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  • Lo stragista norvegese Breivik resta in carcere: «Potrebbe colpire ancora»

    Per chiedere la libertà condizionata, 10 anni dopo aver commesso la più sanguinosa strage in Norvegia dalla Seconda guerra mondiale, si era presentato ai giudici con la testa rasata, il braccio teso nel saluto nazista e nessun segno di rimorso per le 77 persone uccise tra Oslo e l’isola di Utoya, dove si erano riuniti decine di giovani laburisti. In carcere da allora, Anders Behring Breivik dovrà restarci ancora a lungo. “C’è un rischio evidente che ripeta i comportamenti che hanno portato agli attacchi terroristici del 22 luglio 2011”, ha spiegato il tribunale di Telemark, nel sud-est del Paese scandinavo.

    Una decisione in linea con la richiesta della procura e sostanzialmente attesa alla luce della perizia della psichiatra che per anni lo ha osservato in detenzione, Randi Rosenqvist. “Credo che la diagnosi per Breivik rimanga la stessa. Il rischio di futuri atti violenti non è cambiato rispetto al 2012 e al 2013, quando ho scritto la mia prima valutazione”, ha dichiarato l’esperta, secondo cui il terrorista di estrema destra soffre di disturbi della personalità “asociali, istrionici e narcisisti”.

    Condannato nel 2012 a 21 anni di carcere, il massimo della pena prevista dal sistema norvegese, che potrebbe però essere prorogata se alla sua scadenza il condannato venisse ancora ritenuto socialmente pericoloso, Breivik aveva sfruttato l’occasione fornitagli dalla legge per tornare a sciorinare in pubblico i suoi deliri neonazisti. Dalla palestra del carcere di Skien, in cui è detenuto e dove per ragioni di sicurezza si era tenuta l’udienza, il suo folle show si era svolto esponendo tre cartelli – in mano, sulla giacca del completo e su una 24 ore – con la stessa scritta in inglese: “Cessate il vostro genocidio conto le nostre nazioni bianche”.

    Un’ennesima dimostrazione di assenza di rimorso e mancata riabilitazione. Eppure, ha spiegato il suo legale Oystein Storrvik, è intenzionato a fare ricorso per chiedere nuovamente di essere messo in libertà e a presentarne un altro contro le sue condizioni di detenzione in quasi totale isolamento.

    Era il 22 luglio 2011 quando Breivik fece prima esplodere un ordigno vicino alla sede del governo a Oslo, uccidendo otto persone, e poi ne sterminò altre 69, per lo più adolescenti, aprendo il fuoco travestito da agente di polizia sul campo estivo dei giovani laburisti sull’isola di Utoya, colpevoli nella sua visione distorta di aver abbracciato il multiculturalismo. Lo stragista, oggi 42enne, non si è mai pentito, pur sostenendo che la violenza farebbe ormai parte del suo passato. Dalla prigione, dove vive in tre celle con tv e dvd, videogiochi e una macchina da scrivere, nel corso degli anni ha ammesso soltanto di essersi fatto “radicalizzare” da terzi e di essere stato un burattino nelle mani del movimento neonazi Sangue & Onore, cui ha imputato la reale responsabilità degli attacchi.

    Se le chance di un suo rilascio sono sempre apparse scarse, sopravvissuti e familiari delle vittime avevano espresso timori di nuove provocazioni, che si sono puntualmente verificate, stigmatizzando l’attenzione mediatica attirata da ogni sua apparizione. “Breivik non dovrebbe andare in tv non perché sia scandaloso o doloroso, ma perché è il simbolo di un’estrema destra che ha già ispirato diverse altre uccisioni di massa”, aveva scritto su Twitter la sopravvissuta Elin L’Estrange. Un rischio di emulazione testimoniato dal caso dell’attentatore di Christchurch, in Nuova Zelanda, Brenton Tarrant, che il 15 marzo 2019 uccise 51 persone sparando all’impazzata in una moschea e un centro islamico durante il venerdì di preghiera dei musulmani, dicendo poi di essersi in parte ispirato proprio all’autore della strage di Utoya.

  • Al via il processo per la strage del Bataclan, in 20 alla sbarra in Francia

    Sono in tutto 20 le persone rinviate a giudizio per essere state coinvolte direttamente o indirettamente negli attentati di Parigi (nella sala del Bataclan e in alcuni bar del 10/m arrondissement) e Saint-Denis (allo Stade de France), che il 13 novembre 2015 hanno causato 130 morti e 350 feriti.

    Lo hanno deciso i 5 magistrati che hanno concluso la fase istruttoria di un’inchiesta vasta e complessa e durata 4 anni e mezzo; il processo dovrebbe iniziare a gennaio dell’anno prossimo, coronavirus permettendo. Era una decisione di giustizia molto attesa, ma in piena emergenza sanitaria sta passando quasi inosservata. L’ordinanza di messo in stato di accusa formale, un documento di 348 pagine, è stata firmata il 16 marzo dai giudici e il suo contenuto è stato reso noto da un comunicato diffuso dalla Procura nazionale antiterrorismo (Pnat).

    Tra i 20 incriminati c’è il franco-belga Salah Abdeslam, unico esponente in vita dei commando che quella sera di autunno del 2015 hanno colpito duramente la capitale francese, con una serie di attentati rivendicati dallo Stato islamico. Abdeslam, detenuto in Francia e in isolamento da 4 anni, non ha quasi mai risposto alle domande dei magistrati che lo hanno convocato una decina di volte. La corte d’assise speciale che verrà istituita lo processerà per diversi capi d’amputazione, tra cui omicidi in banda organizzata in relazione con un gruppo terroristico e associazione criminale terroristica. Altri 14 sospetti sono nelle mani della giustizia in Francia e in Belgio: 11 si trovano in detenzione provvisoria e 3 sotto controllo giudiziario. Sei sono, inoltre, colpiti da un mandato di cattura, tra cui Ahmed Dahmani, detenuto in Turchia, ma gli altri sono presumibilmente morti nei conflitti in Iraq e in Siria.

    In caso di appello all’ordinanza che dispone il processo, l’avvio del processo stesso è destinato a slittare: sulla carta la sua apertura è prevista per gennaio 2021 e dovrebbe durare sei mesi. Sarà celebrato all’interno del palazzo di giustizia di Parigi, dove sono già in corso lavori di costruzione di una sala d’udienza sufficientemente capiente e sicura per ricevere oltre agli imputati oltre 1750 rappresentanti delle parti civili, centinaia di avvocati e giornalisti.

    “Mi complimento per la decisione resa dai giudici, ma alla luce delle attuali circostanze temo che il processo non si apra nei tempi previsti” ha commentato all’Afp Olivier Morice, avvocato di 35 famiglie, in riferimento all’epidemia di Covid-19. Il 15 marzo, per arginare i contagi, il ministro della Giustizia Nicole Belloubet ha ordinato la chiusura di tutti i tribunali, ha rinviato i processo in assise e ridotto le attività ai soli “contenziosi essenziali”.

     

  • Strage al mercatino di Natale a Strasburgo: le lacrime ed il cordoglio non servono se tutto resterà come prima

    Alle famiglie delle vittime ed ai feriti giunga tra i tanti anche il mio pensiero. Ho ancora nei ricordi più cari le sessioni di lavoro del Parlamento europeo che, per 25 anni, una volta al mese, ho vissuto a Strasburgo ed i pochi momenti strappati al lavoro per visitare i mercatini di Natale in un’atmosfera particolarmente suggestiva. La violenza ormai da tempo colpisce ovunque, la violenza di attentatori organizzati o di folli imitatori, la violenza di una politica incapace che genera piazze violente, la violenza di singoli contro altri singoli, spesso i propri stessi congiunti, la violenza dell’informazione falsa che genera altre violenze. Nuovamente sarà un Natale che per troppi non rappresenterà un momento sereno e con questo pensiero vorremmo che i molti silenziosi e distratti trovassero la capacità di pensare che è il momento di ridisegnare la nostra società. Nel piangere le vittime non possiamo dimenticare che le lacrime ed il cordoglio non bastano, non servono se tutto resterà come prima.

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