soldi

  • L’isolazionismo strategico italiano e la posizione conservativa internazionale

    Non passa giorno che la classe politica italiana non offra una conferma del proprio scollamento dalla realtà tanto nazionale quanto internazionale.

    Confindustria, che crede ancora di essere l’espressione della massima intelligenza imprenditoriale italiana, propone di tassare i prelievi bancomat sopra i 1500 euro con un 2% come azione a contrasto della evasione fiscale. Il governo, nella propria miopia assoluta (in questo assolutamente in linea con le professionalità proposte dai governi Renzi, Gentiloni e Conte1), invece di valutare gli effetti non solo politici ma soprattutto  economici delle tensioni internazionali  come fattori scatenanti  di una probabile recessione o quantomeno di  una frenata importante della crescita  economia internazionale dichiara in modo imbarazzante l’avvio di una nuova politica di investimenti. Questi, secondo le intenzioni dei nuovi responsabili dei dicasteri economici, si articolerebbero in strutturali per la crescita ed infrastrutturali come fattori di competitività, uniti parallelamente ad una progressiva riduzione del carico fiscale a partire dai redditi più bassi. Non escludendo, ovviamente, una riduzione del cuneo fiscale: tutte queste buone intenzioni si traducono in spesa pubblica aggiuntiva la cui copertura non può che essere richiesta al mercato attraverso la nuova emissione di titoli del debito pubblico aggiuntivi.

    L’ assoluta convinzione di non dovere mai rendere conto delle promesse rende tali dichiarazioni addirittura insultanti in considerazione del contesto internazionale in rapida e sempre più incerta evoluzione. Recentemente, infatti, è stata pubblicata dal Wall Street Journal un’analisi relativa alle scelte strategiche che i titolari di grandi capitali hanno cominciato ad attuare per acquisire una posizione conservativa e porre così le basi per ovviare ad una possibile fase di recessione scaturita dalle sempre maggiori tensioni internazionali ma anche dagli sterili traguardi delle  politiche monetarie poste in atto tanto dalla Bce che dalla Fed.

    Sostanzialmente vengono indicati tre passaggi fondamentali per raggiungere, appunto, una posizione conservativa  che si pone l’obiettivo di mantenere le posizioni. Innanzitutto viene indicato come primario  l’abbandono delle obbligazioni a breve, la cui  curva dei rendimenti si sta abbassando ed è indicatrice di una possibile se non recessione quantomeno di frenata della crescita economica. Contemporaneamente si rileva e si invita ad una diminuzione della propensione ad investimenti short, espressione caratterizzante di azioni speculative in ambito borsistico, contemporaneamente ad una azione finalizzata a ripianare tutti i debiti. L’ultima opzione indicata, però, risulta essere sicuramente la più importante per evitare posizioni pericolose in relazione ai propri investimenti e capitali: viene infatti suggerito di investire in valuta, cioè accumulare contanti, quindi restare liquidi.

    In altre parole, esattamente come per l’oro o l’argento all’interno di una possibile crisi finanziaria le cui evoluzioni risultano incerte quanto difficili da calcolare, l’investimento in valuta, quindi in contante, rappresenta un bene rifugio, probabilmente espresso in dollari o in franchi svizzeri.

    Si può dire quindi che la strategia proposta per la difesa dei grandi capitali dimostra ancora una volta come esista una forte scissione tra l’economia reale, della quale le valute o contanti ne rappresentano un aspetto, rispetto all’economia finanziaria dei titoli che possono essere soggetti a variazioni e tracolli nominali e valoriali  disastrosi.

    Questo comportamento, assolutamente condivisibile, impatterà ovviamente con effetti ulteriormente regressivi per l”economia finanziaria e globale. Conseguenze che si riverbereranno anche per il mercato dei titoli del debito sovrano, che rappresentano l’unica forma di finanziamento della spesa pubblica come dei faraonici progetti del nuovo governo oltre alla asfissiante pressione fiscale.

    La liquidità, quindi, diventa una espressione di posizioni conservative quando nel nostro Paese esiste una volontà di sottoporli ad una tassazione aggiuntiva la cui volontà dimostra, ancora una volta, lo scollamento abissale tra la classe dirigente politica italiana, compresa Confindustria, e la realtà economico finanziaria internazionale.

    Mai come ora la classe dirigente italiana è espressione di una mediocrità imbarazzante, incapace persino di analizzare e successivamente valutare i comportamenti degli operatori del mondo economico e magari trarne degli spunti per esempio per migliorare l’indice di attrattività del nostro Paese in relazione agli investitori internazionali.

  • Gli italiani ricchi migliorano la loro posizione, per i poveri situazione invariata

    Cresce il divario tra le fasce più ricche e quelle più povere della popolazione. E’ quanto si legge sulle ultime statistiche pubblicate su Eurostat riferite al 2018, da cui emerge che il 10% degli italiani con i redditi più alti può contare su oltre un quarto dei redditi totali (il 25,1%), il livello più alto dal 2008 (quando i redditi dei più ricchi erano il 23,8% del totale). Il 10% con i redditi più bassi ha invece il 2% del totale, percentuale invariata rispetto al 2017, ma inferiore al 2,6% del 2008.

    Per i più benestanti, la crescita dal 2017 al 2018 è stata di 0,7 punti. Per i poveri la percentuale resta invariata rispetto al 2017, ma molto inferiore al 2,6% del 2008. Il 20% della popolazione con i redditi più bassi può contare solo sul 6,6% del reddito complessivo, meno di quello che entra nelle case del 2% con i redditi più alti(8,3% del totale).

    Il divario tra ricchi e poveri è meno ampio in Unione Europea rispetto a quello dell’Italia. La media UE(riferita all’anno 2017), infatti, è del 23,9% per il decile più ricco e il 2,8% per il decile più povero. Tra i dati disponibili per il 2018 l’Italia è il Paese dopo la Romania con la quota più bassa di reddito che entra nelle case del decile più povero. Nel 2018 le persone a rischio povertà sono diminuite di un milione rispetto al 2017, ma sono ancora 16,4 milioni, il livello più basso dopo il 2011. Secondo i dati Eurostat sempre relativi al 2018, il 12,3% dei lavoratori tra i 18 e i 64 anni è a rischio povertà.

  • I soldi del Qatar ai centri islamici in Italia e in Europa

    Il settimanale TEMPI, nel suo numero del 3 aprile scorso, annuncia che in Francia esce Qatar Papers con la presentazione di 45 progetti finanziati con 22 milioni di euro dall’emirato islamico in Italia. Nel 2014, inoltre, il Qatar – annuncia la pubblicazione francese – ha finanziato con 71 milioni di euro 113 moschee e centri islamici in tutta Europa, di cui l’Italia è la maggiore beneficiaria con il sovvenzionamento dei 45 progetti sopra indicati. Gli autori dei Papers sono due giornalisti francesi che hanno avuto accesso a migliaia di documenti interni della “Qatar Charity”, la fondazione controllata dall’emiro del Qatar. TEMPI cita inoltre l’esperto internazionale di terrorismo, Lorenzo Vidino, che su La Stampa scrive che “analizzare cosa fa il Qatar è fondamentale perché l’emirato, pur non essendo l’unico del Golfo Arabo a farlo, negli ultimi anni è diventato il principale finanziatore di moschee e centri islamici in Europa, perlopiù istituzioni legate ai Fratelli Musulmani”, che sono una delle più importanti organizzazioni islamiste internazionali con un approccio di tipo politico all’Islam. Furono fondati nel 1928 da al-Ḥasan al-Bannāʾ a Ismailia, poco più d’un decennio dopo il collasso dell’Impero Ottomano. Sono stati dichiarati fuorilegge, in quanto considerati un’organizzazione terroristica, da parte dei governi dei seguenti paesi: Bahrain, Egitto, Russia, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Tagikistan e Uzbekistan. Godono invece di cospicui finanziamenti e protezione più o meno esplicita da parte dei governi di Turchia e Qatar.

    Dove sono finiti in Italia tutti questi soldi arabi? Soprattutto al Nord (Saronno, Piacenza, Brescia, Alessandria), anche se la Regione dove il Qatar ha finanziato più progetti è la Sicilia (ben 11). Vidino riferisce che i beneficiari sono in larga misura organizzazioni legate all’Ucoi (Unione delle comunità islamiche d’Italia). Tra i documenti originali pubblicati nel libro, però, si trova anche una lettera di raccomandazione del 27 gennaio 2015 e firmata da Yussuf al Qaradawi, in cui lo sceicco elogia il Coordinamento delle Associazioni islamiche di Milano, Monza e Brianza (Caim) ed esorta i destinatari a donare generosamente ai suoi rappresentanti Yassine Baradei e Davide Piccardo, noti esponenti dell’islam lombardo, per sostenere il loro progetto di costruire “un nuovo grande centro islamico a Milano, con una moschea e vari centri educativi, un progetto che ha bisogna di sostegno”.

    Al Qaradawi – scrive TEMPI – non è un religioso islamico qualunque. Egiziano di nascita, voce onnipresente sull’emittente del Qatar Al Jazeera, è il leader spirituale dei Fratelli Musulmani e si è distinto per le sue posizioni altamente controverse. Approva la pena di morte per gli apostati che abbandonano l’islam, ha elogiato Hitler ed esaltato l’uccisione degli israeliani da parte dei palestinesi, è convinto che i musulmani conquisteranno Roma e l’Europa attraverso il proselitismo.

    Queste identiche idee estremiste, anticamera del terrorismo islamico, vengono insegnate in molti centri islamici in tutta Europa e – continua Vidino – “vengono regolarmente promosse dai network legati ai Fratelli Musulmani e amplificate attraverso i massicci finanziamenti del Qatar”. Ecco perché – secondo l’esperto di terrorismo – bisogna cominciare a riflettere se approvare una legge che vieti “ogni finanziamento estero” delle moschee, soprattutto se proveniente dal Qatar. “Visto il flusso di fondi del Qatar diretto nella nostra penisola, sarebbe opportuno che anche la nostra classe politica affrontasse la questione”.

    Già, la nostra classe politica! Nel mese d’ottobre dell’anno scorso il nostro ministro degli Interni e vice presidente del Consiglio si è recato nel Qatar per firmare alcuni importanti accordi di collaborazione tra l’Italia e l’emirato del golfo Persico. Da un punto di vista economico, le cose stanno andando molto bene tra noi e il Qatar. Come ricorda La Verità, i dati sull’interscambio commerciale sono molto interessanti e il volume d’affari ha raggiunto 2,35 miliardi di euro nel 2017, “con un aumento dell’ 8,7% rispetto all’anno precedente e che nuove partnership tra aziende italiane e realtà qatariote si sono sviluppate in vista della Coppa del mondo del 2022”. Non va dimenticato il ruolo fondamentale del settore della Difesa: nel 2016, il Qatar ha firmato un accordo con Fincantieri per la consegna di sette unità navali per un costo complessivo di cinque miliardi di euro. E anche i nostri produttori agricoli hanno registrato un aumento dell’export, con un volume di esportazioni quadruplicato negli ultimi 10 anni e certificato dall’ultimo accordo siglato da Coldiretti con l’emirato per la distribuzione dei prodotti italiani.

    Su che cosa dovrebbe riflettere la classe politica italiana? Sugli affari o sui finanziamenti del Qatar agli islamisti italiani? Voi lettori che risposta date? Io l’ho già data, dentro di me, e sono certo che non coincide con quella della classe politica. Di fronte al proselitismo dei musulmani in Italia,  finanziato in abbondanza dal Qatar, nessuno muoverà un dito. Non potendo contare sulle riflessioni dei politici,  prego solo che sia S. Pietro a non permettere l’invasione della sua basilica!

  • Missing in action

    Il clima di incertezza internazionale ha determinato un forte rallentamento della crescita economica e paradossalmente risulta ancora una volta (esattamente come nel 2008 nel caso della crisi finanziaria Made in Usa dei “subprime”) successivo ad un periodo di politica monetaria fortemente espansiva negli Stati Uniti  operata dalla Fed per sostenere la crescita dell’economia americana.

    Così in Europa il rallentamento, e per fortuna ancora non la crisi conclamata, emerge alla fine del  quantitative easing che ha rappresentato, assieme ai Tltro, un sostegno alla ripresa economica europea da parte della Bce.

    Quindi la crisi mondiale finanziaria Usa, se non causata, quantomeno viene favorita dall’eccesso di liquidità immessa dalla Fed come strumento di sostegno e di sviluppo per l’economia statunitense, all’interno di un mercato globale contraddistinto da una maggiore incertezza legata soprattutto alla politica di forte contrapposizione tra gli Stati Uniti e la Cina e nella definizione delle politiche commerciali presenta forti similitudini con il rallentamento della crescita.

    La storia economica, in altre parole, dimostra ancora una volta, inequivocabilmente, che le sole politiche monetarie utilizzate come strumento di sviluppo se non opportunamente finalizzate alla ripresa del settore manifatturiero e industriale rappresentano semplicemente un veicolo per creare le perfette condizioni per  una crisi economica scaturita sia da problematiche proprie interne che da contesti internazionali come la contrapposizione tra i due colossi Stati Uniti e Cina.

    Il clima di incertezza complessivo, quindi, contribuisce a creare le condizioni di un rallentamento della crescita nel mercato globale ed interconnesso. Per quanto riguarda il nostro paese, invece, l’Italia è tra gli unici cinque (5) paesi del mondo in recessione economica assieme alla Corea del Nord, alla Guinea Equatoriale, Porto Rico e Venezuela. Questa triste e indegna situazione economica dimostra l’assoluta incapacità gestionale operativa e strategica di chi ha gestito le politiche economiche nel nostro paese a partire dal 1992 in poi, l’anno del prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti degli italiani operato dal governo Amato nella notte tra il 9 e 10 di luglio: nel caso qualche mente infantile ancora pensasse ad un  ritorno alla lira per risollevare le condizioni della nostra economia.

    In questo contesto avvilente si rileva a puro titolo di cronaca come tre termini economici (che hanno riempito le cronache economiche degli ultimi anni) risultino assolutamente spariti dal lessico odierno di economisti, politici, accademici e media da quando la crisi sta manifestando i propri effetti particolari per l’economia italiana.

    Negli ultimi cinque anni infatti buona parte del dibattito che ha investito le migliori “intelligenze nazionali ed internazionali” troppo spesso risultava concentrato su tematiche di sviluppo economico che indicavano nel  valore di volano dei servizi, ed in questi individuati soprattutto dalla sharing/app/gig Economy. Queste tre definizioni di Economia ora risultano letteralmente “missing in Action“!

    Ancora oggi non si riesce a comprendere come i servizi individuati come fattore fondamentale di sviluppo invece verranno spazzati via nel giro di pochi anni da un semplice algoritmo. Potranno sopravvivere, invece, solo ed esclusivamente se legati ad un forte settore manifatturiero all’interno del quale contribuiranno ad aumentare il valore aggiunto del prodotto. Viceversa l’intero mondo economico nazionale e internazionale ha sempre individuato in queste tre tipologie di “economia” la via maestra per lo sviluppo. Queste invece risultano assolutamente ridicole sotto il profilo del loro peso economico ma soprattutto, e ripeto soprattutto, per la “ricaduta occupazionale risibile”, il parametro di riferimento fondamentale nella valutazione di un qualsiasi politica di sviluppo economico .

    A queste ridicole visioni si aggiungono, poi, la sopravvalutazione degli effetti delle politiche di deregolamentazione dei servizi stessi (https://www.ilpattosociale.it/2019/03/07/perche-non-si-cresce/).

    Il fatto ora che il nostro Paese risulti nel terribile gruppo delle uniche cinque nazioni del mondo in recessione economica dimostra inequivocabilmente il fallimento clamoroso della nostra classe politica, dirigente ed accademica dimostratasi ancora una volta assolutamente autoreferenziale ed incapace nell’elaborazione di una strategia economica del medio come del lungo termine. Una inadeguatezza che condanna il nostro paese ad un inesorabile declino culturale di cui quello economico ne risulta semplicemente un effetto.

  • The Gold Remonetization

    La decisione della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea (BRI), che stabilisce come dal 29 marzo 2019 i depositi aurei custoditi nei Caveau verranno inseriti come asset nei bilanci degli Istituti bancari  e quindi si trasformeranno in valuta (ecco il temine Gold Remonetization), rappresenta una decisione storica in perfetta antitesi con quanto stabilito dal 15 agosto 1971 dal Presidente Nixon.

    La fine della convertibilità del Dollaro in oro ha rappresentato la nascita di macro aree economiche e monetarie inserendo nelle politiche di sviluppo economico anche gli  effetti delle politiche monetarie tanto care ora ai “Sovranisti”, nostalgici di un ritorno ad una valuta debole che offra nuove opportunità al nostro sistema economico export oriented, definita svalutazione competitiva e comunque mai con effetti nel medio e lungo termine.

    Tuttavia questa storica decisione della BRI rappresenta, valutandola nel conteso economico europeo, una sostanziale conferma ed evidente manifestazione delle preoccupazioni degli organi finanziari internazionali relativi  alla tenuta del sistema bancario stesso nel prossimo ciclo economico caratterizzato da una assoluta incertezza. In buona sostanza, a livello strategico e strutturale successivamente alla riduzione anche attraverso la cessione di asset di Npl, e non toccando il problema dei derivati, la questione centrale e le problematiche conseguenti spostano la propria attenzione verso la quantità di titoli debito sovrano che tutti gli istituti bancari presentano all’interno dei propri bilanci.

    In altre parole, a porre il sistema finanziario in difficoltà è l’effetto complessivo di politiche dei diversi governi che hanno determinato l’esplosione del debito pubblico, NON per realizzare asset infrastrutturali che aumentassero la competitività del sistema imprese (p.e. reddito di cittadinanza e quota cento solo per citare gli due ultimi esempi) ma per  finanziare a debito i diversi capitoli della spesa corrente.

    In un periodo economico che si distingue per la decisa incertezza economica e politica alla quale contribuiscono tanto i governi nazionali quanto la stessa Unione europea gli stessi titolo del debito sovrano subiscono una metamorfosi da titoli a basso rendimento ma sicuri in quanto espressione di sistemi economico-politici nazionali ad asset talmente imponenti (nelle loro espressioni finanziarie complessive) fino ad assumere i connotati  simili a quelli una volta attribuiti ai sub- prime statunitensi, tali cioè da mettere a rischio la stessa  sostenibilità del sistema bancario.

    Questa scelta, quindi, della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea  di utilizzare le riserve auree  e la conseguente monetizzazione ed inserimento come asset positivo contemporaneamente  al varo di nuove politiche monetarie espansive ed anti-cicliche legate all’emissione del Tltro rappresenta il livello di  preoccupazione dei principali organi ed autorità internazionali  nei confronti di un sistema bancario il quale presenta asset imponenti di titoli del debito sovrano.

    Il corto circuito economico-finanziario da evitare nelle intenzioni di queste politiche (Tltro e Gold Remonetization) in pratica in un periodo di forte incertezza economica è causato dalla impossibilità per un sistema bancario squilibrato di sostenere politiche espansive dei diversi governi nazionali, troppo spesso  legati alla semplice emissione di nuovo debito pubblico a sostegno dell’aumento della spesa corrente.

    Uno scenario che dovrebbe preoccupare il nostro governo in carica quanto l’opposizione i quali  invece, in considerazione delle tematiche giornalmente oggetto di scontro politico, dimostrano come l’irresponsabilità di entrambi rappresenti il Dna distintivo di questa classe politica italiana.

  • La Scientology economica

    Al di là dell’odioso ed inutile palleggio relativamente alla responsabilità tra maggioranza ed opposizione relativamente a chi imputare la responsabilità di avere riportato definitivamente in recessione il nostro sistema economico italiano emerge  evidente appunto come il nostro paese sia realmente rientrato in un tunnel la cui luce alla fine la  vide solo il Prof. Monti, un tunnel esattamente simile a quello del novembre 2011.

    Uno scenario economico finanziario ampiamente previsto (https://www.ilpattosociale.it/2018/11/12/novembre-2011-2018/) quanto prima ignorato, ma successivamente addirittura negato, dal governo in carica quanto la necessità di una manovra correttiva.

    La seconda, ora (MA SOLO ORA), cioè la manovra correttiva, viene prospettata come possibile se non probabile eventualità confermando lo spessore risibile delle professionalità economiche impegnate alla guida del Paese.  A fronte di una tale incapacità di considerare la nostra economia inserita all’interno di uno scenario economico internazionale, questo comportamento risulta tipico di una prova di fedeltà, come di affiliazione, ad una setta religiosa/economica (tipo Scientology) più che ad una condivisione di conoscenze, professionalità e competenze in un quadro economico sempre  in forte deterioramento.

    L’ultimo dato allarmante ci riporta al 2009, nel pieno della crisi finanziaria statunitense: la diminuzione del fatturato industriale del -7,3% del dicembre 2018 infatti riporta a quel terribile periodo.

    Le analogie del resto non finiscono qui. La stessa Bce sta ipotizzando una seconda emissione di Tltro (targeted longer-term refinancing operations) per fornire liquidità ai diversi sistemi bancari nazionali che li dovrebbero immettere nel mercato del credito alle imprese e di conseguenza finanziare se non una ripresa economica quantomeno arrestare la decrescita.

    Quindi la Bce, partendo dalla considerazione che il pericolo stagnazione e recessione europea vada assolutamente contrastato (il nuovo presidente della Consob Savona ancora ad ottobre 2018 parlava di una crescita del 2% per il 2019  e del 3 per il 2020!!!), sta considerando l’avvio di una seconda politica monetaria espansiva al fine di fornire concreti strumenti economici alla ripresa o, per lo meno, al contenimento della stagnazione/recessione.

    Quindi l’intenzione anti-ciclica della direzione della Bce dimostra la preoccupazione per un andamento della economia mondiale ed europea nelle cui dinamiche ogni sistema economico, espressione di Nazioni sovraniste o meno, cerca di intervenire per favorire comunque la crescita. Solo il governo italiano, fedele alla dichiarazione di fedeltà alla nuova “Scientology governativa”, continua cieco e sordo ad ogni input esterno nel tentativo di  raggiungere i falsi traguardi venduti come possibili in campagna elettorale.

    Tornando per fortuna alla Bce non è da escludere come successivamente alla scelta di una politica monetaria espansiva con l’utilizzo dei Tltro segua un nuovo Quantitave Easing che, come il precedente, permetterà di sospendere da ogni responsabilità nella creazione di nuovo debito pubblico i paesi europei ed in particolare l’Italia.

    Una irresponsabilità che vedrà accomunati i precedenti governi Renzi e Gentiloni (che hanno creato nuovo debito pubblico spacciando la timida ripresa economica come frutto di tali nuove risorse finanziarie mentre era semplicemente estero-vestita) al governo attuale il quale in più, con la propria sordità ad ogni elemento che giunga dal contesto internazionale, persegue i propri obiettivi elettorale dimostrandosi fedele e sordo come solo un adepto ad una religione pagana dimostra di essere.

  • L’Arabia Saudita chiude i rubinetti di petrolio e i prezzi volano alle stelle

    Dopo una serie di sedute in calo torna a salire il prezzo del petrolio. A pesare la decisione dell’Arabia Saudita di ridurre le vendite e la possibilità discussa dai Paesi Opec/non Opec di procedere a un nuovo taglio alla produzione per sostenere i prezzi dell’oro nero, che nel mese di ottobre ha segnato un calo del 20% circa.

    Secondo quanto deciso dal ministro dell’Energia Khalid al-Falih, l’Arabia Saudita, leader ufficioso dell’Opec,  prevede di ridurre la fornitura di petrolio ai mercati mondiali di 500.000 barili al giorno a partire da dicembre. Il taglio rappresenta una riduzione della fornitura globale di petrolio di circa 0,5 per cento.

    Immediata la reazione del mercato: nella mattinata del 12 novembre i contratti sul greggio Wti con scadenza a dicembre hanno guadagnato 92 centesimi a 61,11 dollari al barile. Il Brent ha guadagnato 1,45 dollari a 71,63 dollari al barile.

    La mossa dell’Arabia Saudita potrebbe essere seguita presto dall’Iraq, secondo più grande produttore di OPEC. Un funzionario del Kuwait, altro paese membro dell’Opec, ha inoltre affermato che i maggiori esportatori di petrolio nel fine settimana hanno “discusso una proposta per una sorta di riduzione della fornitura il prossimo anno”, sebbene il funzionario non abbia fornito alcun dettaglio.

    Intanto, Peter Kiernan, analista presso l’Economist Intelligence Unit di Singapore, ha spiegato che la riunione dello scorso fine settimana si è “focalizzata sulla necessità di mitigare i rischi al ribasso dei prezzi” dopo il calo dello scorso mese causato da un’impennata dell’offerta, in particolare dai primi tre produttori, gli Stati Uniti , Russia e Arabia Saudita.

    Fonte: Wall Street Italia

     

  • Formiche o cicale?

    Se lo chiede il Wall Street Italia del 5.11.18 in un articolo di Alessandra Caparello.

    Durante la 94esima Giornata mondiale del Risparmio, di cui Il Patto Sociale ha parlato qualche giorno fa (https://www.ilpattosociale.it/2018/11/02/italiani-popolo-di-risparmiatori-malgrado-il-futuro-incerto/), un’indagine realizzata dall’Acri, ovvero dall’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio insieme all’Ipsos, ha fatto emergere come la propensione degli italiani al risparmio resta alta, ovvero all’86% come lo scorso anno.

    Ebbene, ora altri dati mostrano il contrario, almeno paragonando la capacità degli italiani di economizzare  con quella dei colleghi europei. Se nel 1995 il 16% del reddito lordo delle famiglie italiane veniva risparmiato, ventidue anni dopo, nel 2017, tale percentuale è crollata al 2,4%. Questi i dati raccolti dall’Ocse e riportati oggi in un articolo de Il Sole 24 Ore.  E’ vero che le condizioni economiche in ventidue anni sono profondamente cambiate, vuoi per l’abbassamento del costo del denaro, la creazione della moneta unica e la crisi economica che ha colpito duramente dieci anni fa, contribuendo tutti insieme a cambiare le abitudini delle famiglie.

    Tuttavia, il confronto con altri paesi è molto deludente: Francia e Germania, che, pur con diversi esiti, hanno avuto le stesse condizioni dell’Italia, sono riuscite nel mantenere tassi di risparmio più o meno sugli stessi livelli, al 10% circa del reddito lordo disponibile.

    In ogni caso la media dei paesi che adottano la moneta unica presenta un valore doppio del tasso di risparmio rispetto all’Italia. L’immagine che spesso si ha della famiglia del nostro bel paese “previdente”, che mette da parte una parte consistente dei guadagni del proprio lavoro, è solo un ricordo. Oggi i campioni del risparmio, le famiglie “formichine”  – almeno tra i paesi Ocse – si trovano oramai in Svizzera, Cina e Svezia.

  • Dall’Europa fondi per quasi 2 milioni per mettere in sicurezza il territorio in Italia

    Quasi 2 milioni di euro per adattare il territorio ai cambiamenti climatici e prevenire i danni provocati dalle alluvioni. Sono i soldi stanziati dall’Ue attraverso il programma Life per due diversi progetti italiani, che puntano prima di tutto a coinvolgere le comunità locali per ottenere risultati concreti. Si chiama ‘Beaware’ l’iniziativa di cui è capofila il comune di Santorso (Vicenza) alla quale andranno 1,2 milioni di euro su 2,1 di costo complessivo. L’obiettivo è adattare i territori ai cambiamenti climatici migliorando il trattenimento delle acque pluviali nelle aree urbane e rurali, partendo innanzitutto da azioni di informazione e di coinvolgimento dei cittadini, sia di Santorso che del vicino comune di Marano Vicentino. In questo modo saranno portate a termine operazioni di prevenzione che potranno poi essere esportate in altre zone d’Italia e dell’Ue.

    ‘Beaware’ rientra nella lista di 30 progetti italiani finanziati dal programma Life per 73,5 milioni di euro totali, l’ammontare più alto tra tutti i paesi Ue. Fra questi c’è anche ‘SimetoRes’, che vuole adattare il territorio della siciliana Valle del Simeto alle sempre più frequenti precipitazioni estreme. Grazie a 600mila euro stanziati dall’Ue (su 3 milioni totali del progetto), l’iniziativa guidata dal Comune di Paternò si concentrerà sulle sulla costruzione di nuove infrastrutture e sulla modifica delle aree urbane esistenti, incoraggiando la partecipazione delle comunità locali.

  • Il Parlamento europeo costa 3,6 euro al giorno ai cittadini della Ue

    «Il Parlamento europeo ti costa come un panino: 3,96 euro l’anno»: è il primo di una serie di tweet pubblicati dalla rappresentanza italiana del Parlamento europeo per smontare i ‘falsi miti’ che circolano sulle spese dell’Eurocamera. L’iniziativa (#facciamochiarezza #bilancioPE) punta a sgombrare il campo dagli equivoci sui costi dell’Assemblea, calando cifre e percentuali nella realtà con esempi concreti.

    Con un budget di 1,999 miliardi e una popolazione comunitaria di circa 504 milioni di abitanti l’Eurocamera costa meno di 4 euro a ogni cittadino europeo. Molto poco: quanto un panino, come quattro caffè, meno della metà del costo medio di una pizza. Togliendo i britannici dal conto in vista della Brexit l’Europarlamento arriverà a costare 60 centesimi di più a testa. I dati propongono anche un parallelo con la Camera dei Deputati – che per il 2018 prevede un bilancio di 1,054 miliardi di euro a lordo delle restituzioni – e che costerà più di 17 euro a ogni contribuente italiano. E anche con i tagli ai costi della politica previsti per il 2019, secondo l’elaborazione della rappresentanza italiana, con una sforbiciata dell’8,43% al budget di Montecitorio, la spesa sarà di gran lunga superiore a quella del Parlamento europeo (quasi 16 euro a testa). Senza contare le spese per il Senato.

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