di “Innocenti che pagano la pazzia della guerra”.

    Subito dopo l’invasione dei territori ucraini da parte delle forze armate russe, è stata immediata ed unanime la reazione delle più importanti istituzioni internazionali, nonché della maggior parte dei singoli Stati. Tutti hanno condannato, senza mezzi termini, l’invasione russa dei territori ucraini. Sono state tante anche le sanzioni imposte alla Russia, sia dagli Stati Uniti d’America e dall’Unione europea, che da altri Stati in tutto il mondo. Cosa che, invece, non ha fatto la Serbia nonostante, come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea, abbia obbligatoriamente sottoscritto, tra l’altro, anche l’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione. Sono state tante le richieste fatte alla Serbia da parte dei massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione Europa per aderire alle sanzioni imposte alla Russia. Richieste che però non hanno trovato il dovuto riscontro da parte della Serbia. Anzi, sono risultate tutte delle richieste vane. Ma visto i reali e riconfermati, a più riprese ed occasioni, rapporti di amicizia e di vasta collaborazione tra la Serbia e la Russia, tutto ciò era da aspettarselo. E non a caso anche la Serbia, da qualche anno, sta cercando di attuare, a sua volta, la strategia della “Grande Serbia”. C’è sempre da imparare dai “cari e storici amici”!

    Una dimostrazione e testimonianza dell’attuazione di quella strategia espansionistica erano anche le pericolose provocazioni e i preoccupanti conflitti cominciati il 31 luglio scorso nel nord del Kosovo, per poi continuare anche il giorno successivo. Tutto scaturì dopo due leciti decisioni prese dal governo del Kosovo. La prima si basa sul rispetto della reciprocità per quanto riguarda il rilascio di un documento di entrata ed uscita per i cittadini serbi che entrano nel territorio del Kosovo. Come procede, da 11 anni, il governo della Serbia per i cittadini del Kosovo. La seconda si basa sul rispetto della reciprocità per quanto riguarda il rilascio delle targhe provvisorie per le macchine immatricolate in Serbia che entrano nel territorio del Kosovo. Proprio come procedono le autorità della Serbia per le macchine immatricolate in Kosovo che entrano nel territorio della Serbia. Ma subito dopo la messa in atto di queste due decisioni da parte delle autorità del Kosovo, nell’ambito del rispetto della reciprocità, nel nord del Paese alcuni gruppi ben strutturati ed organizzati di militanti serbi hanno bloccato diverse strade con degli autocarri ed hanno costruito delle barricate. In seguito a dei negoziati tra i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea ed altri ancora con le massime autorità del Kosovo, il governo ha deciso di posticipare l’applicazione delle due sopracitate decisioni per il 1o settembre prossimo.

    Bisogna sottolineare però che dal 12 giugno 1999 ad oggi in Kosovo è attiva una forza militare internazionale che opera nell’ambito della NATO, meglio nota come KFOR (abbreviazione di Kosovo Force; n.d.a.). La KFOR, è diventata operativa sul tutto il territorio del Paese su mandato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, subito dopo l’adozione della Risoluzione 1244 dal suo Consiglio di Sicurezza. Il compito della KFOR è quello di stabilire e mantenere l’ordine e garantire la pace nel Paese. La Serbia ed alcuni altri Paesi, Russia compresa, non riconoscono ancora però l’indipendenza dello Stato del Kosovo, proclamata il 17 febbraio 2008 e fortemente voluta e appoggiata, allora come oggi, da tutte le grandi potenze mondiali. Attualmente la KFOR viene sostenuta dal contributo di 27 diverse nazioni, mentre sul territorio del Kosovo sono presenti 3.500 militari di quella struttura internazionale, con altri 3.000 militari di riserva.

    Quanto è accaduto il 31 luglio scorso ed il giorno successivo nel nord del Kosovo ha causato una seria preoccupazione dei vertici della NATO. Ragion per cui i massimi rappresentanti della KFOR hanno immediatamente dichiarato ufficialmente che le truppe di quella struttura militare della NATO erano pronte ad intervenire se fosse stata messa in pericolo la stabilità in Kosovo, secondo il mandato che deriva dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ed erano proprio le pericolose provocazioni e i preoccupanti conflitti cominciati il 31 luglio scorso nel nord del Paese che, il 17 agosto scorso, abbiano costretto il segretario generale dell’Alleanza atlantica a convocare a Bruxelles ed incontrare, separatamente, sia il presidente della Serbia che il primo ministro del Kosovo. Egli aveva già avvertito il presidente serbo il 3 agosto scorso dicendo che “…bisogna che tutte le parti si impegnino in maniera costruttiva nel dialogo che sta negoziando l’Unione europea”, in modo che “le discordie si risolvano tramite la diplomazia”. Il 17 agosto scorso a Bruxelles il segretario generale della NATO ha incontrato il presidente della Serbia prima e poi il primo ministro del Kosovo. Subito dopo i due separati incontri il massimo rappresentante dell’Alleanza atlantica ha dichiarato che “…se sarà necessario noi faremmo muovere le nostre truppe ed aumenteremo la nostra presenza”. Egli ha ribadito che la KFOR è attualmente la più grande missione della NATO fuori dai territori dei Paesi aderenti all’Alleanza. Il che testimonia “il suo impegno per prevenire le tensioni”. L’indomani, il 18 agosto scorso, anche l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza ha incontrato, prima separatamente e poi insieme, il presidente della Serbia e il primo ministro del Kosovo. Durante l’incontro trilaterale era presente anche l’incaricato speciale dell’Unione europea per il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo. L’incontro è finito senza un accordo tra le parti. Però l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza non ha perso la speranza ed ha dichiarato che “…non c’è accordo oggi, ma non ci fermeremo, non ci rassegneremo perché fino al 1o settembre c’è ancora tempo”. Ma lui è convinto che “le tensioni verificatesi ultimamente nel nord del Kosovo hanno testimoniato che ormai è tempo di muoversi verso la completa normalizzazione. Attendo che i due dirigenti siano flessibili e trovino la lingua comune”. Chissà però se quell’auspicio espresso si possa avverare, vista la ben nota intransigenza del presidente serbo a riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Indipendenza fortemente voluta e appoggiata però da tutte le grandi potenze mondiali. Ma non dalla Russia. Chissà perché?!

    Si sa però che parte integrante della strategia della “Grande Serbia”, fatti accaduti alla mano, risulterebbe essere anche l’iniziativa Open Balkans. L’autore di queste righe, dal gennaio 2020 e a più riprese, ha informato il nostro lettore di questa iniziativa e di chi sta dietro come ideatore e sostenitore. Un progetto espresso dal multimiliardario e speculatore di borsa George Soros già nel 1999 in un suo articolo. Un progetto fortemente voluto e sostenuto, ovviamente, dal presidente della Serbia. Un progetto sostenuto anche dal primo ministro albanese e da quello macedone. Un progetto però, quello alla base dell’iniziativa Open Balkans, contestato dagli altri Paesi balcanici e dalle istituzioni dell’Unione europea, che riconoscono e promuovono il Processo di Berlino per i Balcani occidentali. E, non a caso, l’iniziativa Open Balkans viene riconosciuta ed appoggiata anche dalla Russia. Lo ha dichiarato convinto il ministro degli Esteri russo il 6 giugno scorso. Lui, riferendosi all’Unione europea ha detto: “Loro non volevano che noi esprimessimo il nostro appoggio all’iniziativa di Belgrado per realizzare il progetto Open Balkans, all’interesse di un rapporto più solido e più sano tra i Paesi della regione [balcanica]”. Aggiungendo convinto che “Ormai è chiaro per tutti che Bruxelles, la NATO e l’Unione europea vogliono convertire il progetto Open Balcans in un loro progetto, chiamato Close Balcans (Balcani chiusi; n.d.a.).”!

    Chi scrive queste righe, dati e fatti accaduti alla mano, considera come preoccupanti e pericolose le somiglianze espansionistiche tra la Russia e la Serbia. Come considera preoccupanti e pericolose anche le “amicizie” tra l’ideatore, i promotori e gli ubbidienti sostenitori della famigerata iniziativa Open Balkans. Primo ministro albanese incluso. Proprio colui che da tempo ormai, criticando gli altri, sta facendo anche “l’avvocato difensore” della Serbia. Ma si sa e la saggezza popolare ce lo insegna che non ci si piglia se non ci si somiglia!

  • Chi approfitta e chi perde cosa da un accordo?

    Chi approfitta e chi perde cosa da un accordo?
    Quando si dice che si è d’accordo su qualcosa in linea di principio,
    significa che non si ha la minima intenzione di metterla in pratica.

    Otto von Bismarck

    Il 4 settembre scorso, nell’ufficio ovale del presidente degli Stati Uniti d’America a Washington D.C., ha avuto luogo un incontro tra i massimi rappresentanti della Serbia e del Kosovo. Erano presenti l’anfitrione, presidente Trump, il presidente della Serbia e il primo ministro del Kosovo. Erano presenti anche le tre delegazioni rispettive. Un vertice a tre, rimandato però per due volte. Inizialmente era stato previsto per il 27 giugno scorso. Ma prima della partenza per Washington la delegazione del Kosovo ha annunciato che non poteva partecipare più al previsto vertice. La mancata partenza era dovuta al rilascio, il 24 giungo 2020, di un comunicato dell’Ufficio del Procuratore Speciale per il Kosovo. Con quel comunicato si rendeva noto che il Procuratore Speciale aveva presentato dieci capi d’accusa presso le Camere Speciali del Kosovo contro il presidente della Repubblica del Kosovo. Proprio lui che doveva dirigere la delegazione. Poi, in seguito, il vertice a tre a Washington è stato previsto per il 2 settembre scorso. Ma anche quella volta è stato rimandato, per poi essere stato realizzato finalmente, due giorni dopo, il 4 settembre. La persona incaricata dal presidente statunitense per organizzare l’incontro e per preparare il contenuto del previsto accordo aveva, dall’inizio, ribadito che si trattava di un accordo con obiettivi economici. Mentre per quelli politici le delegazioni della Serbia e del Kosovo dovevano negoziare con i rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea.

    Nel frattempo i massimi rappresentanti dell’Unione europea non hanno visto di buon occhio lo spostamento a Washington dei negoziati tra la Serbia ed il Kosovo. Ragion per cui, subito dopo il fallimento del vertice a tre del 27 giugno 2020, il presidente francese ha proposto un vertice in videoconferenza. Il 12 luglio scorso da Parigi, lui e la cancelliera tedesca hanno dialogato con il presidente serbo, il primo ministro kosovaro e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza. Un dialogo considerato positivo dagli organizzatori. Per l’occasione il rappresentante dell’Unione europea per il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo ha espresso la sua soddisfazione perché, secondo lui, finalmente il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo, con la diretta mediazione degli alti rappresentanti dell’Unione europea per la normalizzazione dei rapporti, “è ritornato, dopo 20 mesi, nella giusta via”.

    Dopo il sopracitato vertice in videoconferenza le parti hanno ribadito le loro richieste. Il primo ministro del Kosovo ha annunciato le sue cinque. La più importante delle quali era che l’Accordo integrale della Pace tra il Kosovo e la Serbia “doveva portare ad un riconoscimento reciproco” tra i due paesi. Perché per il momento la Serbia considera il Kosovo come una sua regione, parte integrante del suo territorio. Invece il presidente della Serbia, riferendosi al contenuto sostanziale delle richieste del Kosovo, ha dichairato che “… se quello è il perno di tutto ciò che essi [la delegazione del Kosovo] vogliono discutere, allora tutto diventa completamente insensato”.

    Il processo di mediazione di un accordo tra la Serbia ed il Kosovo è cominciato a Rambouillet, in Francia, nel lontano febbraio del 1999. Il testo con il contenuto dell’accordo presentato alle parti, che prevedeva un’autonomia sostanziale per il Kosovo, nonché le modalità della presenza dei rappresentanti internazionali, civili e militari ecc., era preparato dagli esperti della NATO (l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord). Dopo tanti, continui e difficili negoziati non si è raggiunto però un accordo. Il 18 marzo 1999 le delegazioni del Kosovo, degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito hanno firmato quello che viene riconosciuto come l’Accordo di Rambouillet. Mentre le delegazioni della Serbia e della Russia hanno rifiutato di farlo. Ragion per cui, in seguito, la NATO ha deciso l’intervento militare con bombardamenti aerei contro la Serbia. Il resto è ormai storia nota.

    Negli anni dopo quell’intervento militare, i negoziati tra i due paesi hanno continuato, sempre con le stesse e insuperabili difficoltà. Nel novembre 2005 ha avuto inizio quello che diventerà il processo per l’indipendenza del Kosovo, nell’ambito di quella che è stata riconosciuta come la Conferenza di Vienna. Dopo una serie di incontri tra le parti, il 2 febbraio 2007 il rappresentante internazionale ha presentato le sue proposte per portare ad un accordo. Quel rappresentante era un noto diplomatico e politico finlandese. Egli è stato presidente della Finlandia dal 1994 al 2000 e anche sottosegretario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Per il suo continuo e apprezzato impegno per la pace nel mondo, a lui, Martti Ahtisaari, è stato assegnato il premio Nobel per la pace 2008. La Serbia, come sempre, ha rifiutato il riconoscimento del Kosovo come Stato indipendente. Mentre il Kosovo, con il deciso sostegno di tutti i paesi del G7 e di molti altri in seguito, ha dichiarato la sua indipendenza il 17 febbraio 2008.

    Un terzo processo di dialoghi tra la Serbia ed il Kosovo, per raggiungere un accordo di pace, è ricominciato nel 2011, con la mediazione dei massimi rappresentanti dell’Unione europea. Si tratta di un processo che continua tutto’ora e che, come sopracitato, è ricominciato il 12 luglio scorso, dopo venti mesi di pausa. Si tratta, però, di un processo che ha avuto degli alti e bassi e che ha rischiato di portare non solo ad un fallimento, ma anche a degli accordi che potevano mettere a repentaglio la sicurezza e la stabilità nei Balcani. Perché, come è stato reso pubblico durante gli ultimi anni, si poteva arrivare, con un consenso non solo dei massimi rappresentanti della Serbia e del Kosovo, ma anche dell’attuale primo ministro albanese, ad un pericoloso processo della ridistribuzione di determinati territori confinanti, a vantaggio della Serbia. Un simile progetto ha visto come un attivo promotore anche l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza dal 2014 al 2019. Durante questo periodo tra la Serbia e il Kosovo sono stati raggiunti degli accordi particolari, che mai sono stati però attuati in seguito. Ragion per cui, la mediazione dell’Unione europea è stata considerata come un fallimento da molti analisti e opinionisti internazionali.

    Una situazione quella che ha fatto “scendere in campo” gli Stati Uniti d’America. Ovviamente ci sono anche dei motivi non pubblicamente dichiarati che hanno portato ad una simile decisione. Motivi che, secondo gli analisti, hanno a che fare con l’aumento della presenza russa e cinese nei Balcani. Ma anche motivi che avrebbero a che fare, forse, anche con la campagna in corso per le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Sui reali motivi e sui primi e attesi risultati del vertice del 4 settembre scorso a Washington D.C., tra i massimi rappresentanti della Serbia e del Kosovo, alla presenza del presidente statunitense, le opinioni sono diverse e spesso anche ben differenti. Comunque sia, la discesa in campo degli Stati Uniti darà un nuovo impulso dei negoziati e della soluzione finale del problema spinoso tra la Serbia e il Kosovo. Come è stato anche nel 1999 e poi, nel 2007 – 2008. Il primo risultato, comunque, è stato la ripresa dei negoziati con la mediazione dell’Unione europea. Tutto rimane, però, da vedere.

    Chi scrive queste righe pensa che quando si tratta di un accordo non ci sono mai né vincitori e né vinti. Altrimenti non si tratterebbe di un accordo, ma bensì di un diktat. Egli auspica che quanto scriveva Bismark, su un accordo in linea di principio, non sia vero sempre. Perché se no, ci si chiederebbe chi approfitta e chi perde cosa dall’accordo del 4 settembre scorso a Washington?

  • Drammatiche conseguenze dell’indifferenza

    La pena che i buoni devono scontare per l’indifferenza alla
    cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi.

    Socrate

    Il 27 gennaio scorso è stato ricordato e onorato il “Giorno della Memoria”. Un giorno prima, durante l’Angelus, Papa Francesco, riferendosi alle barbarie nei lager nazisti ammoniva dicendo che “Davanti a questa immane tragedia, a questa atrocità, non è ammissibile l’indifferenza ed è doverosa la memoria”.

    Il “Giorno della Memoria” si celebra ogni 27 gennaio. Una data simbolica, perché il 27 gennaio 1945 sono stati liberati coloro che erano rimasti nel campo di concentramento di Auschwitz. Così è stato deciso il 1º novembre 2005, con la Risoluzione 60/7, durante la 42ª riunione plenaria dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Un “Giorno della Memoria” per commemorare le vittime dell’Olocausto. Si ricorda per non dimenticare il genocidio di tutti coloro che i nazisti consideravano come indesiderabili e inferiori per motivi razziali e politici. Ebrei per primi. Si ricorda per non essere indifferenti di fronte alle barbarie causate dalle dittature.

    La strategia di sterminio dei nazisti è stata basata su dei concetti razzisti e antisemiti formulati già alcune decine di anni prima, nel 19o secolo. Una strategia pubblicamente espressa per la prima volta da Hitler nel suo libro “La mia battaglia” (Main Kampf). Strategia riconosciuta anche come la Shoah (tempesta devastante), facendo cinicamente riferimento alle Sacre Scritture. La lugubre strategia di sterminio si ufficializzò nel 1935, con le Leggi di Norimberga ed era costituita da determinate e ben concepite fasi progressive. Fasi che cominciavano con delle severe, restrittive e proibitive politiche e misure economiche contro gli ebrei. Poi si è proseguito con una fase di estrema emarginazione sociale, simbolicamente rappresentata dalla “Notte dei cristalli”, tra l’8 e il 9 novembre 1938, quando furono bruciate le sinagoghe e saccheggiati i negozi degli ebrei in Germania. In seguito, i nazisti hanno messo in atto la fase più atroce e disumana della strategia. Fase sancita con le decisioni prese dai massimi rappresentanti nazisti durante la Conferenza di Wannsee nel gennaio 1942. Decisioni che prevedevano lo sterminio massiccio degli ebrei in tutti i territori controllati dai nazisti. Quello che è accaduto in quel periodo è stato una vera e propria tragedia per milioni di ebrei e non solo. Quello che è accaduto allora non si deve mai dimenticare. Anche perché non accada di nuovo!

    Purtroppo la storia ci testimonia e ci insegna, come sempre, che simili strategie sono state attuate e/o sono in atto in varie parti del mondo. Anche nei Balcani. Magari non più con dei campi di concentramento, come quelli dei nazisti, ma comunque con tante gravi conseguenze, comprese barbarie, massacri collettivi e altre oscenità. La strategia serba contro la popolazione albanese nei territori del Kosovo e non solo, è una di quelle. Una strategia ideata nel 1844, sancita e codificata dal memorandum del ministro serbo degli affari interni dell’epoca. Una strategia che prevedeva l’allargamento dei territori serbi ai territori abitati storicamente dagli albanesi, usando tutti i mezzi possibili e necessari. Quella strategia prevedeva che la Serbia si doveva attivare ed agire di conseguenza: “…dall’edificio dello Stato turco (Impero ottomano; n.d.a.) togliere pietra dopo pietra e appropriarsi di quello che si può da questo buon materiale e sopra le buone e vecchie fondamenta dell’antico impero serbo […] costituire il nuovo Stato della Serbia”. Una strategia che è stata in seguito rielaborata diverse volte durante il secolo passato e che, dagli sviluppi degli ultimi due decenni, sembrerebbe essere sempre attiva per la Serbia. Uno degli strateghi serbi, un professore universitario e poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale anche ministro e direttore del’Istituto della balcanologia, in un documento pubblicato nel 1945, ribadiva che la colonizzazione dei territori abitati dagli albanesi “…dev’essere l’unico elemento costante dei governi serbi. Tutto può dividere i serbi tra di loro, ma mai e poi mai il comportamento contro gli albanesi”! Era lo stesso stratega che, già nel 1937, suggeriva la “soluzione finale”. Soluzione che prevedeva anche l’uso della violenza e i massacri per raggiungere l’obiettivo strategico. Deve essere sottolineata, però, la somiglianza di questa tesi con quanto è stato deciso durante la Conferenza di Wannsee nel gennaio 1942 (sopracitato)! Ma lui suggeriva che, prima di arrivare alla “soluzione finale”, si doveva tentare la “soluzione finanziaria”, grazie alla quale si potevano raggiungere gli obiettivi strategici, evitando così la “soluzione finale”. Con la “soluzione finanziaria” lo stratega intendeva “supporti finanziari” al governo albanese, in cambio della sistemazione degli albanesi trasferiti in territorio albanese. O, se necessario, accordarsi con il governo turco che aveva bisogno di mano d’opera, di mandare in Turchia gli albanesi, tenendo presente anche la loro religione musulmana. In quel periodo si sono verificati spostamenti massicci degli albanesi dal Kosovo, sia verso l’Albania, che verso la Turchia. La sopracitata strategia serba prevedeva anche diverse altre modalità come l’impoverimento continuo della popolazione albanese, impedimenti all’istruzione per gli albanesi, l’applicazione di tasse e imposte diverse e pesanti, la provocazione di scontri locali, per motivi religiosi, di proprietà e altro, l’allontanamento “volontario” in altri paesi per trovare mezzi di sostentamento ecc.. E se tutto questo non avesse dato i risultati attesi, si doveva effettuare “l’allontanamento forzato” degli albanesi dai loro territori. Territori che in quel periodo, e cioè negli anni ’30 del secolo passato, si trovavano nel Regno della Serbia. Lo stratega serbo non si preoccupava più di tanto dell’impatto internazionale che avrebbe avuto in quel periodo “l’allontanamento forzato” degli albanesi. Perché, secondo lui “…dal momento che la Germania può allontanare decine di migliaia di ebrei e la Russia (l’Unione Sovietica; n.d.a.) può trasferire milioni di uomini da un continente all’altro, l’allontanamento di qualche centinaia di migliaia di albanesi non porterà allo scoppio della guerra mondiale.”! Una strategia quella serba, ideata nel 1844, elaborata e aggiornata di continuo, rimane attiva, anche se adesso viene camuffata dietro degli “Attraenti progetti regionali”, di cui il nostro lettore è stato informato anche il 13 gennaio scorso.

    Da alcuni anni però, dati e fatti accaduti, e che accadono di continuo, alla mano, sembrerebbe che ci sia un “progetto” che prevederebbe anche l’allontanamento dei cittadini albanesi dalla madre patria. Lo dimostrano i numeri sempre più allarmanti di questi ultimi anni dei richiedenti asilo albanesi in diversi paesi europei e non solo. E guarda caso, sembrerebbe che il governo albanese, dal 2013 in poi, abbia adottato una strategia che porti a tutto ciò. Una strategia che si basa, anch’essa, sull’impoverimento crescente della popolazione, sull’indebolimento e la decadenza del sistema dell’istruzione, sull’annientamento della speranza e della fiducia per un futuro migliore in patria. Nel frattempo in Albania si sta restaurando una nuova dittatura. Potrebbe significare qualcosa tutto ciò?!

    Chi scrive queste righe tratterà in seguito, per il nostro lettore, questo allarmante fenomeno. Egli è convinto che l’indifferenza può generare altre conseguenze drammatiche. Com’è accaduto nel passato e sta accadendo tuttora in varie parti del mondo. L’indifferenza è una preziosa alleata dei regimi totalitari e delle dittature. Mentre le conseguenze le subiscono i popoli. Era convinto Socrate che la pena che i buoni devono scontare per l’indifferenza alla cosa pubblica, è quella di essere governati da uomini malvagi.

  • Nuove opportunità da cogliere in Serbia, Paese in grande sviluppo

    Mercoledì 10 luglio, dalle ore 17.00 alle ore 20.00, presso l’Ambasciata di Serbia in Via dei Monti Parioli 20 a Roma, si svolgerà il Serbia Business Day, workshop  dedicato ai Programmi Finanziari disponibili per la Serbia ed ai settori di maggiore interesse per il Paese: infrastrutture, ambiente, hightech. Per l’occasione saranno presentate due proposte operative: la costituzione a Belgrado di un “Digital Innovation Hub/Competence Center”  con aziende e Università italiane e serbe e la costituzione di una rete di imprese finalizzata alla partecipazione ai bandi nei settori della tutela e del recupero ambientale

    La partecipazione è libera previa conferma a: inviti@greenhilladvisory.eu

  • A Roma l’Italia Serbia Business Forum

    Lunedì 29 aprile a Roma alle ore 11.30,  presso lo Spazio Attivo di Lazio Innova in Via Casilina 3T, è prevista la presentazione dell’Italia Serbia Business Forum. Per l’occasione saranno presentati i Programmi Europei di finanziamento per interventi infrastrutturali, ambientali e di innovazione tecnologica.

    L’Italia Serbia Business Forum, previsto a Belgrado il 16 e 17 maggio prossimi, è finalizzato a favorire lo sviluppo di partenariati con le Aziende e le Istituzioni serbe e facilitare l’accesso ai finanziamenti dell’Unione Europea (molto ricchi verso i Paesi in preadesione).

    Da parte italiana è confermata la partecipazione all’Italia Serbia Business Forum  di rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri, Ice, Simest e Cassa Depositi e Prestiti, da parte serba saranno relatori rappresentanti del Ministero delle Infrastrutture, Ministero dell’Ambiente, Ministero per l’Integrazione Europea, Agenzia Serba di Sviluppo, che parleranno di Gare Internazionali  e di  agevolazioni nazionali

    L’iniziativa è realizzata in partnership con Confindustria Serbia, Iccrea BancaOice, Confindustria Servizi Innovativi, con la collaborazione del Maeci. Le informazioni sul Business Forum e le modalità di adesione sono presenti sul sito www.serbiabusinessforum.it

  • Ue, Russia e Ucraina a confronto sulle forniture di gas

    Nuovo round di colloqui trilaterali tra Unione europea, Mosca e Kiev a Bruxelles sul transito del gas attraverso l’Ucraina. In agenda, le questioni del prezzo del gas, dei volumi, della durata e del quadro giuridico, con l’obiettivo di raggiungere un nuovo accordo sulle forniture il prima possibile. Il contratto esistente tra Mosca e Kiev scadrà infatti alla fine del 2019, e si vuole scongiurare che la Russia chiuda definitivamente il passaggio di idrocarburi attraverso l’Ucraina, lasciando i cittadini ucraini senza forniture.

    “Sono passati esattamente sei mesi da quando ci siamo incontrati in questo formato per la prima volta a Berlino, da allora si sono svolti un paio di colloqui a livello di esperti ed è tempo di fare un bilancio e discutere la via da seguire sui parametri chiave concordati – ha sottolineato il commissario Ue all’Energia, Maros Sefcovic -. Abbiamo bisogno di un forte impegno da entrambe le parti”. Al tavolo, oltre a Sefcovic, saranno presenti anche il ministro ucraino degli Esteri, Pavlo Klimkin, il ministro dell’Energia russo, Alexander Novak, e i rappresentanti di Naftogaz per l’Ucraina e Gazprom per la Russia, le due compagnie nazionali del gas. Una portavoce dell’Ue nei giorni scorsi ha negato le voci sulla possibile rinuncia di Gazprom a partecipare.

    Intanto,  il numero uno di Gazprom, Alexey Miller, ha reso noto che la costruzione di un braccio settentrionale lungo 403 chilometri del gasdotto TurkStream sarà completata in Serbia entro la fine del 2019. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa serba Beta, Miller ha specificato che il gasdotto attraverserà il confine tra Bulgaria e Serbia per poi procedere verso Nord, fino al confine serbo-ungherese. Miller ha anche assicurato che tutte le questioni relative al trasporto di gas saranno risolte in linea con la legislazione serba e dell’Unione europea. Ieri, durante una visita ufficiale a Belgrado, il presidente russo Vladimir Putin aveva affermato che la Russia è favorevole all’estensione al Paese balcanico del progetto Turkish Stream e che Mosca è pronta a investirvi 1,4 miliardi di dollari. Putin aveva anticipato che il progetto potrebbero essere esteso anche ad altri Paesi europei. Da parte sua, il presidente serbo Aleksandar Vucic ha ribadito che “il gas russo è la migliore opzione” per Belgrado e che la Serbia ha fatto tutto il necessario per garantire l’estensione del gasdotto al territorio serbo.

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