sicurezza

  • La lotta contro le frodi e la corruzione ai danni del budget europeo nel nuovo episodio di UÈ! che Podcast

    È possibile ascoltare il nuovo episodio di UÈ! che Podcast per scoprire come l’Unione europea lavora ai casi di frode e corruzione ai danni del budget europeo, insieme a Rita Di Prospero, Capo unità di intelligence e analisi operativa di OLAF, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode.

    L’OLAF si muove a livello transnazionale per assicurarsi che i soldi dell’Ue, erogati sotto forma di fondi, non siano utilizzati illegalmente. Dagli scambi di merci tra stati alle indagini interne, le segnalazioni di casi sospetti possono essere effettuate dagli uffici che si occupano della gestione dei fondi europei, dagli operatori economici ma anche dai cittadini stessi. Si tratta quindi di uno strumento di controllo e verifica che lavora a stretto contatto con le autorità nazionali per portare a termine indagini molto importanti: lo dimostrano le ricerche sui recenti casi di frode legati all’arrivo di dispositivi di protezione individuale durante la pandemia Covid-19, che hanno portato al sequestro di oltre 44 milioni di articoli. E poiché frode e criminalità non conoscono confini, vengono messe in atto anche operazioni congiunte con paesi terzi per indagare su traffici mondiali di prodotti specifici quali, ad esempio, pesticidi contraffatti.

    Un impegno che si coordinerà al lavoro della nuova Procura Europea (EPPO), organo indipendente dell’Unione, di cui fanno parte 22 paesi membri, diventato operativo dal 1 giugno 2021 per svolgere indagini e azioni penali a protezione del budget europeo contro attività illegali.

    Ascoltando il podcast si saprà come l’Unione europea agisce nella lotta alle frodi e alla corruzione al budget europeo.

    Fonte: Commissione europea

  • Sicurezza dei giocattoli: la Commissione limita la presenza di una sostanza nociva

    La Commissione ha adottato una modifica della direttiva sulla sicurezza dei giocattoli per limitare la presenza di anilina, sostanza sospettata di proprietà cancerogene, in alcuni materiali colorati per giocattoli. I nuovi limiti contribuiranno a ridurre in modo significativo l’esposizione dei bambini a questa sostanza, che è una componente dei coloranti tessili, del cuoio e dei colori a dita e può pertanto essere presente nei giocattoli che i bambini più piccoli potrebbero mettere in bocca.

    La modifica presentata propone un limite di 10 mg/kg per l’anilina presente nei colori a dita, se disponibile in forma libera, e di 30 mg/kg per l’anilina rilevata nei materiali tessili o in cuoio dei giocattoli, che è la concentrazione più bassa alla quale la sostanza può essere rilevata con un test specializzato quando fa parte di altre miscele.

    La direttiva sulla sicurezza dei giocattoli stabilisce i criteri di sicurezza che i giocattoli devono soddisfare per poter essere commercializzati nell’UE. L’emendamento odierno fa seguito a una consultazione pubblica sui limiti dell’anilina svoltasi nel 2020. A seguito del voto favorevole del comitato per la sicurezza dei giocattoli del 16 dicembre 2020 e di un periodo di controllo di 3 mesi per il Parlamento europeo e il Consiglio, la Commissione ha ora adottato la modifica. Dopo essere stati adottati, i nuovi valori limite sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’UE e applicati 18 mesi dopo in tutti gli Stati membri.

  • Videocamere di fabbricazione cinese: dopo la denuncia di Report il governo italiano faccia luce

    La trasmissione Report di lunedì scorso ha evidenziato e denunciato i gravi problemi connessi all’utilizzo di videocamere di controllo di fabbricazione cinese anche in aree molto sensibili, telecamere in grado di trasmettere in Cina dati riservati o comunque potenzialmente utilizzabili dai cinesi. Il Patto Sociale, in diversi articoli, ha più volte evidenziato come la Cina utilizzi all’estero strumenti che si possono definire di spionaggio mentre sul proprio territorio produce attraverso veri e propri campi di lavoro forzato. La nostra redazione, ricordando anche gli interventi al Parlamento europeo dell’on. Cristiana Muscardini e le confuse ed inutili risposte della Commissione europea, si augura che il governo italiano, presa visione dei documenti forniti da Report, si attivi, in Italia ed in Europa, per fare luce sui fatti denunciati e per impedire che, nel presente e nel futuro, atteggiamenti lassisti o interessi economici distorti, creino problemi all’Italia, all’Europa, ai singoli ed alla collettività.

  • Nel 2020 boom di richieste di aiuto da parte delle donne (+72%)

    Nel 2020, l’anno della pandemia, la permanenza forzata in casa di molte donne si è tramutata in un vero e proprio inferno. Il numero delle violenze di partner e conviventi ha fatto saltare l’asticella delle richieste di aiuto al 1522, il numero antiviolenza e stalking. Tra marzo e ottobre dell’anno scorso – ha certificato e in qualche modo ribadito il 2/o Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia, realizzato dal Censis e da Federsicurezza – le chiamate sono state 23.071, aumentate del 72% rispetto alle 13.424 dello stesso periodo del 2019.

    Ma l’aumento della paura e dell’ansia ha interessato un po’ tutti gli italiani, condizionandone fortemente la qualità della vita: il 75,8% ha paura di camminare per strada e di prendere i mezzi pubblici di sera, l’83,8% teme di frequentare luoghi affollati, l’88,5% di incontrare persone sconosciute sui social network, il 76,3% ha paura di condividere immagini sul web e il 22,5% di stare a casa da soli di notte. Il tutto in un contesto composto da oltre 6 milioni di italiani che ha paura di tutto, i cosiddetti ‘panofobici’, persone che in casa o fuori vivono costantemente in stato d’ansia. E tra questi prevalgono le donne (18%), seguite a ruota dalle persone con meno di 35 anni (16,3% pari a 1,7 milioni).

    La presenza della paura in realtà cozza con un drastico calo (-19%) delle denunce per reati (1.866.857) rispetto al 2019. Nonostante ciò per due terzi degli italiani (il 66,6% del totale) la paura di rimanere vittima di un reato non è diminuita e per il 28,6% è addirittura aumentata. Un settore in crescita è il cybercrime, con 241.673 truffe e frodi informatiche, il 13,9% in più rispetto all’anno precedente. E il risultato è che un italiano su tre non si sente sicuro quando fa operazioni bancarie online o usa sistemi di pagamento elettronici per acquisti in rete. Secondo lo studio il 50,5% degli italiani esprime fiducia nelle guardie giurate e negli operatori della sicurezza privata, “ma – ha detto durante la presentazione del rapporto il consigliere di Federsicurezza Alberto Ziliani – il 55,7% è convinto che il settore avrebbe bisogno di un maggiore riconoscimento sociale”. “In termini di sicurezza – ha evidenziato la deputata di Forza Italia Annagrazia Calabria, vicepresidente della Commissione Affari costituzionali della Camera – le parole chiave devono essere prevenzione e sussidiarietà, affinché si crei una sistema integrato di tutela che poggi anche sui privati, adeguatamente formati”.

    “E’ necessario investire sulla fiducia dei cittadini”, ha avvertito il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni (Lega). “E’ un tema importante quello della sicurezza integrata, sia quando si parla della propria abitazione che dell’intero Paese. E tutto deve andare di pari passo con il concetto di libertà. Anche per questo va difeso il settore della sicurezza privata, con le sue 1.700 aziende e i 70mila lavoratori che diventano 200mila se si tiene conto dell’indotto”. Nella sicurezza “serve integrazione tra pubblico e privato e le competenze debbono aumentare, visto anche l’aumento delle tecnologie”, ha rimarcato Alberto Pagani (Pd) della Commissione Difesa della Camera.

  • 4.000 morti in meno sulle strade dell’UE nel 2020

    La Commissione europea ha pubblicato oggi i dati preliminari sui decessi a seguito di incidenti stradali per il 2020. Secondo le stime, l’anno scorso 18 800 persone hanno perso la vita in incidenti stradali, una riduzione annua senza precedenti pari al 17% rispetto al 2019. Ciò significa che, rispetto al 2019, nel 2020 i decessi stradali nell’UE sono diminuiti di circa 4 000 unità. La diminuzione dei volumi di traffico, dovuta alla pandemia di COVID-19, ha avuto un impatto chiaro, anche se non misurabile, sul numero di decessi a seguito di incidenti stradali.

    Nell’ultimo decennio, tra il 2010 e il 2020, il numero di decessi per incidenti stradali è diminuito del 36%, una percentuale non sufficiente a raggiungere l’obiettivo di diminuire del 50% il numero di morti entro tale periodo. Tuttavia, con 42 morti per incidenti stradali per milione di abitanti, l’UE resta il continente con le strade più sicure. A titolo di confronto, la media mondiale è superiore a 180.

    Sulla base dei dati preliminari, nel 2020 18 Stati membri hanno registrato il minimo storico per quanto riguarda i decessi in incidenti stradali. Nell’UE i morti sono diminuiti in media del 17 % rispetto al 2019, anche se la riduzione è lungi dall’essere uniforme, con le diminuzioni maggiori (pari o superiori al 20 %) registrate in Belgio, Bulgaria, Danimarca, Spagna, Francia, Croazia, Italia, Ungheria, Malta e Slovenia. Per contro, cinque Stati membri (Estonia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo e Finlandia) hanno registrato un aumento delle vittime, anche se questo dato nei paesi più piccoli tende a oscillare di anno in anno.

    Se si considera un periodo più esteso, tra il 2010 e il 2020, il numero di morti sulle strade europee è diminuito del 36%, percentuale inferiore al 50% previsto dall’obiettivo dell’UE. Solo la Grecia (54 %) ha superato l’obiettivo, seguita da Croazia (44 %), Spagna (44 %), Portogallo (43 %), Italia (42 %) e Slovenia (42 %). Complessivamente, nove Stati membri hanno registrato un calo uguale o superiore al 40%.

    L’andamento senza precedenti del 2020 ha determinato alcuni cambiamenti nella classifica dei tassi di mortalità nei vari paesi: la Svezia resta il paese dalle strade più sicure (18/milione), mentre la Romania quello con il più alto numero di decessi (85/milione). La media UE si è attestata su 42/milione.

    La diminuzione dei volumi di traffico, dovuta alla pandemia di COVID-19, ha avuto un impatto chiaro, anche se non misurabile, sul numero di decessi a seguito di incidenti stradali. Tuttavia, i dati preliminari degli Stati Uniti indicano ad esempio un netto incremento dei decessi nel 2020, malgrado volumi di traffico inferiori. Anche in alcuni paesi dell’UE è stato segnalato in effetti un aumento dei comportamenti a rischio, in particolare dell’eccesso di velocità, durante i periodi di lockdown.

    La bicicletta ha acquisito sempre maggiore popolarità e in tutto il mondo molte città hanno (temporaneamente) riassegnato spazio stradale a ciclisti e pedoni. Questi sviluppi incoraggianti possono avere un notevole impatto positivo sulla qualità dell’aria e sui cambiamenti climatici e, nel contempo, generare nuove sfide in materia di sicurezza stradale.

    In tutta l’UE, in circa il 70 % degli incidenti stradali mortali nelle aree urbane sono coinvolti utenti della strada vulnerabili, tra cui pedoni, motociclisti e ciclisti. Affrontare la questione della sicurezza stradale nelle città è pertanto un compito prioritario e la Commissione intende garantire che la sicurezza stradale sia presa in considerazione in tutte le fasi della pianificazione della mobilità urbana. La sicurezza stradale costituirà un elemento importante della nuova iniziativa sulla mobilità urbana che la Commissione presenterà entro la fine dell’anno. A questo proposito due capitali europee, Helsinki e Oslo, hanno raggiunto il traguardo di azzerare la mortalità di pedoni e ciclisti nel 2019, considerando la riduzione della velocità come essenziale per compiere progressi.

    Questi dati saranno pubblicati in occasione della conferenza dell’UE sui risultati in materia di sicurezza stradale, che riunisce i responsabili politici, la società civile e gli operatori della sicurezza stradale per valutare la situazione attuale nell’UE in tale ambito e il modo migliore per compiere i prossimi passi verso l’obiettivo “zero vittime” (Vision Zero).

    Fonte: Commissione europea

  • More guns than people: Why tighter U.S. firearms laws are unlikely

    WASHINGTON (Reuters) – President Joe Biden announced limited measures to tackle gun violence in the United States last week, but more ambitious steps will be harder to enact despite widespread public support.

    Here are some facts about gun violence in the United States:

    HOW MANY AMERICANS OWN GUNS?

    With about 121 firearms in circulation for every 100 residents, the United States is by far the most heavily armed society in the world, according to the Geneva-based Small Arms Survey, a research group.

    However, gun ownership is becoming less common across the country. One in three U.S. households owned firearms in 2016, down from nearly half in 1990, according to the RAND Corp think tank. Ownership varies significantly by state: 66% of Montana households owned firearms, compared with just 8% in New Jersey.

    WHAT SORT OF LAWS GOVERN FIREARMS?

    The Second Amendment of the U.S. Constitution enshrines the “right to bear arms,” which the Supreme Court has interpreted to allow individuals to keep handguns at home for self-defense. The conservative-leaning court may soon decide whether gun owners can carry guns outside the home.

    The federal government requires most gun buyers to clear a criminal background check and tightly regulates ownership of machine guns, which are fully automatic, and silencers.

    Most other gun laws are set at the state level, where policies vary widely here.

    Many Democratic-dominated states have tightened their laws in recent years.

    California, for example, has banned military-style semi-automatic “assault weapons” and large-capacity magazines and has the most robust “red flag” system, which allows authorities to take firearms away from people determined to be dangerous.

    The state also prohibits people from carrying loaded firearms in public — a practice known as “open carry” — and gun owners must get a permit before carrying a concealed loaded weapon.

    Gun laws are much more permissive in rural states, including Idaho, Kentucky and Wyoming.

    Mississippi has the most permissive U.S. laws, according to the Giffords Law Center, a gun-control group. Residents of that state do not need a permit to carry loaded weapons, whether openly or concealed, and sales of “assault weapons” and large-capacity magazines are legal. Buyers do not face waiting periods and the state does not have a red-flag law.

    Mississippi and 28 other states also have enacted “Stand Your Ground” laws that allow people to use deadly force when they feel threatened.

    WHAT IMPACT DOES THIS HAVE?

    Americans aren’t necessarily more violent than other cultures – but their disputes are more likely to turn deadly, expert say.

    University of Iowa criminology professor Mark Berg found the rates of assault in the United States are similar to other countries, but homicide rates are higher due to the prevalence of guns.

    Firearms were a factor in 39,740 U.S. deaths in 2018, according to the Centers for Disease Control and Prevention (CDC), similar to the number caused by motor-vehicle accidents. Suicides account for six out of 10 gun deaths.

    WILL GUN LAWS CHANGE?

    Gun rights are one of the most divisive issues in American politics. Supporters see firearms as an important tool for self-defense, target shooting and hunting, as well as a powerful symbol of individual rights. Critics say America’s permissive approach leads to tens of thousands of deaths each year.

    High-profile mass shootings have increased public pressure to tighten regulations. Most Americans support here tougher gun laws, according to Reuters/Ipsos polling, but Washington has done little to address the problem in recent years.

    One reason: Small, rural states where gun ownership is widespread have disproportionate influence in the U.S. Senate, where a supermajority of 60 votes is needed to advance most legislation in the 100-seat chamber.

    The Democratic-controlled House of Representatives passed legislation expanding background checks last month, but it faces long odds in the Senate, which is split 50-50 between the two parties.

    With Congress deadlocked, presidents have acted on their own.

    After a 2018 mass shooting in Las Vegas that killed 58 people, then-President Donald Trump banned “bump stocks” that allow semi-automatic rifles to fire at a rate similar to automatic ones.

    But Trump, a Republican, also made it easier for people with mental illness to buy guns.

    Biden, a Democrat, aims to tighten regulations on self-assembled “ghost guns” that currently can be sold without serial numbers or background checks and to make it easier for states to adopt red-flag laws.

    CHANGING POLITICS?

    The political landscape may be changing. The National Rifle Association (NRA) has been one of the most influential gun rights lobbying groups in Washington for decades, but has been hobbled in recent years by infighting. The group recently filed for bankruptcy in an attempt to stave off a legal challenge in New York.

    The NRA gave $30 million to candidates in the 2020 presidential and congressional elections, down from $55 million in 2016, according to the Center for Responsive Politics.

    Meanwhile, advocacy groups like Moms Demand Action that back stronger restrictions have stepped up lobbying expenses over the past decade, though they still trail gun-rights groups as a whole.

    Reporting by Andy Sullivan; Additional reporting by Lawrence Hurley; Editing by Scott Malone and Jonathan Oatis

  • La Commissione europea prepara un ‘cyber-scudo’ per difendere la Ue dagli attacchi

    La Commissione di Bruxelles lavora alla realizzazione di un ‘cyber-scudo’ per rafforzare la risposta agli attacchi informatici e alle interferenze straniere su infrastrutture critiche. “Soggetti statali e non statali usano le tecnologie per infrangere lo stato di diritto per obiettivi politici, la minaccia è reale e ogni giorno diventa più importante”, ha detto l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell presentando la nuova strategia Ue per la sicurezza informatica. “Nel 2019 si sono registrati 450 incidenti che hanno coinvolto infrastrutture critiche, come il settore energetico e finanziario”, ha spiegato. Nel corso della presentazione è stato citato anche il recente attacco contro l’Ema, l’agenzia europea per i farmaci, che sta lavorando per dare il via libera ai vaccini anti-Covid.

    La Commissione propone quindi di avviare un network di centri per la sicurezza informatica, supportati dall’intelligenza artificiale, per creare uno scudo di sicurezza in grado di prevenire e rispondere tempestivamente agli attacchi. Inoltre a febbraio la Commissione presenterà una nuova Unità per la sicurezza informatica per la condivisione di dati tra più istituzioni.

    “Abbiamo un regime di sanzioni già attivo – ha ricordato Borrell – e utilizzato a luglio e ottobre, contro quattro organizzazioni supportate da Russia, Cina e Nord Corea”. Borrell ha inoltre rivolto un inviato al Consiglio Ue affinché si possano prendere decisioni sulle sanzioni a maggioranza qualificata per accelerare e rendere più efficace il sistema.

    All’interno del piano per la lotta contro gli hacker, la Commissione Ue propone di riformare la direttiva Nis, sulla sicurezza della rete, per rafforzare i requisiti a cui devono attenersi imprese e fornitori di servizi e anche misure di controllo più rigorose per le autorità nazionali.

    “Sappiamo di essere un obiettivo per attacchi informatici e stiamo lavorando a delle risposte, ad esempio con un sistema di solidarietà Ue per rispondere quando uno stato membro viene colpito” ha detto il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas durante la conferenza stampa. Inoltre, Bruxelles sta lavorando ad una nuova normativa per aumentare il livello di resilienza delle infrastrutture critiche: ospedali, reti energetiche, ferrovie, banche, pubbliche amministrazioni, laboratori di ricerca e produzione di dispositivi medici e medicinali.

    L’esecutivo Ue intende poi rafforzare la cooperazione con organizzazioni internazionali e Paesi terzi per assicurare uno spazio internet sicuro a livello globale. Il costo annuo del crimine informatico per l’economia globale è stimato arrivare a 5.500 miliardi di euro entro la fine del 2020, il doppio rispetto al 2015. A causa della pandemia, il 40% dei lavoratori è passato allo smart working e due quinti degli utenti ha riscontrato problemi di sicurezza, un’azienda su 8 è stata colpita da attacchi informatici.

  • Downing Street decide spese militari da record

    Un piano multimiliardario di spese militari extra come non si vedeva da 30 anni: per tutelare “la sicurezza dei britannici”, per condividere di più “le responsabilità globali con gli alleati” della Nato e per “estendere l’influenza del Regno Unito” del dopo Brexit in un mondo “mai così pericoloso e intensamente competitivo dal tempo della Guerra Fredda”. Boris Johnson chiama alle armi i sudditi di Sua Maestà e promette una pioggia di sterline sia per “modernizzare” gli arsenali convenzionali e il deterrente nucleare, sia per affrontare con “tecnologie all’avanguardia” le nuove sfide della cyber difesa, della competizione spaziale e dell’intelligenza artificiale applicata agli apparati bellici.

    L’annuncio – secondo colpo a effetto in due giorni dopo quello della rivoluzione industriale verde che dovrebbe segnare la fine dell’era delle auto a benzina e diesel per il 2030 – arriva di fronte alla Camera dei Comuni. Con il premier Tory costretto al collegamento video dall’isolamento imposto dalle cautele Covid, ma deciso comunque a provare a ridare lustro all’immagine del proprio governo a dispetto delle faide interne, delle polemiche sull’emergenza coronavirus, delle incognite sui cruciali negoziati con l’Ue sulle relazioni future. Sul piatto spuntano 16,5 miliardi spalmati in 4 anni da sommare ai 24,1 previsti nel medesimo arco di tempo come incremento base del budget per le forze armate di uno 0,5% superiore all’inflazione: fino a un totale di oltre 40 miliardi aggiuntivi e a una somma finale stimata da qui al 2024 a 190 miliardi di sterline (212 miliardi di euro), ossia al 2,2% del Pil. Una quota superiore al 2% chiesto dall’Alleanza Atlantica a tutti gli Stati membri e destinata a consolidare tanto il primato europeo del Regno quanto il suo secondo posto dietro ai soli Stati Uniti negli stanziamenti per la difesa in cifra assoluta fra i partner Nato. Non senza la prospettiva parallela di stimolare 40.000 posti di lavoro grazie alle commesse militari, dalla cantieristica navale all’industria aerospaziale.

    Per BoJo ne va della necessità di “fermare il declino” e della possibilità di difendere gli interessi e i valori del Regno come dello scacchiere occidentale in una realtà nella quale – seguendo la sua narrativa – vi sono “nemici” (non citati apertamente, ma fra cui sembra scontato evocare il profilo fra gli altri di Cina o Russia) che tramano “in modo sempre più sofisticato, incluso nel cyberspazio”.  “Ho preso la decisione” di avviare questo programma “generazionale”, epocale, “in faccia alla pandemia poiché il settore della difesa è prioritario”, ha proclamato il premier ai deputati, elencando fra i vari progetti in nuce la creazione di un’agenzia militare ad hoc che si occuperà d’intelligenza artificiale, lo sviluppo di una National Cyber Force, la costituzione di una nuova struttura di comando delle Forze Spaziali incaricata di lanciare un primo razzo vettore con l’Union Jack nel 2022.

    Limitarsi a “sperare in bene” dinanzi alle minacce del “terrorismo” o degli “Stati ostili” non è del resto un’opzione prudente, nel messaggio di Johnson. Che intanto non esita a snobbare il ritiro dall’Afghanistan annunciato dall’amico uscente Donald Trump, riservandosi di discutere della sicurezza di quel Paese e del futuro dei contingenti britannici in altre aree di conflitto con i nuovi “amici americani dell’amministrazione eletta” di Joe Biden.

    Il tutto sullo sfondo di una retorica da neo-guerra fredda, o quasi, che neppure l’opposizione laburista – passata dalle mani del pacifista Jeremy Corbyn a quelle dell’uomo d’ordine sir Keir Starmer – contesta, salvo rimproverare a Boris di essere carente nella “strategia” al netto dei “grandi annunci”. E che nelle parole di plauso del deputato Tom Tugendhat, imitatore Tory dei neocon Usa modello George W. Bush, diventa l’occasione per riesumare lo spauracchio del pericolo rosso. “Non potremo spendere più dei comunisti” neppure con queste risorse, sospira Tugendhat riferendosi apparentemente al bilancio militare di Pechino; ma “abbiamo il dovere di essere più aggiornati” di loro.

  • Pratiche scorrette di geolocalizzazione: l’Australia fa causa a Google

    L’Australia porta Google in tribunale per le pratiche adottate per raccogliere i dati di geolocalizzazione.
    L’Australian Consumer Commission (ACC) ha intentato infatti un’azione legale accusando il colosso dell’elettronica perché indurrebbe in errore il pubblico sulle modalità con le quali vengono raccolti, conservati e utilizzati i dati sulla posizione. In particolare, la società non ha informato i consumatori della necessità di cambiare due impostazioni Android qualora desiderassero che la società interrompesse il monitoraggio della propria posizione. Oltre alla “Cronologia delle posizioni”, anche “Attività web e app” può segnalare la posizione.
    Google ha risposto che la società sta esaminando il caso e non ha affrontato le accuse nella sostanza. La prima udienza è prevista per il 14 novembre.

  • Snowden chiede asilo in Francia

    “La cosa più triste di tutta questa storia è che l’unico posto in cui un informatore americano ha la possibilità di essere ascoltato non è in Europa ma qui in Russia”, così Edward Snowden in un’intervista rilasciata alla radio Inter France e trasmessa lunedì scorso. Partito dapprima per Hong Kong, nel paese asiatico ha sollecitato l’assistenza di Wikileaks per trovare rifugio a Mosca dove si trova da quando sono trapelati documenti secretati che rivelano informazioni sul sistema di sorveglianza degli Stati Uniti dopo l’11 settembre. La prova era stata accompagnata da una presentazione in PowerPoint di 41 diapositive che dimostravano come la NSA avesse effettuato una ‘sorveglianza di massa’ sui cittadini americani. Washington aveva da subito accusato Snowden di mettere in pericolo migliaia di agenti statunitensi mentre svela il PRISM, ovvero un sistema di sorveglianza elettronica utilizzato dalla NSA e dalla CIA che proprio Snowden ha contribuito a sviluppare. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti sotto il presidente Barack Obama aveva revocato il suo passaporto e lo aveva accusato di violare l’Espionage Act.  La prima domanda di asilo di Snowden in Francia è stata respinta nel 2013, durante la presidenza di Francois Hollande, adesso il fuggitivo spera che il presidente Emmanuel Macron possa rivedere il suo caso.

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