social

  • Detective stories: Jonathan Galindo e i giochi mortali della rete

    Chi si nasconde dietro al suicidio del bambino di Napoli, gettatosi dal decimo piano?

    Secondo molti potrebbe trattarsi di Jonathan Galindo, l’ultimo spauracchio dei social network, un soggetto avvolto dal mistero che contatterebbe account di minori proponendogli di giocare insieme a lui cliccando su un link.

    Pare che in caso di accettazione, Jonathan Galindo sia in grado di monitorare continuamente il dispositivo della vittima effettuando una serie di richieste caratterizzate da una violenza esponenziale e aventi come obbiettivo la provocazione di atti di autolesionismo o l’istigazione al suicidio.

    Quello della Jonathan Galindo challenge è un fenomeno nato da qualche anno, ma giunto solo recentemente in Italia, dove si è potuto notare un incredibile aumento delle ricerche online aventi come oggetto questo nome da luglio 2020 in poi.

    Sulla rete esistono diversi profili a nome di Jonathan Galindo, molti di questi vengono aperti e chiusi dopo poco tempo, il che di per sé è alquanto esplicativo. Effettuando alcune ricerche inverse sulle immagini/foto di questi profili (dove si può notare un inquietante soggetto che indossa una maschera/protesi facciali aventi fattezze simili a quelle del personaggio Disney Pippo), è facile risalire al vero proprietario delle immagini, ovvero un make up artist e produttore di effetti speciali cinematografici presente sui social con il nome “Sammy Catnipnik”.

    Contattato da diversi youtuber e giornalisti, l’uomo ha dichiarato di essere stato il creatore di quel “trucco/personaggio”, ma di non avere alcun legame con le vicende di Jonathan Galindo e di come le sue foto gli siano state sottratte a sua insaputa.

    La realtà dei fatti è che abbiamo già conosciuto questa challenge in passato, ma con nomi diversi: Blue Whale, Momo e Samara.  A cambiare sono solo i social network di riferimento, spesso diversi per ognuna di queste challenge.

    Ci troviamo di fronte a nuovi tipi di minacce e quindi di reati dove il maggior pericolo è rappresentato non da un singolo “orco” che colpisce in tutto il mondo, ma dal rischio di emulazione di una moltitudine di soggetti che vogliono rendere reale ed essere parte integrante di un cosiddetto fenomeno “creepy pasta”.

    Da quanto trapelato dalla rete difatti, Jonathan Galindo avrebbe dapprima iniziato a colpire account presenti negli Stati Uniti, spostandosi successivamente in America Latina e solo di recente in Europa, sempre contattando le sue “vittime” utilizzando la lingua locale, il che farebbe di lui un hacker poliglotta con molto tempo a disposizione… situazione alquanto improbabile.

    Ciò è la conferma di come, salvo eccezioni, si tratti prevalentemente del tipico fenomeno emulativo di un pericoloso gioco attuato da più persone, non un singolo ma un gruppo di soggetti distinti le cui caratteristiche in determinati casi posso essere attribuibili anche a quelle di adulti esperti in tattiche di grooming che possono sfruttare il trend della parola chiave Jonathan Galindo e l’appeal che eserciterebbe sui minori.

    Per un minore a conoscenza dei rischi legati agli account di Galindo, essere contattato potrebbe essere vista come l’occasione per raccontare qualcosa di unico che gli consenta di emergere nel suo gruppo di amici, ma la situazione potrebbe presto degenerare.

    In definitiva ritengo che un vero e proprio Jonathan Galindo non esista, ciò che resta sono i pericoli cui restano esposti i nostri figli durante la navigazione della rete, per questo è giusto monitorare la loro attività sul web e proteggerli da adescatori e malintenzionati, bloccando gli account sospetti che cercano di contattarli e segnalandoli alle autorità competenti.

    Per domande e consigli di natura investigativa e/o di sicurezza, scrivetemi e vi risponderò direttamente su questa rubrica: d.castro@vigilargroup.com

  • Bruxelles riceve le relazioni sulla disinformazione online dai gigante del Web e dei social network

    La Commissione europea ha pubblicato le prime relazioni annuali di autovalutazione presentate da Facebook, Google, Microsoft, Mozilla, Twitter e sette associazioni europee del settore sulla base del codice di buone pratiche sulla disinformazione lanciato a ottobre 2019 per contrastare la disinformazione online. Le relazioni descrivono i progressi compiuti nell’ultimo anno nella lotta contro la disinformazione online.

    Rispetto all’ottobre 2018, i firmatari del codice di buone pratiche segnalano un miglioramento della trasparenza e l’avvio di un dialogo più intenso con le piattaforme sulle loro politiche di lotta alla disinformazione.  La portata delle azioni intraprese da ciascuna piattaforma varia tuttavia notevolmente e, analogamente, persistono differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda l’attuazione delle politiche delle piattaforme, la cooperazione coi portatori di interessi e la sensibilità ai contesti elettorali.

    Oltre alle relazioni stesse e sulla loro base, la Commissione europea sta valutando l’efficacia del codice di buone pratiche. Qualora i risultati ottenuti nel quadro del codice si rivelassero insoddisfacenti, la Commissione potrebbe proporre ulteriori misure, anche di natura regolamentare. Nei prossimi mesi, inoltre, la Commissione presenterà al Parlamento europeo una relazione sulle elezioni del 2019.

    Vĕra Jourová, commissaria per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere, Julian King, commissario responsabile per l’Unione della sicurezza, e Mariya Gabriel, commissaria per l’Economia e la società digitali, hanno intanto reso una dichiarazione congiunta in merito alle relazioni ricevute: «Consideriamo particolarmente positiva la pubblicazione, da parte dei firmatari del codice di buone pratiche, delle autovalutazioni in merito all’attuazione dei loro impegni. In particolare, siamo lieti di constatare che le piattaforme online si sono impegnate a rendere più trasparenti le loro politiche e a instaurare una cooperazione più stretta con i ricercatori, i verificatori dei fatti e gli Stati membri. I progressi realizzati variano però notevolmente tra i firmatari e le relazioni forniscono scarse informazioni sull’effettiva incidenza delle misure di autoregolamentazione adottate nel corso dell’anno precedente e sui meccanismi di controllo indipendente. Sebbene le elezioni del Parlamento europeo del 2019 a maggio non siano state, ovviamente, esenti da disinformazione, le azioni e le relazioni redatte mensilmente in vista delle elezioni hanno contribuito a limitare il margine disponibile per le interferenze e a migliorare l’integrità dei servizi, neutralizzare gli incentivi economici che favoriscono la disinformazione e garantire una maggiore trasparenza della pubblicità di carattere politico e sociale. Tuttavia, la propaganda e la disinformazione automatizzate su vasta scala persistono e occorre fare di più in tutti i settori contemplati dal codice. Non possiamo accettare che tali pratiche siano considerate normali. Sebbene gli sforzi delle piattaforme online e dei verificatori dei fatti possano ridurre la viralità dannosa dei contenuti tramite i servizi delle piattaforme, rimane l’urgenza che le piattaforme online instaurino una cooperazione significativa con una gamma più ampia di organizzazioni indipendenti e affidabili. L’accesso fornito finora ai dati non risponde ancora alle esigenze dei ricercatori indipendenti. Infine, nonostante gli importanti impegni assunti da tutti i firmatari, ci rammarichiamo del fatto che nessun’altra piattaforma o nessun altro attore del settore della pubblicità abbia aderito al codice di buone pratiche».

  • I selfie spingono la chirurgia plastica

    I selfie spingono la chirurgia plastica, perché aumentano le richieste di interventi correttivi per figurare meglio nelle foto da divulgare sui social network. Negli Usa il 53% degli aderenti all’Accademia nazionale dei chirurghi facciali plastici ha visto aumentare le richieste di interventi per meglio figurare nei selfie, soprattutto da parte degli under 30. Rinoplastica e blefaroplastica, cioè ritocchi del naso e delle labbra, sono le correzioni più gettonate, ma c’è anche chi si accontenta di iniezioni di filler o botulismo (interventi meno costosi).

    I selfie peraltro sembrano rendere più realistiche le pretese di chi si rivolge alla chirurgia plastica: non si chiede più di diventare supersexy, ma ci si presenta dallo specialista col proprio smartphone per evidenziare ciò che non piace nei propri selfie e che si vorrebbe correggere.

    In Italia il desiderio di configurarsi in maniera idonea ai selfie non manca di creare qualche preoccupazione tra i professionisti. L’Associazione italiana chirurgia plastica estetica segnala che nella penisola operano circa 5000 professionisti ma solo 1.150 sono specialisti seriamente affidabili. Sul fronte dell’utenza, la Società psicoanalitica italiana sottolinea che il desiderio di essere presentabili indotto dai selfie porta a una forte omologazione (si arriva a postare di essersi rifatti non appena concluso l’intervento chirurgico) e ingenera in chi è nel fiore dei propri anni timori che in effetti la giovinezza non dovrebbe conoscere. 

    In Inghilterra la dipendenza da selfie è stata anche oggetto di analisi e classificazioni, ma l’opera di 2 ricercatori accademici dedicata al tema ha sollevato non poche polemiche in merito alla sua effettiva scientificità, all’affidabilità cioè del metodo con cui è stata condotta e dei risultati cui è di conseguenza approdata.

  • Comunicare condividendo

    Si intitola Comunicare è condividere il nuovo libro dello scrittore e giornalista Agostino Picicco in cui, con l’attenzione che da sempre caratterizza la sua scrittura, rivolge uno sguardo attento alla realtà quotidiana affrontando i cambiamenti ai quali le nuove comunicazioni ci hanno indotti. In particolar modo Picicco pone alcune riflessioni sul mondo della comunicazione oggi e su quanto questa influisca su abitudini e stili di vita a causa dell’onnipresenza della rete a tal punto che ogni tanto diventi necessario, se non vitale, disconnettersi per favorire una maggiore serenità personale e consentire relazioni reali e un rinnovato impegno verso l’aggiornamento e lo studio che garantirebbero il miglior uso della nuova tecnologia.

    Da un lato le considerazioni di Picicco invitano a prendere consapevolezza dei benefici della rivoluzione tecnologica, dall’altro a tenere presenti alcuni effetti negativi da eliminare. Il totalitarismo cibernetico rischia di soffocarci, per questo va ripensato e magari riproposto con alcuni accorgimenti, nella consapevolezza che quando la tecnologia avanza non bisogna essere nostalgici del passato, ma protagonisti e progettisti di futuro.

    Un paragrafo del libro è poi dedicato a quale uso dei social avrebbe fatto don Tonino Bello del quale Picicco è un grande conoscitore.

Pulsante per tornare all'inizio