televisione

  • Mediaset ed il fragile equilibrio democratico

    Potrà anche sembrare sgradevole nei giorni appena successivi alla sua morte, ma il forte rialzo delle azioni Mediaset fa pensare a scenari allarmanti per il nostro Paese.

    Uno dei maggiori pericoli viene rappresentato dalla non remota possibilità di vedere ora svenduta l’azienda di Cologno Monzese a capitali francesi (*) (Ballore?) di fatto trasferendo, ancora una volta, il baricentro aziendale all’estero.

    Per qualcuno potrebbe rappresentare anche un aspetto secondario, tuttavia all’interno della nostra società, o meglio, di un sistema economico sociale e politico complesso fortemente esposto all’influenza dei canali tradizionali televisivi, in aggiunta a tutti i canali social, la perdita della proprietà di uno dei due tradizionali rappresenta un pericolo non secondario.

    Andrebbe, infatti, ricordato come la stessa imparzialità dell’informazione nel nostro Paese si regge, non tanto sull’espressione di una sistema mediatico equilibrato all’interno del quale gli editori si manifestano come indipendenti ed imparziali, quanto sulla sua imperfetta pluralità, perché ormai risulta evidente come tutte le testate giornalistiche e gli stessi telegiornali abbiano implicitamente esercitato una scelta di campo abbracciando interessi ed obiettivi politici dell’intero arco costituzionale.

    L’equilibro sostanziale, come inevitabile conseguenza, fino ad oggi è stato assicurato proprio dalla sola molteplicità di canali “informativi”, i quali con i propri contenuti esprimevano le più diverse interpretazioni di parte del singolo avvenimento. Un equilibrio forse insano, tuttavia l’unico possibile nella nostra società, ma che ora se l’azionariato di uno dei principali canali televisivi finisse in mani straniere probabilmente verrebbe infranto.

    Il sistema della comunicazione italiano, in ultima analisi, può rappresentare esso stesso una forma di certo impropria di Made in Italy ma la sua tutela dovrebbe rappresentare un aspetto e soprattutto un valore fondamentale della stessa democrazia.

    Valutare oggi le dinamiche azionarie di Mediaset rappresenta una forma, come lo stesso equilibrio che si intende mantenere, impropria ma necessaria con l’obiettivo di tutelare l’imperfetto asset democratico italiano.

    (*) La Francia intanto sta procedendo alla messa in sicurezza dei proprio asset energetico https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

  • In attesa di Giustizia: Tu quoque

    Se ne è accennato in numeri precedenti di questa rubrica: è stato rafforzato, mediante il recepimento di una direttiva europea, il fondamentale principio della presunzione di innocenza che – tra l’altro – protegge l’accusato da «mediatiche sovraesposizioni deliberatamente volte a presentarlo all’opinione pubblica come colpevole prima dell’accertamento processuale definitivo». In tal senso si è già espresso il Giudice per le Indagini Preliminari di Milano, Fabrizio Filice, richiamando proprio la direttiva Ue n. 343 del 2016, per escludere che i giornalisti, che nel 2015 avevano epitetato come «taroccato», «una patacca» il video in cui veniva mostrato il furgone bianco di Massimo Bossetti che girava intorno alla palestra di Yara Gambirasio, avessero diffamato il capo dei RIS di Parma che aveva querelato tutti sparando ad alzo zero.

    Eppure, si trattava di un dato oggettivo: il video era una ricostruzione priva di scopo probatorio, realizzata a fini comunicativi (o, meglio: suggestivi), tanto da non rientrare nemmeno negli atti del (vero) processo; tuttavia fu ampiamente diffuso anche per tramite le numerose trasmissioni televisive che si interessano di cronaca giudiziaria.

    «I video del furgone di Bossetti sono adattati per la stampa», così, Luca Telese in un articolo su Libero criticando un processo mediatico che precedeva e surrogava il processo penale: e quel video era in effetti altamente incriminante, sebbene fosse stato confezionato ad hoc montando frame di molteplici furgoni simili a quello di Bossetti al fine di rispondere alle pressioni mediatiche e dare in pasto ai giornalisti – e all’Italia intera – un perfetto mostro da copertina.

    Dall’epoca dei plastici con la villetta della Franzoni montati in studio da Bruno Vespa, i processi vengono ormai celebrati in parallelo fuori dalle aule del Tribunale con totale mancanza di garantismo nei confronti dell’imputato che viene presentato e, spesso, implicitamente giudicato come presunto colpevole con modalità da Festival di San Remo. Il video confezionato ad arte non è altro che la ciliegina sulla torta di un sistema malato che ha portato una Procura a relazionarsi coi media in modo poco trasparente nei confronti dell’opinione pubblica (cioè quel Popolo Italiano in nome del quale viene amministrata la Giustizia), e sicuramente scorretto nei confronti delle parti in causa.

    Del tutto condivisibile la critica fatta dai giornalisti: serviva, forse, pressione popolare per avere un percorso spianato davanti alla Corte di Assise? Di certo se l’intento era quello di creare un colpevole perfetto può dirsi pienamente raggiunto.

    Ora, vi è da sperare, tramite il recepimento alla Direttiva UE n. 343 del 2016, attuato pur con agio di cinque anni, che l’Italia potrà e dovrà impedire il ripetersi di uno scempio simile…che non è l’unico esempio che si può portare ma solo il più clamoroso e recentemente valutato.

    E ripensando all’origine e allo sviluppo di questa vicenda viene alla mente quando Cesare, in punto di morte, disse: “tu quoque Brute fili mi”.

    I giornalisti, proprio loro che normalmente sono i principali alleati di certe Procure nell’alimentare il processo mediatico in funzione degli interessi dell’impresa editoriale, e gli inquirenti che tendono ad assicurarsi visibilità ed influenzare il giudizio, questa volta sono i protagonisti inconsapevoli della valorizzazione della presunzione di innocenza.

    Un processo, quello deciso dall’ottimo Giudice Filici, che si conclude giustamente senza colpevoli ma – per altro verso – anche impunemente: infatti nè gli investigatori nè la Procura di Bergamo saranno mai chiamati a rispondere di quella che viene definita eufemisticamente una scorrettezza.

    Bossetti, ormai, è colpevole fino a prova contraria e può essere che quel video non abbia contribuito più di tanto alla sua condanna: il percorso che deve seguire la Giustizia degli uomini, però, è sicuramente un altro. Restiamo in attesa, forse in futuro andrà meglio.

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