Tasse

  • Legge di bilancio 2020: cambia nuovamente il regime forfettario

    Il presente articolo rappresenta il primo di una serie di contributi che vorrei dedicare alle novità introdotte dalla legge di bilancio 2020 (L. 160 del 27/12/2019) che ritengo possano avere maggior impatto sui contribuenti e quindi possano destare maggior interesse.

    Analizzeremo oggi il regime forfettario di cui alla legge 190/2014 che è stato oggetto, negli anni, di vari maquillages che ne avevano esteso la portata applicativa, per giungere alla versione attuale che ne ridimensiona la diffusione aumentando le cause di esclusione.

    In proposito, dal 1 gennaio 2020, il regime forfettario sarà applicabile dagli imprenditori ed esercenti arti professioni purché, nell’anno precedente (quindi, 2019 con riferimento al 2020) abbiano conseguito ricavi o compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 65.000 euro e abbiano sostenuto spese per lavoro dipendente per importi non superiori a 20.000 euro. Quest’ultimo limite è stato reintrodotto dalla recente legge di bilancio discriminando, ingiustamente a nostro parere, le attività con più intenso utilizzo di manodopera e quindi con possibili ricadute negative in termini occupazionali.

    E’ preluso l’accesso al regime, come in precedenza, nel caso di esercizio di attività che prevedano regimi speciali iva, in caso di residenza fiscale estera (salvo alcuni particolari casi) e compimento in via esclusiva o prevalente di cessioni di fabbricati o loro porzioni, di terreni edificabili o di mezzi di trasporto nuovi. Ritengo quest’ultima fattispecie più di scuola che altro, essendo alquanto improbabile rispettare i limiti di fatturato previsti cedendo fabbricati.

    Sono impossibilitati ad accedere al regime anche coloro che posseggano contemporaneamente redditi da partecipazione in società di persone, associazioni o imprese familiari. E’ altresì causa di sbarramento, introdotta con evidenti scopi anti elusivi, il controllo (diretto o indiretto) di società a responsabilità limitata o di associazioni in partecipazione che esercitino attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dal contribuente. A tal proposito, a titolo di esempio, nulla osta all’applicazione del regime forfettario al commercialista che controlli una società a responsabilità limitata operante nel settore della ristorazione.

    Con analogo spirito anti elusivo, nel 2018, in fase di revisione del regime, era già stata introdotta la norma (oggi confermata) che escludeva la possibilità di adire al regime laddove l’attività fosse esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in essere, o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi di imposta. La causa non opera in caso di pensionamento obbligatorio o laddove la cessione del rapporto sia avvenuta anteriormente ai due periodi di imposta.

    Con la legge di bilancio 2020 è stata reintrodotta la condizione ostativa di accesso al regime qualora il contribuente, nell’anno precedente, abbia conseguito redditi da lavoro dipendente o assimilati superiori a 30.000 euro. Nulla osta in caso di cessazione del rapporto di lavoro nell’anno precedente purché non ne sia intervenuto uno nuovo ancora in essere al 31 dicembre o non si siano conseguiti redditi da pensione.

    Anche con riferimento a questa soglia di sbarramento, sinceramente, non si ravvisa la ratio della norma apparentemente introdotta con il solo intento di impedire l’accesso al regime di vantaggio in concomitanza con il possesso di redditi da lavoro dipendente oltre soglia. A tal proposito, forse, non si sono valutati attentamente gli effetti sulla propensione ad adottare comportamenti tesi all’evasione delle imposte, o alla rinuncia all’attività, dettati dall’impossibilità di aderire al regime forfettario.

    Regime forfettario che non solo prevede una tassazione sostitutiva al 15% (ridotta al 5% per i primi cinque anni di attività) ma che consente notevoli semplificazioni amministrative e contabili il cui appeal è forse maggiore del rapporto di tassazione. Si pensi all’esclusione da tutti gli adempimenti IVA e IRAP nonché dagli ISA.

    La sommatoria degli effetti, maggior tassazione dettata dal cumulo dei redditi e maggiori oneri amministrativi, nonché la soggezione agli indici di affidabilità fiscale (ISA), che spesso in condizioni di esercizio di attività marginali potrebbero dare risultati non sufficienti, potrebbero essere un valido incentivo a tentare di occultare le prestazioni eseguite con evidenti danni per l’erario e la collettività intera. Specularmente, i contribuenti più virtuosi e meno avvezzi a comportamenti illeciti, potrebbero essere disincentivati a intraprendere attività in mancanza di accesso al regime forfettario per l’eccessivo carico fiscale che ne deriverebbe e per gli adempimenti amministrativi richiesti con analoghe conseguenze negative in termini di gettito per l’erario e per la collettività che ne risulterebbe impoverita.

    A parte queste considerazioni personali, che spero siano smentite nei fatti, i pensionati e i lavoratori dipendenti siano avvisati: al conseguimento di redditi superiori ai 30.000 euro l’accesso al regime forfettario per l’eventuale attività di lavoro autonomo svolta è preclusa.

  • L’epidemia economica sugar free

    Cominciano a definirsi i primi termini dell’epidemia legata all’introduzione della sugar tax. Insieme alla plastic tax (https://www.ilpattosociale.it/2019/11/27/imposizione-fiscale-sulla-plastica-ovvero-linutile-ravvedimento/) questa sciagurata politica adottata dal governo bloccherà ogni investimento, specialmente di operatori esteri come, nello specifico, la Coca-Cola che ha annunciato lo spostamento della propria produzione dalla Sicilia all’Albania come anche il blocco di ogni investimento e stabilizzazione di contratti a termine (https://www.focusicilia.it/2019/12/20/coca-cola-addio-alla-sicilia-la-produzione-sara-a-tirana/). Soprattutto la tassa indurrà ogni azienda del settore se non a cambiare location produttive verso paesi limitrofi privi di una simile tassazione vessatoria quantomeno ad adottare una posizione di attesa e con il conseguente blocco di ogni politica di sviluppo. Paradossale, poi, come tale tassazione, che viene indicata candidamente come espressione di una rinnovata attenzione all’ambiente ed alla salute pubblica, risulti applicata alla produzione, non di certo quindi alle importazioni le quali godono di una svalutazione competitiva pari all’importo della tassazione applicata alle aziende che producono in Italia. E’ perciò evidente l’incapacità del governo in carica, così come dai ministri competenti, di individuare le fasi del ciclo di vita del prodotto da tassare.

    Sarebbe stato sufficiente anche solo copiare il quadro normativo fiscale relativo ai soft drink applicato all’interno dell’Unione Europea e comunque sempre applicato all’ultima fase del ciclo del prodotto, quindi al consumo, per evitare la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro che questa ottusa scelta del governo Conte II sta già determinando.

    Mai come con l’attuale governo si è assistito ad una sovrapposizione tra ideologia anacronistica e incompetenza relativamente alla semplice comprensione degli inevitabili danni economici conseguenti all’applicazione di un nuovo quadro normativo.

    L’epidemia fiscale che sta dilagando all’interno del sistema economico nazionale è interamente imputabile ad una compagine governativa composta da 5 Stelle e Partito Democratico che si avvia a diventare la più pericolosa della storia italiana. I termini del disastro economico si delineano sempre più chiaramente determinando uno scenario con conseguenze inenarrabili. Il fatto poi di averla rimandata ai primi mesi del 2020 dimostra una innegabile pavidità nella capacità di imporre le proprie strategie ma anche una insopportabile mancanza di assunzione di responsabilità.

    Una sintesi espressione della mediocrità politica italiana in grado di aumentare lo stato di incertezza che rappresenta il vero nemico per qualsiasi tipo di investimento. L’Italia, non da oggi, rappresenta l’ultimo Paese per l’altra attività di investimenti dall’estero in Europa. Questa epidemia economica sugar free forse riuscirà a farla diventare tra le ultime nel mondo.

  • Bonus fiscali e l’inversione del principio

    La nuova proposta di politica fiscale del presidente Conte (dopo la lotteria degli scontrini) è imperniata sul bonus dall’11 al 19% per tutti i pagamenti tracciabili con carta, specialmente se utilizzata in settori professionali e commerciali indicati dal governi come “a Forte evasione fiscale”.

    Dopo l’adozione della lotteria che confina il nostro Paese tra le  economie sudamericane la proposta di questo bonus fino a 2.000 euro direttamente sui conti correnti definisce il perimetro culturale e lo spessore di preparazione economica del governo, del suo presidente come dei dicasteri direttamente interessati.

    Il prelievo fiscale si basa sul principio dell’utilità marginale decrescente del denaro e di conseguenza presenta aliquote maggiori e progressive in rapporto al crescere del reddito imponibile. Il rimborso attraverso un bonus fiscale si basa esattamente sulla applicazione del  principio opposto in quanto verranno premiate le fasce di reddito le quali adottino sì le carte per i pagamenti e risultino  quindi espressione di fasce di reddito più alte e con capacità di consumo superiori.

    Si rimane basiti di fronte a questa banale quanto incredibile ed imbarazzante proposta di politica fiscale che è espressione di un assoluto contrasto  con i principi fondamentali della politica fiscale stessa.

    Inoltre, ma non per questo meno importante , nella definizione di onestà dei contribuenti resa esplicita dal Presidente del Consiglio non viene più adottato il parametro di una professione onesta ma semplicemente quello relativo alle modalità di pagamento delle proprie disponibilità.

    Il livello culturale espresso quindi dal Presidente Conte quanto dai responsabili del Ministero dell’Economia che sovrintende alle politiche economiche e fiscali emerge nella sua assoluta inconsistenza attraverso le scelte strategiche i cui simboli vengono rappresentati dalla lotteria degli scontrini e dal  bonus fiscale in relazione ai pagamenti con moneta elettronica.

    Francamente…Il nostro Paese merita di più.

  • 2019, obiettivi raggiunti: crescita zero e maggiore disoccupazione

    Ormai in Europa, ed in particolare in Italia, l’ideologia politica ha acquisito nell’elaborazione delle strategie economiche la posizione dominante. Al crudo pragmatismo indicato come il limite degli economisti si sostituisce ora una visione onirica ed ideologica  priva di ogni rapporto con la realtà i cui disastrosi effetti si manifestano proprio sulla vita quotidiana. Una visione talmente infantile ma soprattutto incapace di analizzare le ricadute economiche ed occupazionali di qualsiasi ideologia possa determinare nel  sistema economico tanto nazionale quanto europeo.

    Nell’ultima elaborazione del Nafta gli Stati Uniti hanno ottenuto di riportare la soglia delle auto prodotte in Nord America dal 64 al 75%. Una scelta che si traduce in nuova occupazione la quale a sua volta diventa volano della crescita economica stessa. Parallelamente in Italia ed in Europa, al di là dello scandalo dieselgate imputabile al management Volkswagen, la tecnologia diesel oggi rappresenta la forma più economica (in quanto richiede minore importazione di petrolio) e meno inquinante nella mobilità complessiva (*).

    L’ideologia iconoclasta pseudo ambientalista, invece, contrappone una visione di origine, sostanza ed applicazione talebana per la quale la motorizzazione a gasolio rappresenta il male assoluto da abbattere. Al di là della assoluta mancanza di sostegno tecnologico a tale visione, questa inoltre produce dei contraccolpi occupazionali devastanti in quanto solo in Piemonte verranno cancellati 450 posti di lavoro ed altri 620 in Puglia.

    Oltre l’Oceano Atlantico, per proporre un semplice parallelo, gli Stati Uniti riescono ad incrementare l’occupazione rinegoziando i trattati internazionali di libero commercio, mentre l’Europa e l’Italia si attivano per creare nuovi disoccupati ignorando bellamente per esempio come l’auto negli ultimi vent’anni abbia ridotto del 95% le proprie capacità di emissione.

    Contemporaneamente vengono omessi per colpevole complicità dati come quelli  delle 203 navi da crociera che inquinano come i 260 milioni di auto europee (**).

    La recita ambientalista  che viene proposta nei teatri della politica italiana ed europea nasce solo dalla volontà di una classe politica che cerca la propria ed ulteriore visibilità ben oltre le proprie competenze.  Basti pensare all’impatto devastante per l’economia italiana della tassa sulla plastica (solo in Veneto 30.000 secondo uno studio delle regione). Un’imposta nella sua autorità finalizzata a colpire la produzione e non il consumo. Il Governo Conte 1 aumenta la tassa sulla plastica da 187 centesimi/kg a 208 mentre nell’ultima finanziaria questo contributo passerà a 45/kg, una tassa che colpisce l’eccellenza industriale italiana e fornisce una svalutazione competitiva per tutti i concorrenti che producono all’estero la plastica necessaria per la quale ovviamente rimarranno invariati i consumi. Mai l’ambientalismo di casa nostra era riuscito a produrre risultati così devastanti per l’occupazione come per  il futuro della crescita economica italiana.

    Analoghi quanto nefasti gli effetti della sugar tax, altra interpretazione di uno Stato che vorrebbe diventare etico. Il tutto ovviamente accompagnato  da una esplosione del debito pubblico (1439 miliardi) che finanzia il reddito di cittadinanza e quota cento.

    Questa continua modifica del quadro fiscale complessivo non fa altro che disincentivare gli investimenti esteri:  tanto è vero che l’Italia risulta ultima in Europa come attrattività verso investitori esteri.

    Nel frattempo da quando periste la nostra crisi economica (venendo meno la domanda estera che si coniugava perfettamente con la capacità di esportazione delle nostre imprese ) ecco spariti  termini come gig, sharing & app Economy che avevano intasato tutte le cronache dei cosiddetti economisti alla page come volano di sviluppo per la nostra economia.

    In soli dodici mesi dalle risibili previsioni di crescita con un +2% del governo Conte 1 (legato soprattutto all’impatto nel secondo semestre del reddito cittadinanza) come affermavano i ministri economici e Savona siamo miseramente approdati ad uno +0,2 % (esattamente la metà del tasso di crescita dell’inflazione) ma con oltre 151 crisi aziendali che cercano una soluzione.

    In un simile contesto la salvaguardia delle priorità, supremazie e tecnologiche anche nell’ambito automotive dovrebbe rappresentare una  primaria strategia di un qualsiasi governo, anche di questo, privo peraltro di ogni competenza specifica. Invece la furia ideologica talebana espressione dell’ignoranza della compagine governativa intende annullare anche questo vantaggio tecnologico di matrice per altro italiana.

    Nessuno intende divinizzare il pragmatismo economico scollegato dal contesto sociale ma quando l’ideologia viene a costare la soppressione di posti di lavoro è inevitabile un giudizio negativo.

    In altre parole, in un contesto di declino culturale la politica risulta espressione delle peggiori mediocrità e si “evolve”  da costo ammortizzabile per il sistema economico italiano a responsabile del declino al quale il nostro Paese non riesce da oltre un decennio ad individuare una strategia al fine di invertire questo nefasto trend.

    (*) https://www.ilsole24ore.com/art/una-tesla-model-3-emette-piu-co2-una-mercedes-turbodiesel-c220d-ACwk9i4

    (**) http://www.rinnovabili.it/ambiente/navi-da-crociera-inquinamento-ue/

     

  • Oltre che agevolare i rimpatri sarebbe opportuno incentivare chi resta

    Sono ormai alcuni anni che il nostro legislatore pone la propria attenzione ai soggetti residenti all’estero nell’intento di incentivarne il rimpatrio o, comunque, l’acquisizione della residenza fiscale in Italia.

    Attualmente sono presenti le agevolazioni dettate per il “regime dei rimpatri”, di cui all’art. 16 del D.Lgs 147/2015, gli incentivi per “il trasferimento di ricercatori e docenti” di cui all’art. 44 del DL 78/2010 e il regime dei “neo domiciliati” di cui all’art. 24-bis del TUIR. Tutti questi regimi prevedono una tassazione fortemente agevolata per i soggetti che abbiano risieduto all’estro per un certo periodo di tempo e acquisiscano in seguito la residenza fiscale nel nostro Paese. L’impatto delle norme è rilevante, si pensi che beneficiando del regime dei neo domiciliati sono approdati in Italia sportivi stranieri di eccellenza.

    In realtà i tre regimi, oltre a di differenze specifiche, presentano obiettivi diversi: i primi due sono volti a incentivare il rimpatrio tramite la detassazione parziale dei redditi prodotti in Italia nei periodi successivi al rientro, il terzo, invece, a fronte dell’acquisizione della residenza fiscale in Italia, prevede una tassazione “flat” sui redditi di fonte estera, indipendentemente dall’importo degli stessi.

    Dopo questa breve introduzione dovrebbe essere chiaro che il presupposto di fondo consiste nel garantire una tassazione agevolata a determinati soggetti che acquisiscano la residenza fiscale nel nostro Paese.

    Lo spirito è sicuramente lodevole e condivisibile essendo teso, da un lato, ad arginare la fuga di cervelli che ha flagellato l’Italia nel nuovo millennio, dall’altro, con riferimento ai neo domiciliati, ad attrarre facoltosi soggetti esteri con l’intento che poi possano produrre redditi anche in Italia, sviluppando investimenti e consumi di rilevante importanza.

    Focalizzando la nostra attenzione sui primi due provvedimenti che garantiscono un livello di tassazione sensibilmente inferiore ai redditi prodotti in Italia appare evidente come lo stesso legislatore sia consapevole dell’eccessivo livello di imposizione fiscale che opprime la maggior parte dei nostri cittadini. E’ di tutta evidenza, infatti, che per garantire un certo appeal al rientro nel nostro Paese si debba concedere un importante sconto fiscale.

    Ciò detto, parrebbe ormai non più procrastinabile una seria azione volta ad evitare l’esodo verso l’estero essendo, in mancanza, inutile il tentativo di ripopolazione attiva.

    Se così è, al fianco dei provvedimenti che agevolano i rientri, sarebbero auspicabili provvedimenti che riducano le tasse di tutti i cittadini e non solo di pochi, che garantiscano la ripartenza dei consumi e degli investimenti. La diminuzione per tutti assicurerebbe maggior appeal al nostro Paese ed eviterebbe di creare cittadini di serie A e B anche in questo campo.

    La lotta all’evasione deve rimanere prioritaria, non fosse altro che per un senso di equità e giustizia che non può venir meno, ma il fenomeno in sé non può essere preso quale attenuante e giustificazione dell’elevata tassazione richiesta. Così facendo, infatti, si entrerà in una spirale senza fine dove le imposte saranno sempre più alte e, di pari passo, maggiore sarà la propensione all’evasione dei cittadini.

    L’altro lato della medaglia, di rilevanza, in valore assoluto, anche maggiore dell’evasione, si annida tra gli sprechi, sperperi e inefficienze della pubblica amministrazione che, secondo gli ultimi dati diffusi dalla GCIA di Mestre, hanno raggiunto la cifra monstre di 200 miliardi di euro annui, circa il doppio di quella attribuibile all’evasione fiscale (110 miliardi, secondo le stime del medesimo istituto). Gli sprechi e le inefficienze pubbliche vanno perseguite tanto quanto l’evasione fiscale non fosse altro per il fatto che entrambe trovano tutela costituzionale essendo i cittadini tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e le altre, le pubbliche amministrazioni, impegnate per assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico nonché il buon andamento e la propria imparzialità.

    Il mio auspicio, per concludere, è che il nostro Legislatore vari una nuova stagione di riduzione delle tasse e di semplificazioni nonché di riduzioni di sprechi e inefficienze dell’apparato pubblico sicché si inauguri una nuova era di rinascita per il nostro Paese che acquisisca nuovo appeal per tutti i cittadini, non solo per quelli destinatari dei provvedimenti agevolativi di rimpatrio, e un modello da seguire per gli Stati comunitari.

  • Imposizione fiscale sulla plastica, ovvero l’inutile “ravvedimento”

    Il governo Conte 1 nel 2018 aveva aumentato l’imposizione fiscale (contributo Conai) sulla produzione della plastica da 187cent/kg a 208/kg: 208 euro a tonnellata. Non soddisfatto, sempre il governo in carica Conte 2 continua nel delirio pseudo-ecologista aumentando ulteriormente il carico fiscale complessivo passando da 208 centesimi a 0.5€/kg con un aumento del +240% (la proposta fu inutilmente di 1€/kg +500%), cioè 500 euro a tonnellata. Nonostante questa parziale inversione gli effetti combinati risulteranno devastanti per il settore produttivo italiano in quanto questa tassazione non colpisce i prodotti importati dall’estero perché non è una tassa sul consumo.

    Sembra incredibile come si riesca con scientifica stupidità a demolire uno dei settori principali dell’economia italiana come quello della produzione di plastica manifestando una presunzione ideologica come espressione di una corrente di pensiero ambientalista.

    In altre parole, tornando alla realtà dei fatti e partendo dal presupposto che una tassa non modifica ne può intaccare l’utilizzo di un bene strumentale come la plastica i concorrenti esteri che producono plastica hanno ricevuto da questo governo una “svalutazione competitiva” del 240% a parità di costi sostenuti.

    La follia ideologica come manifestazione infantile di un ambientalismo privo di competenza si rivela disastrosa per la tenuta del settore industriale italiano della plastica che rappresenta il 40% della produzione europea. Ed hanno pure il coraggio di definire questa parziale correzione come un ravvedimento.

  • Il suprematismo “fiscale”

    Un sistema fiscale deve assolutamente rappresentare, attraverso un quadro normativo stabile quanto affidabile, lo strumento attraverso il quale finanziarie le spese pubbliche sia correnti che per servizi i cui livelli vengono determinati come espressione politica di uno Stato liberista, liberale o socialista.

    In altre parole, non importa il quadro politico del quale questo sistema normativo risulti espressione tuttavia le caratteristiche del sistema fiscale devono essere le medesime, indipendentemente dal contesto politico, quindi anche dalle risorse finanziarie richieste. In un sistema economico in progressiva  evoluzione alla funzione del finanziamento delle spese pubbliche complessive si aggiunge anche la possibilità, in un contesto competitivo globale, di attirare attraverso una “fiscalità di vantaggio”: investimenti che possano assicurare ricadute occupazionali stabili quindi diventare volano di ripresa economica.

    Purtroppo negli ultimi anni, a fronte di una perdurante crisi economica ma purtroppo anche culturale, troppo spesso lo stesso sistema fiscale viene impropriamente utilizzato come veicolo per imporre una visione etica tanto in relazione ai  consumi quanto all’economia nella sua accezione più ampia. Questa ulteriore ed impropria versione di fiscalità “etica” che ogni cittadino italiano è costretto a subire viene spesso imposta e modulata in diretto rapporto alla mancanza di conoscenza e contemporaneamente intrisa di ideologia, quindi una classica espressione della peggiore sintesi per una classe politica. In questo senso la Plastic tax ne rappresenta il classico anche se purtroppo non unico esempio  (https://www.ilpattosociale.it/2019/10/24/la-vera-insostenibilita-quella-fiscale/).

    Come molto spesso succede, una qualsiasi iniziativa fiscale che intenda esprimere impropriamente un principio etico, quando non venga supportato da una conoscenza, si trasforma inevitabilmente semplicemente in  un atto dispotico e d’imperio con l’effetto peraltro di diminuire il potere d’acquisto dei contribuenti. Una  incapacità di valutazione degli effetti unita ad un approccio ideologico e ridicolmente ambientalista descrive la classe politica ignara, solo per proporre un esempio, come accade a Linz, in Austria, dove una acciaieria abbia sostituito il carbone con la plastica termovalorizzata riducendo del 90% le emissioni. Tale  tassazione aggiuntiva relative alla produzione della plastica, definita Plastic tax di pura matrice etica ed ideologica, può venire definita come la misera espressione di un nuovo “suprematismo  fiscale“, espressione della terribile sintesi tra presunzione culturale ed ignoranza contemporanea di cui questo governo si macchia senza vergogna.

    Al tempo stesso va ricordato come questa espressione  del suprematismo fiscale non sia assolutamente la prima. In questo in senso, infatti, basti ricordare la Tobin Tax (una tassazione aggiuntiva applicata a tutte le transazioni finanziarie) voluta dal governo Monti che ha spiazzato il sistema borsistico italiano rendendolo antieconomico e di conseguenza rendendo meno interessante la piazza borsistica italiana rispetto a quelle europee. Con la inevitabile conseguenza che dei 2 miliardi previsti dal  governo Monti lo Stato italiano abbia incassato  appena 780 milioni.

    Al tempo stesso il fatto che tali iniziative fiscali, espressione di questa nuova corrente di pensiero del suprematismo fiscale, il quale intende cambiare il quadro economico attraverso la fiscalità ora adottata dal governo in carica attraverso la Plastic Tax o la Sugar tax, non rappresentino una novità assoluta non  diminuiscono  la gravità e l’impatto devastante per il sistema economico complessivo italiano.

    Il risibile livello della produttività come dei servizi assicurati dalla spesa pubblica rende già di per sé insostenibile la pressione fiscale complessiva. Se a questa vengono aggiunte anche le iniziative fiscali espressione di questa nuova concezione di suprematismo fiscale risulta inevitabile il continuo declino economico del nostro Paese.

  • Quale difesa per il contribuente?

    In mezzo ai vari provvedimenti proclamati, poi smentiti, poi nuovamente promossi che hanno caratterizzato il susseguirsi di notizie di quest’ultimo periodo, questa mattina ne ho letto uno che mi ha lasciato oltremodo basito.

    La Corte dei Conti, con un proprio comunicato stampa del 24 ottobre 2019, ha offerto, “quale Magistratura posta dalla Costituzione a salvaguardia degli interessi dell’erario, il proprio contributo al miglior esercizio della giustizia tributaria stessa”. Il passaggio sconvolgente, a parere dello scrivente, è proprio quello di candidarsi in nome della funzione costituzionale di tutela degli interessi erariali, dimenticandosi di un passaggio fondamentale che è quello della necessaria terzietà della magistratura!

    Il timore, fondato visto il presupposto citato dalla Corte stessa, è quello che venga meno questa necessaria terzietà e quindi vengano lesi i diritti, costituzionalmente previsti, di difesa e di un giusto processo che devono essere garantiti a ciascun contribuente. Timore, peraltro, avallato dall’Unione nazionale camere avvocati tributaristi che, prontamente, ha segnalato il proprio disappunto in una nota ufficiale.

    La giustizia tributaria è già al centro di un grosso dibattito da anni, di cui è consapevole la Corte stessa che nel comunicato prosegue, sottolineando la sua necessaria riforma “alla luce dei più rilevanti problemi che oggi caratterizzano la giustizia tributaria, sia in termini di maggiore imparzialità, indipendenza e terzietà dei giudici tributari, che in termini di rafforzamento della loro professionalità, da assicurare anche mediante uno statuto unitario di assunzione e di trattamento economico, così come pure in termini di recupero di una più “ragionevole durata” del processo tributario, da assicurare anche mediante “giudici monocratici” e con istituti deflattivi del contenzioso”. Concetti di imparzialità, indipendenza e terzietà dei Giudici che, quindi, sono ben chiari alla Corte e che non si capisce come possano essere coniugati in maniera efficace con la funzione di difesa degli interessi erariali cui la stessa è chiamata.

    Da troppo tempo i diritti dei contribuenti non appaiono paritetici se raffrontati con quelli dell’ente accertatore che, dal legislatore in primis, e nella gestione del processo dopo, dovrebbe essere trattato in maniera paritaria con la parte ricorrente. Invece spesso, per le annose ragioni di gettito, così non è: si pensi al fatto che il contribuente è chiamato a pagare parte della pretesa erariale ancora prima che inizi il processo, salvo che ottenga la sospensiva della riscossione, evento per altro non scontato e automatico, o ancora ai provvedimenti legislativi che “salvano” pregiudizievoli che avrebbero reso nulli o annullabili gli atti emessi. Ancora, accade che l’Ufficio difenda fino in Cassazione posizioni indifendibili, sperperando risorse delle Stato e denaro dei contribuenti.

    Spesso la pretesa accertata si basa su presunzioni con l’aggravante dell’inversione dell’onere della prova: il contribuente viene accusato e si trova a dover dimostrare di non aver commesso il fatto rasentando, a volte, l’insulso della probatio diabolica.

    Se il quadro velocemente dipinto non fosse già abbastanza preoccupante e indicatore della ormai imprescindibile riforma della giustizia tributaria, lo diventa oltremodo, se si legge il recente comunicato della Corte dei Conti incardinandolo nel contesto della lotta all’evasione nonché nei toni assunti dal dibattito politico al riguardo. Lotta all’evasione, per carità, che è sacrosanta ma che non dovrebbe assumere i caratteri dell’inquisizione e dovrebbe essere accompagnata da provvedimenti di revisione del sistema fiscale che è ormai del tutto inadeguato al Paese.

    Mi auguro, quindi, che il Presidente del Consiglio in carica, ricordando la propria estrazione di giurista, accademico e avvocato, nonché la promessa fatta di essere “l’avvocato del popolo italiano”, respinga garbatamente la proposta formulata dalla Corte dei Conti, forse in un impeto di disponibilità, e si acceleri invece su una seria riforma della giustizia tributaria che valorizzi il ruolo del Giudice attraverso la sua specializzazione, che preveda la separazione delle carriere e pari trattamento e tutela per tutte le parti del processo.

  • La vera insostenibilità? Quella fiscale

    Uno dei parametri fondamentali per valutare la sostenibilità di un investimento, specialmente in un settore produttivo di un determinato Paese, viene sicuramente rappresentato dal quadro normativo  fiscale e dalla sua stabilità complessiva. Questo fattore influisce in modo determinante allo stesso modo per le aziende già operanti nel medesimo territorio in relazione alla scelta di riservare risorse e destinarle ad investimenti, per esempio nella digitalizzazione, al fine di rendersi maggiormente competitivi nel mercato globale.

    Un articolato sistema fiscale e soprattutto la sua stabilità permettono, infatti, di valutare il Roe e quindi la redditività di un investimento nel medio e lungo termine. All’interno di uno scenario economico complesso la fiscalità, specialmente se “di vantaggio”, cioè finalizzata ad attrarre investimenti anche dall’estero per avviare attività economiche con positive ricadute occupazionali, rappresenta un volano fondamentale con l’obbiettivo parallelo di incentivare gli investimenti delle aziende.

    Viceversa i governi, e con loro soprattutto i ministri economici che si sono succeduti negli ultimi dieci anni alla guida del nostro Paese nella ricerca della quadratura del cerchio per il rapporto debito pubblico/Pil, hanno privilegiato la visione del breve termine incuranti degli effetti delle proprie politiche fiscali a copertura di sempre nuove voci di spesa pubblica. Dimostrando questi l’assoluta incapacità o semplicemente il presuntuoso disinteresse nel considerare le ricadute economiche delle “innovazioni normative fiscali” come della loro ricaduta all’interno di una politica di sviluppo.

    Ogni governo, da Monti in poi, ha sempre immediatamente modificato il quadro fiscale generale anche per fornire le risorse a copertura dell’aumento della spesa pubblica improduttiva, come per gli 80 euro del governo Renzi, il reddito di cittadinanza e quota 100 nel governo Conte 1.

    A conferma di tale terribile miopia, che rende il nostro paese assolutamente poco attrattivo rispetto ai flussi complessivi di investimenti, è esemplare la questione della tassa sulla plastica, ultima perla del governo in carica.

    Nel 2018 il governo stabilì un aumento del contributo ambientale Conai attribuito al settore della plastica (CAC) che passò da 188 a 208 euro a tonnellata: circa 0,208 centesimi/kg. Il costo industriale mediamente della plastica è compreso in un range che va da 0,90 euro fino ad 1,70 per kg. La disastrosa finanziaria del governo Conte 2 viceversa intende portare la tassa sulla plastica ad 1 euro/k, quindi mille/tonnellata. Rispetto al 2018 si assiste perciò ad un +500% della tassazione applicata ad  un comparto industriale  che rappresenta uno dei fiori all’occhiello della manifattura italiana. Un incremento della pressione fiscale che nessun settore economico al mondo sarebbe in grado di sostenere in un’ottica di sviluppo anche solo nel brevissimo termine.

    In più l’effetto paradossale di questa scellerata politica fiscale, espressione di incompetenza, superficialità e presunzione, risulta dall’incredibile rapporto tra valore della tassazione applicata  che arriva fino il 110% del valore del bene tassato (per la benzina è il  64%).

    Nella storia economica recente mai si era assistito ad un aumento della pressione fiscale di questa entità, espressione di una ridicola ideologia pseudo ambientalista adottata da una classe politica indegna che ora rincorre una ragazzina svedese anche se smentita dai più autorevoli scienziati del mondo.

    Tornando ora al quadro più generale, il sistema normativo fiscale in continuo rinnovamento, di fatto, ogni dieci mesi rende inutili e paradossalmente obsoleti tutti gli studi e con loro ogni valutazione e proiezione necessarie ad un investitore che intendesse premiare la competenza italiana così come per un’azienda italiana attiva nel mercato al fine di sviluppare la propria competitività.

    E’ ormai evidente come la classe politica e dirigente, espressione non di competenza economica ma di più banali competenze burocratiche, rappresenti la causa del nostro arretramento economico e culturale condannando il nostro Paese ad un declino inarrestabile.

    Mai come ora con la propria politica fiscale adottata per il comparto della plastica il governo in carica rappresenta il vero nemico della crescita e contemporaneamente la lucida espressione di un’incompetenza legata ad una assoluta irresponsabilità con effetti insostenibili per il sistema industriale italiano.

  • Stretta in arrivo per gli affitti agevolati

    Investire nel mattone sta diventando sempre più difficile in Italia. E non solo per i continui venti di crisi economiche, reali o solamente paventati. Se nei mesi scorsi si è parlato di una lieve ripresa, almeno per il settore acquisti, tale prospettiva, che poteva far tirare un seppure flebile respiro di sollievo agli addetti ai lavori, rischia di arrestarsi in breve tempo. Causa la nuova manovra finanziaria che potrebbe colpire, ed anche pesantemente, gli affitti a costi contenuti. L’Italia, al momento, è il Pese in cui, più che in altri, la grande crisi finanziaria del 2007/2008 sembra non essersi allontanata perché una eccessiva tassazione sul mattone, che paradossalmente renderebbe meno rischioso investire in borsa piuttosto che in edilizia, ha di fatto scoraggiato costruttori e acquirenti. In Italia esiste infatti una tassazione espropriativa, erariale e locale che non si ritrova in altre parti del mondo, come dimostra un rapporto di Confedilizia che potrebbe vedere ulteriori balzelli che andrebbero a colpire chi trae guadagno, onestamente, da affitti a buon mercato. Come sappiamo le moderne tecnologie inducono molti lavoratori a spostarsi sul territorio per lavori più dinamici (anche se sempre più spesso l’ufficio diventa il proprio appartamento) e ciò implica sistemazioni provvisorie, laddove non si pensa di rimanere per troppo tempo nei luoghi in cui ci si sposta. L’affitto, il più possibile conveniente, rimane così la soluzione più consona. La tipologia che funziona maggiormente in questi casi è quella degli affitti agevolati o concordati in quanto garantiscono ai proprietari della case una certa redditività anche se modesta. La manovra finanziaria in programma, su proposta del PD, prevede di alzare, per la prima volta, l’aliquota fiscale su questa tipologia di affitti dal 10 al 12,5% che prevedeva un canone più basso rispetto alla norma, canone concordato in passato da Confedilizia con i sindacati inquilini di Cgil, Cisl e Uil che veniva incontro alle esigenze di classi sociali economicamente più deboli. E chi potrebbe trarne profitto da tali aumenti? Neanche a dirlo un sistema bancario che strizza l’occhio alla finanza internazionale.

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