Tasse

  • Le regole per spendere meno in sanità grazie alle detrazioni fiscali

    Nelle dichiarazioni dei redditi precompilate, messe a disposizione dall’Agenzia delle Entrate dal 30 aprile, sono confluiti circa 1 miliardo e 300 milioni di dati: la parte più consistente riguarda le spese mediche e sanitarie, che i contribuenti possono utilizzare per ridurre l’imposta da versare.

    I costi per la salute sostenuti durante tutto il 2023, infatti, se inseriti nel modello 730/2024, da inviare entro la scadenza del 30 settembre, danno diritto a una detrazione IRPEF pari al 19 per cento.

    Per beneficiare dello sconto d’imposta regolato dall’articolo 15 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, però, bisogna tenere conto di alcune regole ed eccezioni.

    Nella versione pronta all’uso della dichiarazione dei redditi l’Agenzia delle Entrate indica già le informazioni sulle spese sanitarie in suo possesso.

    Ma sia per chi usa la precompilata che per chi sceglie la via ordinaria è utile conoscere le istruzioni per calcolare la detrazione spettante, ovvero l’agevolazione che agisce sul calcolo dell’imposta dovuta riducendone il suo valore e che è diversa dalla deduzione, grazie alla quale si riduce, invece, la base imponibile su cui viene calcolata l’imposta.

    Quali sono le spese mediche detraibili tramite modello 730/2024?

    Prima di entrare più nel dettaglio delle spese sanitarie detraibili, bisogna chiarire che l’agevolazione è accessibile soltanto nel caso in cui l’importo speso nell’arco del 2023 sia superiore a 129,11 euro.

    Si tratta della cifra prevista per la cosiddetta franchigia che consiste in una somma di fatto esclusa dall’applicazione della detrazione.

    Nel calcolo dei costi sostenuti possono essere incluse le seguenti voci:

    – prestazioni rese da un medico generico (comprese le prestazioni rese per visite e cure di medicina omeopatica);

    • acquisto di medicinali da banco e/o con ricetta medica (anche omeopatici);
    • prestazioni specialistiche;
    • prestazioni chirurgiche;
    • analisi, indagini radioscopiche, ricerche e applicazioni, terapie;
    • ricoveri collegati a una operazione chirurgica o a degenze;
    • acquisto o affitto di protesi sanitarie;
    • spese relative all’acquisto o all’affitto di dispositivi medici (ad esempio apparecchio per aerosol o per la misurazione della pressione sanguigna), ma dallo scontrino o dalla fattura deve risultare il soggetto che sostiene la spesa e la descrizione del dispositivo medico che deve essere contrassegnato dalla marcatura CE;
    • spese relative al trapianto di organi;
    • cure termali (escluse le spese di viaggio e soggiorno).

    E inoltre sono detraibili, anche senza una specifica prescrizione da parte di un medico ma con una dettagliata documentazione, gli importi pagati per l’assistenza infermieristica e riabilitativa (come ad esempio fisioterapia, kinesiterapia, laserterapia) e per le prestazioni rese da personale con le caratteristiche che seguono:

    • in possesso della qualifica professionale di addetto all’assistenza di base o di operatore tecnico assistenziale esclusivamente dedicato all’assistenza diretta della persona;
    • di coordinamento delle attività assistenziali di nucleo;
    • con la qualifica di educatore professionale;
    • addetto ad attività di animazione e/o di terapia occupazionale.

    In linea generale anche i ticket pagati sono detraibili, se le spese appena elencate sono state sostenute nell’ambito del Servizio sanitario nazionale.

    La cifra su cui calcolare lo sconto IRPEF può includere anche i costi sostenuti per i familiari fiscalmente a carico e, in alcuni casi, nell’interesse di familiari non a carico, come per le spese sanitarie per patologie che danno diritto all’esenzione dal ticket sanitario.

    Anche chi si cura all’estero, inoltre, può beneficiare delle agevolazioni fiscali con le stesse regole.

    Detrazione spese mediche nel modello 730/2024: le istruzioni da seguire

    Chiarite quali sono le spese sanitarie detraibili tramite modello 730/2024, è necessario passare a rassegna alcune regole che per i costi legati alla salute prevedono delle eccezioni.

    Prima di tutto l’obbligo generalizzato di tracciabilità dei pagamenti per accedere agli sconti IRPEF non si applica del tutto in ambito sanitario.

    L’acquisto di medicinali e dispositivi medici e le prestazioni sanitarie rese dalle strutture pubbliche e quelle private accreditate al Servizio sanitario nazionale danno diritto allo sconto IRPEF anche in caso di pagamento in contanti.

    Allo stesso modo alle spese sanitarie non si applica il meccanismo di riduzione progressiva delle detrazioni fino all’azzeramento in presenza di redditi superiori a 240.000 euro, che scatta per coloro che hanno redditi superiori a 120.000 euro.

    Ricapitolando, in linea generale per calcolare in che misura le spese mediche riducono l’imposta da versare bisogna considerare i seguenti aspetti:

    • la tipologia di costi sostenuti per la salute;
    • le modalità di pagamento, considerando regole ed eccezioni;
    • l’importo totale, che deve superare la franchigia di 129,11 euro.

    L’importo delle spese sanitarie che danno diritto a una detrazione IRPEF del 19 per cento tramite il modello 730/2024 devono essere inserite, o per chi usa la precompilata e non si è opposto all’utilizzo dei dati risultare già inserite, nel Quadro E – Oneri e Spese.

    A supporto degli importi indicati, i contribuenti devono avere cura di conservare anche una serie di documenti con relativa traduzione, se i costi sono stati sostenuti all’estero, ma nessun controllo documentale è previsto per chi accetta la versione precompilata senza modificare quanto indicato dall’Agenzia delle Entrate.

  • L’insostenibile pesantezza della pressione fiscale

    “Più si aumentano le aliquote e meno le imposte rendono; per ottenere il rendimento bisogna invece diminuire le aliquote”, Luigi Einaudi

    A questo pensiero illuminato del più grande Presidente della Repubblica va aggiunto come egli fosse anche convinto che con la stessa moltiplicazione delle imposte, avendo queste sempre un costo, diminuisse l’efficienza del sistema fiscale complessivo.

    La classe politica italiana, viceversa, da oltre trent’anni anni utilizza la leva fiscale semplicemente con l’unico obiettivo di fornire le risorse necessarie ad una spesa pubblica assolutamente impazzita ed ingestibile, troppo spesso espressione di interessi lobbistici o di gruppi di interesse. La giustificazione sempre addotta per giustificare questa deriva e la contemporanea esplosione della pressione fiscale rimane quella relativa al mancato apporto finanziario legato alla quota di reddito evaso.

    Andrebbe ricordato come questa quota evasa abbia una minima incidenza con 80 miliardi di imponibile su di una spesa pubblica che sta arrivando ai 1.100 miliardi e si dimostra, quindi, un argomento più politico che economico in quanto assolutamente irrisoria nella sua entità, rappresentando meno del 5% della spesa complessiva.

    La leva, o la clava fiscale, rappresenta, quindi, l’estrema ratio, la quale consente ad una classe politica assolutamente irresponsabile di continuare ad aumentare la spesa pubblica in virtù di un ipotetico benessere per la collettività. Un concetto alquanto infantile in quanto l’effetto della realizzazione di un’opera pubblica, non venendo più realizzata da un’azienda ma arrivando da un general contractor il quale poi, a sua volta, attraverso la catena di subappalti, trasferisce a caduta ad aziende specifiche che gli assicurano i minimi costi. Di conseguenza lo stesso aumento della occupazione risulterebbe assolutamente irrisorio e a tempo determinato.

    Il raggiungimento, come il superamento, del 50% della aliquota fiscale nel nostro Paese rappresenta uno scandalo senza precedenti anche in prospettiva della continua e costante riduzione della spesa pubblica dedicata, per esempio, al sistema sanitario nazionale.

    Questa deriva economico-fiscale meriterebbe un approfondimento sulla capacità ed onestà intellettuale di chi ha gestito tanto la spesa quanto la pressione fiscale negli ultimi anni a partire dal 2011, quando il debito pubblico segnava 1987 mld mentre ora ha raggiunto i 2867 mld.

    Appare evidente come la leva fiscale e la stessa spesa pubblica e il debito che ne consegue rappresentino l’espressione di una forma di potere assolutamente svincolata dai suoi effetti per la popolazione, come ampiamente ho anticipato quasi otto anni addietro (*).

    Riportare la spesa pubblica, e la sua prima sorgente che la rifornisce, cioè la pressione fiscale, all’interno di un rapporto di valutazione costi/benefici rappresenta la prima scelta per tentare di rientrare all’interno di un sistema democratico che abbia come obiettivo la crescita dell’intero Paese.

    Nel caso contrario con questa aliquota (50,3%) lo Stato diventa semplicemente un predatore di risorse finalizzate al conseguimento di obiettivi politici ed etici, spesso espressione di deliri ideologici, e comunque sempre molto lontani dal concetto istituzionale di benessere collettivo.

    (*)  Novembre 2018 La vera diarchia https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/

  • Quale scenario di guerra

    L’escalation delle tensioni internazionali ha introdotto il concetto di “economia di guerra” nel lessico istituzionale all’interno del quale cambiano radicalmente le priorità di spesa dei governi, le quali si orientano ovviamente a favore del rafforzamento degli arsenali e all’aggiornamento degli armamenti uniti al mantenimento dell’esercito quali principali settori da finanziare attraverso le spesa pubblica.

    All’interno del contesto attuale a questo tipo di economia e soprattutto alle sue difficoltà si possono aggiungere le difficoltà di rifornimento e di approvvigionamento delle materie prime essendo venute meno proprio le filiere energetiche e produttive.

    Tuttavia, la leggerezza con la quale viene introdotto tanto dai politici quanto dai media il concetto di una inevitabile metamorfosi dell’economia attuale ad una ben più complessa da scenario di guerra non tiene assolutamente in conto della situazione che per i cittadini italiani una guerra sia decisamente cominciata oltre trent’anni addietro.

    Andrebbe ricordato come l’Italia rappresenti ad oggi l’unico Paese in Europa che ha visto ridurre il proprio reddito disponibile del -2,9% mentre contemporaneamente in Germania lo stesso risulti cresciuto del +33,7 ed in Francia di oltre +31%.

    Un andamento così disastroso delle retribuzioni, confermato anche della ennesima diminuzione del -0,1% nell’ultima rilevazione relativa all’ultimo trimestre 2023, espressione di una sintesi essenzialmente individuabile in due determinati e precisi motivi.

    Il primo è rappresentato dalla scelta monetaria che ha visto affidarsi sempre e solamente per la crescita dei fatturati alla svalutazione competitiva la quale ha favorito le esportazioni ma non i redditi come la domanda interna e tantomeno gli asset economici. Il secondo è individuabile nella scellerata strategia di abbandono di ogni politica industriale (definita old economy) negli ultimi trent’anni a favore di un’illusoria visione di economia dei servizi e legata al turismo.

    Il principale effetto di questa differenza dell’andamento delle retribuzioni determina, in più, una forbice tra le diverse tariffe e costi nei Paesi che può raggiungere il +40% a sfavore dell’utenza nazionale italiana.

    A questo scenario già di per sé drammatico si aggiungano i dati relativi alla povertà assoluta che è cresciuta dello +0,2% nel 2023, raggiungendo la cifra dell’8,5% di famiglie che vivono in assoluta povertà, cioè circa 5,7 milioni di italiani.

    Una crescita che ha come cause aggiuntive probabilmente l’annullamento di determinati ammortizzatori sociali ma soprattutto l’esplosione dei costi energetici, i quali, con la soppressione delle tariffe del mercato agevolata e lo scellerato aumento dell’Iva dal 5 al 22% (*), porteranno ad un maggiore costo di 1.700 euro a famiglia. Questi dati sono l’espressione di una economia di guerra all’interno della quale la spesa pubblica quanto il debito pubblico sono stati utilizzati non certo per rendere fruibili servizi alle fasce di reddito più basse, ma come sostegno delle diverse riserve elettorali sostenute finanziariamente da ogni governo dei più diversi orientamenti politici.

    Ora, qualsiasi possa dimostrarsi l’evoluzione della crisi internazionale sarebbe opportuno ricordare come l’Italia non abbia più risorse, in quanto una guerra la cittadinanza italiana la sta già combattendo contro la propria classe politica e dirigente da oltre trent’anni.

    (*) sconto Iva introdotto dal governo Draghi, come quello sulle accise per i carburanti anche questo azzerato dal governo in carica

  • Le “belle tasse” e la logica fiscale

    Una delle motivazioni addotte per giustificare l’alta pressione fiscale, ma non certo la sostanziale inefficienza della spesa pubblica, è legata all’alta percentuale di evasione fiscale alla quale sostanzialmente viene attribuita la responsabilità dell’alto livello delle tasse dirette ed indirette nel loro complesso. Contemporaneamente si afferma come il recupero dell’evasione fiscale rappresenti l’unica strategia che abbia come obiettivo quello di inaugurare un percorso di abbassamento della pressione fiscale complessiva, cioè l’unico percorso per ridare ossigeno alla domanda interna e quindi ai consumi a parità di retribuzioni.

    In questo contesto puramente ideologico si registra come nel 2023 risultino recuperati, attraverso la lotta all’evasione, circa 24,7 miliardi, 4,5 miliardi in più rispetto al 2022 (+22%), quindi nei due anni 2022/23 quasi 50 miliardi, la somma più alta di sempre.

    Contemporaneamente, nel medesimo anno solare, la pressione fiscale reale si è attestata al 42,5%, che diventa 47,5% per i contribuenti onesti.

    La risibile diminuzione della pressione complessiva del 2023 rispetto 2022 si attesta ad un misero – 0,2% ma interamente attribuibile alla rimodulazione degli scaglioni IRPEF, alla quale fanno riscontro un aumento dell’inflazione del + 5,3% (+8,1% dei generi alimentari) nel 2023, alla quale per l’anno in corso si aggiunge l’aumento dell’IVA del 17% nelle bollette del gas.

    Come logica conseguenza emerge evidente che nonostante il corretto e assolutamente civile recupero dell’evasione fiscale questa non si sia dimostrata la via per diminuire la pressione fiscale complessiva, ma semplicemente sia un ulteriore supporto per alimentare nuova spesa pubblica.

    Andrebbe allora ricordato come gli effetti della spesa pubblica risultino decisamente al di sotto degli standard minimi, o, se si preferisce, in rapporto a potenziali Lep europei, in quanto l’Italia rappresenta in Europa l’unico Paese ad aver visto ridotta negli ultimi trent’anni la capacità economica delle famiglie del -2,7%, mentre nello stesso periodo in Germania risulta aumentata del +34,7 mentre in Francia del +27,4%.

    Se questi rappresentano gli effetti distorsivi della spesa pubblica italiana, come logica conseguenza fornire ulteriori strumenti finanziari a questo perverso strumento non farebbe che alimentare un ulteriore impoverimento dei cittadini italiani.

    Inoltre, e certamente non meno importante, gli stessi effetti distorsivi della spesa pubblica rappresentano una delle motivazioni per la quale le retribuzioni in Germania risultino superiori di quasi il +40% a parità di contratto rispetto a quelli italiani, quindi una delle motivazioni principali dell’esodo dei giovani laureati italiani in cerca di retribuzioni adeguate al proprio titolo di studio.

    In altre parole, al di là della retorica politica, si registra come ad ogni recupero di percentuali di evasione fiscale corrisponda un aumento della spesa pubblica e mai una diminuzione della pressione fiscale in Italia.

    Nonostante questo, da sempre l’argomento dell’evasione fiscale viene utilizzata come ombrello per giustificare le inefficienze della stessa spesa pubblica, ma soprattutto un alibi per i suoi responsabili politici.

    Pur ribadendo, quindi, come il recupero dell’evasione fiscale stessa rappresenti un principio di equità, al tempo stesso andrebbe ricordato come questa non possa venire intesa come una leva per aumentare il benessere ed il livello dei servizi e tantomeno per abbassare la pressione fiscale. Senza poi dimenticare come, sempre in relazione all’evasione fiscale, una della sue massime espressioni venga rappresentata dalle allocazioni fiscali delle aziende e banche (ma anche società dello Stato) in nazioni comunitarie, come l’Olanda, che assicurano un dumping fiscale. Si calcola, infatti, in circa 4.500 miliardi le riserve finanziarie sottratte al fisco europeo grazie al sistema fiscale olandese pari al PIL della Francia e dell’Italia.

    Come logica conseguenza, se si volesse porre veramente come priorità l’evasione fiscale questa dovrebbe trovare la propria genesi all’interno di nuovi quadri normativi fiscali europei. Nel caso contrario, invece, questo mito puramente ideologico nel quale ad un ipotetico recupero dell’evasione fiscale corrisponderebbe una diminuzione della pressione, non presenta alcun riferimento reale, al contrario, paradossalmente, accentua le disparità sociali nel Paese e nei confronti degli altri membri dell’Unione europea, in quanto la storia ci dimostra come ogni recupero di finanze sottratte al fisco italiano rappresenti semplicemente un nuovo strumento finanziario destinato all’aumento della spesa pubblica.

    Alla fine, quindi, il recupero dell’evasione fiscale, pur rappresentando uno strumento di equità, contemporaneamente alimenterà   ed accentuerà proprio gli squilibri sociali ed economici alimentati da uno strumento distorsivo come la spesa pubblica.

  • Fedez dichiara le pezze al… e alla Guardia di Finanza tocca prendere in esame un esposto del Codacons

    Fedez si dichiara nullatenente, la Guardia di Finanza, che si sappia, non ha nulla da eccepire e il Codacons, sollecita la stessa Guardia di Finanza, tramite un esposto, a verificare “possibili situazioni di interesse poste in essere nell’ambito del gruppo societario facente capo”. Il Codacons fa riferimento a una frase pronunciata da Fedez in un’udienza del novembre 2020, in cui era accusato di una diffamazione ai danni dell’associazione consumatori. I “beni mobili o beni immobili registrati” sono intestati “alle mie società”, aveva dichiarato in quell’occasione il cantante, come si sente nell’audio pubblicato da Repubblica che ha anticipato la notizia. La querela del Codacons a Milano era finita in archiviazione ma quelle parole hanno suscitato l’attenzione dell’associazione che ha commissionato uno studio a Gian Gaetano Bellavia, commercialista ed esperto di diritto penale dell’economia. Ne è emersa l’analisi di “una trama societaria in cui si presentano e si ripetono tutti gli indici di pericolosità fiscale”. Nell’esposto di 9 pagine alla Guardia di Finanza di Milano e Roma, pur precisando di non poter verificare o affermare che il ‘gruppo Fedez’ evada le tasse, si denuncia “un uso continuo e ripetuto di operazioni poco trasparenti e talvolta senza un’apparente ragione economica” e si chiede di verificare “come sono state gestite fiscalmente le suddette operazioni che generano disallineamenti tra gli effetti civilistici e gli effetti fiscali”.

    “Mi spiace molto leggere questo articolo, non ne capisco il senso e lo scopo, se non quello di dare un’idea sbagliata ai lettori e alle lettrici riportando una mia dichiarazione in modo del tutto decontestualizzato”. Così Fedez, in un intervento pubblicato su Repubblica online, commenta la notizia dell’esposto. “Durante un processo – spiega Fedez – mi è stata posta una domanda dal giudice circa quali beni mobili e immobili siano a me intestati. Ho risposto la verità che non ho intestato nulla a nome mio e dunque sono tecnicamente nullatenente perché è tutto intestato alle società della mia famiglia, come avviene per molti imprenditori e imprenditrici di questo paese. Se avessi detto il contrario – prosegue – avrei mentito davanti a un giudice compiendo un reato”. Dunque, in merito agli eventuali accertamenti sui suoi asset aziendali, afferma: “Comunque, le mie società sono a disposizione per ogni eventuale controllo delle autorità competenti, non abbiamo nulla da temere o nascondere”.

  • Ancora con nuove tasse patrimoniali?

    Gli italiani ne pagano già molte e non hanno bisogno delle alzate d’ingegno e delle astruse  proposte di qualche vero o presunto economista o di qualche politico che cerca un paio di righe sui giornali. Bastano ed avanzano le patrimoniali che già paghiamo, sperando di non essercene dimenticata qualcuna sono queste:

    l’Imu/Tasi, l’Imposta di bollo, il bollo auto, l’Imposta di registro e sostitutiva, il canone Rai-Tv, l’Imposta ipotecaria, l’Imposta sulle successioni e donazioni, i diritti catastali, l’Imposta sulle transazioni finanziarie e l’Imposta su imbarcazioni e aeromobili.

  • Le priorità del parlamento italiano

    Anche se assecondate solo parzialmente dal governo e mentre la pressione fiscale reale arriva al 49% (*) e la stessa flat tax verrà applicata sul volume di affari e non più sull’incassato, la priorità del Parlamento italiano è il dimezzamento del carico fiscale per il mondo delle imprese calcistiche.

    Fa decisamente sorridere l’utilizzo della congiunzione “anche” in quanto non è chiaro a quali altre categorie professionali o settori industriali siano state dimezzate le tasse.

    Questo regime fiscale favorevole al mondo del calcio fu introdotto con il primo governo Conte ed ora ci si ripete con la medesima sfacciataggine e probabilmente il termine di febbraio è stato individuato con l’obiettivo di favorire il calciomercato invernale che si chiude il 31 gennaio.

    Ancora una volta si offendono i lavoratori e le imprese e si favoriscono le società di calcio che pur svolgendo una importante funzione non meritano un riconoscimento così fiscalmente importante.

    E’ alquanto amaro riscontrare come le priorità del Parlamento e dei parlamentari, imposti dalle segreterie dei partiti grazie al sistema elettorale bloccato, assieme a quelle del governo siano profondamente diverse da quelle dei cittadini, delle imprese e di chi producendo Pil favorisce la crescita economica e sociale.

  • Padova: un classico esempio di economia circolare

    Mai come in questo periodo la decisione del Comune di Padova di aumentare il costo del parcheggio rappresenta una visione miopie e deleteria per l’intera comunità.

    Con una crisi economica ormai conclamata (fatturato industria ad agosto -5% anno, -0,4% sul mese, sul mercato interno -5,7% anno, -0,6% mese) ed all’interno di un contesto internazionale disastroso e conseguenza di un anno di pandemia e con ben due guerre in corso, questo ennesimo aumento si manifesta con una mancanza di visione futura che si riflette accrescendo nell’immediato la spirale inflattiva.

    Nella città del Santo, per disinnescare questa situazione di difficoltà legata alla minore disponibilità economica comune con l’intera comunità, si sono aumentati gli stipendi, +41% (*) del sindaco e degli assessori comunali, come previsto dal governo Draghi.

    Con l’obiettivo di sostenere questa ulteriore crescita dei costi della struttura ovviamente si devono aumentare i costi dei servizi ai cittadini. Va sottolineato, in più, come contemporaneamente questa politica amministrativa renda però sempre meno attrattiva la città di Padova e soprattutto meno competitivi, sotto il profilo economico, i piccoli negozi, per esempio, a tutto favore dei centri commerciali come dello stesso e-commerce.

    Va ricordato, infatti, come per buona parte dei cittadini sia impossibile adeguare i propri stipendi in rapporto alla crisi economica ed all’inflazione, quindi come un maggiore costo determini inevitabilmente la contrazione dei consumi. In più, la stessa redditività delle attività della città subirà una ulteriore flessione proprio a causa dell’aumento dei costi dei parcheggi ed alla diminuzione dei flussi.

    Ecco spiegato, con un semplice esempio “locale”, il concetto del ceto politico padovano di “economia circolare”.

    Questo principio di circolarità a completo onere dei cittadini, ovviamente, trova la propria espressione appunto non solo a livello locale, quanto a livello regionale, nazionale e soprattutto europeo con effetti proporzionati al livello istituzionale.

    La sintesi complessiva di questa circolarità risulta assolutamente evidente e viene confermata appunto dal costante impoverimento delle famiglie (https://www.ilpattosociale.it/politica/italia-sempre-piu-povera/).

    Non comprendere i deleteri effetti recessivi di questa “economia circolare” dimostra il senso di incompetenza unito ad un sostanziale disinteresse, e forse persino disprezzo, nei confronti delle “banali” priorità dei cittadini.

    (*) https://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2023/09/28/news/stipendi_cosa_guadagnano_sindaci_padovani-13493362/

  • La flat detax

    Una riduzione della tassazione rappresenta sempre un evento importante e positivo, specialmente in un paese con una pressione fiscale assolutamente insostenibile assieme ad un sistema burocratico sempre più invasivo come quello italiano.

    Nel recente passato una manovra fiscale simile fu attuata dal governo Draghi ed aveva procurato un vantaggio in termini di riduzione del cuneo fiscale stabile, quindi anche per gli anni a venire, di circa 29 euro per i redditi sotto i 27.000 euro mentre erano 35 per quelli superiori.

    La manovra del governo in carica, pur avendo una copertura finanziaria di solo un anno e finanziata ancora una volta attraverso l’aumento anche delle accise sui tabacchi, quindi a carico della fiscalità generale, presenta degli effetti decisamente superiori. Anche se, si ribadisce, questi saranno limitati ad un solo anno con l’effetto paradossale di un vantaggio limitato all’anno fiscale successivo ed un aumento della fiscalità generale invece permanente.

    Quello, tuttavia, che lascia perplessi riguarda le modalità di distribuzione di tali vantaggi fiscali.

    Si poteva scegliere per una riduzione del cuneo più cospicuo ma uguale per ogni fascia di reddito (flat detax) la quale, sulla base del principio inverso della marginalità decrescente al crescere della fascia di reddito, sarebbe stata percepita molto più alta dai percettori di redditi inferiori.

    Oppure applicare il principio inverso di proporzionalità al reddito, e quindi determinare un maggior vantaggio fiscale inversamente proporzionale alle fasce di reddito.

    Viceversa, si è scelto il principio della proporzionalità per fasce di reddito, se non proprio della progressività, cioè un maggiore vantaggio fiscale in rapporto al reddito.

    Una scelta legittima ma che rappresenta la negazione della dottrina fiscale del centrodestra e lascia ancora una volta il ceto medio abbandonato a se stesso nella ricerca di un sostegno alla domanda interna.

  • La sola possibilità: la tassa di scopo

    La decisione del governo di tassare il sistema bancario avrà i medesimi effetti di quella introdotta dal governo Draghi sugli extra profitti delle Aziende energetiche: un buco di bilancio di oltre otto (8) miliardi.

    In  più le maggiori tasse andranno scaricate da tutti gli istituti bancari
    sui costi dei correntisti,
    ai quali aggiungere gli oltre 10 miliardi di perdita di capitalizzazione della borsa odierna che sono molto spesso anche questi denaro dei risparmiatori.

    Continuare ad aumentare la pressione fiscale per alimentare ancora la spesa pubblica, specialmente nel momento in cui abbiamo raggiunto la cifra record di debito di 2816 miliardi,
    rappresenta la solita stantia risposta di un governo sostanzialmente socialista incapace di invertire un pericoloso e consolidato trend.

    Attualmente la spesa pubblica rappresenta oltre il 57% del PIL,
    ai quali aggiungere i fondi straordinari del PNRR  già  operativi da due anni.
    Eppure nonostante questi fiumi di finanza straordinaria pubblica il nostro Paese è già  in recessione economica.
    Il  Pil  segna una flessione del -0,3%, i  consumi del -5%, il turismo del -30%, si registra comunque la più alta inflazione europea, +12% nel settore alimentare, mentre la  produzione industriale stacca un -0,9%.
    Sembra incredibile come nessuno comprenda come il continuare ad aumentare la spesa pubblica non sia di alcun effetto se non quello di aumentare il potere del governo in carica.
    In questo contesto nel
    novembre 2018 uscì questo mio breve intervento sulla crescita della spesa pubblica (https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/)

    Allora rimane una unica
    possibilità. Definire da subito queste addizionali fiscali come “tasse di scopo” e quindi indirizzarle per un scopo preciso, come per la riduzione delle accise sui carburanti

    Tutto il resto è socialismo.

Pulsante per tornare all'inizio