Tasse

  • Del minimo salario

    In previsione delle prossime elezioni il mondo della politica cerca di mettere il proprio cappello sull’annosa questione del costo del lavoro e sul nuovo cavallo di battaglia considerato vincente: il  salario minimo.

    Ancora una volta, In altre parole, si sceglie o meglio si cerca di affrontare un problema complesso ed articolato attraverso l’introduzione di una nuova legge in aggiunta alla già frastagliata giungla normativa italiana, a testimonianza della “produttività”del ceto politico italico ed europeo.

    In questo complesso mondo i rapporti tra lavoratori  ed imprese andrebbe ricordato come la retribuzione netta, e quindi  percepita dal dipendente, rappresenti solo  il 40% del costo complessivo a carico dell’azienda, viceversa il restante 60% è costituito dagli oneri contributivi e dall’irpef sempre a carico dell’azienda.

    Così l’intenzione  di  modificare la quota percentualmente inferiore del costo complessivo produrrà un effetto minimale per chi percepisce la stessa retribuzione e, paradossalmente, aumenterà ancora l’onere complessivo a carico dell’azienda restando inalterata la quota fiscale relativa al 60% della retribuzione.

    Il taglio del cuneo fiscale, viceversa, permetterebbe immediatamente e senza alcuna norma aggiuntiva il conseguimento immediato di un aumento della retribuzione, il che comporterebbe un conseguente primo aumento dei consumi. Questo taglio potrebbe risultare persino di due tipologie a seconda della matrice politico-ideologica adottata.

    Una prima potrebbe introdurre una riduzione del carico fiscale sulle retribuzioni  progressivamente inverso rispetto all’applicazione delle aliquote Irpef sui redditi  e così, di conseguenza, potrebbe risultare  maggiore  per i redditi inferiori fino a 28.000 e successivamente con tagli inferiori per i redditi superiori.

    Oppure, nel secondo caso, attraverso un semplice taglio lineare per tutte le fasce di reddito contando sugli effetti della applicazione del  principio dell’utilità marginale decrescente del denaro al crescere del reddito e, di conseguenza, ottenendo comunque un maggior vantaggio per le fasce di reddito più basse.

    Invece la politica cerca di porre il proprio cappello sull’intera questione con un risibile ed a basso impatto aumento del salario minimo venduto come il conseguimento di un grande  traguardo nel percorso di  equità sociale  il cui merito andrebbe attribuito al  ceto politico il quale si avvantaggerebbe, tra l’altro, del mantenimento delle risorse finanziarie messe a disposizione dalla stessa pressione fiscale sulle retribuzioni.

    Una situazione insostenibile tanto per le aziende quanto per i lavoratori ed  inquadrabile nel processo di un più ampio sostegno alla domanda interna e quindi di un aumento del reddito disponibile.

    Ancora una volta si sceglie di imporsi con nuove normative in settori complessi con l’unico obiettivo di confermare la propria esistenza in vita in particolar modo ora, in prossimità di diversi appuntamenti elettorali, assieme al mantenimento inalterato della disponibilità di risorse finanziarie destinate alla spesa pubblica.

    Un’altra problematica attuale, come quella delle retribuzioni, da oltre trent’anni in diminuzione in quanto  il nostro Paese è l’unico in Europa ad avere disponibilità di reddito in diminuzione (-3,4% rispetto alla Germania con un +34,7%), viene affrontata in modo superficiale a dimostrazione di quanto sia ormai siderale la distanza tra il mondo della politica e la realtà economica nel mondo del lavoro.

  • La Polonia blocca ancora la minimum tax Ue

    Il veto della Polonia tiene ancora al palo la minimum tax in Europa. Varsavia ufficialmente chiede che venga attuato insieme l’intero pacchetto sulla tassazione minima, sia cioè con la parte internazionale per la riallocazione dei versamenti fiscali in base al luogo di fatturazione (e non di sede) e sia con quella sull’introduzione dell’aliquota minima, come spiega anche un funzionario polacco secondo cui le due componenti “dovrebbero rimanere collegate”.

    Ma il nodo ancora da sciogliere sembrerebbe piuttosto il braccio di ferro sul via libera al Recovery polacco. La Commissione ha acceso da tempo un faro, congelando i fondi per la Polonia, in attesa di garanzie sull’indipendenza della magistratura. Varsavia potrebbe sbloccare la situazione con l’abolizione della sezione disciplinare della Corte suprema, che per Bruxelles mette a rischio l’autonomia dei giudici. Il voto sulla legge per l’abolizione è atteso in settimana. Anche la Commissione sembra credere in una schiarita, con il vice presidente Valdis Dombrovskis che ritiene il via libera al Recovery polacco “fattibile in tempi brevi, questione di giorni o settimane”.

    Ma intanto al consiglio dei ministri dell’Economia e delle finanze europei sulla minimum tax c’è stato un nuovo nulla di fatto. Il ministro delle finanze di Parigi, Bruno Le Maire, grande sponsor del pacchetto concordato con l’Ocse e volto a mettere fine alla competizione al ribasso tra i Paesi sulle tasse applicate alle imprese, si è detto “convinto” che ci sarà “un accordo con la Polonia” per poter varare all’unanimità la minimum tax al prossimo Ecofin del 17 giugno. “Ci sono dei punti sul tappeto che devono essere smussati da qui ad allora, tra questi il Pnrr (della Polonia), ma questo non è l’unico. La Polonia tiene molto al collegamento tra il pilastro Uno e il pilastro Due”, ha quindi ricordato. Sul tema Le Maire ha anche ringraziato il ministro delle Finanze italiano Daniele Franco: “Si tratta di una misura di giustizia, è nell’interesse di tutti che ci sia questa ottimizzazione fiscale – ha detto -. E ringrazio il ministro italiano delle Finanze per il sostegno dato su questo punto. L’Italia si è dimostrata un partner importante».

  • La coincidenza fiscale

    Già precedentemente si era accennato alla volontà dell’Unione Europea di spostare sugli immobili quella nuova tassazione aggiuntiva  con l’obiettivo di fornire nuove risorse finanziare all’Unione Europea, in considerazione anche delle conseguenze economiche causate dalla  pandemia ed ora della guerra in Ucraina.

    Contemporaneamente nel nostro Paese, quando ancora si dovevano affrontare i terribili esiti e conseguenze della pandemia in campo economico e si avvicinavano i primi venti di guerra, il governo in carica ha approvato con successo una riforma del catasto giustificandone l’aggiornamento con una ricerca di maggiore equità e di una maggiore  giustizia fiscale nella tassazione degli immobili. Una riforma definita ad impatto Zero, cioè lasciando inalterato il carico fiscale complessivo.

    Un adeguamento ed aggiornamento nell’accatastamento immobiliare comporta inevitabilmente, pur ad  aliquote invariate, un aumento delle entrate fiscali  e quindi come logica conseguenza, sempre che  l’obiettivo fosse rimasto quello di mantenere inalterato il gettito fiscale, si sarebbe dovuta prevedere ed allestire una diminuzione delle aliquote per gli  immobili già correttamente accatastati.

    Tornando alle strategie fiscali, probabilmente le due iniziative, quella  europea e quella  italiana,  possono venire considerate assolutamente “indipendenti ” e prive di alcuna sinergia tra le due autorità istituzionali tanto da considerare  questa casualità come una semplice “coincidenza  fiscale”.

    Al tempo stesso la riforma catastale, anche se  intesa come monitoraggio dell’asset stesso, si  potrebbe anche salutarla come inevitabile ma non si può non prendere in considerazione come questa stessa  rappresenti, all’interno delle strategie europee, il  veicolo ideale  per l’aumento dell’imposizione fiscale sugli immobili e specialmente per la prima casa.

    Una strategia fiscale la quale può assumere  dei connotati drammatici all’interno della specificità del nostro Paese. Basti ricordare in questo senso come in Francia il carico fiscale relativo alla prima casa risulti del 7,6  per mille (1.000), in Germania venga calcolata in modo molto simile al l’IMU, mentre in Italia va dal 2 al 7% (100).

    Ancora una volta, quindi, l’immensa differenza dell’insopportabile carico fiscale italiano sembra destinato a trovare una ulteriore conferma anche per possibile aumento della  fiscalità sulla prima casa imposta dall’Unione Europea grazie all’aggiornamento del catasto.

    Ancora una volta la classe politica della sua completezza non considera quindi la specificità fiscale italiana la quale presenta  una tassazione già ampiamente sopra la media. Contemporaneamente viene dimostrato, ancora una volta, come l’eccessivo carico fiscale complessivo  rappresenti Il primo motivo della mancata crescita economica  del nostro Paese.

    In più, anche se di genesi europea, ad un ulteriore aggravio fiscale dovranno venire imputate  le condizioni deterrenti  di quella crescita ancora oggi troppo debole nel  nostro Paese riducendolo a rappresentare l’ultimo nella classifica dei paesi nel raggiungimento dei livelli economici pre pandemia.

    L’azione combinata del carico fiscale nazionale unito ad una nuova imposizione fiscale europea probabilmente ridurranno ulteriormente le possibilità di quella crescita del  sistema economico italiano e contemporaneamente accresceranno il potere della classe politica governativa responsabile della gestione di  questa spesa pubblica.

    Questa coincidenza fiscale dimostra, ancora una volta, come la classe politica governativa italiana non abbia ancora compreso l’effetto devastante per il Paese di un ulteriore carico fiscale sulle potenzialità di crescita del sistema economico italiano.

  • Accise ed Iva

    La guerra seguita a due anni di pandemia sta mettendo a rischio il tessuto economico ed industriale italiano e la stessa sopravvivenza di interi ceti sociali.

    Dal dopoguerra ad oggi mai si erano create le condizioni per questa “tempesta perfetta” (conseguenze pandemiche-inflazione- evento bellico) con la conseguente impennata dei costi energetici la quale ha di fatto messo in crisi un sistema industriale basato sull’economia di scala rendendo antieconomiche le produzioni indipendentemente dal livello produttivo.

    Una situazione talmente insostenibile da obbligare, solo due settimane addietro, circa 360 aziende della Lombardia alla sospensione della propria attività produttiva e la messa in cassa integrazione dei dipendenti.

    La problematica energetica, peraltro, era già conosciuta nel 2021 e contemporaneamente sottostimata nelle sue drammatiche conseguenze dal governo in carica il quale si è mosso solo parzialmente e con forte ritardo, aggravando le conseguenze economiche amplificate dalla sottovalutazione governativa.

    Una tempistica infelice, molto più dolosa che colposa, e comunque viziata da un approccio ideologico, immutato anche in tempi di guerra, individuabile nella priorità dimostrata ancora oggi ad altri settori (*).

    Una scala di priorità che tuttavia non ha impedito l’approvazione immediata della direttiva europea votata in commissione e relativa alla eliminazione completa dell’Iva e delle accise applicate alla sola vendita delle armi.

    Mentre il 70% delle imprese manifatturiere è in difficoltà nel mantenimento dell’attività produttiva per l’esplosione dei costi energetici e quasi un terzo dell’utenza domestica ha chiesto la rateizzazione delle bollette elettriche, in quanto impossibilitata nel pagarle, ecco che l’Unione Europea ed il governo Draghi assieme alla maggioranza che lo appoggia, eccezion fatta per i 5 Stelle, dimostrano le proprie priorità approvando l’esenzione da accise ed IVA per il commercio d’armi.

    A nessun ministro del governo è mai venuto in mente di proporre anche solo una riduzione dell’IVA e delle accise permanente applicabile ai prezzi dei carburanti oppure per i generi di largo consumo che potesse, anche solo parzialmente, compensare l’aumento dei prezzi legati all’inflazione e agli effetti devastanti della guerra. Invece, ci si è affrettati all’approvazione parlamentare della totale esenzione da accise ed Iva per il solo commercio delle armi.

    Questa conversione di una Direttiva europea dimostra, ancora una volta, come l’Unione Europea rappresenti ormai un’istituzione burocratica in pieno stallo politico e valoriale privo di ogni collegamento con la realtà oggettiva dei cittadini europei. Contemporaneamente la maggioranza governativa parlamentare italiana a sostegno del governo Draghi che ha votato questa esenzione per le armi dimostra di essere semplicemente una mediocre rappresentanza umana in vendita per interessi personali o di lobby, ma comunque lontana dalle drammatiche aspettative dei cittadini.

    Mai come ora tutte le rappresentanze istituzionali e politiche sia nazionali che europee dimostrano la propria vergognosa disonestà e non soltanto intellettuale.

    (*) Transizione energetica, moto e monopattini elettrici, bonus terme, digitalizzazione, valutazione sismica di teatri e cinema, rigenerazione urbana

  • 2020/2022: dalla pandemia al catasto

    A partire dal 31 gennaio del 2020, quando fu proclamato il primo stato di emergenza, i cittadini italiani hanno dato prova di un’estrema compattezza anche se con diverse posizioni relative alle strategie sanitarie e in riferimento a quelle vaccinali fino alle politiche economiche.

    Anche se con forti contrasti sociali, generati spesso dalla stessa classe politica, nel suo complesso il nostro Paese ha dimostrato un senso di democraticità come espressione del valore più alto della libertà la quale ha permesso confronti anche aspri tra le diverse posizioni ma comunque sempre all’interno di una unità democratica dell’Italia.

    L’emergenza sanitaria ha dimostrato come molto spesso la cittadinanza si dimostri migliore della stessa classe politica la quale ha pure cercato di sfruttare in questo lungo periodo emergenziale le molteplici problematiche solo ad uso e consumo dei propri ritorni elettorali.

    Alle soglie del 31 marzo 2022, quando sarebbe dovuta scadere l’ultima proroga dello stato di emergenza, il mondo intero si trova coinvolto nella terribile questione della guerra in Ucraina. Una catastrofe umana, sanitaria ed economica che ha colpito con colpevole sorpresa tutte le maggiori nazioni ed ha costretto il governo in carica a prorogare lo stato di emergenza al 31/12/2022. Quindi, anche se per diverse motivazioni, il nostro Paese si troverà, arrivati al dicembre 2022, con trentacinque (35) mesi senza interruzione di stato di emergenza: un caso unico nel mondo che dovrebbe aprire invece un dibattito istituzionale sull’abuso da parte degli ultimi governi della propria posizione e del potere che la Costituzione ha loro riservato.

    Il nostro Paese, va ricordato, sta pagando un peso aggiuntivo ancora più alto rispetto agli altri partner europei in termini di sospensione delle prerogative democratiche, anche con un parlamento ridotto ormai a semplice esecutore degli atti governativi.

    Le conseguenze economiche, sintesi di due anni di emergenza pandemica ai quali vanno sommati quelli attuali per la guerra in Ucraina, si stanno rivelando disastrose con l’esplosione dei costi energetici e delle materie prime la cui stessa reperibilità risulta molto problematica sul mercato internazionale.

    In soli due anni, dal 2020 al 2022, il gas è aumentato del 1637%, e solo nell’ultimo anno del 736%, determinando la perdita progressiva della competitività del nostro sistema industriale ed imprenditoriale e l’impennata dei costi delle bollette ormai assolutamente insopportabili.

    In più, l’ultima rilevazione del tasso di inflazione segna un +5,7% il quale andrà interamente a carico delle fasce della popolazione con redditi più bassi (l’inflazione è la tassa più ingiusta del panorama economico fiscale), dimostrando una volta di più come la “riforma fiscale” del 2021 voluta dal governo in carica e relativa alla rimodulazione delle aliquote IRPEF, avendo favorito le fasce reddituali tra i 40/50.000 euro, determini un ulteriore peggioramento per le fasce più deboli da risultare persino offensiva nei confronti dei cittadini meno fortunati.

    A questa situazione disastrosa il governo ha risposto quindi o con dei pannicelli caldi o peggio attuando una politica fiscale avversa alle fasce di reddito più basso mentre la Francia, la Polonia e la Germania hanno adottato l’unica soluzione appropriata in questo contesto: la riduzione della pressione fiscale soprattutto per i prodotti energetici.

    Il grande senso di tolleranza della popolazione e del mondo del lavoro risulta ampiamente superato, come dimostrano i primi blocchi dei Tir contro il caro gasolio al quale il governo sembra voglia rispondere con una riduzione dei pedaggi autostradali i quali, immancabilmente, tra un paio d’anni verranno bocciati come aiuti di Stato dall’Unione Europea.

    Al di là del valore numerico della crescita del PIL siamo all’inizio di una crisi economica senza precedenti successiva ad oltre due (2) anni di emergenza pandemica la quale ha determinato un declino sociale, politico ed economico del nostro Paese alla quale si aggiunge la stagione di guerra.

    Partendo da questa situazione drammatica, soprattutto in prospettiva, la priorità del governo in carica è invece “la riforma del catasto” o, come viene definito, “un semplice aggiornamento del catasto”, talmente semplice da indurre il Presidente del Consiglio Draghi e la sottosegretaria Guerra (Pd) a minacciare una crisi di governo.

    Un comportamento istituzionale assolutamente inappropriato ed inaccettabile perché legato alla situazione attuale che vede il nostro
    Paese all’interno di una stagione di guerra immediatamente successiva a ventiquattro (24) mesi di pandemia le cui terribili conseguenze sono drammatiche in termini sanitari, sociali ed economici.

    Tutto questo dovrebbero indurre ad una maggiore consapevolezza del momento storico attuale e quindi spingere il governo e le forze politiche
    ad una rimodulazione delle priorità della loro agenda politica e governativa.
    Mai come ora la classe politica e governativa italiana aveva dimostrato un completo disprezzo per le difficoltà della popolazione italiana.

  • L’Inquisizione fiscale e lo stato confessionale

    L’inquisizione rappresentava l’istituzione ecclesiastica creata per indagare attraverso un tribunale le teorie contrarie alla ortodossia cattolica. Con “soli” pochi secoli di ritardo il nostro Paese adotta ora, nel XXI secolo appunto, il medesimo principio della supremazia statale confessionale adottata in campo fiscale attualizzando metodi e tecniche simili a quelle dell’inquisizione ma sintonizzate con l’era digitale.

    Al processo del XVI secolo come strumento di indagine viene introdotto il monitoraggio di tutte le transazioni economiche anche per importi minimi attraverso l’applicazione di rilevazioni algoritmiche.

    Un controllo assolutamente invasivo effettuato ex ante, quindi non a seguito di una “notizia di reato” come in ogni democrazia ma semplicemente alla ricerca di una motivazione o quantomeno di un plausibile dubbio tale da giustificare la stessa indagine esplorativa.

    In altre parole viene meno il principio costituzionale basato sulla presunzione di innocenza del cittadino e quindi si adottata invece quello legato alla semplice ricerca di una potenziale eresia fiscale tale da giustificare la stessa. Prova di questo infausto declino della nostra democrazia verso uno stato confessionale del quale l’inquisizione fiscale rappresenta il braccio operativo va ricercata già nella terribile “riforma” introdotta dal ministro Tremonti il quale impose in ambito delle controversie fiscali l’inversione dell’onere della prova. Praticamente sull’eretico fiscale venne scaricato ogni onere di negazione della propria eresia fiscale.

    Così, ora, si obbliga il cittadino a dimostrare la propria innocenza invece di assegnare allo Stato, come avviene in ogni sistema democratico, il compito di dimostrare la sua colpevolezza in ragione della presunzione di innocenza.

    Questa sistematica e continua “medioevo-luzione” del sistema democratico italiano nasce dal furore ideologico di una parte degli esponenti politici e della stessa Sacra Inquisizione oggi rappresentata dai vertici della pubblica amministrazione, assolutamente intoccabile esattamente come le cariche ecclesiastiche.

    In questo contesto nessun valore viene attribuito alla conoscenza in quanto si ignora come la stessa evasione fiscale rappresenti esattamente un quarto rispetto agli sprechi della pubblica amministrazione (200 mld, fonte Cgia) la cui dilapidazione non suscita alcuna indignazione presso la classe politica.

    Non ancora sazi di questa invasione dello Stato, e di chi in suo nome opera nella privacy dei sudditi, ma sempre più motivati da un crescente ardore ideologico di stampo medievale nel 2022, in piena crisi economica, il governo in carica ha inserito un’altra alquanto folle norma alla già preoccupante evoluzione dell’economia pandemica: quella del limite all’uso del contante a 1.000 euro.

    Al di là dei risibili effetti che questa norma potrà avere nei confronti dell’evasione fiscale, la quale in buona parte risulta legata ad esterovestizioni di società italiane, in questo demenziale decreto governativo si prevede contemporaneamente per le persone provenienti dall’estero un limite di 15.000 euro all’uso dello stesso contante.

    Ancora una volta assistiamo all’ennesima dimostrazione di come lo Stato italiano consideri sempre e comunque i propri cittadini come dei veri sudditi fiscali.

    In ambito fiscale lo Stato confessionale disattende clamorosamente il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ponendo una discriminante in relazione alla residenza fiscale dei consumatori e, di conseguenza, con diversi limiti imposti.

    Sempre e solo per il vile denaro del quale uno Stato assolutamente irresponsabile risulta sempre più assetato, ci si è illusi di avere secolarizzato la nostra democrazia quando invece si è assistito ad una semplice sostituzione. Oggi il nostro Paese ha assunto i connotati di uno Stato Confessionale all’interno del quale la religione ha ceduto il posto ad un integralismo statocentrico di stampo Socialista incompatibile con qualsiasi forma di democrazia.

  • Che altro aggiungere?

    2021. Il governo si accinge a varare gli ennesimi bonus fiscali il cui effetto sulla ripresa economica risulta quantomeno dubbio, specie per il settore delle auto elettriche, e soprattutto lascia invariato il potere di acquisto della cittadinanza.

    Ancora dentro la crisi pandemica e con una possibile quarta ondata in prospettiva, all’interno della maggioranza parlamentare la compagine in delirio per la “vittoria” elettorale (Pd) rilancia il decreto Zan mentre l’altro “alleato” (Lega) replica con la volontà del sistema pensionistico premiante, come se tutto questo fosse prioritario per la crescita del Paese.

    Il presidente di Confindustria critica aspramente, e finalmente, l’azione di governo sia in relazione ai mancati finanziamenti per la riduzione del cuneo fiscale quanto alla derubricazione del patent box declassato da una detassazione del reddito ad una deduzione dei costi.

    Questa potrebbe comunque rappresentare la legittima fotografia di una normale dialettica tra soggetti istituzionali i quali, fedeli al proprio ruolo istituzionale, si preoccupano essenzialmente del mantenimento dell’equilibrio del quadro nazionale economico finanziario (governo) e dell’affermazione della propria ideologia politica (i partiti della maggioranza e dell’opposizione) oppure del miglioramento delle condizioni di competitività dei propri associati (Confindustria).

    Un quadro tutto sommato “normale” da trent’anni a questa parte ma solo per un paese con un debito pubblico ragionevole unito ad una consolidata crescita e che magari non stesse uscendo da una crisi pandemica con un tracollo dell’economia quasi doppio rispetto a quanto subito dai paesi concorrenti.

    Va ricordato come il nostro Paese si trovi nel secondo contesto quindi di una reale emergenza all’interno del quale i fattori negativi contemporanei pandemici esaltano e aumentano a livello esponenziale le criticità espressione delle sciagurate politiche economiche dei governi precedenti negli ultimi decenni.

    Risulta, quindi, assai difficile esprimere un giudizio completo ed esaustivo in relazione alla politica economica ed istituzionale contemporanea quando emergono evidenti anche gli effetti attribuibili alle politiche governative delle passate legislature.

    Da poco, tuttavia, risulta disponibile un dato oggettivo quanto indiscutibile pubblicato dall’Ocse (*) che avrebbe dovuto guadagnare le prime pagine di tutti i giornali mentre tutto sommato è passato decisamente sottotraccia forse anche per una forma di imbarazzo. Come riporta il grafico (sempre fonte Ocse) dal 1993 ad oggi le retribuzioni in Italia si sono ridotte del -3,7% mentre in Germania si assiste ad un’importante crescita del +33,7%. La forchetta tra i due sistemi politico-economici ed espressione delle due maggiori economie manifatturiere nella retribuzione media a parità di mansioni tra Germania ed Italia risulta quindi del +37,4% a favore dei lavoratori germanici. Leggermente inferiore il gap con la Francia, ma comunque notevole, come indicatore della “povertà acquisita” dai cittadini italiani con una forchetta nelle retribuzioni del -33,3% di quelle italiane rispetto a quelle transalpine.

    Un dato tanto imbarazzante quanto incontrovertibile ed indicatore di come la fauna politica, attraverso le diverse coalizioni di governo, in associazione con il mondo accademico e degli economisti dal 1993 ad oggi abbia sempre varato delle politiche finalizzate alla creazioni di condizioni economiche favorevoli per i vari gruppi di interesse, in modo lecito si spera, ponendo in secondo piano il sostegno alla domanda interna.

    Il grafico non è in grado di evidenziare se tali scelte strategiche e gestionali dei diversi governi emergano come espressione di una imperizia ed impreparazione della classe politica nella sua articolata complessità (1), oppure esprimano un chiaro disegno all’interno del quale si è scelto razionalmente di utilizzare parte delle risorse pubbliche con l’obiettivo  di  “favorire” determinate categorie imprenditoriali (Concessionari autostradali?) e soggetti privati il cui costo inevitabilmente sarebbe stato l’impoverimento di cittadini italiani (2).

    Si pensi alla scelta di privatizzare a costi irrisori il sistema autostradale che hanno reso imprenditori con aziende in difficoltà veri e propri esattori fiscali i quali, attraverso la riduzione del 98% delle spese di manutenzione, sono riusciti in soli vent’anni a provocare la morte di 43 persone sul ponte di Genova ed a continuare a godere della stima dello stesso mondo imprenditoriale e politico e con un risultato netto di quindici (15) miliardi di attivo.

    Lo stesso continuo aumento della pressione fiscale con oltre 116 miliardi di nuove tasse nel terzo millennio ha determinato solo l’esplosione della spesa pubblica ma ha reso paradossalmente ancora più poveri i cittadini.

    Solo per fornire un termine di paragone il mercato immobiliare risulta in crescita di oltre l’85% dal 2000 ad oggi estromettendo così ogni anno una quota di popolazione dalla possibilità di acquistare la prima casa.

    A tutto questo va aggiunto l’effetto drenante di liquidità disponibile per i consumi nazionali in quanto da anni emerge evidente come la redistribuzione della ricchezza attraverso lo strumento della politica fiscale rappresenti un fallimento clamoroso e i dati presentati dall’Ocse lo dimostrano ancora una volta quanto quelli pubblicati dalla Cgia di Mestre che quantifica in oltre duecento (200) miliardi gli sprechi della spesa pubblica.

    In questo contesto, poi, i tagli orizzontali per settori fondamentali, come la sanità, operati da tutti i governi a partire da Monti in poi, confermano il trend supportato da aggiuntivi aumenti di accise Iva etc. Così a nulla sono serviti tutti gli aumenti di produttività del sistema privato dal 1999 cresciuta di 29 punti ma contemporaneamente diminuita nella pubblica amministrazione di 12,5 punti. Una spesa pubblica che rappresentava allora come oggi la prima forma di potere di un sistema politico ormai distaccato dai reali bisogni e legittime aspettative dei cittadini (26.11.2018 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/). Una distanza resa tale anche dalla assoluta certezza della irresponsabilità relativa alle proprie azioni che ha garantito libertà di azione a tutti i governi dal 1993 ad oggi. Solo per fare un esempio banale si pensi come gli ultimi dati indichino il prezzo del gasolio in Germania ad 1,5 euro mentre in Italia segna oltre 1,68 euro. Sintonizzando però il prezzo dello stesso gasolio alla reale disponibilità economica dei consumatori italiani dovrebbe avere oggi un prezzo alla pompa attorno a 1.08 euro/litro.

    Nonostante questo extra gettito fiscale pagato da decenni dal mondo degli automobilisti e del trasporto merci l’attuale ministro della “transizione ecologica”, completamente “ignaro” dell’extracosto a carico dei contribuenti italiani, ha persino l’ardire di volere aumentare il carico fiscale sul prezzo del gasolio alla pompa ignorando anche solo le terribili conseguenze a livello inflattivo e di drenaggio di risorse a sostegno della domanda interna. Allora ecco come ogni disquisizione o ricetta relativa alla competitività necessaria alla nostra economia per vincere la concorrenza all’interno del mercato globale diventa offensiva per chi la deve ascoltare e imbarazzante per chi la propone. Basti pensare ad un tragitto tra Stoccarda e Monaco di Baviera pari a circa 235 km: la medesima distanza tra Padova e Milano. Saliti a bordo dell’auto in Germania si consumeranno circa 15/20 litri di gasolio a seconda della velocità. Costo complessivo per 15 litri 22,5 euro. Lo stesso percorso lungo l’autostrada A4: ai 24 euro del costo del gasolio vanno aggiunti oltre 21 euro del costo del pedaggio, totale solo andata 45 euro rispetto ai 22.5 spesi in Germania. Quindi l’extracosto diventa di 45 euro rispetto al consumatore tedesco considerando anche il ritorno.

    Si pensi questo confronto di costi inserito nel trasporto merci quanto possa incidere sul prezzo finale delle merci e poi qualcuno ha pure il coraggio di parlare dell’importanza di un aumento della produttività quando la partita risulta compromessa dalle politiche ottuse dei responsabile della assurda tassazione.

    Il grafico fa emergere in modo inequivocabile quanto la politica abbia adottato il principio caro gli operatori finanziari per i quali i risparmiatori rappresentano “il parco buoi”. Negli ultimi trent’anni non una sola voce si è alzata a tutela della domanda interna o per ridurre la famelica voracità dello Stato.

    E’ aumentata quindi la tassazione diretta ed indiretta con l’inevitabile effetto drenante sulla potenzialità di acquisto e consumo dei cittadini, medesima sorte riservata a tutte le attività legate al suo valore ma non tutelata in quanto considerata espressione di un parco buoi indegno di una qualsiasi tutela o attenzione.

    L’Ocse finalmente chiarisce i nefasti effetti di questa negazione delle tutele individuali opposte nel delirio ideologico a quelle “sociali”.

    Quando, poi, all’aumento del Pil non corrisponda una crescita della ricchezza disponibile per la popolazione allora la stessa crescita risulta espressione di una NON equa ripartizione delle risorse quanto delle opportunità e dei vantaggi. In altre parole il fallimento di una classe politica e dirigente.

    Ora il nostro Paese si trova laconicamente più povero pur avendo però destinato risorse immense alla spesa pubblica. Di fronte a questi risultati in un paese normale l’intera classe dirigente e politica ne dovrebbe rispondere in solido e successivamente farsi da parte. Invece, interpretando in modo estensivo il proprio mandato elettorale, si considera al di sopra della parti. Le parti sarebbero poi i cittadini.

    (*) OCSE Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Organizzazione internazionale di studi economici dei paesi sviluppati aventi in comune un’economia di mercato.

  • La logica fiscale

    Una delle riforme che l’Europa ci chiede per l’assegnazione dei finanziamenti del PNRR è relativa ad una riforma fiscale complessiva ed articolata che riguardi anche quella del catasto. L’obiettivo primario del governo in carica è ovviamente quello di ottenere i finanziamenti promessi dall’Unione Europea ma altrettanto importante sarebbe mostrare la medesima attenzione verso una reale riduzione del carico fiscale verso i contribuenti e le imprese. In questo contesto ricordare le condizioni attuali del sistema fiscale italiano può venire in aiuto.

    Nel 2020, in piena pandemia quindi, la pressione fiscale è aumentata dal 42,3 al 42,8% come espressione di una strategia economico-politica esattamente opposta rispetto a quella, per esempio, della Germania. Il governo di Angela Merkel ha diminuito l’Iva con l’obiettivo di fornire gli strumenti economici necessari per invertire il trend pandemico dell’economia. Da questo semplice confronto tra sistemi economici concorrenti (le due maggiori realtà manifatturiere europee) emerge chiaro come non si possa considerare sufficiente la rassicurazione di una riforma fiscale a somma zero per i contribuenti espressa dal governo in carica. Una riforma fiscale dovrebbe garantire, inoltre, una maggiore equità e, nello specifico del caso italiano, contemporaneamente ridurre la pressione complessiva in quanto il Total Tax rate italiano ha raggiunto l’insostenibile percentuale indicata al 59,9% (fonte Rapporto Payng Taxes 2020).

    Se l’obiettivo dichiarato della riforma del catasto è riuscire a fare emergere oltre un milione di immobili non accatastati ai quali applicare ovviamente una fiscalità, questa emersione dovrebbe quindi dimostrare delle conseguenze positive anche per i contribuenti oltre che per le finanze pubbliche. Partendo dal raggiungimento di questo obiettivo programmatico e lasciando invariati i saldi della pressione fiscale sugli immobili come all’art.7 “…Il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata” non verranno utilizzati per “…la determinazione della base imponibile dei tributi”

    Cosi viene rappresentato di per sé un aumento della pressione fiscale in quanto l’invarianza dei saldi a fronte di nuovi contribuenti, e quindi nuovo gettito, sarebbe raggiunta solo ed esclusivamente attraverso una contemporanea riduzione delle aliquote applicate. In più, la sola ipotesi di un aumento dell’Iva sui consumi energetici, quando andrebbero sostanzialmente diminuite le accise sui carburanti anche solo per attenuare l’ondata inflattiva, non depone a favore della filosofia adottata dal governo nella elaborazione della riforma fiscale.

    Rimodulare le aliquote sull’Irpef come la riduzione dell’Irap rappresentano un obiettivo importante ed assolutamente condivisibile esattamente quanto una prima ed ovviamente parziale riduzione della pressione complessiva.

    L’attenuazione dell’ormai insostenibile peso fiscale rappresenta l’unica strategia nell’immediato in grado di offrire un sostegno alla domanda interna e quindi un aiuto alla ripresa dei consumi “domestici” il cui effetto risulta ancora oggi ampiamente sottostimato all’interno di una crescita sostanziale di un’economia, anche in considerazione dell’andamento delle retribuzioni e di un possibile malefico ritorno del fiscal drag con l’avvio ormai conclamato di una stagione a forte reflazione. Emergendo nuovi contribuenti con la riforma del catasto e con la sempre promessa della lotta all’evasione, e quindi con un nuovo gettito, allora le dinamiche di una politica fiscale si riducono sostanzialmente a due. Lasciando invariate le aliquote il nuovo gettito si sommerà al precedente (1) determinando un ulteriore aumento della stessa pressione anche se a saldi costanti oppure si utilizzerà l’intero ammontare (2) delle nuove risorse fiscali per allentare la presa fiscale non solo per le aziende ma anche riducendo le tasse di consumo e fornire così, per la prima volta nella storia del nostro Paese, un sostegno alla domanda interna. Un fattore economico da sempre dimenticato anche se “sostenuto” da risibili lotterie degli scontrini o cash back degni più del gioco del Monopoli che di una politica economica di un paese serio.

    Non può esistere concettualmente una riforma fiscale a saldi invariati che non preveda l’abbassamento delle aliquote a fronte di un aumento delle risorse disponibili. Una questione di logica più che di matematica.

  • In 10 anni gli italiani hanno dovuto pagare 46 miliardi in più di tasse

    Decennio ‘amaro’ per le famiglie italiane, culminato con la crisi Covid, che ha eroso ulteriormente il loro potere d’acquisto: a partire dal 2011, il Prodotto interno lordo è salito di 2,8 miliardi, mentre la pressione fiscale è cresciuta di 46 miliardi. A metterlo nero su bianco il Consiglio e la Fondazione nazionali dei commercialisti, il cui Osservatorio ha censito “333.000 famiglie, il 20% in più rispetto al 2019”, precipitate, a causa dei fendenti della pandemia, “nell’area della povertà assoluta”, mentre il ‘peso’ dei tributi non si è attenuato. L’anno passato, infatti, “la pressione fiscale generale pari al 43,1%, è aumentata di 0,7 punti di Pil, mentre quella delle famiglie, pari al 18,9%, è cresciuta di 1 punto di Pil”, si legge nel dossier.

    La perdurante congiuntura economica negativa del decennio passato ha depresso fortemente i guadagni, poiché “dal 2003 al 2018, il reddito medio in termini reali ha perso l’8,3% del suo valore”, e nel contempo è incrementato il divario Nord-Sud (+1,6%), arrivando a raggiungere i -478 euro al mese. Laddove, poi, in casa prevale il reddito da lavoro autonomo, la crisi ha colpito ancora più duramente: la perdita in termini reali è stata pari al 28,4%, recita l’analisi dei professionisti. Nel Mezzogiorno, viene sottolineato, la spesa mensile media di una famiglia nel 2020 risulta pari al 75,2%, rispetto ad una che vive nelle regioni settentrionali: 1.898 contro 2.525 euro.

    Appare, perciò, “evidente” come i nuclei della Penisola, su cui grava il peso dell’Irpef, hanno pagato e continuano a pagare un conto salatissimo a causa degli squilibri macroeconomici e di finanza pubblica del nostro Paese, dichiara il presidente dei commercialisti Massimo Miani, visto che “la principale imposta italiana, includendo anche le addizionali locali, nel 2020 ha raggiunto il livello di 191 miliardi, pari all’11,6% del Pil”.

  • Le 100 tasse che pagano gli italiani

    L’Ungdcec, l’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili, per l’Adnkronos ha stilato l’elenco delle 100 tasse principali che, anche quest’anno, i cittadini italiani pagheranno.

    1) Addizionale comunale sui diritti d’imbarco di passeggeri sulle aeromobili. 2) Addizionale comunale sull’Irpef. 3) Addizionale erariale tassa automobilistica per auto di potenza sup. 185 kw. 4) Addizionale regionale all’accisa sul gas naturale. 5) Addizionale regionale sull’Irpef. 6) Bollo auto. 7) Canoni su telecomunicazioni e Rai Tv. 8) Cedolare secca sugli affitti (sia “normale” che “agevolata”). 9) Concessioni governative. 10) Contributo ambientale Conai (Consorzio nazionale imballaggi). 11) Contributi concessioni edilizie. 12) Contributi consorzi di bonifica. 13) Contributo Sistri (Sistema di controllo della tracciabilità dei Rifiuti). 14) Contributo solidarietà sui redditi elevati (il contributo di solidarietà sui redditi elevati di importo superiore a 300 mila euro si applica nel periodo 2011-2016).

    15) Contributo Ssn sui premi Rc auto. 16) Contributo unificato di iscrizione a ruolo (è dovuto un contributo per ciascun grado di giudizio nel processo civile e amministrativo). 17) Contributo unificato processo tributario. 18) Diritto albo nazionale gestori ambientali. 19) Diritti archivi notarili. 20) Diritti catastali. 21) Diritti delle Camere di commercio. 22) Diritti di magazzinaggio. 23) Diritti erariali su pubblici spettacoli. 24) Diritti per contrassegni apposti alle merci. 25) Diritti Siae. 26) Imposta catastale. 27) Imposta di bollo. 28) Imposta di bollo sui capitali all’estero. 29) Imposta di bollo sulla secretazione dei capitali scudati. 30) Imposta di registro e sostitutiva.

    31) Imposta di scopo. 32) Imposta di soggiorno. 33) Imposta erariale sui aeromobili privati. 34) Imposta erariale sui voli passeggeri aerotaxi. 35) Imposta ipotecaria. 36) Imposta municipale propria (Imu). 37) Imposta per l’adeguamento dei principi contabili (Ias). 38) Imposta plusvalenze cessioni azioni (capital gain). 39) Imposta provinciale di trascrizione. 40) Imposta regionale sulle attività produttive (Irap). 41) Imposta regionale sulla benzina per autotrazione. 42) Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili. 43) Imposta sostitutiva imprenditori e lavoratori autonomi regime di vantaggio e regime forfetario agevolato. 44) Imposta sostitutiva sui premi e vincite. 45) Imposta sulla sigaretta elettronica (Imposta di consumo sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo). 46) Imposta su immobili all’estero. 47) Imposta sugli oli minerali e derivati. 48) imposta sugli spiriti (distillazione alcolica). 49) Imposta sui gas incondensabili. 50) Imposta sui giuochi, abilità e concorsi pronostici.

    51) Imposta sui tabacchi. 52) Imposta sul gas metano. 53) Imposta sul gioco del Totocalcio e dell’Enalotto. 54) Imposta sul gioco Totip e sulle scommesse Unire. 55) Imposta sul lotto e le lotterie. 56) Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef). 57) Imposta sul valore aggiunto (Iva). 58) Imposta sulla birra. 59)  Imposta sulle assicurazioni. 60) Imposta sulle assicurazioni Rc auto. 61) Imposta Regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio e patrimonio indisponibili- 62) Imposta sulle patenti. 63) Imposta sulle riserve matematiche di assicurazione. 64) Imposta sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax). 65) Imposta sull’energia elettrica. 66) Imposte comunali sulla pubblicità e sulle affissioni. 67) Imposte sostitutive su risparmio gestito. 68) Imposte su assicurazione vita e previdenza complementare. 69) Imposte sul reddito delle società (Ires). 70) imposte sulle successioni e donazioni.

    71) Maggiorazione Ires società di comodo. 71) Nuova imposta sostitutiva rivalutazione beni aziendali. 72) Proventi dei Casinò. 73) Imposta sostitutiva rivalutazione del Tfr. 74) Ritenute sugli interessi e su altri redditi da capitale. 75) Ritenute sugli utili distribuiti dalle società. 76) Sovraimposta di confine su gas incondensabili (Sovraimposta di confine su gas incondensabili di prodotti petroliferi e su gas stessi resi liquidi con la compressione). 77) Sovraimposta di confine su gas metano (Sovraimposta di confine su gas metano, confezionato in bombole o altri contenitori, usato come carburante per l’autotrazione e come combustibile per impieghi diversi da quelli delle imprese individuali artigiane).

    78) Sovraimposta di confine sugli spiriti. 79) Sovraimposta di confine sui fiammiferi. 80) Sovraimposta di confine sui sacchetti di plastica non biodegradabili. 81) Sovraimposta di confine sulla birra. 82) Sovrimposta di confine sugli oli minerali. 83) Tassa annuale sulla numerazione e bollatura di libri e registri contabili. 84) Tassa annuale unità da diporto. 85) Tassa erariale sulle merci imbarcate e sbarcate nei porti. 86) Rade e spiagge dello Stato. 87) Tassa emissione di anidride solforosa e di ossidi di azoto. 88) Tassa erariale e sbarco merci trasportate per via aerea. 89) Tassa occupazione di spazi e aree pubbliche Tosap (comunale). 90) Tassa portuale sulle merci imbarcate e sbarcate nei porti dello Stato.

    91) Tassa regionale di abilitazione all’esercizio professionale. 92) Tassa regionale per il diritto allo studio universitario. 93) Tassa smaltimento rifiuti (Tari). 94) Tassa sulle concessioni regionali. 95) Tassazione addizionale stock option settore finanziario. 96) Tasse universitarie. 97) Contributi universitari, 98) Tasse scolastiche (iscrizione, frequenza, tassa esame, tassa diploma). 99) Tributo per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell’ambiente. 100) Tributo speciale discarica.

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