soldi

  • Sperperi e incongruenze delle Regioni

    La Regione Emilia Romagna, unica regione del nord ad avere proibito in città la circolazione dei diesel euro 4, a fronte delle tante proteste di sindaci, lavoratori e cittadini, si è adeguata alle altre regioni per le quali il divieto di circolazione arriva all’euro 3. Per qualche giorno decine di migliaia di abitanti in Emilia Romagna hanno avuto interdetto l’utilizzo della loro macchina e gli abitanti delle altre regioni del nord, possessori di diesel euro 4, non hanno potuto venire a lavorare in Emilia Romagna. Come fa una nazione, governata attualmente da un governo sovranista, ad accettare così gravi differenze e penalizzazioni di suoi cittadini, dovute solo al fatto di abitare in una regione invece che in un altra?

    Le incongruenze del sistema regione, in  Italia, sono note da anni, dagli scandali economici alle inadempienze ed anche in questi giorni i dati sui costi dei dispositivi  sanitari per il diabete dimostrano come questo sistema non funzioni, con buona pace delle sempre più forti autonomie da sempre invocate dalla Lega. Solo per il diabete si parla di uno sperpero di 215 milioni mentre se si affronta il problema complessivamente si arriva ad un miliardo di euro sprecato per acquisti ingiustamente onerosi in alcune regioni. Un miliardo che potrebbe tramutassi, se fossero state applicate, e si applicassero ora, le norme contenute nel decreto salva Italia, varato nel 2011, in una nuova opportunità. Infatti le regioni e il paese con il risparmio di un miliardo, avrebbero la possibilità, finalmente, di dare ascolto alle tante necessità inevase del nostro sistema sanitario. Pensiamo alle lunghe permanenze nei pronto soccorsi, per mancanza di spazio e di medici, alle attese infinite per esami salva vita, con la conseguenza che spesso, quando sono finalmente eseguiti, la malattia è andata troppo avanti per essere fermata. Pensiamo a strumenti diagnostici che, se si assumesse il personale medico e tecnico necessario, potrebbero funzionare a pieno ritmo almeno per 12/18 ore al giorno, pensiamo ai macchinari abbandonati negli scantinati, agli ospedali ultimati e non utilizzati, ai pazienti di alcune regioni del sud che devono portarsi da casa quanto manca in ospedale, pensiamo alle tante persone che negli ultimi anni hanno dovuto rinunciare a curarsi per i costi troppo alti di ticket, di interventi e visite non contemplati dal servizio sanitario. Pensiamo, con crescente preoccupazione, all’allarme da tempo lanciato per la penuria di medici a fronte dei tanti che nei prossimi anni andranno in pensione ed alla consolidata mancanza di tecnici di radiologia ed infermieri.

    Non basta parlare di tagli, come in alcune occasioni ha dichiarato Salvini, bisogna dire che saranno gli sprechi, e quali sprechi, ad essere eliminati per far funzionare meglio la sanità e dare le giuste attenzioni ai malati, specie a quelli che non possono rivolgersi a strutture a pagamento. Bisogna mettere mano al sistema regioni perché il diritto all’autonomia non può tramutarsi nel diritto a rendere diversi gli italiani o a sperperare i soldi dei contribuenti.

  • Ottanta euro e reddito di cittadinanza: la lezione non compresa

    Sembra incredibile come in Italia la storia possa passare inutilmente senza lasciare nessun segno e tanto meno nessuna indicazione a chiunque la volesse leggere e dalla cui comprensione elaborare le strategie future, specialmente in ambito economico. Molti, anzi troppi, ancora oggi sono convinti della totale differenza tra il PD ed il MoVimento 5 Stelle per quanto riguarda i propri programmi economici.

    Tuttavia,  paradossalmente, le differenze nelle “complesse visioni strategiche” risultano assolutamente minime in quanto entrambe si basano su di un impianto ideologico ed antieconomico molto simile, in relazione al passato prossimo, con l’introduzione degli 80 euro e più recentemente con l’avvento del reddito di cittadinanza.

    Destinare ottanta euro oppure un reddito di cittadinanza automaticamente non comporta in nessun modo come conseguenza l’aumento dei consumi che rappresenta l’obiettivo dichiarato tanto dal governo Renzi quanto della compagine governativa attuale. Si può considerare veramente imbarazzante la semplice constatazione di come ancora non si riesca a comprendere che i consumi rappresentino soprattutto una manifestazione di fiducia non tanto in relazione alla disponibilità economica attuale quanto in rapporto alle aspettative positive per quanto riguarda il futuro a medio/lungo termine.

    In altre parole l’aumento dei consumi dimostra una fiducia da parte dei consumatori riguardo le  prospettive di crescita economica nel breve e nel medio ma soprattutto nel lungo termine. Infatti in questo contesto positivo aumenta automaticamente anche l’accesso al credito al consumo il quale dimostra ulteriormente la quasi sicurezza di poter far fronte al nuovo impegno finanziario da parte delle famiglie.

    La recente esperienza dell’introduzione degli ottanta euro voluta dal governo Renzi che non ha mosso di un decimale il livello di consumi dimostra esattamente come una elargizione o, se si preferisce, una nuova disponibilità economica non sia in grado di modificare minimamente il sentiment del consumatore, il quale paradossalmente accresce il proprio deposito in banca (+3,4%) togliendo ulteriore liquidità al consumo.

    In tal senso si ricorda come l’indice dei consumi risulti inferiore dello 0,5% rispetto al tasso di inflazione (1/1,1 % il primo 1,6 il secondo) che di fatto stabilisce una regressione dei consumi stessi.

    In più il reddito di cittadinanza attuale, come gli ottanta euro in precedenza, rafforzano la posizione centrale dello Stato come erogatore di reddito oltre che di servizi declinando verso una forma istituzionale sempre più lontana da quella dello stato federale e quindi da uno stato nel quale ogni singola regione risponda con la propria responsabilità dell’utilizzo delle risorse finanziarie e del loro impiego, in una centralità ed un ruolo dello Stato che si allontana sempre più da una forma di Stato liberale capace di porre le proprie aziende (le uniche vere che creano reddito di occupazione) nelle migliori condizioni per competere in un mercato globale e concorrenziale.

    Questa conferma legata alle politiche sia del PD che dell’attuale governo in carica relativamente al posizionamento dello Stato non tiene poi in alcuna considerazione la conclamata inefficienza nelle erogazioni delle servizi dello Stato come della buona parte delle Regioni. Risulta infatti una contraddizione in termini fornire nuove risorse finanziarie a chi già non risulti in grado di gestire quelle attuali. La similitudine quindi tra l’impostazione politica economica dell’attuale governo come dei precedenti governi Gentiloni e Renzi dimostra che in buona sostanza non sia cambiato nulla nella visione ideologica della centralità dello Stato nell’erogazione di servizi, in questo caso anche di redditi aggiuntivi. Dimostrando ancora una volta come la politica economica e la crisi che attanaglia il nostro Paese non sia che l’aspetto di una peggiore e ben più profonda crisi culturale.

  • Equità fiscale: 3.7 milioni, 23.3 milioni , 150 persone…

    Uno dei concetti più usati per ragione contro la flat tax è relativo al fatto che questa favorisca mediamente i redditi oltre i 30.000 euro e quindi escluda dai benefici di una aliquota piatta quasi l’80% della popolazione italiana. Da anni i fatti continuo ad indicare, per una riduzione del carico fiscale vista come unica soluzione finanziariamente sostenibile, la riduzione delle aliquote e della loro progressività. L’unicità della soluzione nasce dalla sostenibilità finanziaria anche in considerazione del fatto che il nostro Paese continua a dimostrare una crescita del debito pubblico  due volte e mezza superiore rispetto alla crescita del PIL. In tal senso si ricorda anche che in presenza di una riduzione del PIL reale rispetto a quello previsto (2018 anno in corso 1.1% attuale rispetto alle previsioni di 1,4 %) questo determini automaticamente un aumento della pressione fiscale stessa.

    Tornando quindi alla politica fiscale strutturata in una costante lieve riduzione delle aliquote e della loro progressività per ridare un po’ di supporto alla domanda interna, contemporaneamente la leva fiscale dovrebbe venire utilizzata anche come fiscalità di vantaggio al fine di favorire gli investimenti nel nostro Paese. Questa fiscalità offre  la possibilità di raggiungere il doppio obiettivo di favorire il reshoring produttivo di attività una volta delocalizzate in un paese a basso costo di manodopera e, di conseguenza, aumentare l’occupazione di buon livello, sia professionale che retributivo. Quindi come obiettivo correlato si otterrebbe anche un sostegno alla crescita della domanda interna.

    Ovviamente per trovare la propria copertura si dovrebbe avviare un’azione di ottimizzazione della spesa pubblica, la famosa spending review, mentre  l’anno successivo la copertura dovrebbe  arrivare dal maggiore gettito fiscale legato alle nuove attività industriali con forte ricaduta occupazionale presenti sul nostro territorio. Non va infatti dimenticato che in un mercato complesso e globale come quello attuale, l’economia non rappresenta un sistema perfetto nel quale applicare teorie economiche con manieristica ottusità  ma un insieme complesso ed articolato sempre alla ricerca di un proprio equilibrio senza mai trovarlo.

    Partendo da questo oggettiva considerazione è evidente quindi come la fiscalità, o meglio, la politica fiscale attuata dai vari governi possa rappresentare molto più della politica monetaria, uno dei fattori performanti e competitivi che possano favorire una crescita economica successivamente alla quale può anche subentrare la funzione di redistribuzione del reddito con i servizi erogati dallo Stato attraverso il prelievo fiscale.

    La rinuncia ad una quota della fiscalità normale viene in questo modo ripagata dal maggior gettito dell’anno successivo grazie alla maggiore occupazione creata con gli investimenti allettati appunto dalla fiscalità di vantaggio ma anche grazie al benessere diffuso che, di conseguenza, si riverbera attraverso la crescita dei consumi e il maggiore gettito dell’ IVA e delle altre accise sui consumi.

    In questo senso si ricorda che l’Italia rispetto alla crisi del 2010 risulti ancora al di sotto di oltre il 2% come livello di consumi, il che dimostra come  le politiche fiscali degli ultimi anni non abbiano ottenuto neppure un effetto redistributivo del reddito ma solo quello di coprire assieme al debito l’esplosione della spesa pubblica improduttiva.

    E’ perciò evidente come il livello dei consumi rappresenti un indicatore inequivocabile del benessere diffuso che la politica economica e quindi anche quella fiscale abbiano determinato negli ultimi anni. In questo senso allora può risultare interessare constatare come l’indice dei consumi risulti inferiore a quello dell’inflazione dello 0,3%. In questo contesto disastroso va ricordato invece come il  governo Gentiloni abbia inserito la flat tax al 26%  per le rendite finanziarie che favorisce le rendite oltre i 750.000 euro, in più con una possibilità esclusa per le imprese di compensare anche le minusvalenze.

    Ancora più insultante è l’intervento del governo Renzi che ha inserito la cedolare fissa di 100.000 euro per tutti i percettori di reddito superiore al milione che intendessero scegliere l’Italia come propria residenza fiscale. Solo per dare un esempio: una persona con un reddito di  un milione di euro verserà al fisco italiano centomila euro applicando una aliquota del 10%, mentre se il reddito risultasse di dieci milioni l’aliquota applicata risulterebbe essere del’l,1%.

    Una fiscalità di vantaggio per le singole persone dai redditi milionari non avrà e non può avere nessun tipo di ricaduta per la collettività e per i contribuenti cittadini italiani, se non forse l’aumento del valore degli immobili di prestigio. Si ricorda invece come la tassazione sul lavoro sia del 48%!

    In considerazione quindi allo stato attuale di questo sistema fiscale, assolutamente sbilanciato, la prima riforma fiscale che un governo di persone oneste e competenti dovrebbe varare dovrebbe venire individuata nella soppressione di questa volgare ed iniqua cedolare secca per i redditi multimilionari che rende l’Italia un paese indegno e non certo europeo. Anche perché a tal proposito si ricorda che la fiscalità di vantaggio dei paesi dell’Unione Europea riguarda la volontà di essere maggiormente attrattivi per gli investimenti e le imprese estere che generano occupazione e non certo dei singoli percettori di alto reddito come in Italia. Si continua infatti a parlare a sproposito di investimenti in infrastrutture la cui ricaduta risulta positiva nel medio lungo termine (come fattore competitivo per le imprese), mentre la politica fiscale ha degli effetti immediati sul reddito disponibile dei cittadini e dei contribuenti e rappresenta l’unico modo per ridare un po’ di fiducia che troverebbe sicuramente una manifestazione anche attraverso un aumento dei consumi. Oltre ovviamente a riportare un senso di equità fiscale che attualmente è completamente dimenticato tanto dai sostenitori della flat tax e dell’uscita dall’euro quanto dei loro predecessori. Atteggiamenti entrambi figli di una incompetenza e disonestà intellettuale ormai senza orrore di se stessa.

    P.S. Nel caso qualcuno si chiedesse il significato dei numeri del titolo: persone ed aziende sottoposte al regime fiscale con aliquota media del 48% 3.7 milioni di imprese; 23.2 milioni di occupati; numero di persone che ottengono il regime fiscale forfettario con cedolare fissa a 100.000 euro per reddito oltre 1 milione: 150 …

     

  • Proposte per governare invece che dichiarare o blaterare

    Ogni giorno il sistema dell’informazione è ridondante di dichiarazioni e smentite dei due vicepremier e di alcuni ministri mentre rimane praticamente silente il presidente del Consiglio. Le dichiarazioni riguardano praticamente sempre gli stessi temi: flat tax, reddito di cittadinanza, immigrazione. Silenzio, invece, per quanto riguarda le iniziative possibili per far ripartire il sistema economico e trovare quei posti di lavoro dei quali il Paese, la gente, ha necessità.

    La ricostruzione del ponte di Genova, che ha creato più polemiche che vero cordoglio per le vittime ed un impegno immediato per evitare che sciagure annunciate abbiano a ripetersi, dovrebbe aprire la strada alla ricostruzione, o bonifica, di migliaia di ponti e viadotti, una parte dei quali è già stata riconosciuta come pericolante (mentre di tanti altri non si conosce ancora l’esito delle ispezioni, ammesso che queste siano state disposte e/o siano in corso). Questa ‘operazione sicurezza’, oltre ad essere una necessità,  sarebbe sicuramente un volano per l’economia: oltre alle maestranze occorreranno tecnici qualificati, materiale edile e quanto di conseguenza.

    Nella ‘operazione sicurezza’ andrebbero finalmente inserite tutte quelle scuole italiane che da tempo necessitano di interventi urgenti. Si parla di 14 miliardi necessari a portare a compimento la messa in sicurezza degli edifici nei quali studiano i nostri figli!

    L’Italia inoltre ha da decenni una rete idrica che perde più della metà dell’acqua potabile, con un danno gravissimo per una risorsa, l’acqua appunto, che è un bene sempre più prezioso, come dimostra la situazione tragica di città e Paesi del Sud Italia che hanno l’acqua soltanto ad orario o addirittura a giorni prestabiliti. La siccità del 2017 ha dimostrato che anche nel Nord Italia la carenza d’acqua ha costretto al razionamento e all’approvvigionamento tramite autobotti. Un progetto serio per riformare la rete idrica porterebbe vantaggi considerevoli ed ulteriore incremento delle attività lavorative, includendo oltre alle opere edili il materiale per le tubazioni.

    Costi sicuramente enormi ma ancora più enorme sarebbe la ripresa economica del Paese se queste opere fossero poste in essere immediatamente. Altrettanto certamente l’Europa non sarebbe sorda ed immobile di fronte a progetti specifici per opere necessarie. Tanto lo sforamento del 3% non può essere accettato per un reddito di cittadinanza tout court o per una flat tax, tanto la ricostruzione di quanto sopra detto, così come delle zone terremotate, vedrebbe l’avallo della Ue, anche con fondi specifici della stessa Unione.

    Da più parti si è sempre sostenuto che l’edilizia è uno dei principali volani per far ripartire l’economia e l’edilizia che fa da volano non è certo quella che costruisce qualche fatiscente villetta bifamiliare o che consuma inutilmente il suolo, ma quella che tramite le opere necessarie contribuisce al rilancio del Paese

    Ma c’è ormai non più soltanto l’impressione ma la certezza che il governo non sia preparato ad affrontare questi temi ma che cerchi, tra una dichiarazione urlata e un tweet accattivante, di trascinare l’alleanza fino alle elezioni europee, in una continua campagna elettorale alla fine della quale, come facevano i bambini a scuola, verificare chi ce l’ha ‘più lungo’.

    Purtroppo anche i partiti dell’opposizione, da destra a sinistra, sono coinvolti nello stesso gioco elettorale e trascinati dalle vicende interne in uno sterile avvitamento, con la conseguenza che anche da parte delle opposizioni non arrivano proposte che convoglino l’attenzione dell’opinione pubblica su temi seri e che impongano al governo di governare invece che dichiarare.

    Anche l’assenza, sul piano delle proposte, delle rappresentanze di categoria e dei sindacati, così come del mondo della cultura, contribuisce all’immagine di un Paese incapace di guardare non solo avanti ma anche al giorno dopo. E questa immagine, che di fatto non corrisponde ai milioni di persone che quotidianamente, in silenzio e con determinazione, lavorano per migliorare la propria azienda o per salvaguardare la propria famiglia, è quella che ci rappresenta all’estero, che ci toglie ogni giorno credibilità e, di conseguenza, possibilità di alleanze non suddite, di ottenere ascolto e assenso alle eventuali proposte.

  • Vent’anni di inutile storia

    Un arco di tempo di vent’anni può rappresentare un valido arco temporale per valutare i risultati ottenuti in rapporto alle dichiarazioni ed alle promesse elettorali dai vari governi. Più di vent’anni rappresentano anche l’arco di tempo scelto dalla Cgia di Mestre, dopo un’accurata analisi, per indicare in duecento (200) miliardi la pressione fiscale aggiuntiva. Negli ultimi vent’anni quindi risultano sottratti dalle tasche dei contribuenti duecento miliardi di euro a parziale copertura della ingovernabilità ed insostenibilità della spesa pubblica. A questa maggiore pressione fiscale fa riscontro, per di più, un livello dei servizi mediamente erogato dallo Stato o dagli enti locali qualitativamente di livello inferiore di anno in anno.

    Risulta allora interessante ricordare come nel 1998, quindi sempre vent’anni addietro, il debito pubblico risultasse di 1.731.058 miliardi di euro all’epoca del governo Prodi e D’Alema.

    Attualmente risulta già ampiamente raggiunta la soglia di 2349 miliardi di euro (fonte Istituto Bruno Leoni) di debito pubblico. Appare quindi imbarazzante la somma tra le nuove tasse unite alla crescita del debito pubblico.

    Sempre negli ultimi vent’anni ammonta ad oltre seicentoventi miliardi (620) il nuovo debito pubblico, +200 di maggiore di imposizione fiscale. Totale 820 miliardi “solo” in vent’anni utilizzati semplicemente a copertura della maggiore spesa corrente essendo la spesa in conto capitale praticamente azzerata. Una cifra assolutamente improponibile anche per un bilancio dello Stato e che rappresenta la fotografia del disastro economico, finanziario e gestionale che accomuna nella responsabilità l’intero arco costituzionale dei partiti che si sono succeduti alla guida del nostro Paese,  in particolare dalla seconda metà degli anni novanta fino ad oggi, come emerge evidente dal grafico in foto.

    Questo dimostra inequivocabilmente come non sia mai diminuita la spesa pubblica e tantomeno la pressione fiscale seguite dal costante aumento del  debito pubblico: una strategia comune a tutti i governi di centro-destra come di centro sinistra. L’esplosione poi emerge evidente a partire dal 2015/2016, periodo nel quale il debito, con il governo Renzi e Gentiloni, aumenta di 2,5 volte più velocemente del PIL portandosi alla drammatica situazione attuale di un rapporto insostenibile di oltre il 130% tra debito e PIL.

    Tornando all’analisi dell’ultimo ventennio è evidente come a fronte di queste cifre iperboliche di nuova spesa pubblica (sostenuta e dall’aumento del debito pubblico e della pressione fiscale) non abbia mai fatto riscontro un aumento del livello dei servizio, dimostrando, ancora una volta, come siano gli enti pubblici nella loro erogazione dei servizi stessi il vero problema dell’ inefficienza della pubblica amministrazione. Questa responsabilità va ovviamente equamente condivisa tanto tra chi ipotizzava una diminuzione “di un giorno lavorativo” come la esemplificazione di una visione semplicistica ed impropria relativa all’ingresso nell’euro. Quando invece si sarebbero dovuti diversamente utilizzare i risparmi sui costi al servizio del  debito pubblico grazie alla riduzione dei tassi medi invece di finanziare nuova spesa pubblica.

    Una responsabilità che ovviamente coinvolge anche brillanti candidati al premio Nobel  per l’economia convinti di risolvere il problema della inefficienza della pubblica amministrazione attraverso l’introduzione dei tornelli, mentre invece si sarebbe semplicemente dovuto inserire su un parametro di efficienza che valutasse l’esito tra le pratiche presentate ed  evase per aumentare la produttività della stessa amministrazione.

    Un disastro talmente evidente dato dalla somma del maggiore debito pubblico e della maggiore pressione fiscale (820 mld) che emerge dal semplice confronto tra i dati dei consumi del 2010 in Germania che sono aumentati di oltre il 13%, in Francia di oltre 10% mentre in Italia risultano  inferiori ancora del 2%.

    L’incrocio tra i dati  relativi all’aumento del debito pubblico dalla seconda metà degli anni ‘90 fino ad oggi unito alla maggior pressione fiscale degli ultimi vent’anni dimostrano inequivocabilmente come la gestione della macchina amministrativa presenta delle falle incontenibili che mostrano un costo doppio per la collettività e soprattutto per le imprese e per i  lavoratori.

    Il primo viene indicato dalla mancanza di un servizio finanziato attraverso la pressione fiscale e il debito che si rivela di scarso livello e non certamente in linea con le aspettative che un mercato globale impone ad una nazione come l’Italia.

    In questo senso basti pensare a tutte le classifiche che ci vedono tra gli ultimi posti tanto in Europa quanto nel mondo come numero di laureati al quale il mondo accademico risponde attraverso l’adozione del numero chiuso. In più esiste un secondo costo che viene rappresentato dalla necessità per gli stessi cittadini come per le imprese obbligati a ricercare nel settore privato quei determinati servizi che la pubblica amministrazione non sa offrire ad un livello adeguato. Si pensi ai diversi tempi di attesa per una visita con lo stesso medico all’interno della medesima struttura ospedaliera a seconda che si vi si acceda attraverso la via pubblica o privata.

    Sempre nell’ultimo ventennio il PIL dell’Irlanda è cresciuto ad una velocità molto superiore rispetto a quello italiano tanto da passare in termini assoluti da 1/25 di quello italiano al livello attuale di 1/5. Sono gli effetti di una gestione della pubblica amministrazione e della finanza pubblica assolutamente insostenibili, come la Corte dei Conti ogni anno ammonisce senza ottenere mai una risposta dal mondo politico stesso e tantomeno da quello accademico che, in questo caso, risulta  legato a doppio filo con quello politico.

    Una situazione talmente grottesca da coinvolgere persino la classe politica attuale che si considera nuova e che vorrebbe portare o meglio riportare il nostro Paese ad una valuta debole (la lira) convinta che questo porterebbe ad una esplosione delle esportazioni. Anche in questo caso una imbarazzante analisi come visione semplicistica che ridicolizza le competenze in campo economico  in quanto il debito pubblico andrebbe comunque pagato in valuta pregiata e non soggetta ad una  continua svalutazione: il che provocherebbe una ulteriore spinta inflazionistica legata all’esplosione dei costi al servizio del debito stesso.

    La storia economica degli ultimi vent’anni insegna e dimostra i “risultati” ottenuti attraverso determinate politiche economiche e sociali. Oltre ottocentoventi miliardi di nuova spesa pubblica finanziata, 620 a debito e 200 con nuove tasse. Un aumento che i ministeri sono riusciti ad ottenere attraverso la “contabilizzazione extra bilancio”, già fortemente criticata dalla Corte dei Conti, tanto da accrescere la spesa dei ministeri negli ultimi cinque  anni di altri cento miliardi.

    Questi numeri suggeriti dalla Cgia di Mestre incrociati con quelli dell’esplosione del debito pubblico e della spesa pubblica dimostrano come in Italia gli ultimi vent’anni di storia risultino  passati inutilmente e come la nostra crisi economica rappresenti solo un aspetto di una ben più grave crisi culturale. Appunto …Vent’anni di inutile storia.

  • L’UE finanzia con 300 milioni le PMI italiane dei settori culturali e creativi

    L’Unione Europea supporterà le imprese dei settori culturali e creativi attraverso la CCS Guarantee Facility gestita dal FEI. L’intervento, per la prima volta in Italia e realizzato grazie ad una nuova iniziativa lanciata in collaborazione con CDP nella sua qualità di Istituto Nazionale di Promozione, svilupperà un portafoglio di contro-garanzie in favore del Fondo PMI per un valore di €200 milioni, incrementandone fortemente la capacità operativa. Le PMI attive nei settori culturali e creativi otterranno in questo modo finanziamenti fino a €300 milioni.

    L’iniziativa promuove la concessione di nuovi finanziamenti alle imprese operative in numerosi settori, tra i quali cinema, TV, editoria e architettura. Nei prossimi sei mesi si stima che circa 900 imprese potranno accedere ai finanziamenti garantiti. Complessivamente, l’iniziativa punta a raggiungere circa 3.500 PMI nei prossimi due anni, che, grazie all’intervento di contro-garanzia, riceveranno finanziamenti per circa €300 milioni.

    Si tratta dell’operazione più rilevante, in termini di accesso al credito, mai realizzata all’interno del programma europeo “Europa Creativa” e per questo Mariya Gabriel, Commissario per Economia e Società Digitali, e Tibor Navracsics, Commissario per Istruzione, Cultura, Giovani e Sport, ne sottolineano tutta l’importanza: “I settori creativo-culturali rappresentano un ponte tra l’arte, il business e la tecnologia. Aiutare questi operatori economici a crescere e a stimolarne la creatività è tra i principali punti d’attenzione della Commissione Europea. Questo accordo di garanzia aiuta a colmare il financing gap che penalizza questi settori ed avrà importanti benefici sociali ed economici”.

    L’accesso al credito delle imprese operanti nei settori culturali e creativi può essere difficoltoso, principalmente in ragione della natura immateriale dei loro asset e delle loro garanzie, della ridotta dimensione del mercato, dell’instabilità della domanda, e della mancanza di esperienza da parte dei finanziatori nel saper soddisfare le specifiche esigenze di tali controparti. Quest’accordo si inserisce nel perimetro della “Piattaforma di risk-sharing per le PMI” strutturata da CDP in cooperazione con il FEI, nell’ambito delle iniziative sviluppate attraverso il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici del Piano Juncker.

    Le PMI operanti nei settori culturali e creativi che intendono ricorrere alla garanzia del Fondo PMI per finanziare nuovi investimenti o per esigenze di capitale circolante, possono rivolgersi alla propria banca o al proprio Confidi. Sarà la banca o il Confidi a richiedere l’intervento del Fondo PMI, il cui esito viene fornito mediamente entro una settimana lavorativa. Per maggiori informazioni, consultare: www.fondidigaranzia.it

    Fonte: Comunicato stampa della Commissione europea del 3 settembre 2018

  • Due scarpe diverse: Ronaldo si è fermato a Pomigliano e a Melfi

    Una squadra di calcio compra un giocatore per 130 milioni di euro e lo paga 30 milioni netti a stagione.

    Un sindacalista di un’azienda dello stesso gruppo della società calcistica protesta e fa un calcolo: nonostante l’espansione della produzione fuori Italia, ci sono stati annunciati 1.640 esuberi. Esattamente – diavoli di numeri – quanti sono gli stipendi che si potrebbero pagare con il compenso del giocatore, che dunque guadagna non dieci o venti volte più di un metalmeccanico, ma proprio 1.640 volte di più…

    Talenti molto diversi, meriti diversi, scarpe diverse per sudori entrambi veri ma diversi: il mercato ha le sue logiche, si dice. E alcuni liberali ridicolizzano la protesta, sottolineando che l’acquisto e il contratto del giocatore sono basati a un’altra logica economica e che alla fine, tra maggiori incassi dovuti alla stella calcistica, i costi saranno coperti dall’investimento effettuato. E hanno qualche ragione.

    Ma io sto anche con gli operai. Perché il problema è più complesso di quello che appare, va bene oltre la logica dei numeri e dei mercati per compartimenti stagni, ciascuno con i suoi conti che alla fine devono tornare.

    Sperequazioni ci sono sempre estate, da che mondo è mondo, e il grande campione tiene  a bada milioni  e milioni di tifosi, nei cinque continenti. Tuttavia in questo caso c’è una saggezza del caso, quasi un segno del destino che si è raggiunto l’indecente, perché non potremmo considerare in modo diverso la straordinaria coincidenza tra i 1.640 esuberi – persone vive che perdono il lavoro – e il rapporto 1 a 1.640 tra gli stipendi di un  operaio e di un grande calciatore.

    Non sarà colpa del giocatore, non sarà colpa nemmeno dei tifosi che impazziscono per lui e ne giustificano il valore; nemmeno sarà colpa della società sportiva che fa le sue scelte con soldi privati; e non è colpa dell’azienda se ritiene più conveniente licenziare in Italia e investire altrove. Ma non è nemmeno colpa di nessuno.

    Certo non del sindacalista che espone il dramma di queste cose. E al quale va la mia simpatia, e certo non il biasimo – anche perché la costante delegittimazione dei sindacati, una moda di questi ultimi anni alla quale hanno contribuito non poco gli stessi sindacati con alcuni loro privilegi corporativi – è una causa diretta del disagio sociale accrescente, della paura, del senso di abbandono di cui soffre un’Italia ormai priva di mobilità sociale e di un senso di giustizia condiviso. Chi ha ha, e se lo tiene stretto.  A cominciare dalla stessa azienda, incapace di un gesto, di una cultura della comunicazione “verso la sua gente”, in occasione di un acquisto che ci fa apparire in tutta Europa per i nababbi che non possiamo permetterci di essere. Ma i tempi di Adriano Olivetti in Italia ce li siamo scordati.

    E se non si capisce il senso di frustrazione, di ribellione, di mortificazione, di rabbia, che episodi come questo suscitano, non si potrà nemmeno capire le storture di un sistema che così com’è non regge, in assenza di tetti salariali, di tassazioni, incentivi e penalizzazioni mirate a uno sviluppo collettivo della società. Tantomeno si potrà capire che alla fine è anche una questione di estetica: sono numeri e rapporti di forza, applicati all’uomo, orribili, è uno spettacolo schifoso. Uno di quelli dove, smarrendo la dignità della persona, l’estetica ed etica coincidono.

  • Via libera dell’Esm a un miliardo di euro di aiuti alla Grecia

    Il board del fondo salva-Stati Esm ha dato il via libera al pagamento dell’ultimo miliardo di euro alla Grecia, ovvero l’importo residuo della quarta tranche del programma di assistenza. L’ok è arrivato dopo una valutazione positiva da parte delle istituzioni europee della liquidazione degli arretrati da parte del governo greco e dell’efficacia del sistema di aste elettroniche, come stabilito dal Memorandum.

    «Sono lieto di constatare che il governo greco ha compiuto sufficienti progressi nell’eliminare gli arretrati nel settore privato», ha detto il direttore generale dell’Esm Klaus Regling. «Se la Grecia rimane determinata nel mantenere lo slancio della riforma e nell’attuare le rimanenti riforme, sono ottimista sul fatto che possiamo completare la quarta revisione in corso del programma e che la Grecia possa uscire con successo ad agosto, come previsto», ha aggiunto.

    L’attuale programma di assistenza dovrebbe concludersi il 20 agosto 2018.

  • Le favole italiane e quelle estere

    Ancora oggi le forze politiche si illudono, e allo stesso tempo illudono i propri elettori, che quanto  promesso in campagna elettorale verrà realizzato nel breve e nel medio termine come il

    reddito di cittadinanza o di inclusione e la  Flat Tax. Tutti stupendi termini assolutamente privi di ogni copertura finanziaria per chiunque conosca l’andamento della spesa pubblica italiana e soprattutto la corsa del debito che cresce a 4463 euro/secondo, quindi circa 11 miliardi al mese, 130 all’anno, ad una velocità esattamente doppia rispetto a quella del 2014 che era di 2210/secondo.

    Il raddoppio di questa velocità è determinato dalla assoluta mancanza di controllo della spesa stessa e da una serie di azioni dei governi che hanno aumentato la spesa pubblica (finanziata a debito) per coprire le varie politiche relative al Jobs Act e agli 80 euro: una vera forma di politica vetero feudale. Viceversa, si cominciano a delineare le direttive degli organi internazionali relativamente alla strategia per rimettere sotto controllo la finanza pubblica italiana.

    Circa un paio d’anni fa passò assolutamente inosservata e inascoltata un’intervista dell’attuale presidente del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde la quale indicava in una patrimoniale da circa 4/500 miliardi basata essenzialmente su un prelievo del 20% sui conti correnti depositati presso le varie banche oppure attraverso una patrimoniale pesantissima la via per poter riportare sotto controllo il rapporto tra debito e Pil attorno ad un più accettabile 110-115%.

    Proprio pochi giorni fa Vitor Gaspar, direttore del dipartimento fiscale del Fmi, ha delineato in una manovra più articolata che si basi sulla riduzione del cuneo fiscale, contemporaneo all’aumento dell’IVA, da sommare ad una “patrimoniale sugli immobili” (proposta attraverso l’aggiornamento dei rendimenti catastali e di conseguenza di un aumento della pressione fiscale sugli immobili) la via per riportare sotto controllo la finanza italiane e soprattutto il debito pubblico in rapporto ad un Pil che cresce la metà di quello spagnolo, tanto per fare un esempio.

    Va ricordato tuttavia che il cuneo fiscale, cioè la differenza tra il reddito percepito dai lavoratori e  quanto invece pagato dall’azienda, quindi la sua riduzione appunto, non abbia alcun effetto  sul reddito disponibile dei lavoratori, quando invece si potrebbe utilizzare adattandolo alla realtà italiana: come esempio la riduzione delle imposte sugli utili d’impresa come la manovra di Trump  che ha innescato una corsa ai premi per i propri dipendenti  e  nuovi piani di investimento da parte delle aziende statunitensi proprio a causa dell’aumento dei dividendi per le aziende statunitensi.

    Entrambe queste strategie italiane e le due del Fondo Monetario Internazionale partono entrambe  dalla leva fiscale utilizzata per riequilibrare una spesa incontrollata. Queste presentano dei limiti evidenti e macroscopici. Il primo è che si continua a riversare risorse finanziarie all’interno di un serbatoio contenente la spesa pubblica senza intervenire sull’erogazione della stessa. Un secondo limite, forse ancor più grave di queste strategie, è relativo all’incapacità di affrontare  la questione principale relativa al rapporto debito PIL, individuabile nella crescita economica e quindi del PIL.

    Viceversa basterebbe una minima analisi approfondita  per comprendere come la nostra economia non possa svilupparsi solo attraverso gli incentivi fiscali, come ampiamente dimostrato solo venerdì scorso con la classifica del livello occupazionale delle nazioni europee che ci vede ultimi davanti solo alla Grecia.

    A fronte infatti di un aumento negli ultimi anni della spesa e parallelamente del debito anche per la copertura finanziaria degli stessi incentivi fiscali, a febbraio la produzione industriale  risulta in flessione ribadendo l’inutilità di queste manovre che non assicurano nessun effetto sull’economia reale come i dati sempre in flessione all’andamento dei consumi dimostrano. Un aumento dei consumi parallelamente ad una conseguente inflazione da crescita della domanda ma inferiore al 2% rappresenta infatti l’unico parametro attraverso il quale i cittadini dimostrano una maggiore o, meglio, la percezione di una migliore situazione economica e soprattutto un atteggiamento positivo relativamente al proprio futuro. Un aumento del PIL non confermato da un aumento di consumi risulta essenzialmente legato a fattori fiscali e viene pagato proprio dai cittadini i quali vedono ridurre il proprio potere economico in relazione all’aumento del livello dei prezzi. Nello specifico italiano poi si è aggiunto l’effetto del ricorso a contratti a tempo determinato che rappresentano circa il 91% .

    Un dato che comunque premia ancora una volta la valenza del  sistema industriale in quanto i contratti a tempo indeterminato in questo settore rappresentano il 23% del totale. Considerando la media nazionale vicina al 9% logica conseguenza vuole che il settore servizi, punto di riferimento della nomenclatura economica e governativa degli ultimi trent’anni, non utilizzi sostanzialmente mai un contratto a tempo indeterminato.

    Tornando all’attuale situazione, paradossalmente la produzione industriale torna ad essere negativa nel mese di febbraio come l’inflazione curva sotto il punto percentuale. In pratica si stanno ricreando le condizioni per una deflazione legata essenzialmente alla minore disponibilità economica dei cittadini (quindi una terribile deflazione da domanda)  che non diventano più consumatori ma semplicemente produttori di beni per i quali nessuno può poi essere a sua volta un consumatore. In altre parole, dal 2012 sono passati sei anni assolutamente inutili sotto il profilo della crescita economica in quanto il debito risulta aumentato di oltre 330 miliardi rispetto al novembre 2011 che segnò l’arrivo del governo Monti individuabile come l’inizio di  questa disastrosa spirale.

    Tornando quindi alle ricette diametralmente opposte dei politici italiani che vorrebbero formare un governo  rispetto a quelle del Fondo Monetario che continua a penalizzare la domanda interna, entrambe per rimettere sotto controllo il debito e la spesa pubblica ed offrire uno scenario di sviluppo economico all’Italia, rappresentano la sublimazione di approcci culturalmente insufficienti  alla necessità di trovare e di individuare le strategie di crescita economica del nostro Paese.

    In tal senso va ricordato infatti che un sistema economico non può essere solo rappresentato dai produttori di beni e servizi (l’offerta) ma anche di consumatori (la domanda) ai quali va restituita una parte della ricchezza prodotta diminuendo  la pressione fiscale esercitata in un modo indegno anche dagli enti locali che rappresentano essi stessi una figura non secondaria della disastrosa gestione delle finanze pubbliche, nonostante la supposta vicinanza rispetto al territorio che possono vantare rispetto allo stato centrale.

    Pur essendo così lontane queste due ricette, entrambe figlie della fantasia e di un approccio all’economia degno del Monopoli, si assomigliano per il carattere assolutamente fantasioso e per il disprezzo delle persone che dovrebbero subire le conseguenze. La favola italiana dimostra essenzialmente il valore della fantasia, quella del Fondo Monetario invece risulta una tragedia shakespeariana che coinvolge gli spettatori e cittadini.

    Sembra incredibile come ancora oggi si continuino a sprecare risorse finanziarie dal 2012, a partire  dal governo Monti fino all’attuale governo Gentiloni e anche con il prossimo governo in via di definizione. Purtroppo nulla risulta assolutamente cambiato nelle logiche della determinazione e della individuazione delle priorità da finanziare anche  rispetto ai rami secchi da tagliare nella spesa pubblica.

    Le favole infatti proposte dagli opposti schieramenti politici dimostrano essenzialmente la più assoluta irresponsabilità di una classe politica talmente miope da far diventare le favole del Fondo Monetario Internazionale le uniche realizzabili sul campo. La controprova oggettiva ed indiscutibile viene rappresentata dal triste  sorpasso della Spagna sul nostro Paese in relazione al Pil ed al reddito pro-capite. Un sorpasso che meriterebbe un’analisi molto più approfondita  relativa al fallimento di una classe politica dirigente di  Confindustria degli ultimi venticinque anni come delle associazioni di categoria e della classe accademica certificata da questo triste ed innegabile disastro. Un’analisi che non viene neppure approcciata non per pudore o altro ma semplicemente per incapacità nella individuazione delle ragioni stesse che l’hanno causata.

  • Il Grande Fratello fiscale si fa ancora più intrusivo col Risparmiometro

    Equità fiscale, ridistribuzione, solidarietà sociale, partecipazione della cittadinanza, si può girare la torta come si vuole ma tutti sanno che il fisco è il Grande Fratello. Una sensazione? No, la realtà: è infatti in arrivo il Risparmiometro, strumento con cui il fisco potrà effettuare controlli ove ritenga che risparmi e reddito sembrano incongruenti..

    L’idea alla base di questo strumento è quella di individuare il denaro percepito in nero e mai versato in banca (perché sui conti correnti il fisco ha già accesso e dunque versare il nero non conviene, perché agevola il fisco a verificare l’incongruenza della dichiarazione dei redditi), sulla base del volume dei risparmi annui del contribuente.

    Il risparmiometro dovrebbe analizzare conti correnti, conti deposito titoli e/o obbligazioni, conti a deposito a risparmio libero vincolato, rapporti fiduciari, gestioni collettive del risparmio, gestioni patrimoniali, certificati di deposito e buoni fruttiferi, conti terzi individuali e globali, carte di credito, prodotti finanziari emessi dalle assicurazioni e acquisti e vendita di oro e metalli preziosi. In sostanza serve a valutare tutti i rapporti finanziari riconducibili ai contribuenti tramite codice fiscale presente in anagrafe tributaria. È già in vigore?

    Il nuovo strumento è in via di sperimentazione, nel 2018 verranno effettuati i primi controlli selettivi sui contribuenti persone fisiche relativamente ai redditi dichiarati nel 2013-2014, per poi passare alle società nel 2019.

Pulsante per tornare all'inizio