sicurezza

  • Bando per la ricerca sanitaria ‘Benessere animale e sicurezza alimentare’ per sviluppare studi rilevanti

    Con il Bando della ricerca finalizzata 2019, il Ministero della Salute mette a disposizione 100 milioni di euro per la ricerca sanitaria.
    Possono presentare progetti di ricerca di durata triennale tutti i ricercatori del Servizio sanitario nazionale “che abbiano un esplicito orientamento applicativo e l’ambizione di fornire informazioni utili ad indirizzare le scelte dell’assistenza sanitaria pubblica, dei pazienti e dei cittadini”.
    Le risorse economiche sono relative agli anni finanziari 2018 e 2019, sulla base del Programma nazionale della ricerca sanitaria 2017-2019.
    Giovani ricercatori- Il bando prevede diverse tipologie progettuali. Due tipologie di progetti sono state dedicate ai giovani ricercatori di età inferiore ai 40 anni e per gli “starting grant” sotto i 33 anni di età. Ai progetti dei giovani ricercatori sono destinati 50 milioni di euro.
    Sviluppare studi rilevanti per la sanità e benessere animale e per la sicurezza alimentare – Fra le finalità dei progetti figura lo sviluppo di  studi rilevanti per la sanità e benessere animale e per la sicurezza alimentare: ricerca applicata (change-promoting) o progetti finalizzati all’acquisizione di nuove conoscenze (“theory-enhancing”). Il Programma nazionale della ricerca sanitaria contempla obiettivi di  miglioramento dello stato di salute degli animali, sia domestici che allevati, e il mantenimento di livelli elevati di sicurezza alimentare, in un approccio integrato di “one health”.
    La ricerca in sanità animale – è scritto nel Programma nazionale- ha contribuito largamente allo sviluppo dell’innovazione avendo come obiettivi l’incremento delle garanzie per la sicurezza alimentare, l’aumento della produttività zootecnica, il miglioramento del benessere animale e la riduzione dell’impatto delle produzioni zootecniche sull’ambiente. La ricerca in sanità veterinaria ha legami con la società, l’economia, l’ambiente e lo sviluppo tecnologico sono indiscussi ed in continuo mutamento. E’ necessario inoltre promuovere maggiormente la ricerca applicata concernente la salute e il benessere degli animali, i cui risultati possono integrarsi con la ricerca condotta sull’uomo ed offrire soluzioni a problemi concreti come: il cambiamento climatico responsabile di sollecitazione termica; il controllo e la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nel settore dell’allevamento; l’uso di mangimi non convenzionali; le malattie sia nuove che recidivanti; la possibilità di controllare la propagazione di zoonosi nell’ambiente; le procedure standardizzate e la moltiplicazione degli strumenti in azienda per una diagnosi e un controllo precoci e rapidi delle malattie; l’analisi dei meccanismi di difesa; lo studio delle razze più resistenti; lo sviluppo di nuove caratteristiche sanitarie per gli animali; lo sviluppo di modelli di allarme precoce; gli indicatori oggettivi e pratici di benessere che si potrebbero utilizzare nei sistemi facoltativi di gestione agricola; l’ottimizzazione delle caratteristiche di comportamento/benessere; le nuove caratteristiche per il comportamento/il benessere degli animali. Inoltre, è importante garantire un’adeguata ricerca nello sviluppo di nuovi agenti antimicrobici e di alternative per curare gli animali.
    Presentazione dal 16 settembre- Sono on line le procedure di presentazione dei progetti a partire dal 16 settembre. La data ultima per l’invio del
    progetto al Ministero della salute da parte del destinatario istituzionale, è il 27 novembre 2019.

     

    Fonte: @nmvioggi.it

  • I siti della pubblica amministrazione italiana sono più pericolosi di Facebook per la privacy

    Altro che Facebook, la vera minaccia per la tutela dei nostri dati sono i siti web dello Stato italiano! Cinquantaquattro compagnie che si occupano di pubblicità online hanno infatti accesso ai dati di quanti utilizzano le pagine web di strutture pubbliche, dal Ministero dell’Economia e Finanze al Comune di Milano. A segnalare il pericolo, che rappresenta anche una violazione del regolamento europeo sulla tutela dei dati personali Gdpr, è l’azienda danese Cybot che ha passato in rassegna pagine web di 22 siti della pubblica amministrazione italiana. La strutturazione di tali siti, secondo l’indagine, è stata fatta con estrema imperizia: nel cercare di facilitare la navigazione all’utente si sono lasciate aperte possibilità di accesso che non dovrebbero esserci e che risultano ignote (o ignorate) agli enti a cui i siti fanno capo. Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e Agenda Digitale risultano di contro siti che tutelano pienamente la privacy di chi vi accede.

     

  • Il controllo facciale? Una meraviglia sull’iPhone, una minaccia in mano allo Stato

    La tecnologia aiuta a vivere meglio, è indubbio (a parte la fatica di imparare a usarla), ma quando finisce in mano allo Stato possono essere guai. La tecnologia facciale, come ben sa chi ha gli ultimi modelli di iPhone, consente di essere riconosciuti come titolari del proprio cellulare e attivarlo, escludendo che altri possano farlo. Ottimo, comodo, non c’è che dire. Ma la tecnologia facciale può anche essere usata ad altri fini, in alcuni Paesi è già così e l’Italia potrebbe prendere esempio.

    In Cina la tecnologia facciale viene già utilizzata per la ricerca di sospetti colpevoli: Mr Ao è stato individuato tra 60mila persone ad un concerto e arrestato in quanto ricercato per reati economici. L’Italia, che con questo governo ha stretto rapporti talmente buoni con Pechino (nuova via della seta) da suscitare forti perplessità in Europa ed Usa, potrebbe fare altrettanto. Una volta che una faccia sia stata ripresa da una telecamera, il controllo facciale consente di riscontrare se una certa persona è esattamente quella con quella faccia oppure no. Anche qui, si può pensare che la tecnologia sia utile ai fini investigativi e che tali fini rendano lecito usare simili tecnologie. Il problema, però, è che nulla vieta – il timore è stato espresso anche da Aldo Cazzullo su Style Magazine – che l’autorità si faccia prendere un po’ troppo la mano, visto quanto è comodo il controllo facciale, ad esempio utilizzandolo per identificare chi posteggia in doppia fila (atteggiamento non dei più commendevoli, d’accordo, ma talmente grave da giustificare un controllo simile? La pubblica amministrazione, prima di addossare colpe e multe, non dovrebbe provvedere a garantire parcheggi visto che nessuna Greta o sforzo ambientalista rende possibile ad oggi far scomparire le auto?).

    Le telecamere, sempre più numerose, che vigilano su luoghi pubblici sollevano già problemi di privacy (d’accordo la tutela della sicurezza, ma questo autorizza a registrare le facce di tutti e archiviare i relativi dati?), il controllo facciale lascia supporre che si creino immensi database/archivi con le facce di ciascuno di noi, per tempi indefiniti (perché ovviamente per usare il controllo facciale occorre avere una persona in carne ed ossa ed una faccia di cui si ha l’immagine da raffrontare). E creare questi immensi database non significa supporre che ciascuno di noi sia un potenziale colpevole non ancora scoperto. Il magistrato Piercamillo Davigo la pensa esattamente così (ma di solito circoscrive questa idea a quanti hanno a che fare con denaro pubblico e possono corrompere o essere corrotti, non la formula nei confronti di tutti indiscriminatamente), la Costituzione italiana all’articolo 27 dice che non si può ritenere colpevole nessuno neanche quando nei suoi confronti si è già arrivati a processo fino a sentenza definitiva e non più contestabile in altro tribunale. Ma se non è possibile pensare che sia colpevole chi è indagato/sotto processo, come si può sospettare chi neanche è indagato o sotto processo (certo, potrebbe compiere qualcosa di più o meno illegale nell’arco della sua vita, ma se vale questo ragionamento allora per la stessa logica securitaria dovrebbero essere incarcerati tutti i figli di coloro che siano stati ritenuti colpevoli di qualche reato).

  • Medicinali falsificati: nuove norme per migliorare la sicurezza dei pazienti

    Ancora un passo da parte dell’Unione europea per tutelare la sicurezza dei cittadini davanti in presenza di truffe e contraffazioni. Dal 9 febbraio, infatti, si applicheranno le nuove norme sulle caratteristiche di sicurezza per i medicinali soggetti a prescrizione nell’UE. Per troppo tempo la falsificazione dei medicinali ha rappresentato una grave minaccia per la salute pubblica nell’UE. D’ora in poi l’industria dovrà apporre alle confezioni dei medicinali soggetti a prescrizione un codice a barre bidimensionale e un dispositivo anti-manomissione. Le farmacie (comprese quelle online) e gli ospedali dovranno verificare l’autenticità dei medicinali prima di dispensarli ai pazienti. Si tratta della fase finale di attuazione della direttiva sui medicinali falsificati, adottata nel 2011, che mira a garantire la sicurezza e la qualità dei medicinali venduti nell’UE.

    I medicinali privi di caratteristiche di sicurezza, prodotti prima di sabato 9 febbraio 2019, possono anche restare sul mercato fino alla data di scadenza, ma in base al nuovo sistema di verifica a monte e a valle le persone autorizzate (in particolare farmacisti e ospedali) dovranno verificare, lungo tutta la catena di fornitura, l’autenticità dei prodotti. Il nuovo sistema consentirà agli Stati membri di tracciare meglio i singoli medicinali, in particolare qualora uno di essi susciti perplessità.

  • Lo spray urticante? In vendita a chi abbia 16 anni

    Una confezione da 20 ml di spray al peperoncino costa dai 10 ai 30 euro e uno studente su 2 (il 48% per l’esattezza) l’ha utilizzata, secondo un sondaggio di Skuola.net tra 6500 alunni. Ideata come strumento di difesa da aggressioni,  la bomboletta di spray urticante è in vendita dal 2009 solo per chi abbia almeno 16 anni e una volta utilizzata, a una distanza fino a 3 metri,  provoca bruciore, tosse e lacrime per una ventina di minuti (per contrastar negli effetti si può applicare ghiaccio sulle parti colpite e irritate). La tragedia del locale di Ancona ha sollevato dubbi sull’età a cui la si può acquistare e sull’opportunità di restringere i canali di vendita, a tutt’oggi le bombolette possono essere comprate in armeria, farmacia e al supermercato e si trovano facilmente sul web.

  • Meglio un lavoratore ferito di uno monitorato? Ennesimo scandalo immotivato su Amazon

    Cercare di comporre un carrello della spesa ordinato, al supermercato, così da farci stare tutto è esperienza in cui probabilmente è incorso chiunque. Più complicato è comporre il carrello dei materiali che da un magazzino devono essere consegnati a domicilio e quindi anzitutto spediti via camion. Per questo, come sanno quanti hanno qualche conoscenza del mondo della logistica (una minoranza, certo, ché l’argomento non è dei più attraenti), la composizione del ‘carrello della spesa’ di magazzini e depositi viene spesso teleguidata da apparecchiature elettroniche che indicano l’ordine degli articoli da prendere e la collocazione ottimale dove porli. Il braccialetto di Amazon che tanto scandalo sollevò non era altro che un sistema volto a consentire di svolgere con ordine ed efficienza il lavoro di picking. Pur semplicistico, lo scandalo che sollevò non sorprende alla luce della (fisiologicamente) scarsa conoscenza del mondo della logistica. Di contro però, sistemi che guidano chi è preposto alla raccolta degli articoli (e dunque certo lo localizzano e controllano), mirano a garantire la stessa incolumità dell’operatore, nonché a garantire maggior celerità (se le consegne non arrivano per tempo non è solo il cliente finale che aspetta il suo tablet a innervosirsi, scattano anche penali perché l’intera catena di distribuzione va in fibrillazione, basti pensare all’importanza delle consegne sotto Natale per fare un esempio).

    Anche il Corriere della Sera, dopo aver dato spazio al caso dei braccialetti degli addetti di Amazon, fece luce, per aiutare a capire e non per polemizzare, sulla diffusione di sistemi di remote control per le attività di picking. Eppure adesso Amazon torna nel mirino, per una supposta gabbia di cui avrebbe depositato il brevetto nel 2016. Il brevetto, reso noto da uno studio di Kate Crawford (New York University) e Vladan Joler (Università di Novi Sad) riguarda una nuova postazione di lavoro ideata dal colosso di Seattle dotata di pedana in grado di muoversi con un braccio mobile per maneggiare i pacchi e di un joystick per manovrare il braccio. Pensata per trasportare il lavoratore in sicurezza mettendolo al riparo e proteggendolo dalle macchine con cui lavora fianco a fianco, la postazione di lavoro ha però la forma di una gabbia, a cui il lavoratore accede da una semplice porta con serratura che si sblocca solo digitando un codice, e tanto è bastato a suscitare scandalo. Forse che gli incidenti sul lavoro non suscitano scandalo (sacrosanto, al netto di anacronistiche strumentalizzazioni per denunciare lo sfruttamento del proletariato)? Forse che le imbragature che si richiedono per lo svolgimento di certi lavori possano essere seriamente paragonate a catene? No e in effetti non risulta ad oggi che nessuno abbia fatto un simile balzano paragone.

    Comunque sia, per la cronaca il vicepresidente di Amazon Dave Clark ha fatto sapere via Twitter che il brevetto non è mai stato utilizzato perché nel frattempo sono stati messi a punto altri sistemi di protezione dei lavoratori. Tirerà un respiro di sollievo anche il nostrano ministro delle corporazioni (ah no, pardon, dello sviluppo economico e del lavoro insieme), Luigi Di Maio, che nel propugnare la lotta alle aperture domenicali ha auspicato una Amazon del made in Italy (su Twitter gli è stato ricordato che a distribuire il made in Italy tra gli italiani provvede già benissimo l’originale americano coi depositi che ha attivato a Piacenza e in altre località italiane).

    Tanto rumore per nulla dunque? L’ennesima polemica esagerata? Si, verrebbe da dire, quasi riscoprendo come un saggio quel Karl Marx (non proprio un amante del capitalismo) che ammoniva che la storia si presenta una prima volta come tragedia e una seconda come farsa.

  • Polizia di Stato e MM S.p.A. siglano accordo su prevenzione e contrasto dei crimini informatici

    Siglato a Roma l’accordo tra Polizia di Stato e MM S.p.A. per la prevenzione e il contrasto dei crimini informatici che hanno per oggetto i sistemi e servizi informativi di particolare rilievo per il Paese.

    La convenzione, firmata dal Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Franco Gabrielli, e dal Presidente di MM S.p.A., Davide Corritore, rientra nell’ambito delle direttive impartite dal Ministro dell’Interno per il potenziamento dell’attività di prevenzione alla criminalità informatica attraverso la stipula di accordi con gli operatori che forniscono prestazioni essenziali.

    La Polizia Postale e delle Comunicazioni è infatti quotidianamente impegnata a garantire l’integrità e la funzionalità della rete informatica delle strutture di livello strategico per il Paese attraverso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche.

    MM S.p.A., è una delle più grandi e diversificate società d’ingegneria in Italia, in grado di fornire soluzioni su misura nella progettazione e riqualificazione degli ecosistemi urbani e, pertanto, la protezione dei suoi sistemi informatici è da considerarsi necessaria per assicurare il pieno compimento della mission aziendale.

    L’accordo rappresenta una tappa significativa nel processo di costruzione di una fattiva collaborazione tra pubblico e privato: un progetto che, in considerazione dell’insidiosità delle minacce informatiche e della mutevolezza con la quale esse si realizzano, risulta essere strumento essenziale per la realizzazione di un efficace sistema di contrasto al cybercrime, basato quindi sulla condivisione informativa e sulla cooperazione operativa.

    Alla firma della convenzione erano presenti, per il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato Roberto Sgalla e il Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni Nunzia Ciardi, mentre per MM S.p.A. il Direttore IT Nicola Rivezzi.

     

    Fonte: Comunicato stampa di MM Spa del 9 luglio 2018

  • Fake news o scarsa informazione? A un anno dalle Elezioni del 2019 è partita la campagna di comunicazione del Parlamento europeo

    One year to go. E’ lo slogan con il quale è partita ufficialmente la campagna di comunicazione del Parlamento europeo, presentata alla stampa nella sede milanese di Corso Magenta, che porta dritto alle elezioni europee del 2019. Nell’ultimo weekend di maggio del prossimo anno infatti circa 500mila cittadini dell’UE saranno chiamati a eleggere i loro rappresentati a Bruxelles e il Parlamento ha in programma una serie di iniziative per comunicare al meglio le finalità, le potenzialità, le attività e soprattutto il ruolo del Parlamento europeo che, a causa di un sistema informativo troppo spesso dedito al racconto delle peculiarità locali, difficilmente riesce a veicolare.

    E così capita che passino, facendo gran rumore, informazioni scorrette perché si semplifica, volutamente, un argomento complesso e, probabilmente, poco conosciuto, come è capitato pochi giorni fa con Wikipedia che ha deciso di oscurare il sito per dimostrare, urbi et orbi, di combattere una battaglia per principio, dimenticando però un particolare, e cioè che la nuova direttiva europea sul Copyright, approdata in aula a Strasburgo, non la sfiorasse affatto. Non da meno è stata la comunicazione afferente l’ultimo Consiglio europeo. Alzi la mano chi ha letto articoli (un approfondimento sarebbe chiedere troppo!) sul rinnovo delle sanzioni alla Russia, sulle possibili contrapposizioni dell’UE alle decisioni di Trump, o sui negoziati afferenti la Brexit che termineranno a ottobre (confondendo, tutti, la data di uscita della Gran Bretagna dall’UE, 29 marzo 2019, con la fine dei negoziati!)? Niente, o poco, forse sui media esteri, perché a tenere banco è stato il problema ‘migranti in Europa’. Un problema che non solo ha trovato largo spazio sui media nazionali ed internazionali ma che ha messo decisamente in crisi l’Europa stessa e paesi come la Germania, in cui si è temuto per una crisi di Governo, o la Francia, in cui le posizioni proposte da Macron per un’Europa equa e dalla parte dei cittadini, espresse sia in un memorabile discorso alla Sorbona che in precedenza durante la sua trionfale campagna elettorale, stentano a trovare applicazione. A cosa attribuire tanta confusione o a trasformare in prioritari temi che, di fatto, potrebbero essere affrontati senza toni sensazionalistici e con adeguate terminologie e tempistiche? Pressioni lobbiste? Colpa di un populismo dilagante? Forse sì, se unito ad una percezione della gente scaturita da racconti parziali, accentuato anche da una mancata sinergia tra apparati di comunicazione delle Istituzioni europee e una stampa sempre più a caccia di clamore immediato dal quale, poi, risalire, quando e se accade, alla notizia. D’altro canto però se è in crisi un certo modo di essere dell’Unione europea, che ha lasciato e lascia molto potere decisionale agli Stati membri, trasformandosi a sua volta nell’Unione dei Trattati, se un problema come l’immigrazione diventa ‘Il Problema’ vuol dire che i principi sui quali è stata fondata l’idea stessa di Unione europea stanno venendo meno sottolineando l’incapacità di svolgere il proprio ruolo e decretando il prorpio fallimento.

    Per ovviare a questa conseguenza che genera sfiducia e confusione e rendere partecipi i cittadini dell’Unione a quel meraviglioso progetto voluto dai padri fondatori subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il Parlamento europeo sta puntando su un target di utenti di età compresa tra i 20 e i 34 anni, attraverso un ground game, comunicazioni via social e presenza costante sul territorio, per raccontare come l’Europa affronta, e con le proposte dei cittadini, affronterà temi fondamentali e presenti nella vita quotidiana di tutti, e cioè migrazioni, sicurezza, protezione dei consumatori, ambiente, Brexit, diritti umani.

  • Arriva un’analisi dei cyberattacchi alle procedure elettorali

    Un report di FireEye, azienda di intelligence e security, ammonisce sulle minacce rivolte a tutti i sistemi elettorali, perpetrate, in particolare, da attori state-sponsored.

    Esaminando l’intero processo di voto, dalla registrazione alla tabulazione dei voti, e le modalità in cui le infrastrutture locali e statali possono essere colpite interferendo con il processo elettorale o causando una perdita di fiducia, il report identifica i vettori di minaccia (che interessano la registrazione degli elettori, l’identificazione dei seggi elettorali, l’invio e il conteggio dei voti), segnala che gli attori che utilizzano le campagne di informazione possono colpire o imitare direttamente gli account social media ufficiali dei funzionari statali e locali per seminare paura e sfiducia ed evidenzia ancora che le campagne aggressive per interrompere il processo elettorale possono sfruttare strumenti come ransomware e attacchi DDoS per destabilizzare le reti informatiche statali e locali e imitare attività cyber criminali.

  • Reati in calo e ansia in aumento in Italia. Milano fa gola a chi delinque

    Il 39% degli italiani, dice il primo “Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia” realizzato dal Censis con Federsicurezza, è favorevole ad allentare i criteri per il possesso di un’arma da fuoco per difesa personale, percentuale in netto aumento rispetto al 26% rilevato 3 anni fa. La quota dei favorevoli è più alta tra le persone meno istruite (il 51% tra chi ha al massimo la licenza media) e gli anziani (il 41% degli over 65). Parallelamente, cresce il numero dei cittadini legittimati a sparare: nel 2017 nel nostro Paese si contavano 1.398.920 licenze per porto d’armi, considerando tutte le diverse tipologie (dall’uso caccia alla difesa personale), con un incremento del 20,5% dal 2014 e del 13,8% solo nell’ultimo anno.

    Di contro, i reati sono in calo: l’anno scorso ne sono stati denunciati complessivamente 2.232.552, il 10,2% in meno rispetto all’anno precedente. In particolare, gli omicidi si sono ridotti dai 611del 2008 ai 343 del 2017 (-43,9%), le rapine da 45.857 a 28.612 (-37,6%), i furti da quasi 1,4 milioni a poco meno di 1,2 milioni (-13,9%). Meno pericolosa in generale, l’Italia resta però pericolosa in alcune zone dove la frequenza dei reati è più alta. In 4 province italiane, dove vive il 21,4% della popolazione, si consuma il 30% dei reati. Il 31,9% delle famiglie italiane percepisce il rischio di criminalità nella zona in cui vive. Le percentuali più alte si registrano al Centro (35,9%) e al Nord-Ovest (33%), ma soprattutto nelle aree metropolitane (50,8%) dove si sente insicuro un cittadino su due. “Capitale del crimine” è Milano, al primo posto con 237.365 reati commessi nel 2016 (il 9,5% del totale), seguita da Roma (con 228.856 crimini, il 9,2%), Torino (136.384, pari al 5,5%) e Napoli (136.043, pari al 5,5%). Anche considerando l’incidenza del numero dei reati in rapporto alla popolazione, Milano resta in vetta alla classifica, con 7,4 reati denunciati ogni 100 abitanti, seguita da Rimini (7,2), Bologna (6,6), Torino e Prato (6).

    Il 21,5% degli intervistati continua a ritenere la criminalità un problema grave per il Paese, al quarto posto dopo la mancanza di lavoro, l’evasione fiscale e le tasse eccessive. A essere più preoccupate sono le persone con redditi bassi, che vivono in contesti più disagiati e hanno minori risorse economiche personali per l’autodifesa: per loro la criminalità rappresenta il secondo problema più grave del Paese (27,1%), dopo la mancanza di lavoro.  Il 92,5% degli italiani adotta almeno un accorgimento per difendersi da ladri e rapinatori: il più utilizzato è la porta blindata, che protegge dalle intrusioni le case di oltre 33 milioni di italiani (il 66,3% della popolazione adulta), 21 milioni di cittadini (il 42%) si sono dotati di un sistema d’allarme, più di 17 milioni (il 33,5%) hanno montato inferriate a porte e finestre, quasi 16 milioni (il 31,3%) hanno optato per vetri e infissi blindati, più di 15 milioni (il 30,7%) hanno installato una telecamera, poco meno di 10 milioni (il 19,4%) hanno comprato una cassaforte per i propri beni. Per precauzione lasciano le luci accese quando escono di casa poco meno di 15 milioni di italiani (il 29%).

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