territorio

  • L’UE fornisce 600 milioni di euro per rafforzare la flotta antincendio rescEU

    La Commissione finanzia attualmente l’acquisto di nuovi aerei antincendio per aumentare la capacità aerea antincendio di rescEU, la riserva strategica di risposta alle crisi del meccanismo di protezione civile dell’UE. 600 milioni di EUR di fondi dell’UE saranno utilizzati per l’acquisto di 12 nuovi aerei, che saranno ospitati in 6 Stati membri dell’UE: Croazia, Francia, Italia, Grecia, Portogallo e Spagna.

    Gli aerei saranno utilizzati per spegnere incendi in tutta l’Unione europea, in particolare durante i difficili mesi estivi in cui sempre più spesso incendi boschivi su vasta scala minacciano vite, abitazioni e mezzi di sussistenza.

    L’annuncio è stato dato in occasione della partecipazione a Zagabria del Commissario per la Gestione delle crisi Janez Lenarčič alla cerimonia di firma dell’accordo tra il governo croato e la società commerciale canadese per l’acquisto di aerei antincendio specializzati. Ciò, insieme alla recente firma di un accordo analogo da parte del governo greco, segna un passo importante verso l’aumento della capacità aerea antincendio nell’UE, a protezione dei cittadini dell’UE dalle catastrofi.

    Cinque anni fa la Commissione europea ha potenziato il meccanismo di protezione civile dell’UE e ha creato rescEU per proteggere ulteriormente i cittadini dalle catastrofi e gestire i rischi emergenti. rescEU è stato istituito come riserva di risorse europee e comprende una flotta di aerei ed elicotteri antincendio. rescEU è interamente finanziato dall’UE.

  • Al servizio dei risparmiatori

    Il Patto Sociale si è già occupato, anche con un rilevante articolo del dottor Giuseppe Nenna, Presidente della Banca di Piacenza, dei gravi problemi dovuti alla desertificazione bancaria ma i dati elaborati dalla fondazione Fiba ci presentano un altro inquietante scenario.

    Secondo la Fondazione dal 2009 al 2022 nel settore bancario si sono persi più di 66.000 posti di lavoro al netto delle nuove assunzioni che sono state 38.000, non vi è stato perciò nessun ricambio generazionale ma una perdita secca di posti di lavoro con i conseguenti danni per tutti, clienti compresi.

    Le ristrutturazioni societarie, le fusioni ed acquisizioni sono servite alle banche ed ai loro soci, non certo ai dipendenti o ai clienti che hanno visto chiudere banche e filiali anche a causa della riforma delle banche popolari e di credito cooperativo.

    I primi cinque gruppi bancari controllano più del 50% del mercato ingenerando, ovviamente, una mancanza di reale concorrenza ed una distorsione del settore.

    La chiusura di tante filiali nei centri abitati, voluta dalle grandi banche, ci auguriamo possa dare maggior vigore a quelle medie che operano con un forte legame al territorio e che ancora credono, a ragione, nel rapporto diretto tra clienti e funzionari della banca. Per questo speriamo che siano proprio le banche “minori” ad occupare quella fascia di mercato, tremila comuni, che le grandi hanno abbandonato riportando, almeno una parte, del sistema bancario ad essere al servizio dei risparmiatori.

  • Dove c’è Banca di Piacenza non c’è desertificazione

    Sono diverse le indagini che indicano come il processo di desertificazione bancaria stia assumendo proporzioni sempre più preoccupanti. A farne le spese è, soprattutto, chi vive e lavora nei comuni più piccoli (anche se il fenomeno coinvolge ormai anche le grandi città). Un’analisi della Fondazione Fiba di First Cisl segnala che il 41% dei comuni italiani è rimasto privo di una presenza bancaria con – nel 2023 – 826 sportelli chiusi rispetto ai 677 dell’anno precedente. I comuni privi di dipendenze sono ora 3.300, con oltre 4 milioni di cittadini rimasti senza sportello. E le previsioni per il 2024 fanno temere una ulteriore accelerazione con altre chiusure, visti i piani d’impresa di molti istituti di credito.

    Il forte sviluppo degli strumenti digitali potrebbe far pensare che gli sportelli bancari siano sempre meno necessari. Ma non è così.

    E’ noto che il fenomeno della desertificazione bancaria costituisce un fattore di marginalizzazione e un impulso indiretto allo spopolamento. Non solo. Una ricerca presentata dal sindacato Uilca è arrivata alla conclusione che la presenza di una filiale in un comune non è importante solo per facilitare il prelievo del contante, ma incide anche sulla propensione agli investimenti.

    In questo scenario meglio si comprende, allora, l’importanza delle banche di territorio. Piacenza, per esempio, rappresenta un’oasi che resiste al “deserto”. Per quale ragione? Come ha più volte sottolineato Cristiana Muscardini dalle colonne di questo settimanale (e la ringraziamo delle citazioni), nella provincia emiliana ormai da 88 anni opera una banca (l’unica veramente locale rimasta) che gli sportelli non li chiude ma li apre.

    La banca di territorio è come la salute – amava ricordare il nostro compianto presidente Sforza Fogliani -, la si apprezza quando non c’è più. La presenza fisica delle banche nei territori facilita l’attività di supporto a famiglie e imprese e ben sappiamo che una delle caratteristiche più apprezzate dai nostri clienti, è quella di non essere considerati dei numeri ma delle persone con le quali ci si conosce e ci si guarda negli occhi. La Banca di Piacenza dimostra di essere vicina a imprese e famiglie con gesti concreti. Per riaffermare il legame con il territorio ha inaugurato nuove filiali in immobili di cui ha acquisito la proprietà, a significare che in un luogo ci va per restarci. E le piccole cerimonie che ogni anno facciamo per ricordare gli anniversari delle aperture delle filiali nei vari comuni (vuoi 50 ma anche 80 anni), sono l’esempio più tangibile del nostro legame con il territorio.

    Le altre chiudono e noi apriamo, dicevamo. Lo abbiamo fatto recentemente a Voghera, Modena, Pavia e Reggio Emilia. Qualcuno potrebbe pensare che queste scelte allentino il nostro legame con Piacenza. Non è così. E’ esattamente il contrario. Abbiamo necessità di migliorare la qualità dei nostri impieghi, e queste nuove piazze ci consentono di raggiungere lo scopo aumentando i profitti a beneficio dei territori di riferimento.

    Il nostro modo di fare banca – con la presenza fisica nei territori – ha positivi riflessi di immagine e reputazione e dà anche buoni ritorni, consentendo all’Istituto di credito di ottenere ottimi risultati. Il Bilancio 2023 approvato di recente dal Consiglio di amministrazione ha chiuso con un utile che ha sfiorato i 30 milioni di euro (29,9), contro i 20,6 dell’anno precedente.

  • La politica assente davanti ai disagi di cittadini e imprese per la continua chiusura di sportelli bancari

    Aumentano le preoccupazioni degli utenti, privati od imprese, per la inesorabile, continua chiusura degli sportelli bancari, come aveva già avevamo scritto sul Patto Sociale in un articolo del 21 gennaio 2024.

    Anche Wall Street Italia si è occupato del problema segnalando che il 41% dei comuni italiani è rimasto privo di una presenza bancaria, secondo l’analisi della Fondazione Fiba di First CISL, con un evidente danno anche per le 225 mila imprese che risiedono in quei comuni privi di sportello.

    Sempre secondo l’analisi e la ricerca di Fiba nel 2023 gli sportelli chiusi sono stati 826 a fronte dei 677 dell’anno precedente, dimostrazione evidente che le banche più grandi, o quelle che comunque non sono veramente legate ai legittimi interessi del territorio dove sono nate, continuano a chiudere sportelli, licenziare dipendenti, negare ai clienti quei servizi che gli stessi pagano profumatamente per il loro conto corrente.

    Le previsioni per il 2024 fanno temere un ulteriore accelerazione con altre chiusure, visti i piani d’impresa di molti istituti di credito.

    La cosiddetta desertificazione bancaria non avviene solo nei comuni minori, come abbiamo già scritto,ma anche nelle grandi città dove, ad esempio, l’UniCredit ha eliminato dalle agenzie gli sportelli per le operazioni di prelievo, deposito etc. lasciando solo le casse automatiche. Diversa è invece l’attenzione di quelle banche, come la Banca di Piacenza, che hanno rifiutato gli accorpamenti e, pur aprendo nuove filiali anche in grandi città, rimangono legate al territorio dove sono nate garantendo la presenza di loro agenzie anche nei  piccoli comuni.

    Non ci si giustifichi la chiusura di tante filiali con la possibilità di avere conti on line, il modo di gestire il proprio conto deve essere una libera scelta e non un obbligo e non sempre l’on line offre la garanzia ed il servizio necessari, specie alle persone più anziane o meno informatizzate. La diffusione del digitale non può consentire alle banche, per migliorare i propri utili e quelli degli azionisti, di chiudere sportelli per tagliare i loro costi, negando servizi e creando problemi sia ai privati che alle imprese, per altro soltanto il 50% degli utenti usa l’internet banking.

    Siamo stupiti dall’assenza della politica su questo problema che aumenta non solo il disagio ma anche i rischi per molte persone costrette ad utilizzare, per lunghe distanze, la macchina o i mezzi pubblici per poter raggiungere uno sportello bancario con un funzionario in carne ed ossa.

    Mentre in Italia chiudono sportelli e filiali ben diversa è l’impostazione negli Stati Uniti dove si agisce all’opposto aprendo nuove agenzie per rendere più vicina la banca ai cittadini rendendo così non solo un servizio alla collettività ma anche ai propri bilanci.

  • Banche e territorio

    Non ha trovato molta eco sui media la notizia che ormai 3.000 comuni in Italia sono privi di uno sportello bancario.

    La chiusura di tante filiali sta creando molti disagi e difficoltà agli abitanti ed aumenta i problemi legati alla sicurezza per chi, per varie ragioni, ha bisogno di contante ed è costretto a ritirarlo in comuni diversi da quello nel quale abita.

    Specie per le persone più anziane o con disabilità questo disservizio diminuisce la loro libertà ed autonomia.

    E’ molto grave la chiusura di tante filiali, dopo che per anni si è presentato l’accorpamento di diversi istituti di credito come un grande progresso che avrebbe portato vantaggi agli utenti, maggiore sicurezza e trasparenza.

    In verità vi sono invece susseguiti diversi licenziamenti, molti disservizi, un sempre più evidente distacco tra i clienti e il personale delle grandi banche. Infatti mentre i costi sono aumentati per gli utenti sono sempre di più diminuiti i servizi, in pratica si paga per utilizzare una cassa automatica e diventa difficile qualunque operazione che necessità di un consiglio, di un aiuto o che esuli da quanto precedentemente predisposto dai sistemi della banca.

    Un esempio? All’UniCredit sostengono che è impossibile per un correntista ottenere un bancomat se non si ha un cellulare dal quale poter firmare il contratto!

    Sempre l’UniCredit a Milano, andrebbe verificato cosa accade in altre città, ha eliminato da quasi tutte le filiali lo sportello di cassa con le evidenti conseguenze negative per i clienti.

    La desertificazione bancaria, come l’ha definita un servizio televisivo, va di pari passo con la disumanizzazione del sistema bancario che si salva solo per alcuni istituti i quali, per la lungimiranza dei loro presidenti, hanno rifiutato gli accorpamenti ed hanno fatto diventare una forza il loro essere banche del territorio.

    Anche qui un esempio: la banca di Piacenza, che restando una banca legata strettamente alla città ed alla sua provincia, ha portato i suoi servizi anche in altri territori quali Milano, Modena e Pavia tenendo sempre fede alla necessità di tenere aperti gli sportelli anche in comuni piccoli.
    Si discute molto sulla necessità di dividere le carriere dei magistrati ma non si parla più, nonostante a suo tempo alcune forze politiche ora al governo avessero sollevato il problema, della urgenza di rendere più chiaro il sistema bancario distinguendo tra banche d’affari e banche di risparmio.

    I cittadini credono ancora, nonostante la comodità per certi aspetti dell’home banking, nelle banche che danno un servizio a tutto campo e creano un rapporto con i loro correntisti, inutile parlare, senza per altro concludere, di tassare i super profitti e ci si occupi invece di controllare che chi paga un servizio lo abbia effettivamente.

    Forse è anche il momento di chiedersi se tutti questi accorpamenti hanno giovato all’utente o solo ad un certo tipo di sistema bancario.

  • La Brianza agricola cerca voce in Regione Lombardia

    La Brianza in passato era un territorio profondamente agricolo, dove Napoleone veniva ad acquistare il vino, come ricorda il movimento Fare Ambiente, ed il suo paesaggio agrario rappresenta un patrimonio che comprende modalità di sistemazione del terreno e di ritenuta delle acque, sistemi di irrigazione, terrazzamenti, percorsi, collegamenti verticali, edifici rurali, materiali e tipologie tradizionali, pratiche e tecniche di coltivazione tradizionali, usi e costumi.

    Per questi motivi Fare Ambiente ritiene di lanciare per il 2023 ‘La Campagna della Lombarda’ per il riconoscimento delle Imprese agricole e dei prodotti agricoli locali, come Patrimonio Culturale da tutelare e salvaguardare attraverso la presentazione di una legge regionale a firma di consiglieri regionali che si impegnano a riconoscere le imprese agricole come patrimonio storico e culturale del territorio; a tutelare i prodotti agricoli, anche di nicchia, quali prodotti enogastronomici lombardi; a tutelare le iniziative a km0 anche eventualmente attraverso un marchio “prodotto lombardo”; a promuovere una proposta di legge per il riconoscimento delle imprese agricole come patrimonio culturale da tutelare e infine a riconoscere in Fare Ambiente un soggetto attivo nella difesa del patrimonio agricolo lombardo.

    L’iniziativa non ha mancato di trovare interesse da parte di alcuni candidati per le elezioni del 12-13 febbraio, nelle circoscrizioni di Monza e Brianza e di Milan. Nella prima hanno raccolto l’appello Alessandro Corbetta (Lega), Paolo Romeo (Forza Italia) e Federico Romani (Fratelli d’Italia); nella seconda Fabio Altitonante (Forza Italia), Riccardo Pase (Lega), Chiara Valcepina (Fratelli d’Italia).

  • Ministro Salvini prima di occuparsi del ponte sullo Stretto bisogna risolvere le vere urgenze

    Il governo deve ovviamente concentrarsi sulle priorità: 1) aiuti per le bollette e approvvigionamento energetico, 2 )nuove opportunità di lavoro, 3) maggiore sicurezza, in tutti gli ambiti, 4) certezza e celerità della giustizia.

    Detto questo rimaniamo perplessi di fronte all’urgenza e accelerazione che il ministro Salvini, e Forza Italia, stanno dando al ponte sullo Stretto.

    Senza entrare nel merito di una questione che si trascina da anni, e che è stata e sarà fonte di molte polemiche, vogliamo solo ricordare al ministro che, ad oggi, Calabria e Sicilia sono in gran parte prive di strade e linee ferroviarie adeguate e che sarebbe il caso di cominciare a risolvere, prima di tutto  e cioè prima del ponte sullo stretto, questo problema.

    Ricordiamo al ministro come molte scuole ed università siano ad alto rischio crolli, quanto è recentemente avvenuto in Sardegna è stato preceduto da altri eventi simili, pertanto la messa in sicurezza di questi edifici, su tutto il territorio nazionale, è una priorità per studenti ed insegnanti e sarebbe un notevole volano, in tutta Italia, per l’edilizia.

    Lo stesso problema di mancanza di sicurezza dopo i controlli, per altro non completi, effettuati dopo il crollo del ponte di Genova, esiste per molti ponti e cavalcavia, sempre più fatiscenti, e che ogni giorno sono percorsi da decine di migliaia di automobilisti.

    Nell’emergenza dovuta alla carenza d’acqua vogliamo credere che al ministro non sarà sfuggito quanto si denuncia da molti, troppi anni, e cioè le condizioni fatiscenti nelle quali versa la rete idrica nazionale con un sperpero di almeno il 40% dell’acqua potabile, acqua irrimediabilmente perduta, e il danno dovuto alla mancanza di quei bacini di contenimento dell’acqua l’assenza dei quali ha ulteriormente messo in ginocchio la nostra agricoltura  questa estate e per questo è necessario un azione urgente da parte del governo.

    Vogliamo credere che a nessuno sfugga quali sono le priorità per gli italiani.

  • La semina, il raccolto e la ricandidatura, la parabola agricola di Musumeci

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono, già Sottosegretario per i BB.AA.CC.

    Da qualche mese il Presidente Musumeci rivendica la sua ricandidatura, alla luce della sedicente ottima semina effettuata in termini di buon lavoro svolto fino ad oggi e del suo buon diritto a procedere al copioso raccolto, che inevitabilmente a suo parere dovrebbe conseguirne. Peccato che tale visione di buona semina sembrerebbe abbastanza improbabile alla luce della reale situazione in cui versa la Sicilia.

    A volo d’angelo e senza volere al momento elencare tutte le gravi problematicità dell’Isola, né di approfondire l’incapacità di dare vita ad alcuna riforma realmente radicale e innovativa per modernizzare la Sicilia, basta solo esaminare lo stato in cui versano alcuni settori di competenza della Regione per capire l’inesistenza di alcuna strategia e indirizzo politico e programmatico del governo regionale in carica, costretto a continue giustificazioni e patetici tentativi di autoassoluzione dalle responsabilità per gli autentici disastri registrati, altro che “Diventerà Bellissima”.

    In veloce sequenza: la tragedia dei quasi 8.000 incendi che ha bruciato 78.000 ettari di territorio regionale non solo boschivo evidenza l’assenza di qualsivoglia strategia per prevenire tali tragici e in gran parte dolosi eventi, come le recenti giustificazioni dell’assessore al Territorio e ambiente Cordaro invece di spiegare confermano; nessuna strategia per i rifiuti, a partire dalla ordinaria vergogna di un’Isola che a parole auspica di diventare capitale del turismo europeo e, di fatto si presenta con le strade letteralmente invase da tonnellate di rifiuti abbandonati, senza che alcuna pubblica autorità abbia la minima intenzione o capacità di intervenire e risolvere; nessuna strategia sulla gestione delle acque che, in parte, è strettamente legata all’assenza di strategie per i rifiuti, per come è emerso in questi giorni con le audizioni della Commissione Parlamentare Ecomafie; nessuna strategia contro il vergognoso primato nazionale di contagi e defunti che dal 19 agosto, quotidianamente e ininterrottamente, fa strame in tutte le province dell’Isola, con l’aggravante di una congenita incapacità di conteggiare correttamente i decessi, che rende grottesca e senza trasparenza la gestione sanitaria, in particolare per la mancanza di qualsivoglia pubblica spiegazione sul motivo di questi errori, di cui non si capisce da cosa determinati e dalla responsabilità di chi, con conseguente gravissimo discapito perfino della corretta valutazione del reale andamento giornaliero della pandemia; nessuna strategia legislativa né sulle riforme, né sul varo di qualsivoglia altra normativa, da cui non a caso proliferano in continuazione impugnative del governo nazionale in quantità esagerata e mortificante per il Parlamento più antico d’Europa, ed infine, ma solo perché l’elenco dei disastri vuole essere indicativo ma non esaustivo, nessuna strategia per la capacità di spesa della Regione dei fondi strutturali, fermi al 42% di effettivo utilizzo, con la dimostrazione non solo che non si è mai riusciti a capire e rimuovere le cause di questo gravissimo “buco nero” della burocrazia regionale, ma con il rischio che tale ultra trentennale impotenza si rifletta anche sui fondi del PNRR, vanificando ogni speranza di riscatto economico e sociale della Sicilia e di perdere l’ultimo treno utile per una diversa narrazione del futuro.

    A fronte di questo scenario fallimentare, in cui quando si interviene lo si fa rigorosamente a posteriori, dopo che i danni sono stati arrecati e ricorrendo alla solita e consunta cantilena di richieste di aiuto allo Stato, si registra un vuoto di idee e di proposte concrete per risolvere questioni che quattro anni fa il Presidente si era impegnato ad affrontare con successo, salvo poi scegliere alleanze con buona parte dei responsabili dei mali antichi della regione, che infatti sono stati replicati.

    Quattro anni di governo persi, tra dichiarazioni roboanti e fantasiose, come la creazione di una compagnia aerea siciliana con l’AST, sterili denunce di veri o presunti boicottaggi, non a caso maturati spesso all’interno della stessa maggioranza, attacchi strumentali ai regolamenti dell’ARS, come se l’abolizione del voto segreto potesse mai supplire all’assenza di proposte e di riforme per modernizzare una regione rimasta ferma agli anni ’70 nei metodi e nelle logiche dell’azione burocratica, politica e legislativa, o le sfuriate contro tutto e tutti, ed in particolare nei confronti delle struttura burocratica, come se fosse ancora un deputato dell’opposizione e non appunto il Presidente della Regione con ruolo e poteri per cambiare realmente le cose.

    Ecco perché non regge la parabola della semina, di cui non sembra esserci traccia e, conseguentemente del diritto a un secondo mandato, per l’assenza del presunto ma, in realtà, inesistente raccolto.

    Già Sottosegretario per i BB.AA.CC.

  • Calamità naturali e gravi responsabilità

    Stiamo assistendo, una volta ancora, ad una serie di calamità che mettono in ginocchio varie aree dell’Italia. I cambiamenti climatici, dovuti alla crisi ambientale, non sono i soli responsabili, infatti la responsabilità è anche del dissesto idrogeologico e del consumo del suolo, il cui abuso sconsiderato ha una grande colpa per quanto sta avvenendo ed è avvenuto nei giorni scorsi, dalla Sardegna all’Emilia alle vaste aree di montagna.

    A luglio uno studio dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha presentato il rapporto 2020 sul consumo del suolo in Italia nel 2019. Il dato è impressionante, il consumo del suolo avanza due metri al secondo con un totale di 57 milioni di metri quadri. Una volta di più la politica ha dimostrato di essere inaffidabile, infatti da tempo è stata presentata in parlamento una proposta di legge per portare a zero l’inutile consumo di terra, il provvedimento avrebbe finalmente dovuto essere approvato nel primo trimestre del 2020 ma nulla è stato fatto. Pur tenendo conto dell’emergenza Covid il non aver discusso ed approvato una legge che, seppur tardiva, avrebbe almeno cominciato a mettere in moto le iniziative necessarie ad impedire per il futuro tante delle catastrofi alle quali stiamo assistendo è una grave responsabilità non solo politica. Quando fiumi, torrenti, canali esondano distruggendo raccolti, attività, macchine, suppellettili, causando anche vittime umane e animali, quando per ripristinare i danni, qualora sia possibile, si sprecano tante energie e tanto denaro pubblico e privato a chi si deve attribuite la responsabilità di aver lasciato costruire dove era pericoloso, addirittura sui greti dei fiumi, di non aver bonificato, pulito i letti dei fiumi spesso spostati a nostro piacimento, di non aver  messo in essere le necessarie misure? Il Lambro ed il Seveso, a Milano, esondano da prima degli anni ‘80, il Secchia ed il Panaro mettono continuamente a rischio Parma e Modena, in Sardegna sono stati sommersi dalla stessa inondazione di sette anni fa, per non parlare della Liguria e di tante aree del centro sud compresa la Calabria, vittima recente di un nuovo disastro.

    L’Italia in sei anni ha perso superfici agricole con un potenziale di produzione di tre milioni di quintali, e con conseguenza la capacità di assorbimento di 250 milioni di metri cubi di acqua piovana che ora scorrendo in superficie, e non più assorbita dal suolo, procura il dilavamento dei terreni, vari allagamenti e rende sempre più povera la falda acquifera. Occorre un immediato censimento delle aree abbandonate, dismesse per poterle riconvertire senza procedere, là dove non sia assolutamente necessario, a nuove costruzioni, l’Ispra ci segnala inoltre che nonostante vi sia un continuo calo demografico vi è un continuo aumento di edificazioni mentre molte altre, troppe, costruite negli anni passati sono abbandonate, lasciate deperire e crollare. La sola città di Roma ha incrementato, in un anno, di 108 ettari il suolo cementificio. La Liguria è la regione con il massimo indice di suolo impermeabilizzato in aree che presentano seri pericoli geologici per il ruscellamento delle acque, e quanto è accaduto, e continua ad accadere, dimostrano quanto sia criminale non intervenire.

    Uno stato assente, disattento, a volte complice di coloro che in modo spregiudicato e colpevole pensano solo al loro immediato interesse senza avere nessuna attenzione per le conseguenze che deriveranno dalle loro azioni. Una specie di anarchia generale dove mancano le regole o, se sono, non sono applicate. La crisi economica, sanitaria, morale che il covid ci sta costringendo ad affrontare non consentono ulteriori indugi, chi non interviene è altrettanto colpevole di chi ha costruito abusivamente e continuando di disastro in disastro sarà anche responsabile di procurata strage.

  • Dall’Europa fondi per quasi 2 milioni per mettere in sicurezza il territorio in Italia

    Quasi 2 milioni di euro per adattare il territorio ai cambiamenti climatici e prevenire i danni provocati dalle alluvioni. Sono i soldi stanziati dall’Ue attraverso il programma Life per due diversi progetti italiani, che puntano prima di tutto a coinvolgere le comunità locali per ottenere risultati concreti. Si chiama ‘Beaware’ l’iniziativa di cui è capofila il comune di Santorso (Vicenza) alla quale andranno 1,2 milioni di euro su 2,1 di costo complessivo. L’obiettivo è adattare i territori ai cambiamenti climatici migliorando il trattenimento delle acque pluviali nelle aree urbane e rurali, partendo innanzitutto da azioni di informazione e di coinvolgimento dei cittadini, sia di Santorso che del vicino comune di Marano Vicentino. In questo modo saranno portate a termine operazioni di prevenzione che potranno poi essere esportate in altre zone d’Italia e dell’Ue.

    ‘Beaware’ rientra nella lista di 30 progetti italiani finanziati dal programma Life per 73,5 milioni di euro totali, l’ammontare più alto tra tutti i paesi Ue. Fra questi c’è anche ‘SimetoRes’, che vuole adattare il territorio della siciliana Valle del Simeto alle sempre più frequenti precipitazioni estreme. Grazie a 600mila euro stanziati dall’Ue (su 3 milioni totali del progetto), l’iniziativa guidata dal Comune di Paternò si concentrerà sulle sulla costruzione di nuove infrastrutture e sulla modifica delle aree urbane esistenti, incoraggiando la partecipazione delle comunità locali.

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