La seconda potenza economica mondiale, la Cina, ha ridotto i tassi di interesse come espressione di una strategia finalizzata ad offrire una nuova dotazione finanziaria alla crescita economica in progressivo rallentamento.
La strategia cinese nasce dalla consapevolezza e dalla adozione del postulato economico che recita come solo perseguendo una crescita economica uno stato si dimostra in grado di sostenersi ed in primis garantire la spesa sociale.
Viceversa, negli Stati Uniti, la Fed, dovendo fronteggiare una spirale inflazione endogena, cioè causata da una crescita interna ed avendo raggiunto il traguardo della piena occupazione (per ogni disoccupato ci sono disposizione due posti di lavoro) provoca inevitabilmente un aumento delle retribuzioni e dei prezzi.
La massima autorità finanziaria, quindi, ha scelto di alzare i tassi d’interesse per raffreddare la spinta inflazionistica e contemporaneamente evitare la crescita dei costi dei mutui immobiliari passati dal 12% della retribuzione media ad oltre il 20%.
Emerge, così, evidente l’intenzione di non sottovalutare la possibilità di ritrovarsi nelle medesime condizioni economiche e finanziarie che portarono alla terribile crisi finanziaria dei sub prime.
All’interno di questo contesto globale che esprime queste divergenti politiche economiche e monetarie dei due maggiori sistemi economici globali in Europa il presidente della Bce Laguarde ha scelto di alzare i tassi di interesse non tenendo in alcuna considerazione la specificità dell’inflazione europea.
A differenza di quella statunitense, infatti, il fenomeno inflattivo europeo risulta di assoluta origine esogena, quindi determinata dalla esplosione dei costi energetici e dalla minore reperibilità delle materie per la nostra industria di trasformazione la quale li acquista con difficoltà e a maggiori costi. Una deriva economica già ampiamente manifesta nel 2021 e quindi solo in parte attribuibile, come invece si tende ad affermare, alla guerra in Ucraina.
L’inflazione, va ricordato, rappresenta la tassa più discriminatoria in quanto colpisce soprattutto le fasce di reddito più basse essendo flat, cioè piatta. Prova ne sia la già evidente riduzione della spesa alimentare nel nostro Paese che fa segnare un -4,4%.
La specificità europea, con una economia già in fortissima difficoltà, non viene presa in alcuna considerazione e la scelta di alzare i tassi di interesse senza alcuna compensazione fiscale finalizzata ad alleggerire l’impatto nei confronti degli operatori e dei consumatori risulterà responsabile di un ulteriore rallentamento, se non di una vera e propria recessione economica dell’intero sistema industriale ed economico continentale. Gli strumenti finanziari necessari all’industria europea per avviare investimenti produttivi finalizzati ad un minimo di recupero della competitività determinata dall’esplosione dei costi energetici presenteranno infatti un costo maggiore e insostenibile soprattutto per il sistema industriale italiano formato dalle Pmi.
Le politiche monetarie, di per sé, rappresentano da sempre una risposta tardiva a delle situazioni di mercato già evidenti e in forte evoluzione. La risposta della Bce, oltre ad essere tardiva, si dimostra anche assolutamente sbagliata ed offre il senso della assoluta lontananza dei vertici europei finanziari dalla realtà economica.
Di fronte a due fenomeni economici sostanzialmente “flat”, come l’inflazione (1) accoppiata ad una politica monetaria restrittiva (2), i cui costi ricadranno sulle fasce più deboli dei consumatori (1) e sulle aziende più esposte alla concorrenza estera (2), si dovrebbe affiancare una contemporanea strategia governativa in grado di adottare una politica di riduzione strutturale fiscale. Un alleggerimento fiscale generale il quale, per sua stessa definizione, garantirebbe maggiori vantaggi per le fasce di reddito più basse piuttosto della attuale politica dei bonus fiscali.
Contemporaneamente le stesse aziende italiane potrebbero recuperare una minima percentuale di competitività rispetto, per esempio, alle concorrenti francesi che hanno ottenuto un paracadute fiscale in relazione ai costi energetici (massimo +4%) ed anche con quelle statunitensi che si avvantaggiano di una bolletta energetica pari ad 1/7 di quella incombente sulle imprese italiane.
Mai come in questo periodo difficile le soluzioni “flat” e semplicistiche si dimostrano assolutamente inconcludenti come le autorità politiche e finanziarie che le propongono.