soldi

  • Gli italiani guadagnano 15mila euro meno dei tedeschi

    Le retribuzioni italiane restano basse e, anzi, si amplia il divario salariale con altri grandi Paesi Ue, come la Francia e la Germania. Con i francesi la differenza in busta paga supera i 10 mila euro in un anno, ma è con i tedeschi che lo stacco è maggiore e raggiunge i 15 mila euro. A rilevare la stagnazione dei salari ed il gap retributivo in Italia è il rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil, in un confronto con le principali economie dell’Eurozona. Proprio nel giorno in cui la Germania dà il via libera definitivo ad un salario minimo da 12 euro all’ora. Milioni di lavoratori tedeschi ne avranno diritto a partire dall’1 ottobre. La legge è stata approvata dal Bundesrat, il Senato federale tedesco: si tratta di una delle misure cardine del programma di governo, voluta dai socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz. Mentre nel nostro Paese prosegue il dibattito dopo l’accordo sulla direttiva europea per il salario minimo, in attesa che vada avanti l’esame in commissione Lavoro del Senato del disegno di legge che propone i 9 euro l’ora, di cui è prima firmataria l’ex ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo (M5s), che ora, dopo l’ok tedesco, sostiene non ci sia più alcun “alibi in Italia”.

    Un tema su cui certamente intervenire, come ribadito dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, secondo cui con la direttiva europea “siamo più forti”. L’obiettivo è “avvicinarci ai Paesi con salari più alti e contenere i fenomeni di dumping salariale”. Come farlo è il nodo da sciogliere tra le forze politiche e sociali, ma certamente la definizione di un salario minimo anche in Italia non potrà che passare per “il dialogo sociale”, ripete il ministro. Mentre le forze politiche restano divise: il M5s in primis insiste sulla necessità di approvare la legge, rimarca il presidente Giuseppe Conte. Obiettivo che il Pd, con il segretario Enrico Letta, auspica si possa raggiungere “prima della fine di legislatura”. Il centrodestra no. Altro tema da affrontare quello delle pensioni: la legge Fornero “va cambiata”, afferma Orlando, per costruire flessibilità in uscita, incidere sui lavori più gravosi e tenere conto del lavoro anche familiare che le donne sono costrette ad affrontare.

    Tra dinamiche occupazionali che vedono l’exploit dei contratti a termine, il proliferare dei contratti ‘pirata’ e i rinnovi da portare a casa cercando di recuperare l’inflazione alle stelle, le retribuzioni italiane segnano il passo. E restano sotto la media dell’Eurozona. In Italia, secondo il rapporto della Fondazione della Cgil, il salario lordo annuale medio, pur recuperando dai 27,9 mila euro del 2020 ai 29,4 mila euro del 2021, rimane ad un livello inferiore a quello pre-pandemico (-0,6%). Nel 2021, nell’Eurozona si attesta invece a 37,4 mila euro lordi annui (+2,4%), in Francia supera i 40,1 mila euro, in Germania i 44,5 mila euro. Il risultato è che i salari medi italiani segnano così una differenza di 10,7 mila euro in meno rispetto ai francesi e di -15 mila rispetto ai tedeschi. Un andamento negativo su cui influisce anche l’alta percentuale di lavoratori poveri: sono 5,2 milioni i dipendenti (il 26,7%) che nella dichiarazione dei redditi del 2021 denunciano meno di 10 mila euro annui, rileva ancora la Fondazione Di Vittorio. Una “piaga”, dice la Cgil, che va sconfitta combattendo il lavoro precario e rafforzando la contrattazione. Di qui, la posizione sul salario minimo da definire – rimarca – attraverso il Trattamento economico complessivo (Tec) dei Ccnl firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative (come sostenuto anche da Cisl e Uil). Il riferimento al centro della proposta di Orlando, su cui dovrà andare avanti il confronto. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ripete che i contratti dell’associazione “sono tutti superiori” ai 9 euro l’ora previsti dalla proposta di legge sul salario minimo. “Se il governo lo vuole fare, non depotenzi la contrattazione  nazionale”. Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, torna invece a sottolineare come l’introduzione sarebbe “uno shock positivo” soprattutto per quei settori che soffrono di più la carenza di manodopera, come il turismo e la ristorazione.

  • Accorpamento delle banche: più vantaggi o disagi?

    Ormai da molti anni, da più parti, si sostiene che l’accorpamento delle banche è un vantaggio per i cittadini e per la collettività, nel contesto della grande competizione mondiale.

    A onor del vero i disservizi del sistema bancario, specie delle grandi banche, sono diventati sempre più evidenti con un danno che si evince chiaramente dai numeri degli sportelli chiusi, dagli orari ridotti, dall’invito al cliente a fare tutto da solo.

    Anche nella continua chiusura di agenzie e sportelli si vede la differenze tra l’Italia del nord e l’Italia del sud, infatti nel sud vi è una media di soli 23 sportelli ogni 100.000 abitanti

    In un anno, in Italia, sono stati chiusi 1.831 sportelli e 4.902 comuni non hanno neppure uno sportello bancario, l’evidente danno per la clientela è pari al danno che hanno subito quei lavoratori che si sono visti di fatto estromettere dal sistema, infatti ogni accorpamento di sigle bancarie comporta esuberi e licenziamenti di dipendenti.

    Fortunatamente vi sono ancora banche locali solide che offrono al territorio quella copertura e quei servizi che le grandi compagnie hanno da tempo abbandonato.

  • Il Bitcoin diventa valuta legale nella Repubblica Centrafricana

    La Repubblica Centrafricana adotta il Bitcoin come valuta legale divenendo così il secondo Paese al mondo, dopo El Salvador, a fare ricorso a tale misura. Lo Stato africano, uno dei più poveri del mondo sebbene sia ricco di diamanti, oro e uranio, è devastato da un conflitto ultra decennale ed è uno stretto alleato della Russia, con mercenari del gruppo Wagner che fiancheggiano le forze ribelli locali.

    L’uso legale del Bitcoin è stato votato all’unanimità, come dichiarato dalla Presidenza della Repubblica secondo la quale tale mossa pone lo Stato “sulla mappa dei paesi più audaci e visionari del mondo”.

    Quando El Salvador ha adottato per primo il Bitcoin come valuta legale, nel settembre 2021, è stato fortemente criticato da mole realtà del mondo economico, compreso il Fondo Monetario Internazionale.

    Nel 2019, solo il 4% degli abitanti della Repubblica aveva accesso a Internet, secondo il sito Web WorldData. Ed la Rete è necessaria per utilizzare qualsiasi criptovaluta, incluso il Bitcoin.

    Il Paese attualmente utilizza il franco CFA (Franco delle Colonie francesi d’Africa), sostenuto dalla Francia insieme alla maggior parte delle altre ex colonie francesi in Africa. Tanti vedono nella legalizzazione del Bitcoin un tentativo per minare il CFA, all’interno di una vera e propria gara tra chi, Francia e Russia, possa mettere le mani su di un paese assai ricco di risorse. “Il contesto, data la corruzione sistemica e un partner russo che deve affrontare sanzioni internazionali, incoraggia i sospetti”, ha detto all’agenzia di stampa AFP l’analista francese Thierry Vircoulon.

    La Repubblica Centrafricana ha sofferto per i numerosi conflitti che si sono susseguiti, ed ancora in corso, sin dalla sua indipendenza nel 1960.

    Nel 2013, ribelli principalmente musulmani hanno preso il controllo del Paese in gran parte cristiano. Furono formate milizie di autodifesa per contrattaccare, causando numerosi massacri. Dopo l’elezione del presidente Faustin-Arcangelo Touadéra nel 2016, il Paese ha iniziato a spostare la sua alleanza strategica dalla Francia alla Russia.

  • Nel napoletano sottratti allo Stato 6.557 milioni di euro da finti destinatari del reddito di cittadinanza

    Dopo cinque mesi dalla prima inchiesta, i Carabinieri di Napoli hanno scoperto nuove truffe ai danni dello Stato ad opera di finti percettori del reddito di cittadinanza. Nel solo capoluogo ben 1.204 persone (651 posizioni irregolari, 553 denunciati per truffa ai danni dello Stato) per un totale, nell’intera provincia, che ammonta a 6.557.931,86 di euro, il tutto venuto a galla dopo un controllo che ha visto coinvolti 1.167 nuclei familiari e 2.300 persone che hanno ‘operato’ in appena cinque mesi.

    La provincia nord orientale del capoluogo vede in Marano il centro che copre più di un terzo degli oltre 6 milioni di euro di totali. I carabinieri hanno riscontrato che ben 2.789.602,62 di euro sono finiti nelle tasche di persone residenti in quell’area che non avevano alcun diritto al beneficio del reddito di cittadinanza: 125 il numero delle persone denunciate, di queste 101 hanno pregiudizi penali.
    Un cospicuo numero di residenti delle municipalità 1 e 2 di Napoli (quartieri San Ferdinando, Chiaia, Posillipo, Montecalvario, San Giuseppe, Avvocata, Mercato, Pendino e Porto) hanno usufruito di 916.520,43 euro, 160 le persone segnalate per la revoca del beneficio.
    Nell’area sud del capoluogo l’ammanco ammonta a 287.927,99 euro, maglia nera per l’area stabiese nella quale sono stati rilevati crediti nei confronti dello Stato per 95.175,02 euro.

    I carabinieri della compagnia Napoli Centro hanno inoltre denunciato per truffa aggravata 129 cittadini di nazionalità romena, residenti in diverse municipalità del comune di Napoli. Secondo la normativa per l’erogazione del reddito, uno straniero può percepire il beneficio solo dopo aver risieduto in Italia per 10 anni, due dei quali continuativi. I militari, in seguito ad una segnalazione dell’Inps, hanno appurato che i 129 non fossero residenti in Italia da 10 anni come invece falsamente dichiarato. Grazie a questo stratagemma avevano percepito indebitamente circa 700mila euro.
    Situazione simile a Qualiano dove i carabinieri della locale stazione hanno denunciato a piede libero 45 cittadini stranieri: un danno per le tasche dei contribuenti pari a 360mila euro. Durante le attività i militari hanno setacciato uffici ed enti pubblici senza dimenticare i centri di assistenza fiscale presenti in zona. Gli indagati risponderanno del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e sono ancora in corso ulteriori indagini per individuare altri lati oscuri della vicenda.

  • Bruxelles taglia le stime del Pil europeo per il 2022, ma confida in un rallentamento breve

    I “venti contrari” alla ripresa hanno soffiato più forte di quanto previsto e Bruxelles, nelle previsioni economiche d’inverno, rivede le stime del Pil di quest’anno dell’eurozona, dell’Ue e di 17 Paesi membri, Italia inclusa. Se nel novembre scorso la Commissione Ue stimava per Roma un Pil al 4,3% nel 2022, secondo Palazzo Berlaymont ora il livello di crescita è destinato a fermarsi al 4,1%. Confermato al 2,3% il Pil italiano per il 2023, sotto il livello dell’eurozona, al 2,7%. L’esecutivo europeo, infatti, resta ottimista. “Il rallentamento della ripresa è più acuto del previsto” e trainato dall’impennata del Covid, dall’inflazione e dalla strozzatura delle forniture ma “i venti contrari dovrebbero progressivamente diminuire, prevediamo che la crescita riprenda velocità già questa primavera”, ha sottolineato il commissario Ue agli Affari Economici Paolo Gentiloni.

    Rispetto alle previsioni d’autunno, è tuttavia soprattutto la cautela ad avanzare nel rapporto invernale dell’Ue. “Incertezza e rischi restano elevati, notevolmente aggravati dalle tensioni geopolitiche in Est Europa”, si legge nelle stime, nelle quali emerge innanzitutto un fattore: l’Ue, tre mesi fa, non si attendeva un quadro inflazionistico così negativo. In autunno prevedeva un’inflazione al 2,2% per il 2022, nelle attuali stime il dato sale drasticamente al 3,5% per scendere, altrettanto nettamente, all’1,7% nel 2023. Per l’Italia l’inflazione, dopo l’1,9% del 2021 è attesa sopra il livello dell’eurozona, al 3,8%, nel 2022, per andare poi a scendere all’1,6% nel 2023.

    Un’impennata su cui pesano due fattori, innanzitutto: il caro energia e le prolungate strozzature nelle forniture. Ed è qui, più che nell’ondata di Omicron, che in questo inizio anno si concentra la zona d’ombra dell’Europa post-pandemica. “L’inflazione ha alzato la testa, ci si attende che i prezzi dell’energia restino alti per un lungo periodo e questo creerà problemi su alcune categorie di beni e servizi”, ha spiegato Gentiloni, ricordando che, ad aumentare l’incertezza, c’è comunque anche l’andamento del Covid. Solo dall’ultimo trimestre dell’anno – ha aggiunto l’ex premier – l’inflazione potrebbe cominciare a diminuire. Le curve di inflazione e crescita accomunano Eurolandia e Ue. A livello di Unione, infatti, l’inflazione nel 2022 toccherà addirittura il 3,9% mentre il Pil si fermerà al 4%, lo 0,3% in meno rispetto alle stime di novembre.

    E l’Italia? “In un contesto non facile le previsioni per Roma sono rassicuranti”, ha sottolineato Gentiloni rimarcando come, proprio in queste settimane, il Paese stia tornando ai livelli pre-pandemici. Livelli nei quali, nonostante la perdita di slancio, tutti i Paesi membri rientreranno entro il 2022. Un ruolo dirimente è ricoperto dal Next Generation Ue, a cominciare dall’Italia. “Le previsioni di crescita positive sono collegate alla buona attuazione del Pnrr sul quale il governo è pienamente impegnato”, ha spiegato Gentiloni soffermandosi, tra l’altro, sul dossier Balneari, altamente divisivo per la maggioranza e sul quale il pressing dell’Ue è costante. “Le concessioni vanno riassegnate attraverso meccanismi di gare, non si può ignorare che stiamo in un regime di competizione”, ha osservato.

    Ma per Roma, nei prossimi mesi, sarà cruciale anche la revisione del Patto di stabilità. A marzo la Commissione elaborerà le linee guida transitorie in vista delle leggi di bilancio dell’autunno. E l’ipotesi circolata nelle ultime ore è che Bruxelles punti al congelamento delle regole del debito per il 2023, soluzione che sarebbe provvidenziale per Paesi ad elevato debito come Francia o, appunto, Italia. Ma i ‘falchi’ non hanno abbassato la loro trincea e la Germania del post-Merkel ha finora mandato segnali tutt’altro che rassicuranti. Non si può tornare a ricette del passato, serve “tenere sotto controllo il debito senza uccidere la crescita, e le soluzioni ci sono.”, ha ribadito ai cronisti Gentiloni. Il problema sarà trovare quell’ampio consenso sul quale Bruxelles punta per rivedere la governance economica senza l’emergere di “vecchie divisioni”.

  • Bruxelles prolunga la liquidazione ordinata delle piccole banche italiane

    La Commissione Ue ha approvato il prolungamento del regime italiano per la liquidazione ordinata delle piccole banche fino al 20 novembre. Lo ha indicato Bruxelles in una nota. Si tratta degli istituti diversi dalle cooperative con asset totali inferiori a 5 miliardi. Lo schema era stato approvato a novembre 2020 per un anno. Bruxelles indica che non è mai stato usato e che facilita il lavoro quando le autorità nazionali competenti giudicano in dissesto una banca ammissibile al regime, hanno concluso che la risoluzione della banca non è nell’interesse pubblico e, di conseguenza, pongono la banca in liquidazione coatta amministrativa. Il regime consente allo Stato italiano di sostenere la vendita di attività e passività di una banca fallita ad un’altra banca.

    Secondo il regime prolungato, l’acquirente sarà selezionato sulla base di una procedura di gara competitiva e dovrebbe integrare in modo fattibile le attività acquisite entro un anno. Gli azionisti e i creditori subordinati delle banche fallite dovranno contribuire a coprire le perdite, contribuendo così a ridurre al minimo la necessità di aiuti. La Commissione ha riscontrato che la misura italiana ‘è in linea con le condizioni stabilite nella comunicazione bancaria del 2013 per i regimi di liquidazione ordinata delle piccole banche, ad eccezione della soglia di bilancio di 3 miliardi di euro’. In questo senso, lo schema italiano continuerà ad essere disponibile per le piccole banche (diverse dalle cooperative) con un totale attivo inferiore a 5 miliardi di euro. A tale riguardo, date le circostanze eccezionali in corso legate all’epidemia di coronavirus e le salvaguardie contro indebite distorsioni della concorrenza che l’Italia ha incluso nel regime, la Commissione continuerà ad accettare la soglia più elevata di 5 miliardi. Tale soglia è temporaneamente applicata anche in schemi simili con tutele simili a quelle attuate dall’Italia (il regime polacco di risoluzione per le banche cooperative e le piccole banche commerciali).

  • L’ultima cena

    Finalmente prende forma dopo tanti annunci ed anticipazioni la prima legge finanziaria del governo Draghi.

    Amaramente emerge come nella sostanza nulla sia cambiato nella articolazione dei capitolati di spesa dalle precedenti “leggi finanziarie”degli ultimi vent’anni  e soprattutto dalle due ultime, pessime espressioni dei  peggiori governi della storia della repubblica italiana dal dopoguerra ad oggi: i  governi Conte 1 e 2 appoggiati da due maggioranze diverse ma alle quali va attribuita comunque ogni responsabilità  (Conte 1 con 5 Stelle e Lega e Conte 2 con 5 Stelle e Pd).

    Sostanzialmente non si trova alcun effetto reale e distintivo nella attuale legge del governo Draghi se si pensa alla disponibilità aggiuntiva dei  finanziamenti dell’Ue: infatti si continua anche nella attuale legge di bilancio con il  bonus fiscale per le ristrutturazioni edilizie, introdotto dal governo Conte 2  (5 Stelle e Pd), il cui effetto si può quantificare a tutt’oggi in  un costo aggiuntivo per lo Stato di oltre 13 miliardi ed una percentuale di beneficiari pari allo 0,8% di condomini e lo 0,5% per le case unifamiliari.

    Definire questo rapporto costi/benefici fallimentare rappresenta certamente un eufemismo oltre che un insulto ad una oculata gestione delle  finanze del Paese. Basti pensare come lo stesso bonus assorba un miliardo in più di quanto, invece, viene destinato alla riduzione della pressione fiscale il cui beneficio va spalmato per gli  oltre quarantuno (41,5 per l’esattezza) di contribuenti.

    Paradossale, in più, come in calce a questa “riduzione della pressione fiscale” venga tolto il limite alle aliquote addizionali applicate dagli enti locali quasi a coprire i minori trasferimenti fiscali dal centro alla periferia del Paese.

    Contemporaneamente il governo Draghi ha destinato oltre cinquanta-sessannta (50/60)miliardi per la riqualificazione urbana, “decisamente una delle priorità in questo momento della cittadinanza italiana”,  le cui condizioni di estrema precarietà sembrano sfuggire all’intera compagine governativa. Non passa giorno, infatti, in cui sindaci raggianti e di ogni orientamento politico assieme ai partiti delle maggioranze di ogni colore non presentino progetti grazie alle risorse europee e non perdano occasione per manifestare il proprio entusiasmo per queste risorse a “babbo morto”.

    In questo desolante scenario dipinto dalle priorità del governo in carica sarebbe veramente opportuno in primo luogo ricordare al presidente Draghi come alla imbarazzante compagine ministeriale ed alla stessa maggioranza parlamentare come le risorse SIANO  quasi interamente a debito ed in quanto tali dovrebbero venire utilizzate per finanziare e realizzare infrastrutture fisiche e digitali e contestualmente finalizzate a favorire adeguamenti tecnologici in grado di trasformarsi in fattori competitivi capaci di esprimere un delta + di crescita del Pil in grado di sostenere il costo del servizio al debito aggiuntivo ed il suo pagamento successivo.

    Tornando, quindi, alle scarne cifre la somma complessiva di queste due voci (bonus edilizio e rigenerazione urbana) porta alla cifra astronomica di 63/73 miliardi. In  considerazione, tuttavia, dei risibili vantaggi della riduzione fiscale relativa alle aliquote Irpef, espressione di una dotazione finanziaria irrisoria calcolabile  in poche decine di euro al mese per i lavoratori, la cifra a disposizione diventerebbe di ottantacinque (85) miliardi (*).  Una somma enorme se venisse utilizzata per ridurre il carico fiscale sui consumi e quindi accise sui carburanti (82% delle merci viaggia su gomma) con un effetto calmierante anche sull’inflazione, abbassando l’Iva (**) e contribuendo cosi, a parità di retribuzioni, ad aumentare il potere di acquisto e quindi i consumi e conseguentemente la crescita economica la quale, per essere sostanziale, NON può essere basata sulla ottima vocazione delle imprese “export oriented” tralasciando ancora una volta un minimo sostegno alla domanda interna.

    In fondo questa, invece di rappresentare una legge finanziaria innovativa in relazione al momento drammatico pandemico ed alla figura di Mario Draghi è mestamente uguale a tutte le ultime manovre finanziarie degli ultimi vent’anni che hanno portato il nostro Paese ad essere l’unico in Europa a diminuire le retribuzioni la cui forbice rispetto alla Germania si attesta a -37,4%  https://www.ilpattosociale.it/attualita/che-altro-aggiungere/ .

    Amaramente, invece, ancora una volta la straordinarietà unita alla drammaticità di un biennio pandemico  disastroso non hanno prodotto alcun nuovo protocollo di spesa  e, come nella buona tradizione governativa italiana, vengono trasformati anche i fondi europei destinati al PNRR nell’ennesima grande abbuffata di spesa pubblica da consumarsi  durante l’ultima cena alla quale solo governo e partiti risultano invitati.

    (*) Per pura carità di patria si omette di inserire le quote di risorse destinate alla “transizione ecologica” per motivi di spazio certo ma non  per la minore entità della distrazione di fondi.

    (**) La prima decisione del governo Merkel per arginare gli effetti devastanti per la congiuntura legata alla diffusione del covid nel 2020.

  • Considerazioni

    Dal 20 maggio al 17 ottobre 2021 sono stati riscontrati innumerevoli casi di persone che hanno ricevuto il reddito di cittadinanza non avendone diritto perché possessori di ingenti patrimoni, avviate attività o perché non residenti in Italia o noti affiliati ad organizzazioni criminali, solo per fare alcuni esempi. Per colpa loro, e per colpa della mancanza di quei controlli che avrebbero dovuto essere fatti prima di assegnare il reddito di cittadinanza, lo Stato, e cioè noi, ha perso, solo in quei mesi, 20 milioni di euro! Milioni che non saranno mai risarciti. La domanda che poniamo, mentre in questi giorni si è tanto discusso, governo e partiti politici, proprio del reddito di cittadinanza come si intenda procedere da ora in avanti affinché, prima di continuare ad elargire il reddito, si facciano quei controlli che fino ad ora sono mancati.

  • I parassiti del reddito di cittadinanza intascano 127 milioni

    I finti poveri che hanno percepito il reddito di cittadinanza indebitamente hanno sottratto alle casse dello Stato un ammontare pari a 217 milioni di euro, di cui 127 milioni indebitamenti percepiti, 90 milioni richiesti ma non ancora riscossi. Le cifre emergono dall’ultimo rapporto della Guardia di Finanza, rivelato dal Corriere della Sera, sul periodo da gennaio 2020 a settembre 2021 che segnala tra i percettori del reddito di cittadinanza anche proprietari di ville, auto di lusso, oppure evasori totali, appartenenti ad associazioni criminali e mafiose fino a stranieri non in possesso dei requisiti di residenza. Come conferma il generale Giuseppe Arbore, capo del Reparto che dispone e coordina le verifiche, «la platea già rilevante dei soggetti destinatari di risorse pubbliche è aumentata enormemente con il Reddito di cittadinanza e si è ulteriormente accresciuta con le misure previste dai decreti “Sostegni” e “Ristori”. Non sono furberie, ma un gravissimo danno economico e sociale» scrive il Corsera. A Reggio Calabria tra le 300 persone denunciate per aver percepito indebitamente il reddito figurano “ndranghetisti, già gravati da pesanti condanne passate in giudicato per associazione per delinquere di stampo mafioso”. A Palermo su 1.400 percettori abusivi che hanno sottratto 1,200 milioni di euro allo Stato 145 hanno precedenti condanne per mafia. Idem a Napoli con 120 denunciati per 1,2 milioni percepiti illecitamente. Ed era proprio la criminalità ad aver gestito le «1.532 domande presentate nel 2020 da stranieri abitanti a Genova, ma privi dei requisiti necessari» che sono riusciti a guadagnare 3,5 milioni di euro si legge nel rapporto della Guardia di Finanza su sprechi e truffe nella spesa pubblica. In totale sono stati sottratti 15 miliardi di euro e il danno erariale causato dai dipendenti della pubblica amministrazione ammonta a 8 miliardi di euro. Da gennaio 2020 al 30 settembre 2021 ci sono stati 65.600 controlli e 12 mila fascicoli aperti per delega dei magistrati penali, circa 1.700 per la Corte dei conti.

    Nell’area di Lecco 70 persone sospettate di aver percepito indebitamente il reddito di cittadinanza per un valore complessivo di 500 mila euro. Per questo 70 persone sono state denunciate dalla Guardia di Finanza di Lecco che, sotto la direzione della Procura locale e in collaborazione con l’Inps, ha provveduto immediatamente a revocare l’erogazione del contributo ai beneficiari che non ne avevano diritto. Secondo la ricostruzione delle Fiamme Gialle, titolari delle indagini dirette dalla procura lecchese, dei 70 soggetti individuati, 37 sono di origine extracomunitaria, 30 non hanno il requisito della residenza, 12 hanno una interdizione perpetua dai pubblici uffici, 8 non hanno comunicato di avere un familiare convivente in stato di detenzione, alcuni non hanno indicato tutti i redditi percepiti o vincite a giochi online o il possesso di immobili e auto di lusso, mentre altri sono stati individuati mentre lavoravano in “nero”. Inoltre è stato scoperto anche il caso di una persona colpita da interdizione perpetua dai pubblici uffici in quanto condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso.

  • Chi paga l’inflazione

    Alla fine l’inflazione esogena* è arrivata con grande e malcelata soddisfazione da parte della classe politica e dirigente italiana. Di per se l’inflazione può divenire un indicatore di situazioni diverse tra loro. Un valore, infatti, attorno al +2-3% può esprimere un paese in crescita economia, quindi sintesi contemporanea di aumenti del Pil e dei consumi, e rappresenta un valore positivo certificando una crescita complessiva, non solo legata all’export.

    La medesima crescita del +2-3% di inflazione, ma in questo caso importazione, quindi legata l’andamento dei prezzi delle materie prime, dovrebbe indurre il governo in carica a tamponarne gli effetti attraverso un reale alleggerimento fiscale sia per l’utenza privata che per le imprese con l’obiettivo di evitare di deprimere consumi e crescita economica.

    L’aumento, Infatti, del solo valore nominale dei prodotti manifatturieri (come sintesi finale dell’impennata dei prezzi delle materie prime e di quelle energetiche a monte della filiera) e dei servizi migliora nel breve termine il rapporto con il debito pubblico. Non va in dimenticato, infatti, come il debito pubblico, indipendentemente dal contesto, continui la propria esplosione avendo raggiunto quota 2.727 miliardi di euro anche per effetto dei primi finanziamenti europei legati all’attuazione del PNRR. La previsione legata agli effetti dell’aumento dell’inflazione risulta quindi quella di passare, nel rapporto tra debito pubblico e PIL, da un recente 160% al 158/155% nel breve periodo.

    Da parecchi giorni, a dimostrazione di quanto detto, si nota come una parte degli esponenti del governo, spalleggiato da servili quotidiani, parli impropriamente di una “discesa del debito pubblico”, quando invece è in discesa il solo rapporto con il Pil.

    Dopo stagioni di crescita zero dei prezzi fino alla soglia della deflazione, “finalmente” la tanto agognata inflazione permette allo storytelling governativo di “testimoniare” l’esito positivo delle strategie governative e il proprio entusiasmo vantando una “riduzione” del debito pubblico quando invece si ottiene la riduzione del rapporto del debito sul PIL, in buona parte legata all’avvio dell’inflazione (3%)**.

    Ovviamente questo incremento del tasso di inflazione verrà interamente pagato dai cittadini in quanto a margine di una minima riduzione dell’incremento delle bollette elettriche e del gas attraverso una manovra fiscale rimangono assolutamente escluse da questi benefici fiscali ovviamente le medie e grandi imprese e quindi viene drasticamente ridotta la loro competitività. Ed ovviamente non si pensa assolutamente di ridurre le accise sui carburanti (scelta invece operata dal governo tedesco).

    In questo contesto una manovra fiscale con la riduzione del carico fiscale sull’utenza rappresenterebbe l’unico modo per mantenere invariato il potere d’acquisto.

    L’inflazione, infatti, rappresenta la perdita di potere d’acquisto e, di conseguenza, la possibilità di avere un incremento dei consumi il quale unito ad una crescita del PIL rappresenta l’unica forma di crescita economica.

    Uno scenario ancora molto lontano da quello raccontato dal ministro Brunetta il quale inneggia ad un nuovo boom economico semplicemente legato ad un aumento della produzione industriale (+7%???) e comunque già in discesa a settembre (-0,5%) il cui valore comunque è espressione della splendida versione export-oriented della manifattura italiana ma non certo una crescita sostanziale e complessiva del Paese.

    Alla fine come sempre, ancora una volta, i costi del maggior debito (2.727) verranno scaricati, anche attraverso l’artificio contabile che l’inflazione permette, interamente sui cittadini italiani con una sostanziale riduzione del loro potere di acquisto.

    Francamente, invece di incontrare Greta Thunberg, sarebbe molto meglio preoccuparsi degli effetti devastanti sul reddito disponibile che l’inflazione al 3% determinerà.

    (*) malefica perché di importazione e non espressione di una crescita economia e dei consumi

    (**) un maquillage contabile agognato anche dal ministro Padoan e v.ministro Calenda da sempre favorevoli all’aumento dell’Iva nei governi Renzi e Gentiloni

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