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  • Brics. Avanza il processo di de-dolarizzazione

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su notiziegeopolitiche.net il 5 febbraio 2024

    Gli Usa non possono più ignorare la de-dollarizzazione che i Brics stanno conducendo da qualche tempo. Le sue conseguenze globali non possono più essere sottovalutate, anche dall’Europa. Ostacolare tale processo vorrebbe dire accentuare lo scontro tra blocchi; osservarlo semplicemente, con distacco e supponenza, significherebbe assistere allo sfaldamento dell’attuale sistema globale. Occorrono delle idee coraggiose di riforma dell’attuale sistema e una nuova visione cooperativa e multilaterale, come il progetto di un paniere globale di monete di cui abbiamo più volte anche noi scritto.
    Il commercio dell’energia, petrolio e gas, è effettuato sempre più con l’utilizzo delle monete locali. Non si tratta solo degli accordi in yuan e rubli tra Cina e Russia di cui si parla da anni. Nel 2023 un quinto di tutto il commercio petrolifero mondiale è stato fatto con monete diverse dal dollaro. In generale l’utilizzo del dollaro nei commerci dei paesi Brics è in forte diminuzione, appena il 28,7% nel 2023.
    In Nigeria, futuro membro dei Brics, gli operatori petroliferi, comprese le raffinerie, hanno deciso di utilizzare la naira, e non il dollaro, anche nelle loro operazioni interne sul petrolio e il gas.
    L’India ha firmato un accordo sul petrolio in rupie con gli Emirati arabi uniti (Eau). E’ il secondo partner commerciale degli Eau. Il totale dei loro scambi raggiungerà presto 100 miliardi di dollari. Gli Eau lavorano con 15 paesi per promuovere scambi in monete locali.
    Nuova Delhi intende pagare in rupie anche il petrolio importato dall’Arabia Saudita e opera intensamente per regolare i suoi commerci internazionali con le monete nazionali. Presentata come una grande democrazia, in contrasto con Cina e Russia, e come amica e alleata dell’Occidente, l’India, però, non è seconda a nessuno nel processo di de-dollarizzazione dei suoi commerci.
    Non c’è solo l’utilizzo delle monete locali. Si stima che il gruppo Brics abbia oggi una quota del 22% delle esportazioni globali di merci e servizi. Tuttavia, la maggior parte degli accordi nel commercio internazionale è effettuata nelle valute del G7 attraverso il sistema interbancario Swift.

    Nel settembre 2023 le quote del dollaro, dell’euro e della sterlina, usate nel sistema Swift, si attestavano rispettivamente al 45,58%, 23,6% e 7,32%. Lo yuan è solo la quinta valuta di pagamento su detto sistema (3,71%), appena dietro lo yen giapponese (4,2%). Nel 2020, tramite Swift sono stati trasmessi messaggi finanziari per un valore di 140 trilioni di dollari per eseguire i pagamenti. Invece, meno dello 0,5% del volume delle transazioni è passato attraverso il sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips) della Cina.
    Pertanto, la reale indipendenza dei Brics dall’infrastruttura di pagamento internazionale controllata dall’Occidente può essere garantita solo dal proprio sistema di regolamenti multilaterali nelle valute nazionali. Dal 2018 essi lavorano per un progetto, il Brics Pay, che si prefigge anche l’uso di nuove tecnologie come il blockchain e le valute digitali delle banche centrali. Non si tratta di criptovalute. E’ studiato in modo tale da poter utilizzare qualsiasi valuta usata dai membri del gruppo.
    Il Brics Pay ha diversi scopi, principalmente per i pagamenti transfrontalieri nel commercio internazionale tra aziende, banche d’investimento e micro finanza. Esso è stato adottato da diverse istituzioni e aziende nei paesi Brics ed è in costante crescita. La State Bank of India, la russa Sberbank, la Bank of China, la Petrobras e molti altri la utilizzano. Anche l’inglese Standard Chartered Bank ha integrato il Brics Pay nella sua piattaforma di pagamento digitale. Alla base del Brics Pay c’è poi la Nuova Banca per lo Sviluppo, la banca dei Brics, dove sono elaborate tutte le transazioni finanziarie tra le nazioni del gruppo.
    Si ricordi che i Brics rappresentano anche il 15% delle riserve globali di oro. Non poco, anzi una cifra significativa tanto da indurre il gruppo a studiare altri strumenti monetari dove l’oro dovrebbe avere un ruolo importante.
    Non crediamo che il G7 sia pronto ad affrontare riforme radicali come questo tempo richiederebbe.

    * Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista

  • La complessità negata

    Alle soglie del 2023 e come tutte le economie europee in forte difficoltà per le conseguenze della crisi energetica, la Gran Bretagna si presenta con un rapporto debito pubblico/Pil di  oltre il 100%.

    La Sterlina, storica valuta dell’ex impero coloniale, dopo la Brexit aveva perso circa il 10% per poi  recuperare grazie alla crescita della economia britannica che nel 2021 ha segnato un +6,5%.

    In queste condizioni di relativo equilibrio espresso dai fondamentali economici, il semplice annuncio della nuova Premier Litz Truss di un drastico abbassamento delle aliquote sugli utili d’impresa e della tassazione dei redditi ha determinato un crollo immediato della Sterlina del -5%. Contemporanea ha reso necessario l’intervento della Bank of England la quale ha acquistato fino a cinque miliardi al giorno di titoli dello Stato britannico per calmierare la bufera finanziaria espressione di una forte contrarietà alla sostenibilità finanziaria della politica annunciata dalla nuova leader. Il successivo ritiro da parte del Premier britannico di queste proposte ha riportato un minimo di serenità finanziaria.

    Si pensi ora ad uno Stato che abbia un debito pubblico pari a 2.775 miliardi di euro, con un rapporto debito pubblico e Pil al 152%, il quale abbia deciso precedentemente di ritornare alla Lira e quindi ottenere la agognata “sovranità monetaria”. Esattamente come per la Gran Bretagna, la reazione dei mercati si dimostrerebbe molto dura, basata solo sulla semplice analisi dei fondamentali economici (debito pubblico/spesa pubblica improduttiva/crescita economica/) del nostro Paese e non certo come espressione dei “poteri forti” invocati sempre a sproposito dal variegato mondo del sovranismo monetario. In più ora questo Paese, non più sostenuto da una valuta condivisa, si troverebbe nella medesima situazione della Gran Bretagna ma con aspetti maggiormente devastanti, assumendo i connotati del default argentino.

    Quanto accaduto al governo di Londra dimostra ancora una volta come il valore di una valuta nazionale non dipenda dalla cifra stampata sulla banconota. Il valore dipende dalla credibilità dello Stato di emissione valutaria riconosciuta dal mondo finanziario, al quale ci si rivolge per finanziare il debito pubblico, sulla base della valutazioni dei fondamentali economici nazionali.

    In questo contesto si rende ancora più ridicolo il mantra politico ed economico il quale indica, come fondamentale per la rinascita della nostra economia, una ritrovata autonomia o sovranità monetaria invece espressione di una banalizzazione del complesso sistema economico e finanziario  nel quale opera il nostro Paese.

    Non riconoscere una complessità contemporanea  indica chiaramente il ritardo culturale ed economico di chi continua a proporre improbabili ritorni alla Lira o peggio l’introduzione di valute parallele, da utilizzare nei rapporti con la Pubblica amministrazione.

    La complessità la si può anche ignorare, ma di certo non la si può negare.

  • La Truss esordisce sulle orme della Thatcher: via le tasse e Stato minimo

    Un taglio di tasse che, in questa dimensione e in un unico annuncio, non si vedeva dal 1972: esattamente mezzo secolo. Inizia col botto, e non senza polemiche, “la nuova era” di politica economica promessa dalla  versione riveduta e corretta del governo Tory britannico, passato due settimane fa, ultimo atto del regno di Elisabetta,  dalla leadership di Boris Johnson a quella – poco carismatica ma ideologicamente più radicale – di Liz Truss.

    L’occasione per mettere qualche carta sul tavolo è stato l’intervento con cui il neocancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, promosso a primo titolare delle Finanze di origini familiari africane nella storia isolana al numero 11 di Downing Street, ha illustrato alla Camera dei Comuni con la premier accanto quella che era stata presentata come una “mini manovra” aggiuntiva: una correzione di bilancio, fatta di misure pubblicamente preannunciate da giorni e imposta dagli effetti nel Regno del terremoto energetico globale aggravato dalla guerra fra Russia e Ucraina, da un’inflazione balzata al 10% e da una recessione che le ultime stime della Bank of England indicano aver fatto capolino in anticipo sul previsto già nel terzo trimestre del 2022. Ma che in realtà ha assunto le forme d’una svolta in piena regola: sulle orme del ricordo liberista di quella Margaret Thatcher addirittura superata per entità iniziale delle riduzioni fiscali.

    La premessa di una strategia da ‘o la va o la spacca’ per provare a ridare slancio all’economia dell’isola, fra scossoni geopolitici, conseguenze del post pandemia e danni collaterali del dopo Brexit. Strategia fatta del resto di deregulation e meno tasse, ma anche d’intervento pubblico a colpi d’extra deficit per assicurare il promesso congelamento delle bollette sull’energia per due anni alle famiglie e alle imprese. Nel quadro di un cocktail ad alto rischio che Kwarteng e Truss giudicano necessario correre, convinti di poter compensare gli esborsi, almeno a medio termine, con un rimbalzo del Pil; ma che suscita allarmi da più parti, in primis sulla tenuta delle finanze pubbliche.

    “Di fronte alla peggiore crisi energetica da generazioni, non possiamo non essere vicini alla gente, ha proclamato il cancelliere di genitori ghanesi a Westminster, difendendo i costi del blocco delle bollette: 150 miliardi di sterline a regime, con 60 miliardi di sovvenzioni governative ufficializzate per i soli primi sei mesi. Non senza rivendicare al contempo la scure fiscale come una cruciale terapia shock per la ripartenza.

    Ecco quindi spiegata la decisione di ridurre dal 2023 le aliquote sul reddito (dal 20 al 19% quella minima, dal 45 al 40 quella per chi guadagna dalle 150.000 sterline annue in su); di abolire l’imposta di bollo sulle transazioni immobiliari fino a 250.000 sterline (a 425.000 per chi acquista la sua prima casa); di cancellare l’incremento dell’1,25% sui contributi previdenziali della National Insurance e quello della Corporate Tax sui profitti delle aziende dal 19 al 25% predisposti dall’ex cancelliere Rishi Sunak in era BoJo dopo l’emergenza Covid per finanziare l’assistenza sanitaria e sociale; d’introdurre vendite tax free per i viaggiatori stranieri; d’eliminare il tetto fissato dal 2008 sui bonus di banchieri e top manager per ridare smalto all’attrattività della City.

    Scelte che economisti come Paul Johnson, dell’Institute for Fiscal Studies, giudicano “insostenibili”. Una perplessità che si estende anche ai mercati, a guardare il calo della sterlina a un nuovo minimo sul dollaro dal 1985.

    Di fronte a questi annunci, per varie ragioni, si indignano opposizioni e realtà impegnate nel sociale. Replicando a Kwarteng, la cancelliera dello Scacchiere ombra del Labour, Rachel Reeves, da un lato ha accusato il governo Truss di portare il debito pubblico a livelli “senza precedenti”; dall’altro ha denunciato gli interventi sulle tasse, paralleli alla decurtazione dell’Universal Credit per i più poveri, come una classica “ricetta conservatrice”. Destinata a “gratificare chi è già ricco”.

  • Il dollaro da solo non basta più

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi pubblicato su ‘ItaliaOggi’ il 13 settembre 2019.

    Alla recente riunione di banchieri a Jackson Hole il governatore della Bank of England, Mark Carney, ha proposto di sostituire il dollaro, come moneta di riferimento negli scambi commerciali e nelle riserve internazionali, con la Synthetic Hegemonic Currency (Shc), una nuova valuta, non più fisica ma digitale. Un’idea temeraria, come lui stesso ammette. Secondo noi, si tratta di una proposta che potrebbe rendere ancor più instabile il già precario sistema monetario internazionale.

    Il governatore centrale inglese prende come esempio la moneta digitate Libra, recentemente proposta da facebook.com, che dovrebbe diventare il nuovo strumento di pagamento per le transazioni commerciali fatte sempre più online. Libra dovrebbe essere la nuova moneta privata che sostituirebbe le valute nazionali finora utilizzate, a cominciare dal dollaro. Sarebbe utilizzata da acquirenti e altri clienti privati che operano con strumenti telematici.

    La Shc, invece, dovrebbe essere emessa dall’autorità pubblica, cioè dalle banche centrali attraverso una loro rete di monete digitali. L’intento britannico sembra essere soprattutto volto a opporsi alla tendenza egemonica dello yuan cinese che, come Carney afferma, dal 2018 avrebbe già superato la sterlina nei contratti petroliferi. Naturalmente la nuova moneta digitale ridurrebbe anche l’influenza dominante del dollaro stesso. Un mondo con due monete competitive di riserva, afferma il governatore, renderebbe instabile l’intero sistema monetario mondiale. La Grande depressione del ’29, aggravata dalle tensioni tra la sterlina e il dollaro, dovrebbe essere d’insegnamento.

    La nota di Carney rivela che la Bank of England è consapevole di ciò che avviene a livello globale. Del resto egli sottolinea che «la City è il principale centro finanziario internazionale». La conclusione della Bank of England è sicuramente azzardata. Le sue analisi di fondo, però, meritano una certa considerazione.

    Il governatore afferma che la globalizzazione ha accresciuto l’impatto e i riverberi degli eventi internazionali sulle varie economie. Di conseguenza, il sistema del tasso d’inflazione flessibile e dei tassi d’interesse fluttuanti, adottato dalle banche centrali, non regge più. Ciò ha determinato destabilizzanti asimmetrie nel sistema monetario internazionale. Infatti, mentre l’economia mondiale è passata attraverso processi di aggiustamenti, il ruolo del dollaro, invece, è rimasto uguale a quello che aveva quando il sistema di Bretton Woods nel 1971 collassò. È innegabile il fatto che le decisioni monetarie della Federal Reserve stiano producendo effetti negativi in molti paesi, anche in quelli che hanno pochi rapporti economici con gli Usa.

    Egli afferma giustamente che «un sistema unipolare non è adatto per un mondo multipolare». Ricerche ufficiali dimostrano come una rivalutazione del dollaro dell’1% comporterebbe una contrazione dello 0,6% nei volumi di commercio nel resto del mondo. Si ricordi che metà delle transazioni commerciali mondiali è effettuata ancora in dollari! Ma la quota delle importazioni Usa è solo un quinto del totale dell’import mondiale. Perciò, a nostro avviso, anche la riforma delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), è sempre più necessaria.

    Il dollaro, in quanto moneta dominante del commercio mondiale, è anche la valuta principale di riserva e di riferimento per la maggior parte dei titoli emessi nei paesi emergenti. Per circa due terzi del totale. Ciò ha inevitabilmente indotto queste economie a creare delle misure di sicurezza, aumentando le loro riserve in dollari e contribuendo così a creare quello che da tempo è chiamato «carenza mondiale di risparmi». Si stima che le riserve monetarie dei paesi emergenti potrebbero raddoppiare nei prossimi dieci anni, con un aumento di ben 9.000 miliardi di dollari.

    Noi riteniamo che la nuova moneta digitale Shc non sia la soluzione giusta. Essa, di fatto, annullerebbe progressivamente il ruolo, anche di controllo, delle banche centrali e degli stessi governi. Una questione, affatto secondaria, riguarda la sicurezza e le garanzie monetarie: chi sarebbe il «prestatore di ultima istanza»?

    Finora, e lo abbiamo visto nella Grande Crisi anche se con ritardi e lacune, il garante finale è stato la banca centrale dei vari paesi coinvolti. Il dollaro, da solo, non è oggettivamente più in grado di sostenere l’intero sistema monetario, finanziario, economico e commerciale mondiale. Riteniamo perciò che sia giunto il tempo per la creazione di un sistema monetario multipolare basato su un paniere di monete importanti e per l’attivazione di una nuova «moneta di conto» simile ai Diritti Speciali di Prelievo.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

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