soldi

  • Dal novembre 2011 all’ottobre 2024

    Nel novembre 2011 il debito pubblico segnava 1987 miliardi.  Successivamente arrivò il governo Monti. Da allora si sono susseguiti diversi governi il cui esito finale della loro opera è sintetizzabile nell’ultima rilevazione del debito pubblico ad ottobre 2024: 2945 miliardi.

    In tredici anni di gestione della macchina pubblica, alla cui giuda si sono susseguiti i più diversi personaggi e con DNA politici ed orientamenti opposti ma uniti dalla medesima certezza di irresponsabilità, sono stati creati quasi mille miliardi di debito pubblico a sostegno della esplosione della spesa pubblica con un conseguente aumento della pressione fiscale, ora ha raggiunto il 42,7 % e con un total tax rate ad oltre il 52%.

    Nel frattempo, dal 2010 al 2023, la ricchezza nazionale del nostro Paese è diminuita del -4%, mentre in Francia è aumentata del +21%, in Germania del +51% ed in Gran Bretagna del +57%.

    Un dato che certifica ancora una volta come l’esplosione della spesa pubblica rappresenti un fattore che diminuisce la ricchezza e la disponibilità economica della popolazione.

    Il reddito disponibile, infatti, è diminuito del -3,4% a fronte di una crescita in Francia del +27% ed in Germania del +34,7% mentre si registra nel più assoluto disinteresse della politica come delle diverse associazioni di categoria (Confindustria e sindacati) la diciannovesima flessione della produzione industriale.

    Questi numeri certificano una volta di più il sostanziale fallimento dell’azione dello Stato attraverso la spesa pubblica la quale nella classifica della efficienza risulta al 123esimo posto, contemporaneamente al suo arbitrario utilizzo a favore di qualche bacino elettorale o gruppi privilegiati.

  • L’effetto paradosso della terapia fiscale

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    In medicina viene indicato l’effetto paradosso come “il fenomeno per cui un determinato trattamento presenta una soglia, oltrepassata la quale si ottengono risultati di segno opposto”.

    In altre parole, l’eccesso di somministrazione di un farmaco può determinare nel paziente un effetto contrario alla stessa natura del farmaco come alla motivazione della sua scelta.

    In considerazione, ora, delle ipotesi relative alla prossima manovra finanziaria che sembrerebbe vedere un aggiornamento degli estimi catastali per i proprietari delle abitazioni, sulla base  dell’utilizzo dei fondi pubblici destinati ai cappotti ed ai bonus facciate come di una ulteriore tassazione degli “extra  profitti” nel  sistema bancario e forse nell’industria degli armamenti, si viene a creare un doppio effetto paradosso, molto simile a quello definito in medicina.

    Innanzitutto andrebbe preso in considerazione come all’interno di  un contesto economico e politico nel quale – ad ogni finanziaria si modifica l’assetto anche solo parziale delle normative fiscali e nello specifico sulle abitazioni private e su una tassazione aggiuntiva di non meglio definiti extraprofitti di specifici settori economici (*) – risulta stupefacente come ancora oggi non si trovi un rappresentante istituzionale in grado di comprendere il danno per l’intero Paese, in un’ottica di credibilità internazionale, di  questa terapia fiscale.

    Anche se la leva fiscale sia finalizzata, come un farmaco, al mantenimento in vita del paziente tuttavia il suo eccesso di somministrazione può tradursi in un danno permanente (la perdita di attrattività finanziaria) tale da suscitare, quindi,un effetto paradosso.

    In primo luogo, ed ecco il primo effetto paradosso, in quanto il nostro Paese invece di trovare beneficio da questa somministrazione di una continua legislazione con ripetuti adeguamenti fiscali per mantenere in vita il paziente, si trova a pagare un prezzo che potrebbe essere semplicemente identificato, appunto, nella mancata attrattività nei confronti degli investitori esteri, i quali  considerano la stabilità fiscale un parametro di valutazione fondamentale.

    Esiste,  poi, un secondo effetto paradosso che colpisce più da vicino e  nell’immediatezza i singoli cittadini o, mantenendosi nel contesto sanitario, i pazienti.

    Dato per definitivo l’obbligo imposto dall’Unione Europea di adeguamento nei prossimi anni delle abitazioni ai nuovi parametri “green” che, sempre secondo l’ideologia ambientalista, e come parziale giustificazione questi verrebbero “finanziati’ dai risparmi energetici, emerge evidente un pericoloso secondo effetto paradosso, in quanto il risparmio energetico definito come il supporto economico all’adeguamento normativo imposto dal Green Deal se nel nostro Paese dovesse comportare anche un automatico adeguamento degli estimi  catastali, allora verrebbe annullato ogni vantaggio in termini economici, determinando invece un ulteriore aumento della pressione fiscale.

    L’effetto combinato di queste continue somministrazioni di “terapie fiscali”, il cui unico obiettivo rimane quello di mantenere in vita la struttura ospedaliera (lo Stato) più che il paziente risulta disastroso. Basti ricordare come in Italia il reddito disponibile negli ultimi trent’anni risulti diminuito di -3,4% rispetto ad un aumento in Germania del +34,7 ed in Francia di oltre un +27%.

    A questi dati allarmanti relativi all’esito delle cure adottate, si aggiunga come  dal 2010 ad oggi la ricchezza del nostro Paese sia diminuita del -4% a fronte di un aumento in Francia di un +22% e del +51% in Germania ed addirittura del +57% in Gran Bretagna.

    La medicina fiscale adottata da ogni governo di conseguenza sta dimostrando da decenni i propri limiti che possono portare addirittura se non alla morte quantomeno ad un decisivo aggravamento della patologia dei pazienti (reddito disponibile).

    Dimostrando ancora una volta come la crisi italiana, cominciata nel 2008, ancora oggi risulti lontana da una sua risoluzione e rappresenti, più che un problema di terapia economica fiscale o politica, la massima manifestazione  di una crisi culturale senza precedenti.

    (*) Ci provò lo stesso governo Draghi con esiti disastrosi (-9,2 miliardi di gettito fiscale) con la tassazione delle società energetiche.

  • Dipendenza da gioco: lo Stato non può più tergiversare

    Nonostante le tante speranze suscitate dalle promesse della politica, dopo che da più parti nel passato si erano elevate molte voci  per sollecitare interventi idonei a frenare lo smodato aumento dei giocatori d’azzardo,nulla è cambiato.

    La ludopatia è una malattia in continua crescita e sono sempre più giovani i giocatori.

    Nella sola Lombardia i dati evidenziano che il 40% dei quindicenni ha giocato d’azzardo o partecipato a scommesse e la percentuale aumenta per i diciassettenni anche se per legge, ma poi di fatto solo teoricamente, il gioco d’azzardo è proibito ai minori di diciotto anni.

    In considerevole aumento è anche il volume di denaro giocato, e sono in aumento le dipendenze, con le evidenti conseguenze per la società, infatti molte persone con il gioco hanno la vita segnata e spesso sono coinvolte, nella sventura, le loro famiglie.

    Secondo  dati, riportati anche dal Corriere della Sera, in Lombardia vi sono 13 sale Bingo, 848 macchinette Vit (terminal lotteria) e 8338 apparecchi AWP, se a questo aggiungiamo tutto il mondo del gioco on line e del gioco in nero si vede bene come il pericolo sia sempre in agguato per tanti giovani, pericolo che in troppi casi colpisce anche persone anziane e sole.

    I video giochi, altro settore che diviene sempre più pericoloso per i giochi violenti, stanno diventando anch’essi strumento, veicolo per il gioco d’azzardo visto che sono consentite scommesse e sistemi che invitano a investire soldi per aumentare la possibilità di vincere.

    Non è da trascurare inoltre che alla dipendenza del gioco spesso si associa la dipendenza da alcool e droghe.

    La politica ha il dovere di non tergiversare ulteriormente, lo Stato può anche trarre un apparente beneficio da alcuni tipi di gioco ma i danni ai quali si deve poi riparare nelle strutture sanitarie vanificano questo introito, senza valutare inoltre le conseguenze che restano nella psiche delle persone, né può essere più oltre ignorato che dietro al mondo del gioco d’azzardo si nascondono ben note organizzazioni criminali.

    Continuare ad ignora il problema o a demandarne la soluzione sine die diventa colpevole.

  • 447 milioni di fondi Ue per l’alluvione in Romagna e Toscana del 2023

    Anche l’Italia usufruirà dello stanziamento di 1.028,54 euro che il Consiglio europeo ha destinato ai paesi colpiti da catastrofi naturali. All’Italia sono stati assegnati 446,64 per le gravi alluvioni che si sono verificate in Emilia Romagna nel maggio 2023 (378,83 milioni) e in Toscana nei mesi di ottobre e novembre 2023 (67,81 milioni). Il ricorso al Fondo di solidarietà dell’Unione europea è stato salutato positivamente da Coldiretti che, tuttavia, ha lamentato il ritardo dell’operatività del sostegno.

    Come si legge nel Il Punto di Coldiretti, “gli aiuti sono arrivati dopo un anno in cui le aziende italiane delle aree colpite hanno dovuto fronteggiare i gravi danni subiti. In Emilia Romagna”, si sottolinea, “le otto aziende su dieci che beneficeranno dei fondi (e che non hanno ancora ottenuto ristori) sono state travolte nei giorni scorsi dal nuovo devastante alluvione. Coldiretti ha perciò contestato i tempi lunghi della burocrazia che non riesce ad attivarsi rapidamente per affrontare le emergenze che gli agricoltori si trovano affrontare. Coldiretti ha indirizzato una lettera al Governo affinché chieda alla Commissione Ue di rendere operativi anche in Italia i fondi di coesione per un totale di 10 miliardi al 100% a fondo perduto”.

  • Anziani fragili abbandonati a se stessi e alle loro famiglie

    «Dovremmo chiederci tutti perché la questione dell’assistenza agli anziani non autosufficienti (3,8 milioni di persone) non assuma mai il carattere di un’emergenza, una priorità della politica» si chiede Ferruccio De Bortoli in un editoriale sul Corriere della Sera, riferendo che «se sommiamo agli anziani fragili l’insieme delle famiglie coinvolte e gli operatori professionali arriviamo a una platea di circa dieci milioni di persone» e sottolineando anche che «altri Paesi hanno adottato da tempo una legge in materia: la Germania dal 1995, la Francia dal 2002, la Spagna dal 2006.

    L’ex direttore di Corriere e Sole24Ore richiama l’attenzione sul fatto che «non c’è ancora un servizio domiciliare pubblico progettato per la non autosufficienza. Quelli esistenti, pur lodevoli, hanno altre priorità. I 2,7 miliardi stanziati dal Pnrr non servono per la domiciliarità bensì per attività di controllo e monitoraggio (una visita al mese). Non è stata cambiata l’indennità di accompagnamento (528 euro mensili) graduandola ai bisogni delle famiglie. Oggi è incredibilmente uguale per tutti. Anche per chi ha redditi elevati. Non si regolarizza l’esercito delle badanti e dei badanti (il doppio dei dipendenti del Servizio nazionale) per premiarli impiegandoli in modo regolare. C’è solo un bonus temporaneo di cui beneficia solo il 2 per cento degli anziani. Una badante o un badante spesso è un lusso». Poi punta il dito: «La realtà amara è che non vi sono risorse sufficienti. Ma si stenta a dire la verità. Perché sarebbe oscena. E imbarazzante non solo per i governi che si sono succeduti ma anche per la società nel suo complesso».

    «Avere in casa una persona non più autosufficiente, magari colpita da deficit cognitivi, costretta a letto, non più in grado di lavarsi, costituisce il più micidiale acceleratore della povertà» fa presente De Bortoli. E conclude: «L’estesa rete del welfare privato, il mondo delle fondazioni sono alleati preziosi se vi è una sufficiente volontà politica oltre a una maggiore pressione dell’opinione pubblica. La nostra società invecchia inesorabilmente e sarebbe addirittura crudele che scaricasse il problema, ancora una volta, sui giovani, peraltro pochi, specie non abbienti. Non è improponibile l’idea di un’assicurazione obbligatoria opportunamente incentivata. Ma al di là dei temi assistenziali ed economici, vi è una grande questione di civiltà. Chi non è autosufficiente, non assistito adeguatamente e solo, non è più un cittadino. Fragile due volte. Invisibile».

  • Il fil rouge tra Draghi, Blackrock e Leonardo

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Nel suo ultimo manifesto programmatico l’ex presidente della Bce e del Consiglio Mario Draghi ha indicato nello stop alla fornitura di gas dalla Russia il motivo per il quale si paga un costo dell’energia più alto. In verità, il nostro Paese soffre del “caro bollette” che incidono pesantemente sul bilancio familiare e minano alle basi la competitività delle imprese italiane in particolare modo quelle industriali, a causa di una strategia politica scellerata nell’approvvigionamento energetico che ha visto proprio in Draghi uno dei principali artefici e sostenitori.

    Fino dagli anni novanta, infatti, nel nostro Paese si è avviato un processo di privatizzazione di tutti gli asset pubblici (monopoli indivisibili) che si occupavano della produzione e distribuzione dell’energia e per di più non con l’obiettivo di diminuire il debito pubblico, ma semplicemente per una molto più modesta riduzione del deficit.

    In più, a conferma del proprio indirizzo strategico, durante il suo governo Draghi, mentre la Spagna introduceva il Price Cap per il gas a 42 euro, la Francia nazionalizzava EDF (società francese di produzione e distribuzione della energia elettrica) e la Germania raggiungeva un accordo con la Norvegia per la fornitura di 50 miliardi di gas per i prossimi quarant’anni, Draghi ha atteso l’introduzione tardiva di un ridicolo Price Cap dall’Unione Europea.

    Il combinato disposto della strategia di vendita di asset pubblici unita ad una sostanziale passività istituzionale durante il proprio governo, e comunque comune a tutti i governi degli ultimi trent’anni compreso quello in carica, ha determinato che le bollette spagnole risultino inferiori rispetto a quelle italiane di oltre il -50%, quelle francesi di oltre il -70% e quelle tedesche quasi del-40%.

    Uno dei principali fondi esteri che ha investito nelle società energetiche italiane è rappresentato da Blackrock, assieme a Vanguarde, il quale ha, più che legittimamente, trasferito sui prezzi finali alle utenze familiari ed industriali delle bollette la ricerca dei maggiori margini possibili con l’obiettivo di assicurare un alto e remunerativo Roi.

    Ora il medesimo fondo, in predicato di rilevare anche una quota di Sace, entra con oltre il 3% nell’azionariato di Leonardo, ex società a partecipazione pubblica, il cui core business è rappresentato dalla difesa e dalla sicurezza e il cui A.D. è, sarà un caso, un ex ministro del governo Draghi.

    Partendo dalla consapevolezza della strategia adottata dal fondo statunitense nel settore energetico, il quale ha ricercato il massimo profitto anche grazie ad una classe politica italiana assolutamente assente fino alla compiacente complicità, a differenza delle affermazioni di Mario Draghi si può arrivare alla conclusione che gli effetti devastanti in termini di costi aggiuntivi siano interamente attribuibili ed espressione dell’opera del fondo Blackrock.

    Parallelamente non è quindi da escludere che la medesima strategia possa avvenire adottata anche nel settore della Difesa e della sicurezza, dopo avere reso operativa l’acquisizione di una parte considerevole della quota azionaria (oltre il 3% appunto). Magari, ed anche in questo caso, potendo contare su di un implicito accordo con la politica italiana ed europea, la quale nei due ambiti istituzionali fino ad oggi non ha dimostrato alcuna intenzione né interesse per la ricerca di una strategia diplomatica di intermediazione nei conflitti, specialmente in quello russo ucraino, che potesse creare le condizioni minime al raggiungimento, prima di una tregua e successivamente di pace duratura.

    Viceversa, mentre la crisi industriale europea sta manifestando i propri effetti mettendo in serie crisi la stessa tenuta dello Stato Sociale, le massime cariche istituzionali europee non lesinano risorse per finanziare gli armamenti destinati all’Ucraina. Forse, ma ovviamente è una malevola congettura, proprio per non disturbare gli interessi di Blackrock. Ai posteri verrà attribuito il compito di fornire l’ardua sentenza in relazione alle priorità dimostrate dalle massime autorità istituzionali europee. Nel frattempo, si può tranquillamente constatare come un’altra quota di sovranità nazionale, l’ennesima, risulti ceduta ad un soggetto finanziario i cui obiettivi sono molto lontani da quelli che dovrebbero essere perseguiti dall’autorità politica e istituzionale.

    Un processo che troverebbe, per di più, una maggiore forza e facilità di esecuzione in termini di minori oneri finanziari necessari, se i nostri asset fossero espressi in una valuta debole (per sostenere l’export?) quale potrebbe essere la lira, con buona pace dei rappresentanti del “sovranismo monetario”.

    Mai come ora le stesse istituzioni nazionali ed europee si trovano sotto attacco non tanto da parte di una superpotenza straniera, quanto della vile alleanza tra finanza e quel che resta di una politica di basso profilo.

  • La complessità sistemica

    Ho sempre considerato l’economia come un sistema complesso il quale, pur imboccando una direzione molto spesso di natura ideologica, cerca di trovare un equilibrio, senza mai raggiungerlo.

    La complessità di una economia raggiunge la propria massima espressione all’interno di un mercato globale, come quello contemporaneo, all’interno del quale agli effetti delle azioni politiche dei singoli stati ed economiche e strategiche delle aziende si uniscono quelli generati dagli operatori finanziari completamente svincolati da un indirizzo politico (private equity), oppure espressioni di nazioni che attraverso le operazioni finanziarie intendono indirizzare verso un proprio interesse politico il mondo economico e politico (fondi sovrani).

    La novità contemporanea emerge proprio dalla dotazione finanziaria di questi nuovi soggetti finanziari i quali raggiungono anche tre volte il PIL dell’Italia.

    In questo contesto, quindi, tanto la politica governativa, intesa come “Arte del governare” ma soprattutto il confronto tra i diversi schieramenti ideologici, da sinistra a destra passando per un ipotetico centro liberale, si ostinano nell’individuazione ed applicazione di pochi e semplici principi troppo spesso scolastici ed ideologici, come la semplicistica soluzione finalizzata alla salvezza ed alla salvaguardia e rinascita di un sistema paese, viceversa complesso.

    Sembra incredibile come ancora oggi si tenda ad individuare nel semplice aumento della spesa pubblica, senza prendere in alcuna considerazione la propria efficienza la quale di fatto risulta inversamente proporzionale alla sua entità, la via maestra per risollevare le sorti economiche nazionali ed europee. Basti pensare alla ricetta Draghi, il quale Individua in un nuovo debito comune la via della rinascita dell’intero contenente europeo.

    Per contro, in modo altrettanto manieristico, dalla parte opposta dello schieramento politico viene indicata come salvifica la semplice riduzione del ruolo dello Stato all’interno dell’economia, e quindi si demanda al solo ed unico ruolo fondamentale ed esclusivo del mercato la possibilità di ritrovare la via dello sviluppo.

    Come spesso succede entrambi gli schieramenti rappresentano le divisioni ideologiche espressione di un approccio culturale banale e rappresentativo di un’economia mondiale divisa ancora dal muro, non solo ideologico, di Berlino.

    La vicenda argentina, con una crescita esponenziale della inflazione nonostante la cura del “mercato”, dimostra quanto possano essere complesse le soluzioni ad una crisi economica nata da una classe politica corrotta e che ha dominato la splendida nazione argentina.

    Contemporaneamente, nonostante i fondi del PNRR, gli effetti sull’economia reale italiana risultano addirittura negativi in termini di reddito disponibile, certificando una volta di più come l’utilizzo anche di finanziamenti straordinari, se non collegati ad un sistema efficiente di spesa, possono avere un effetto addirittura negativo.

    Per rispondere ad una complessità sistemica l’ideologia, in ogni sua declinazione, rappresenta la scelta decisamente più inappropriata.

  • Parità retributiva e disparità di costo della vita, un nodo da affrontare nella manovra del governo

    Secondo uno studio della Cgia di Mestre, che ha elaborato i dati forniti da Inps e Istat, gli stipendi del Nord Italia sono più alti del 35% rispetto a quelli del Sud, la differenza sarebbe dovuta alla maggior produttività del lavoro nel Nord. Se in Lombardia la media annua di retribuzione è 28.354 euro, in Calabria scende a 14.960. Negli ultimi anni è cresciuta anche la produttività dell’Emilia Romagna.

    Secondo la ricerca, al Nord si lavora 28 giorni in più all’anno.

    Le ragioni della differente produttività del Nord e del Sud sarebbero anche dovuta all’economia sommersa, che nel Sud è più diffusa e che ovviamente non consente di conteggiare le ore lavorate irregolarmente. Al Sud vi sono inoltre molti lavoratori intermittenti, legati alle attività stagionali.

    Lo studio della Cgia ripropone la questione degli squilibri retributivi nelle varie aree di Italia, non solo tra Nord e Sud ma anche tra aree urbani e rurali.

    Negli anni ’70 furono abolite le cosiddette gabbie salariali, sostituite dal contratto collettivo nazionale di lavoro, contratto che però non ha prodotto gli effetti sperati visto che le disuguaglianze salariali sono rimaste e a volte anche aumentate. Bisogna infatti anche tenere conto che vi sono società private, e tra queste multinazionali, che operano prevalentemente al Nord e che sono più disponibili a corrispondere stipendi più elevati.

    Se le gabbie salariali non avevano risolto all’epoca il problema né ora lo ha risolto il contratto nazionale, dovrebbe essere evidente la necessità, per il governo e le parti sociali, di trovare una soluzione alternativa.

    Come abbiamo detto più volte, a identico lavoro deve corrispondere uguale stipendio e questo ovviamente vale anche per le donne che tuttora hanno retribuzioni inferiori. E’ altrettanto evidente però che lo stesso stipendio ha un potere di acquisto differente a seconda dell’area geografica in cui vive il lavoratore e il problema non è la retribuzione in sé ma il potere di acquisto della stessa.

    Vivere a Milano è più costoso che vivere a Roma ed infinitamente più costoso che vivere a Salerno per non parlare ovviamene di altre aree del Sud. Lo stipendio di un ricercatore universitario a Milano non basta a consentirgli una casa in affitto e a tutte le spese correlate per la vita quotidiana mentre a Palermo lo stesso ricercatore può concedersi una vita discreta. Analoga disparità di costo della vita si riscontra tra chi vive nella grande città e chi vive in campagna: infatti, ad esempio, il costo della vita nel centro di Piacenza è superiore a quello nei paesi del territorio provinciale circostante.

    Il problema perciò sarebbe, rimarcando nuovamente che a uguale lavoro deve corrispondere uguale stipendio, che lo Stato, identificando attraverso Regioni e Comuni le aree a maggior costo di vita, individuasse degli ammortizzatori sociali, dagli sgravi fiscali a quell’edilizia popolare che da decenni è ferma, che consentissero a tutti di poter vivere dignitosamente. Vi è inoltre il problema causato dall’eccessivo costo della vita in alcune aree che spinge molto persone del Sud a richiedere, dopo aver vinto un concorso pubblico al Nord, di essere ritrasferite al Sud dove la vita è meno costosa.

    Si avvicina il momento della legge di bilancio che, come sappiamo, affronterà una serie di temi diversi. La nostra speranza è che lo studio della Cgia e l’auspicabile conoscenza del problema da parte dei ministri preposti ai problemi del lavoro induca il governo a indicare soluzioni.

  • Dal Consiglio europeo della ricerca 780 milioni di euro a giovani scienziati

    Il Consiglio europeo della ricerca (CER) ha annunciato la concessione di 494 sovvenzioni a scienziati e accademici a inizio carriera in tutta Europa. Il finanziamento, per un totale di quasi 780 milioni di euro, sostiene la ricerca all’avanguardia in una vasta gamma di settori, dalle scienze della vita alla fisica, alle scienze sociali e umanistiche. Parte del programma Orizzonte Europa dell’UE, aiuterà i ricercatori a inizio carriera ad avviare i loro progetti, formare i loro team e perseguire le loro idee più promettenti.

    Le ricercatrici si sono aggiudicate il 44% delle nuove sovvenzioni di avviamento, rispetto al 43% nel 2023 e al 39% nel 2022. I beneficiari hanno proposto di sviluppare i loro progetti presso università e centri di ricerca di 24 Stati membri dell’UE e paesi associati, tra cui Germania (98 sovvenzioni), Paesi Bassi (51), Regno Unito (50) e Francia (49).

    Le sovvenzioni di avviamento ammontano in genere a 1,5 milioni di € ciascuna e vengono concesse per un periodo di cinque anni. Si stima che le sovvenzioni creeranno 3 160 posti di lavoro nelle équipe dei nuovi beneficiari.

  • La Commissione versa il quinto pagamento di 11 miliardi di € all’Italia nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza

    La Commissione ha versato all’Italia un quinto pagamento di 11 miliardi di € in sovvenzioni e prestiti (al netto dei prefinanziamenti) nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza.

    Come per tutti gli Stati membri, i pagamenti effettuati all’Italia nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza sono concessi sulla base dei risultati conseguiti nell’efficace attuazione degli investimenti e delle riforme previste dal piano di ripresa nazionale.

    La quinta richiesta di pagamento riguarda 54 traguardi e obiettivi, tra i quali alcuni passi importanti verso l’attuazione di 14 riforme e 22 investimenti in settori quali il diritto della concorrenza, gli appalti pubblici, la gestione dei rifiuti e delle risorse idriche, la giustizia, il quadro di revisione della spesa e l’istruzione.

    Il 2 luglio 2024 la Commissione aveva approvato una valutazione preliminare positiva di 53 traguardi e obiettivi relativi alla quinta richiesta di pagamento dell’Italia, per un importo di 11 miliardi di €. Il successivo parere favorevole del Comitato economico e finanziario del Consiglio ha spianato la strada all’adozione da parte della Commissione di una decisione definitiva sull’erogazione dei fondi.

    Il piano globale per la ripresa e la resilienza dell’Italia è finanziato con 194,4 miliardi di € in sovvenzioni e prestiti.

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