Sostenibilità

  • Il benessere dell’umanità

    “Il benessere dell’umanità è sempre l’alibi dei tiranni”, Albert Camus

    Da sempre l’ideologia rappresenta lo strumento attraverso il quale giustificare una scelta anche di natura economica la quale altrimenti sarebbe ingiustificabile. Questo è quanto accade, ora, in merito alla transizione verso una mobilità elettrica, sostenuta proprio da quelle compagini politiche che hanno visto crollare i propri modelli politici e di sviluppo con la caduta del Muro di Berlino lasciandoli senza riferimenti. L’attenzione e la sete di riscossa politica si spostano quindi verso il modello di vita e consumi occidentale.

    In questo contesto allora ecco la lotta alla mobilità indipendente possibile grazie all’utilizzo delle autovetture private ed al loro “impatto”.

    L’auto  risulta responsabile dell’1% delle emissioni di CO2, la cui riduzione del 50% sarebbe ottenibile semplicemente attendendo la normale conversione delle vecchie auto o magari attraverso una incentivazione fiscale alle classe di emissione euro 6.

    Quindi, in considerazione del fatto che l’Italia risulta responsabile dello 0,7% delle emissioni totali e l’intera Europa del 6,5%, tanto le emissioni attuali di CO2 (1%), attribuibile alle auto, quanto la loro riduzione del 50% risulterebbero già di per sé  marginale in rapporto alle conseguenze economiche e sociali legate ad un avvento dell’auto elettrica cinese. Basti ricordare, infatti, come il settore Automotive in Europa rappresenti dodici milioni di posti di lavoro, circa mille miliardi di entrate fiscali ed il 12% del PIL.

    In relazione, poi, alle polveri sottili andrebbe ricordato come ad un grammo emesso da un motore endotermico ne corrispondano 1850 grammi attribuibili alla resistenza al rotolamento dei pneumatici che diventano 3850 nel caso di una guida più nervosa, ma comunque all’interno dei limiti imposti dal Codice della strada.

    Come logica conseguenza emerge evidente come il problema dell’impatto ambientale nella mobilità sia  più legato, in relazione alle polveri sottili, agli pneumatici che non al motore endotermico.

    Viceversa, la deriva strategica intrapresa dall’Unione Europea e soprattutto dalla sua Commissione trova la propria ragione in una scelta puramente ideologica nella quale la leva ambientalista rappresenta il fattore scatenante.

    Contemporaneamente in Cina negli ultimi due anni sono stati autorizzate le produzioni di 218 GW da centrali a Carbone (1 GW, 1 miliardo di Watt), quindi sono centinaia le centrali a carbone che la Cina sta costruendo in questo momento per alimentare il proprio sviluppo, e quindi anche l’industria automobilistica cinese, con un vita media compresa tra i 50 e i 75 anni, quindi operative fino alla fine del secolo in corso.

    In questo contesto basti ricordare come le emissioni delle centrali a carbone rappresentino un quinto di quelle totali e metà sia  localizzata in Cina ma in continua crescita.

    Pensare di utilizzare i prodotti di una economia malsana, con il primato mondiale dell’impatto ambientale, rappresenta, all’interno di una politica attenta ad un equilibrio ambientale, sia nel settore Automotive come in precedenza avvenne con il tessile abbigliamento,

    la strategia a più alto tasso di inquinamento che la UE potesse adottare.

    La sola giustificazione che possa sostenere il blocco della vendita e produzione dei motori endotermici a partire dal 2035 può venire considerata solo come espressione in un cieco furore ideologico che da sempre rappresenta il modo per sostenere quanto altrimenti risulterebbe assolutamente ingiustificabile e sempre in nome del bene comune.

  • Diminuite di oltre l’8% nel 2023 le emissioni di gas a effetto serra dell’UE grazie alla crescita delle energie rinnovabili

    La Commissione europea ha pubblicato la relazione 2024 sui progressi dell’azione per il clima, da cui emerge che le emissioni nette di gas a effetto serra dell’UE sono diminuite dell’8,3% nel 2023 rispetto all’anno precedente. Si tratta del più marcato calo annuo degli ultimi decenni, con l’eccezione del 2020, quando la pandemia di COVID-19 comportò riduzioni delle emissioni del 9,8 %. Le emissioni nette di gas a effetto serra sono oggi inferiori del 37% rispetto ai livelli del 1990, mentre nello stesso periodo il PIL è cresciuto del 68%, a dimostrazione della sempre crescente disassociazione delle emissioni dalla crescita economica. L’UE rimane dunque sulla buona strada per mantenere l’impegno di ridurre le emissioni di almeno il 55 % entro il 2030.

    Mentre la relazione contiene notizie incoraggianti sulle riduzioni delle emissioni dell’UE, bisogna sottolineare anche che durante l’anno scorso a causa dei cambiamenti climatici si sono verificati più eventi catastrofici e più perdite di vite umane e di mezzi di sussistenza, mentre le emissioni globali non hanno ancora raggiunto il loro picco. È quindi necessaria un’azione costante per garantire che l’UE raggiunga i suoi obiettivi per il 2030 e si avvii sulla strada giusta per conseguire l’obiettivo prefissato per il 2040 e il traguardo di azzerare le emissioni nette entro il 2050. L’UE deve inoltre proseguire il suo impegno internazionale, a partire dalla COP29 del mese prossimo, per fare sì che anche i nostri partner internazionali adottino le misure necessarie.

  • Luci spente a Notre-Dame di Strasburgo per risparmio energetico

    Un nostro lettore ci segnala un articolo tratto dalla rivista ‘Tempi’ che pubblichiamo di seguito

    L’ultima deriva delle iniziative degli pseudo ambientalisti è stata registrata a Strasburgo, dove la sindaca ecologista, Jeanne Barseghian, ha deciso, a partire dalle 23, di spegnere l’illuminazione della cattedrale della città alsaziana in nome della “politica di sobrietà energetica” del suo Comune. «Questo spegnimento anticipato non è semplicemente un risparmio economico. Per la città di Strasburgo si tratta di dare l’esempio in un momento in cui si chiede a tutti i cittadini di impegnarsi per risparmiare energia», si è difesa la giunta ecologista.

    Prima di settembre, le luci di Notre-Dame de Strasbourg, gioiello dell’arte gotica con il suo meraviglioso “Pilastro degli Angeli” che Victor Hugo descrisse come un “prodigio di grandezza e leggiadria”, venivano spente all’una di notte. Il costo del risparmio energetico per il Comune? 4,80 euro al giorno di elettricità.

    «23.04, una tristezza inaudita», ha scritto pochi giorni fa su X il fotografo Olivier Hannauer, che per primo ha lanciato l’allarme sulla follia green della sindaca. Da quando al Comune c’è Eelv, «la città è piombata progressivamente nell’oscurità. Le chiese, i musei, i ponti», ha denunciato Hannauer. La sua battaglia estetica per restituire agli abitanti di Strasburgo il loro “faro”, come ama definire Notre-Dame, ha spinto Barseghian a fare retromarcia e a ripristinare momentaneamente “l’illuminazione abituale della cattedrale”. Ma quanto durerà?

    Jean-Philippe Vetter, capogruppo dell’opposizione gollista, ha parlato di una vittoria «di tutti quelli che amano Strasburgo», sottolineando tuttavia che la battaglia contro le derive dell’ecologismo deve essere combattuta ogni giorno.

  • Accordo tra Italia e Islanda sull’energia geotermica

    Italia e Islanda firmano accordo di cooperazione sull’energia geotermica a margine dell’Assemblea annuale dell’Arctic Circle. Il ministro dell’Ambiente, Energia e Clima islandese, Guðlaugur Þór Þórðarson e l’ambasciatore d’Italia in Norvegia e Islanda, Stefano Nicoletti – delegato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin –, hanno firmato a Reykjavik un memorandum d’Intesa sulla Cooperazione nel Settore dell’Energia Geotermica tra Italia e Islanda. La cerimonia di firma ha avuto luogo presso la sede del ministero dell’Ambiente islandese, a margine dell’Assemblea annuale dell’Arctic Circle, il principale forum di dialogo e cooperazione internazionale sul futuro dell’Artico. Frutto di un lungo negoziato tra i ministeri dell’Ambiente ed Energia dei due Paesi, il MoU mira a stabilire e intensificare la cooperazione tra enti italiani e islandesi attivi nel settore dell’energia geotermica, tra cui istituzioni pubbliche, il settore privato e gli enti di ricerca e sviluppo nel campo dell’energia. Le aree di cooperazione includono, tra gli altri, l’esplorazione e l’utilizzo delle risorse geotermiche per la produzione di elettricità e il trasferimento di calore, il teleriscaldamento e le attività relative allo sviluppo e gestione di centrali geotermiche.

    Secondo l’ambasciatore Nicoletti, “l’Intesa predispone la cornice giuridica affinché Italia e Islanda, i due principali player europei del settore geotermico, possano avviare una collaborazione strutturata che faccia leva sulla lunga tradizione e le altissime competenze maturate dai due Paesi in questo ambito. L’Islanda, da questo punto di vista, rappresenta il partner ideale per un Paese all’avanguardia nel geotermico come l’Italia. Ciò in virtù delle immense risorse che si celano nel sottosuolo islandese, che contribuiscono per il 60 per cento alla produzione destinata al consumo interno di energia primaria e per il 30 per cento alla generazione elettrica a livello nazionale, e alla partecipazione a diverse iniziative di ricerca a livello europeo ed extra europeo. L’elevato know-how islandese, unito alle avanzate competenze industriali e scientifiche italiane sia in ambito geologico che per quanto attiene la conversione dell’energia, possono fornire un importante contributo agli sforzi legati alla transizione energetica tramite la geotermia”. Il capo di Gabinetto del Mur, Marcella Panucci, presente a Reykjavik per partecipare alla Arctic Circle Assembly 2024, ha sottolineato l’importanza di dare seguito a quanto concordato coinvolgendo il nostro settore privato, valorizzando la eccellente collaborazione con il ministro Pichetto Fratin, confermata anche questo frangente.

  • 2024-1957: è ufficiale, si torna indietro

    Dalle ultime rilevazioni risultano 387.600 auto e furgoni commerciali prodotti nei primi nove mesi nell’anno in corso a differenza dei 567.525 del 2023. Un dato che riporta il Paese al lontano 1957. Contemporaneamente i lavoratori sono passati dai 52.000 del 1989 ai 15.000 attuali.

    La specificità italiana della crisi dell’automotive si inserisce all’interno dell’Unione Europea con un delirio ideologico che vede colpire l’intero settore industriale dell’automobile (che vale circa 12 milioni di posti di lavoro il 12% del PIL e 1.000 di tasse) per l’applicazione di protocolli ambientalistici assolutamente irraggiungibili i quali, per contro, tendono a favorire la sola Cina. Questa, va ricordato, come non solo finanzi le prime cinque case automobilistiche cinesi ma fornisce loro un’energia a basso costo prodotta dalle centrali a carbone, in quanto interpreta l’auto elettrica come un elemento decisivo per conseguire l’obiettivo di allargare all’Europa la propria ingerenza politica ed economica.

    Ammesso, allora, che ci sia ancora la possibilità di invertire questo trend, quali potrebbero essere le prime scelte operative e strategiche da adottare?

    In puro ordine numerico:

    1. Rinvio di cinque anni dell’introduzione delle normative Euro7.
      2. Annullamento immediata del divieto di vendita e produzione di motori endotermici nell’Unione Europea fissata al 2035, anche in considerazione che si è passati dal cavallo al motore a scoppio non certo attraverso un decreto regio
    2. Sostegno fiscale a tutte quelle aziende che diminuiscano, per unità di prodotto, l’energia utilizzata indipendentemente dalla sua natura.
    3. Abbandono dell’utopia di una decarbonizzazione a favore di una riduzione fiscalmente incentivata dell’utilizzo di ogni forma di energia, in quanto anche quella cosiddetta green richiede una quantità di risorse finanziarie pubbliche, e quindi di un costo sociale insostenibile e che drena risorse al bilancio statale riducendo la stessa spesa sociale.
    4. L’adozione di un protocollo sulla base del quale ogni iniziativa economica e strategica in Europa venga giudicata in rapporto ai posti di lavoro creati a tempo indeterminato e con una retribuzione dignitosa, piuttosto che sulla base di deliranti visioni politiche ed ideologiche.
      6. Incentivazione fiscale per ottenere progressivamente nel giro di 5/10 anni un parco macchine circolante di automobili Euro 5 o Euro 6 il quale permetterebbe la riduzione del 50% dell’attuale quantità di CO2 emessa dalle auto, pari al solo 1% delle emissioni complessive del nostro Paese.
      7. La distruzione della filiera del tessile abbigliamento in Italia ed in Europa successivamente alla sospensione dell’accordo Interfibre dovrebbe suggerire lo scenario futuro riservato al settore Automotive europeo esposto ad una totale transizione verso una insensata mobilità elettrica di pura genesi ideologica ed interesse politico.
      8. Considerare la Cina come un partner commerciale ma non certo un alleato e, viceversa, favorire ogni alleanza politiche e strategica con l’India la quale rappresenta l’unico contrappeso politico ed economico all’interno dei Brics.
      9. Riportare il sistema industriale al centro dello sviluppo in quanto, seppur ancora oggi in termini energetici venga considerato energivoro, presenta un fabbisogno energetico decisamente inferiore a quello richiesto dalle sole Major dell’economia digitale.
      10. Colpire l’automobile credendo di diminuire le emissioni offre lo spessore della “ideologica competenza” in quanto in Irlanda i Data System inquinano più delle abitazioni mentre Google e Microsoft inquinano quanto la Croazia.
    5. In termini europei, in più, solo il riconoscimento delle specificità economiche dei diversi paesi che compongono l’Unione può assicurare un supporto decisivo al conseguimento dei traguardi di sviluppo e sostenibilità, e non certo attraverso un’unica ed onnicomprensiva politica economica ma solo attraverso diverse politiche specifiche per ogni realtà economica.

    Ma soprattutto, e siamo al punto 12, riportare il concetto del lavoro, e la dignità che è in grado di assicurare, al centro dell’attenzione della politica come elemento fondamentale per assicurare una vita democratica ad ogni cittadino europeo.

    N.B. si fa notare come il termine “dazi” non si stato usato in quanto, pur rappresentando un legittimo strumento di difesa, certifica troppo spesso il ritardo, da verificare se colposo o peggio doloso, di una intera classe politica e dirigente nella comprensione delle dinamiche di mercato ampiamente prevedibili.

  • La via Emilia (e Romagna) secondo Albasi: salute, sicurezza e territorio

    Salute, territorio e sicurezza sono i tre temi che Lodovico (Lello) Albasi, sulla base della sua esperienza come sindaco di Travo dal 2009 al 2024, viceprresidente dell’Unione Montana valli Trebbia e Luretta con delega alla scuola e ss45 (dal 2019 al 2024) e oggi di consigliere provinciale (con delega alla viabilità, trasporto e ss45), indica come prioritaria per l’Emilia Romagna, in vista del rinnovo del governo regionale alle elezioni del 17-18 novembre.

    Dire che la salute deve essere una priorità è facilissimo: primum vivere. Ma in concreto cosa significa?

    «Nonostante la recente buona partenza dei Cau (Centro di Assistenza Urgenza), dobbiamo proseguire a rafforzare l’offerta di cura ai cittadini adeguando i servizi della rete degli ospedali di comunità, migliorandone la regia per evitare sovrapposizioni e aprendo snelle strutture di prossimità nei quartieri. In tal modo si ridurranno drasticamente liste e tempi d’attesa, lasciando ai Pronto Soccorso solo la gestione delle emergenze. L’invecchiamento della popolazione impone la necessità di avere un occhio di riguardo per le persone anziane, sia per favorirne la qualità di vita, sia per ridurre il costo sociale delle patologie croniche. In questo caso la telemedicina può essere di grande aiuto per evitare trasferte disagevoli, anche riguardo i disabili, lasciandoli nel proprio ambito familiare, nel rispetto della loro dignità. Obiettivo che potremo raggiungere con la collaborazione dei medici di base che, se riusciamo a sgravarli da un carico burocratico troppo spesso oneroso, possono tornare ad offrire la propria professionalità ed avere un rapporto più stretto col paziente.

    Discorso a parte merita il nuovo polo ospedaliero che coprirà una superficie di 117mila metri quadri con 498 posti letto e 8 sezioni sanitarie. Oggi è più che mai urgente recuperare velocemente tutte le risorse necessarie e accelerare i lavori per portare a completamento l’intera opera e l’adeguamento delle infrastrutture viabilistiche».

    Ecco appunto: parliamo di sostenibilità di bilancio. La sanità pubblica non si paga, non direttamente. Eppure si paga, perché occorre trovare le risorse nel bilancio della pubblica amministrazione.

    «Il PNRR ha stanziato 1 miliardo di euro per realizzare 307 Ospedali di comunità entro il 2026. Si tratta di strutture sanitarie territoriali, rivolte a pazienti che, a seguito di un episodio di acuzie minore o per la riacutizzazione di patologie croniche, necessitano di interventi sanitari a bassa intensità clinica potenzialmente erogabili a domicilio, ma che necessitano di assistenza e sorveglianza sanitaria infermieristica continuativa, anche notturna, non erogabile a domicilio o in mancanza di idoneità del domicilio stesso (strutturale o familiare). Realizzare nella nostra provincia e soprattutto in quelle aree pedemontane penalizzate dai servizi, servizi diagnostici dislocati in punti strategici del territorio, per facilitare l’accesso in modo rapido e snello a tutti, sarebbe per me un traguardo di civiltà: le persone non possono sottostare a lunghi trasferimenti e attese, devono poter contare su un servizio di maggiore vicinanza».

    Primum vivere significa anche non dover gravare sulla sanità pubblica in seguito a violazioni della propria incolumità personale…

    «Mi piacerebbe che ci fosse un maggiore e migliore coordinamento tra i vari organismi preposti al controllo e alla sicurezza del territorio, introducendo anche il controllo di vicinato. Obiettivi che si possono raggiungere incrementando gli ausili di video sorveglianza e, soprattutto, potenziando le forze dell’ordine che attualmente sono sotto dimensionate».

    Anche la natura, mi si perdoni la mezza battuta, in Emilia Romagna pare piuttosto aggressiva, ogni anno…

    «Il cambiamento climatico sta mettendo in evidenza una fragilità dovuta troppo spesso alla mancanza di interventi non realizzati nel passato. Il dissesto idrogeologico ha ormai carattere di emergenza: è urgente fare un programma serio di messa in sicurezza e ripristino di aree trascurate che comprenda anche un progetto di viabilità. Facilitare l’accesso alle nostre valli consentirebbe anche di sviluppare un turismo di qualità, abbiamo un’offerta incredibile di borghi antichi, castelli medievali, boschi, percorsi enogastronomici, trekking. Sono luoghi unici, con identità esclusive, ricchi di eccellenze da scoprire che potrebbero favorire lo sviluppo di strutture ricettive diffuse. Le valli sono il polmone verde della nostra Provincia, tutelarle significa molto per la salute di tutti i piacentini».

    Stiamo parlando di tutela del territorio o di marketing territoriale?

    «È difficile fare una graduatoria delle bellezze e delle opportunità che offrono le nostre splendide valli, ma dovendo fare una scelta al primo posto metterei territorio e persone. Territorio come immensa varietà paesaggistica, biodiversità, storia, cultura, buona cucina e salubrità. Persone come depositarie di grandi valori legati alla tradizione, al reciproco sostegno, alla forza di carattere e a un bagaglio di preziose conoscenze che non può andare perduto. Sono cresciuto in queste zone e vado fiero del senso di comunità che mi è stato trasmesso. Quando mi guardo intorno e mi riempio di queste bellezze, quando osservo come vive e agisce la gente cresce in me un grande desiderio di migliorare le condizioni di vita, di offrire più opportunità ai giovani, di muovere l’economia, di valorizzare e tutelare queste terre. Affinché queste valli possano diventare luoghi veramente sostenibili, da ogni punto di vista: sociale, economico e ambientale».

    Touché, mi ha preso proprio alla lettera. Ma torniamo al nocciolo della domanda iniziale: la protezione rispetto alla natura matrigna.

    «Che la Pianura Padana sia una delle zone più inquinate d’Europa è cosa risaputa, la conformazione geografica, chiusa tra arco alpino e appenninico, non permette all’aria di circolare come dovrebbe. Piacenza mostra un carico di inquinamento maggiore a causa del traffico, del polo logistico e dell’agricoltura, un recente rapporto di Legambiente la colloca tra le 9 città più inquinate in Italia e la prima a livello regionale. Qualcosa è stato fatto per migliorare questo parametro, infatti le rilevazioni 2023 dell’Arpa hanno registrato un miglioramento, ma non è sufficiente soprattutto perché a breve entreranno in vigore le nuove direttive europee ancora più restrittive. Ritengo si debba superare l’abitudine ad intervenire con azioni di emergenza, come il blocco del traffico per esempio, e progettare un piano integrato che comprenda interventi più sostenuti sul fronte della viabilità (bike e car sharing), della transizione digitale, della transizione energetica, della riduzione di emissioni e del potenziamento del verde cittadino. Ci sono ampi margini per salvaguardare e incrementare il verde, penso per esempio che potremmo creare polmoni verdi attorno alla città con ampi parcheggi per limitare la mobilità in centro come suggerito dal progetto PUMS (Piano Urbano della Mobilità) già in essere e da potenziare. La congestione del traffico e l’aria inquinata si ridurrebbero con una positiva ricaduta sulla salute dei cittadini».

    Problema vero, non voglio passare per negazionista. Mi pare però che al momento sia più urgente quel che dal cielo è precipitato su larga parte della Regione piuttosto che quello di poco pulito che continua ad albergare nell’aria.

    «Se guardo al futuro della mia Regione e della terra nella quale sono nato e cresciuto, vedo gente capace di rialzarsi da terremoti e alluvioni mentre con le maniche della camicia arrotolate riesce a strappare un sorriso e a rinascere dalle rovine. Vedo la gente delle nostre valli così fiera di far parte di una comunità, vedo filari di vigne e alberi da frutto crescere nelle asperità di queste estati roventi, vedo bambini che corrono nei prati e vedo la mia città, Piacenza, che si colora a festa di bianco e di rosso per le celebrazioni della Primogenita d’Italia. Se chiudo gli occhi vedo gente orgogliosa delle proprie origini, sana, capace di fare rete, di accogliere. Vedo una comunità umana e la mia voglia di contribuire al bene comune si fa grande. Perché il benessere condiviso è la base della felicità».

  • Italia prima potenza d’Europa nel settore dell’agroalimentare bio

    L’Italia conquista la leadership Ue per il bio grazie alle 84mila aziende agricole attive sul territorio nazionale, più del doppio della Germania e un terzo in più della Francia. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati Sinab, diffusa durante l’expo agricoltura a Siracusa in occasione della Giornata europea del biologico che si celebra oggi 23 settembre.

    Proprio a Ortigia Coldiretti sta raccontando l’agroalimentare italiano con un focus anche sull’agricoltura bio che è arrivata a coprire 2,5 milioni di ettari (+4,5% nel 2023 rispetto all’anno precedente), rappresentando un ettaro su cinque di superficie agricola nazionale, ormai vicinissima al target del 25 per cento di da raggiungere entro il 2030 fissato dalla strategia europea nell’ambito della Strategia Farm to Fork. A minacciare i record del bio italiano c’è però l’aumento delle importazioni di prodotti biologici dall’estero, cresciute del 40% nel 2023, in controtendenza rispetto al dato dell’Unione Europea. Prodotti che non assicurano la stessa qualità e sicurezza di quelli nazionali ma che finiscono spesso per essere venduti come tricolori grazie alla mancanza di un’etichettatura d’origine riconoscibile.

    Gli arrivi di cibo biologico extra Ue in Italia – spiega Coldiretti – sono passati dai 177 milioni di chili del 2022 ai 248 milioni del 2023, secondo l’ultimo rapporto della Commissione Ue, mentre quelle totali nell’Unione Europea sono diminuite del 9%. Il settore dove è stato più evidente l’aumento degli arrivi è quello dei cereali, magari usati per fare pasta, pane e altri prodotti con il logo del biologico. Aumenti record anche per gli ortaggi bio e l’olio d’oliva. Proprio per salvaguardare i consumi di prodotti degli italiani, che nel 2023 hanno raggiunto il valore di 3,8 miliardi di euro nella gdo, Coldiretti Bio ha elaborato un decalogo con i consigli per scegliere la qualità e difendersi dal rischio frodi. La prima regola è verificare sempre la presenza del logo europeo del biologico (la foglia bianca in campo verde) nell’etichetta del prodotto bio, verificando anche le indicazioni obbligatorie per il prodotto venduto sfuso e la certificazione del venditore. Importante anche controllare l’origine Italia che nella confezione deve essere sempre presente sotto il logo. Per assicurarsi prodotto bio 100 per cento Made in Italy meglio acquistare direttamente dalle aziende agricole biologiche nei punti vendita o nei mercati contadini come quelli di Campagna Amica.

    Allo stesso modo è buona pratica preferire prodotti biologici locali, coltivati vicini al luogo di consumo, magari freschi di stagione. Un contributo alla biodiversitù viene anche dallo scegliere specialità bio che recuperano varietà tradizionali e razze di animali autoctone e, soprattutto, che hanno subito trasformazioni minime evitando il bio ultraprocessato. Guardando alla confezione, vanno preferiti packaging essenziali ed ecosostenibili. Ma anche a tavola è importante adottare una dieta differenziata a base di tutti i prodotti biologici della Dieta Mediterranea come ad esempio verdura, pasta, olio evo, carne e pesce. Ma Coldiretti Bio sostiene anche la necessità di affermare in Europa al più presto il principio di reciprocità rispetto alle importazioni, ovvero stesse regole per il bio comunitario e quello dei Paesi terzi, poiché non è possibile accettare che entrino nel nostro Paese cibi coltivati secondo regole non consentite nella Ue. Fermare la concorrenza sleale delle importazioni a basso costo e valorizzare il vero prodotto tricolore sono le condizioni fondamentali per costruire filiere biologiche dal campo alla tavola.

  • Il mercato smart

    Nel “lontano” 2007 Apple reinventò completamente il telefono, destinato a diventare in pochi anni uno strumento di connessione globale anche attraverso l’introduzione della tastiera touch.

    In pochi anni i due leader del mercato di inizio millennio, Nokia e BlackBerry, incapaci di leggere le potenzialità della nuova tecnologia, hanno visto ridursi in poche stagioni la propria quota di mercato, fino alla loro inevitabile uscita dal mercato.

    Attualmente, nel solo primo trimestre del 2024,le spedizioni globali di smartphone sono aumentate del 7,8% rispetto allo stesso periodo del 2023, con 289,4 milioni di dispositivi, e  sono Samsung ed Apple a detenere le maggiori quote del mercato globale.

    Nel 1997, Toyota lanciò la Prius, prima autovettura elettrica in pochi anni diventata una icona del politicamente corretto e delle forze politiche che amano definirsi “progressiste e moderne”. Del successo “naturale” (inteso come semplice scelta dei consumatori), ad oltre ventisette anni dall’inizio di una potenziale elettrificazione della mobilità su gomma, la quota di mercato detenuta dalla trazione elettrica si aggira attorno al 10% delle vendite globali.

    Tuttavia questa quota di mercato (10%) è stata raggiunta unicamente attraverso l’impegno di migliaia di miliardi dei bilanci pubblici, finalizzati a favorirne la produzione da una parte e dall’altra la vendita di queste autovetture.

    Paradossale, poi, se si considera che buona parte della produzione di autoveicoli elettrici provenienti dalla Cina veda non solo le prime cinque aziende partecipate direttamente dallo Stato, ma soprattutto l’utilizzo di quella energia necessaria per la produzione direttamente fornita dalle centrali a carbone.

    Prova ne  sia che attualmente alla Repubblica cinese venga attribuita una quota di emissioni superiore a tutta quella del mondo occidentale.

    Risulta quindi, non solo finanziariamente, suicida continuare in questo cieco ed ideologico sostegno, e con risorse pubbliche, a favore di una transizione elettrica in quanto aumentano le emissioni globali, una follia che vede la propria massima espressione nel divieto nel 2035 imposto dalla Comunità europea della vendita dei motori endotermici.

    Per di più, uno sforzo che ha come ridicolo obiettivo quello di ridurre una quota già risibile dell’inquinamento totale, cioè il solo 1% che viene imputato all’autotrazione (*). Prova ne è che il punto di pareggio in relazione alle emissioni tra il ciclo produttivo delle auto elettriche e quelle a motore endotermico trova il punto di equilibrio solo una volta raggiunti i 100/120.000 km. Senza dimenticare come la composizione di queste emissioni da autotrazione risulti per lo più attribuibile  soprattutto alla resistenza al rotolamento dei pneumatici ed all’utilizzo dei freni piuttosto che alle emissioni dei motori endotermici.

    Tornando, quindi, al quadro comparativo queste semplici considerazioni relative ai diversi esiti nelle scelte del mercato sulle due tipologie di innovazione (ammesso e non concesso che l’auto elettrica rappresenti una innovazione) dimostrano come il processo di elettrificazione della mobilità risulti solo l’espressione di un disegno politico ed ideologico al quale si aggiunge quello speculativo.

    Un processo che ha fatto della auto elettrica l’icona di  una parte dello schieramento politico europeo, quello stesso orfano da decenni di una ideologia massimalista di riferimento dopo la caduta del muro e Berlino, e della quale si è appropriata.

    In altre parole, in rapporto alle risorse pubbliche utilizzate a favore di questa elettrificazione (sia per quanto riguarda la produzione che l’acquisto) e gli esiti del mercato probabilmente la sanità sarebbe stata un settore molto più strategico verso il quale dirottare queste ingenti risorse pubbliche, le quali stanno continuando a diminuire, specialmente del nostro Paese.

    Questa deriva elettrica assolutamente ideologica e priva di una sostenibilità economica, la cui produzione non fa che aumentare le emissioni, porterà inoltre ad una ulteriore desertificazione industriale e conseguente perdita del posto di lavoro in quelle economie occidentali le quali ancora oggi detengono i piu importanti primati nei motori endotermici e che assicurano oltre 1.000 miliardi di tasse e milioni di posti di lavoro.

    Il mercato, in altre parole, non avendo recepito la visione ideologica e politica di una classe politica in relazione alla mobilità elettrica e falsamente sostenibile, ha già dimostrato di essere molto più “smart” dell’intera classe politica italiana ed europea.

    (*) https://amp24.ilsole24ore.com/pagina/AE8MlslB

  • Il tentativo speculativo di Volkswagen

    Volkswagen, la seconda casa automobilistica al mondo dopo Toyota, fu la prima ad approvare ed addirittura sostenere la deriva ambientalista dell’Unione Europea, la quale, con la prima presidenza della Commissione europea di Ursula von der Leyen impose lo stop nella UE alle auto termiche dal 2035.

    Una posizione non condivisa, invece, proprio da quella Toyota che per prima aveva investito nella movimentazione elettrica (la Prius è del 2011) e che quindi considerava assolutamente utopistica la politica massimalista partorita in Europa verso una completa adozione dei motori elettrici.

    Il calcolo espressamente speculativo adottato dal consiglio di amministrazione della casa di Wolfsburg era rappresentato dalla banale ma assolutamente speculativa considerazione che, semplicemente appoggiando la politica europea dei trasporti con i tutti i suoi vincoli ambientalisti, si potessero creare le condizioni per la nascita di un nuovo mercato.

    In altre parole, l’intera dirigenza della Volkswagen era “confidente” di avere di fronte a sé decenni di lavoro assicurato attraverso la imposizione di una transizione elettrica dell’intero parco circolante europeo composto da circa 300 milioni di vetture.

    Il mercato, cioè l’intero sistema di consumatori, invece ha dimostrato come la politica ambientalista europea non rappresenti in nessun caso il “sentiment” dell’utenza, ma soprattutto emerge evidente come non esistano le condizioni per una scelta ancora molto incerta non solo per i “benefici” ambientali ma anche in ragione della sostenibilità economica verso una movimentazione elettrica.

    Di conseguenza risulta chiaro come la dirigenza di Volkswagen abbia adottato non tanto una strategia economica e di prodotto finalizzata al massimo rendimento degli stabilimenti già in essere ed assicurare tanto l’occupazione che il rendimento degli investimenti, si è preferito adottare una speculazione di natura industriale ma di conio assolutamente ideologico, auspicando così che questa determinasse l’esplosione di una domanda inesistente, allora come oggi, relativa alle automobili elettriche.

    Il fatto, poi, che ora quella stessa dirigenza proponga di chiudere uno o più stabilimenti in Germania in conseguenza della scarsa redditività negli impianti stessi, anche perché a differenza di BMW e Mercedes i volumi da confermare anno per anno sono vicino ai dieci (10) milioni di autovetture vendute, rappresenta il sigillo di garanzia di un approccio a quel mercato espressione dell’adozione  di una  speculazione industriale alimentata da una deriva ideologica ambientalista proposta dalla Ue e priva di qualsiasi sostegno e contenuto reale.

    Risulta chiaro, quindi, come la politica assieme all’ideologia facciano il loro ingresso all’interno dei consigli di amministrazione, i quali dovrebbero garantire il perfetto funzionamento di una macchina complessa come quella di un’industria in competizione nel mercato globale. Questi assicurano solo un disastro strategico ed operativo colossale, confermato nel settore finanziario dall’abbandono da parte di Black Rock di buona parte di quei titoli di “investimento” legati al mondo ambientalista (ESG). Persino lo stabilimento Audi di Bruxelles, creato espressamente per la produzione alto di gamma di auto elettriche, risulta ora a rischio chiusura, dimostrando come anche nella fascia “premium” non esista alcuna traccia di una domanda, anche se sostenuta dalle agevolazioni fiscali.

    La pericolosa crisi della casa tedesca, che coinvolge anche l’intero settore della componentistica Automotive italiana, dimostra, ancora una volta, come la domanda di un bene o servizio non si possa creare attraverso interventi di natura politica, fiscale o peggio ideologica e tantomeno si possano creare le condizioni per la creazione un nuovo mercato attraverso degli atti istituzionali di manifesta natura politica.

    Un principio talmente chiaro e limpido che però evidentemente in Volkswagen non hanno mai capito, esattamente come all’interno della Commissione europea.

     

  • L’UE investirà 7 miliardi di euro in infrastrutture di trasporto sostenibili

    La Commissione europea ha selezionato 134 progetti nel settore dei trasporti che riceveranno oltre 7 miliardi di euro in sovvenzioni dell’UE nell’ambito del meccanismo per collegare l’Europa. Si tratta dell’invito più importante nell’ambito dell’attuale programma trasporti del meccanismo.

    Circa l’83% dei finanziamenti sosterrà progetti in linea con gli obiettivi climatici dell’UE, incentrati sul miglioramento e l’ammodernamento delle ferrovie, delle vie navigabili interne e delle rotte marittime all’interno della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). I progetti ferroviari riceveranno l’80% dell’importo totale di 7 miliardi di euro.

    Tra i progetti più importanti figurano i collegamenti ferroviari transfrontalieri negli Stati membri baltici (Rail Baltica), tra la Francia e l’Italia (Lione-Torino) e tra la Danimarca e la Germania (tunnel Fehmarnbelt).

    Una ventina di porti marittimi in diversi paesi beneficeranno inoltre di un sostegno per l’ammodernamento delle infrastrutture, in particolare per la fornitura di energia elettrica da terra per le navi e il trasporto di energia rinnovabile.

    Tra i progetti selezionati, diversi aumenteranno la capacità dei corridoi di solidarietà UE-Ucraina, istituiti per agevolare le importazioni e le esportazioni tra l’Ucraina e l’UE, grazie al miglioramento delle infrastrutture stradali, dei valichi di frontiera ferroviari e all’integrazione del sistema ferroviario ucraino.

    Il 18 luglio entra inoltre in vigore il regolamento TEN-T riveduto, che contribuirà fortemente a promuovere modi di trasporto più sostenibili, a favorire la digitalizzazione e a migliorare la multimodalità tra i diversi modi di trasporto.

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