Terrorismo

  • Al via il processo per la strage del Bataclan, in 20 alla sbarra in Francia

    Sono in tutto 20 le persone rinviate a giudizio per essere state coinvolte direttamente o indirettamente negli attentati di Parigi (nella sala del Bataclan e in alcuni bar del 10/m arrondissement) e Saint-Denis (allo Stade de France), che il 13 novembre 2015 hanno causato 130 morti e 350 feriti.

    Lo hanno deciso i 5 magistrati che hanno concluso la fase istruttoria di un’inchiesta vasta e complessa e durata 4 anni e mezzo; il processo dovrebbe iniziare a gennaio dell’anno prossimo, coronavirus permettendo. Era una decisione di giustizia molto attesa, ma in piena emergenza sanitaria sta passando quasi inosservata. L’ordinanza di messo in stato di accusa formale, un documento di 348 pagine, è stata firmata il 16 marzo dai giudici e il suo contenuto è stato reso noto da un comunicato diffuso dalla Procura nazionale antiterrorismo (Pnat).

    Tra i 20 incriminati c’è il franco-belga Salah Abdeslam, unico esponente in vita dei commando che quella sera di autunno del 2015 hanno colpito duramente la capitale francese, con una serie di attentati rivendicati dallo Stato islamico. Abdeslam, detenuto in Francia e in isolamento da 4 anni, non ha quasi mai risposto alle domande dei magistrati che lo hanno convocato una decina di volte. La corte d’assise speciale che verrà istituita lo processerà per diversi capi d’amputazione, tra cui omicidi in banda organizzata in relazione con un gruppo terroristico e associazione criminale terroristica. Altri 14 sospetti sono nelle mani della giustizia in Francia e in Belgio: 11 si trovano in detenzione provvisoria e 3 sotto controllo giudiziario. Sei sono, inoltre, colpiti da un mandato di cattura, tra cui Ahmed Dahmani, detenuto in Turchia, ma gli altri sono presumibilmente morti nei conflitti in Iraq e in Siria.

    In caso di appello all’ordinanza che dispone il processo, l’avvio del processo stesso è destinato a slittare: sulla carta la sua apertura è prevista per gennaio 2021 e dovrebbe durare sei mesi. Sarà celebrato all’interno del palazzo di giustizia di Parigi, dove sono già in corso lavori di costruzione di una sala d’udienza sufficientemente capiente e sicura per ricevere oltre agli imputati oltre 1750 rappresentanti delle parti civili, centinaia di avvocati e giornalisti.

    “Mi complimento per la decisione resa dai giudici, ma alla luce delle attuali circostanze temo che il processo non si apra nei tempi previsti” ha commentato all’Afp Olivier Morice, avvocato di 35 famiglie, in riferimento all’epidemia di Covid-19. Il 15 marzo, per arginare i contagi, il ministro della Giustizia Nicole Belloubet ha ordinato la chiusura di tutti i tribunali, ha rinviato i processo in assise e ridotto le attività ai soli “contenziosi essenziali”.

     

  • Accordo con gli Usa, i talebani aiutano Trump a ottenere un secondo mandato

    Donald Trump incassa un successo di politica estera prezioso per le elezioni presidenziali di novembre: la storica firma di un accordo di pace tra Stati Uniti e talebani getta le basi per riportare a casa le truppe Usa dall’Afghanistan e per mettere fine ad una guerra che dura da 19 anni, la più lunga della storia americana.

    Un’altra “promessa mantenuta”, può vantarsi il presidente, dopo i risultati finora incerti e in parte deludenti su altri fronti, dalla Corea del Nord all’Iran, dalla Siria al Medio Oriente. L’accordo è stato siglato in un hotel di Doha, sede dei negoziati da oltre un anno, dopo una settimana di “riduzione della violenza” concordata con Washington.

    Il segretario di Stato Mike Pompeo ha detto che l’intesa “crea le condizioni per  consentire agli afghani di determinare il loro futuro”, la comunità internazionale, dal segretario generale  dell’Onu Antonio Guterres alla Farnesina, dalla Nato alla Ue, plaude: “E’ un importante primo passo in avanti nel processo di pace, un’occasione da non perdere”, ha osservato l’Alto rappresentante Josep Borrell, auspicando “una soluzione politica che comprenda il rispetto dei diritti umani e dei diritti delle donne”.

    Mentre si svolgeva la cerimonia a Doha, il capo del Pentagono Mark Esper era a Kabul per una dichiarazione comune col governo afghano in cui gli Usa ribadiscono il loro impegno a continuare a finanziare e sostenere l’esercito dell’Afghanistan. Il segretario alla difesa Usa ha anche ammonito che se i talebani non onoreranno i loro impegni “gli Stati Uniti non esiteranno ad annullare l’accordo”.

    Quella firmata dall’inviato americano per l’Afghanistan, Zalmay Khalilzad, e dal mullah Abdul Ghani Baradar, vicecapo dei talebani ed esponente dell’originario governo degli insorti, in effetti non è più che una sorta di roadmap soggetta a verifica. Gli Usa si impegnano a ritirare in 135 giorni circa 5000 dei 12mila soldati presenti e gli altri in 14 mesi, anche se resterà un contingente per combattere i gruppi terroristici. I talebani però dovranno rispettare i patti: dovranno rompere con tutte le organizzazioni terroristiche, a partire da quella Al-Qaeda che dopo l’11 settembre costrinse gli Usa ad invadere il Paese, e avviare dal 10 marzo negoziati con il governo afghano, finora escluso da ogni trattativa. L’obiettivo è quello di arrivare ad una tregua durevole e ad una intesa per la condivisione del potere. Ma non c’è alcun fermo impegno dei talebani a difendere i diritti civili e quelli delle donne, brutalmente repressi quando erano al potere e imponevano la sharia. Gli Usa hanno promesso anche di liberare 6000 prigionieri talebani prima dell’inizio dei colloqui tra le parti e la rimozione delle sanzioni.

    Alla vigilia della cerimonia i talebani avevano cantato vittoria: “Da questo storico hotel sarà annunciata la sconfitta dell’arroganza della Casa Bianca di fronte al turbante bianco”, aveva twittato il capo dei social dei guerriglieri postando una foto dello Sheraton. Ma Pompeo li ha invitati a moderare i toni: “So che ci sarà la tentazione di dichiarare vittoria ma essa potrà essere raggiunta solo se gli afghani potranno vivere in pace e prosperità”.

  • Turkey could be added to “grey list” for money laundering and terrorism financing

    Turkey has been warned by the Financial Action Task Force (FATF) that it must address its shortcomings in tackling money laundering and terrorism financing or face being added to an international “grey list” of countries with inadequate financial controls.

    The international watchdog’s warning came after its 2019 Turkey Mutual Evaluation Report report issued on Monday, determined the country’s lack of a series of standards, that could severely harm Turkey’s ability to attract foreign financing.

    FATF assessed Turkey’s anti-money laundering and counter terrorist financing system, finding that the country needs to improve fundamentally in nine out of the eleven areas evaluated.

    Those include the need to improve measures for freezing assets linked to terrorism and to increase the current low rate of conviction for terrorism financing – despite progress made in courts, and proliferating weapons of mass destruction.

    The country was also found to delay in implementing UN Security Council resolutions related to sanctions designations against Iran, North Korea and the Taliban.

    While in recent years Turkey has strengthened its laws and regulations, it still needs to improve implementation in various areas, to boost effectiveness. According to the report, Turkish authorities need to make better use of financial intelligence increase the number of money laundering investigations and to develop a national strategy for investigating and prosecuting different types of money laundering.

    “Turkey has understood the risks it faces from money laundering and terrorist financing and has established a legal framework that can form the basis for achieving effective outcomes, but it needs to swiftly address the gaps identified in this report”, highlighted the report.

    Based on the report’s finding, the key threats leading to the crimes of money laundering (ML) and terrorism financing (TF) in Turkey, are illegal drug trafficking, migrant and fuel smuggling, human trafficking and terrorist attacks.

    Turkey was removed from FATF’s list in 2014 after a four-year monitoring period. Ankara will be put again under special monitoring for one year and if it fails to comply with FATF’s recommendations, it will be re-added to the “grey list”, along with countries such as Pakistan, Mongolia and Yemen.

  • Tutto continuerà come prima?

    La follia, la spregiudicatezza, l’ignoranza, l’avidità di un uomo hanno procurato la tragica morte di tre vigili del fuoco, hanno spezzato la vita delle loro famiglie creando voragini di disperazione e dolore. Li abbiamo ricordati dicendoci ancora una volta di quanto coraggio ci voglia a domare incendi, a scavare sotto le macerie, a mettere a repentaglio vita e sicurezza per salvare altre vite.

    Ma dopo le cerimonie, le parole, gli articoli, per noi tutto tornerà come prima mentre nelle loro case resterà il buio della loro assenza.

    La follia, l’odio, la crudeltà e la vigliaccheria hanno ferito in modo gravissimo i nostri soldati a Kirkuk, in Iraq. Ancora una volta uomini coraggiosi sono stati colpiti dall’Isis e da quel terrorismo che da anni miete vittime. Il dolore e la rabbia sono forti mentre pensiamo a quei militari che, dopo anni di addestramento e di pericoli affrontati e vinti, si trovano ora invalidi, pensiamo alle loro famiglie che si sono trovate sbattute con i nomi in prima pagina senza che alcuno pensasse ai rischi che ne possono derivare. Ma per noi tutto tornerà come prima.

    O forse no? Forse ci possono essere modi diversi con i quali la politica e l’informazione possono affrontare queste tragedie? Forse c’è un modo anche per noi cittadini di provare a non dimenticare, di provare a dare una solidarietà che non si esaurisca in una lacrima o in un fiore? Forse possiamo chiedere di più alle istituzioni e chiedere di più a noi stessi, forse possiamo anche semplicemente, quando incontriamo una persona in divisa, dirgli grazie perché sta servendo il suo, il nostro Paese, la comunità civile nel mondo, la nostra vita messa troppo a rischio sia dalle calamità naturali che dalla scelleratezza di altri uomini.

    Noi possiamo fare che non sia più come prima, possiamo provare a migliorare noi e le cose intorno, basta volerlo e poi farlo.

  • Strage al mercatino di Natale a Strasburgo: le lacrime ed il cordoglio non servono se tutto resterà come prima

    Alle famiglie delle vittime ed ai feriti giunga tra i tanti anche il mio pensiero. Ho ancora nei ricordi più cari le sessioni di lavoro del Parlamento europeo che, per 25 anni, una volta al mese, ho vissuto a Strasburgo ed i pochi momenti strappati al lavoro per visitare i mercatini di Natale in un’atmosfera particolarmente suggestiva. La violenza ormai da tempo colpisce ovunque, la violenza di attentatori organizzati o di folli imitatori, la violenza di una politica incapace che genera piazze violente, la violenza di singoli contro altri singoli, spesso i propri stessi congiunti, la violenza dell’informazione falsa che genera altre violenze. Nuovamente sarà un Natale che per troppi non rappresenterà un momento sereno e con questo pensiero vorremmo che i molti silenziosi e distratti trovassero la capacità di pensare che è il momento di ridisegnare la nostra società. Nel piangere le vittime non possiamo dimenticare che le lacrime ed il cordoglio non bastano, non servono se tutto resterà come prima.

  • Stati Ue in ritardo nel recepimento della direttiva per la lotta al terrorismo

    Quasi la metà degli Stati membri sembra mostrare scarso interesse nell’implementazione di una direttiva dell’Ue per la lotta al terrorismo, adottata nell’aprile 2016, che prescrive di registrare i nomi dei passeggeri dei voli nella stessa Ue. I sostenitori affermano che la direttiva aiuta i servizi di sicurezza a identificare modelli comportamentali sospetti, i critici dicono che mina i diritti fondamentali e fa poco per aiutare la polizia a rintracciare i sospetti. Il responsabile della protezione dei dati personali dell’Ue, Giovann Buttarelli, ha bocciato la direttiva come “raccolta ingiustificata e massiccia di dati sui passeggeri” e il 6 settembre, il commissario europeo per la sicurezza Julian King ha detto ai deputati della commissione per le libertà civili che la Commissione europea ha ora minacciato di portare alcuni Stati dell’Ue davanti alla Corte di giustizia per non aver dato seguito al provvedimento (a metà luglio Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovenia e Spagna hanno ricevuto lettere di messa in mora).

    L’anno scorso, la Commissione europea ha distribuito 70 milioni di euro per aiutarli a implementare la normativa, che si aggiungono ai 50 milioni di euro erogati dalla stessa Commissione dal 2013, nel periodo precedente alla direttiva (dei 50 milioni iniziali, la Francia ha ricevuto la fetta più grande: 17,8 milioni, i Paesi Bassi 5,7, l’Ungheria 5, l’Estonia quasi 5, la Spagna poco meno di 4, la Bulgaria circa 2,4, la Finlandia 2,2, il Portogallo 976.000 euro e la Romania 134.137).

  • La Ue studia multe per i siti web che non rimuovano appelli all’odio

    Il web, dai grandi social ai siti più piccoli, dovrà rimuovere entro un’ora dalla notifica delle autorità i contenuti di propaganda terroristica o potrà incorrere in una multa. E’ la proposta a cui sta lavorando la Commissione Ue e che sarà presentata a settembre, segnando così un cambio di rotta rispetto all’autoregolamentazione che Bruxelles ha finora seguito nei confronti dei giganti del web, da Facebook a Twitter. E’ quanto ha annunciato il commissario Ue alla sicurezza Julian King in un’intervista al Financial Times, dopo aver notato “progressi insufficienti” da parte dei social nell’applicazione delle linee guida volontarie pubblicate da Bruxelles lo scorso marzo. Questi contenuti infatti, ha spiegato King, “continuano a proliferare attraverso internet, ricomparendo da un’altra parte una volta cancellati dall’altra, e diffondendosi da piattaforma a piattaforma”. I dettagli precisi della nuova proposta legislativa di Bruxelles sono ancora in corso di definizione, la versione ufficiale dell’iniziativa dovrebbe essere presentata nella seconda metà di settembre.

  • Ancora troppe lacune sul ruolo di donne e bambini nello stato islamico

    “Donne e minori sono pronti a svolgere un ruolo significativo nel portare avanti l’ideologia e l’eredità dell’IS dopo la caduta fisica del suo califfato verso la fine del 2017”. E’ quanto emerge dal rapporto del dipartimento di studi di guerra del King’s College di Londra del 23 luglio, secondo il quale  il numero di donne e minori che ritornano in Europa dallo Stato islamico in Iraq e in Siria è molto più alto di quanto si pensasse. Sembra infatti che un quarto dei circa 41.490 cittadini di tutto il mondo che hanno aderito allo Stato islamico tra aprile 2013 e giugno 2018 siano donne e minori e, sempre  secondo il rapporto,  per minori bisogna intendere neonati (0-4 anni), bambini (5-14 anni) e adolescenti (15-17 anni). L’Europa occidentale, rispetto a tutte le altre regioni del mondo, ha visto la seconda percentuale più alta di rimpatriati femminili e di minorenni fino al 55%, mentre l’Europa dell’Est ha registrato il 18%. La maggior parte dei rimpatriati dello stato islamico dell’Europa occidentale è finita nel Regno Unito, seguito da Francia e Germania. Delle 1.765 persone che sono note per essere tornate nell’Europa occidentale, circa il 47%, è costituito da minori e un altro 8% da donne. Le cifre però sono sottostimate perché mancano dati ufficiali dei governi. Si parla infatti anche di ‘affiliati’, non solo di ‘rimpatriati’, intendendo così tutte quelle persone che in un modo o nell’altro hanno avuto viaggiato, volontariamente o perché costretti, nelle aree occupate dallo stato islamico. Si ritiene che tali affiliati siano circa 5.904 nell’Europa occidentale, di cui circa il 25% minorenni e il 17% donne. Di questi, la maggior parte arriva dalla Francia (1.910), seguita dalla Germania al (960) e dal Regno Unito, 850. Se alcuni sono tornati, di altri non si sa nulla di certo, mentre altri ancora sono morti.  Il Regno Unito stima, per esempio, che circa il 20% dei suoi cittadini sia stato ucciso, mentre oltre il 50% è tornato. Per la Francia, si stima che il numero di minori nell’IS superi o addirittura sia il doppio di quello delle donne, con un massimo di 700 minori (compresi i bambini nati nei teatri di guerra) che dovrebbero rientrare dalla zona di conflitto. Il rapporto afferma inoltre che i paesi con la più alta percentuale di minori sono Kazakistan (65-78 per cento), Paesi Bassi (58%), Francia (24-37%); Cina (35%) e Finlandia (34%). E stima che circa 730 bambini sono nati nel califfato da cittadini stranieri di cui 566 nati solo da europei occidentali. In alcuni casi, come il Belgio, il numero di bambini nati sotto l’IS (105) è più del doppio di quello dei bambini e adolescenti (45), sottolineando così la necessità per gli Stati di prepararsi a un numero ancora maggiore di minori rimpatriati e in particolare di neonati. Se la situazione europea fornisce una serie di dati parziali, tante invece sono le lacune circa i paesi del nord Africa, così come delle zone direttamente coinvolte nel conflitto, rendendo difficile perciò avere un quadro generale della situazione.

  • Norme più severe dell’UE contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo

    Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, il 9 luglio è entrata in vigore la 5a direttiva antiriciclaggio. Le nuove norme, proposte dalla Commissione a luglio 2016, aumentano la trasparenza sui titolari effettivi delle imprese e affrontano i rischi di finanziamento del terrorismo.

    La Commissaria per la Giustizia, i consumatori e la parità di genere, Vĕra Jourová, ha dichiarato: “Questo è un altro passo importante per rafforzare il quadro dell’UE per combattere la criminalità finanziaria e il finanziamento del terrorismo. La 5a direttiva antiriciclaggio renderà più efficiente la lotta al riciclaggio di denaro. È necessario colmare tutte le lacune, perché le lacune presenti in uno Stato membro hanno un impatto su tutti gli altri. Esorto gli Stati membri a tener fede ai loro impegni e ad aggiornare le rispettive norme nazionali quanto prima.”

    Le nuove norme introducono obblighi di trasparenza più rigorosi, anche per il pieno accesso ai registri dei titolari effettivi delle imprese; una maggiore trasparenza dei registri della titolarità effettiva dei trust; e l’interconnessione tra i due registri. Tra i principali miglioramenti figurano: la limitazione dell’uso dei pagamenti anonimi con carte prepagate, comprese le piattaforme di scambio di valute virtuali nell’ambito di applicazione delle norme in materia di antiriciclaggio; l’ampliamento degli obblighi di verifica dei clienti; maggiori controlli sui paesi terzi ad alto rischio e più poteri e una cooperazione più stretta tra le unità di informazione finanziaria nazionali.

    La 5a direttiva antiriciclaggio aumenta anche la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità antiriciclaggio e le autorità di vigilanza prudenziale, compresa la Banca centrale europea. La Commissione Juncker ha fatto della lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo una delle sue priorità. Questa proposta è stata la prima iniziativa del piano d’azione per rafforzare la lotta al finanziamento del terrorismo seguito agli attentati terroristici e si inserisce nel contesto più ampio degli sforzi per aumentare la trasparenza fiscale e combattere gli abusi fiscali a seguito delle rivelazioni dei “Panama Papers”.

    Gli Stati membri dovranno recepire le nuove norme nella legislazione nazionale entro il 10 gennaio 2020.

    Fonte: Comunicato stampa della Commissione europea del 9 luglio 2018

  • Six arrested in Europe for alleged bomb plot against Iranian opposition in France

    Belgium authorities announced an Iranian diplomat was arrested, as well two other people, on suspicion of plotting a bomb attack on a meeting of exiled Iranian opposition groups in France.

    Amir S., 38, and Nasimeh N., 33, husband and wife, both Belgian nationals, “are suspected of having attempted to carry out a bomb attack” on Saturday in the Paris suburb of Villepinte, during a conference organised by the People’s Mujahedin of Iran, a statement from the Belgian federal prosecutor said.

    A close ally of Donald Trump, former New York mayor Rudy Giuliani, was in attendance at the rally. Three arrests were also made in France. The couple, described by prosecutors as being “of Iranian origin”, were carrying 500 grams (about a pound) of the volatile explosive TATP along with a detonation device when an elite police squad stopped them in a residential district of Brussels.

    A diplomat at the Iranian Embassy in Vienna was also arrested in Germany, according to the Belgian statement.

    The arrests came as Iranian President Hassan Rohani began a trip to Europe.

    Iran’s foreign minister Javad Zarif called the news a sinister “false flag ploy” and said Tehran was ready to work with all concerned parties to get to the bottom of it. “How convenient: Just as we embark on a presidential visit to Europe, an alleged Iranian operation and its ‘plotters’ arrested,” Zarif tweeted.

    The Iranian President Hassan Rouhani arrived in Switzerland on Monday evening  for a visit to Europe presented as “paramount” for the future of the Iranian nuclear agreement following the U.S. withdrawal from the pact.

    Rouhani is due to be in Switzerland on Monday and Tuesday before travelling on Wednesday to Vienna, where the July 2015 agreement that ended Iran’s international isolation, in exchange of the freezing of its nuclear programme and its commitment never to develop the atom bomb, was signed.

    Austria took over the rotating presidency of the European Union (EU) for six months on Sunday, while Switzerland represents the interests of the United States in Iran in the absence of diplomatic relations between the two countries. The Vienna Agreement was signed between Iran and the Group of 5 + 1 (China, France, Germany, Great Britain and the United States).

    The People’s Mujahideen Organization of Iran, also known by its Persian name Mujahideen-e-Khalq, was once listed as a terrorist organization by the United States and the European Union but is no longer. Founded in 1965 as a left-wing Muslim group, it staunchly opposed the Shah of Iran and was involved in the protests that led to his downfall and the establishment of the Islamic Republic in 1979.

    It initially endorsed the republic’s founder Ayatollah Khomeini but, after its leader Massoud Rajavi was barred from standing in the first presidential election, the MEK turned against the government.

    It launched an armed struggle to topple the Islamic Republic, claiming responsibility for the assassination of several high-profile figures. After fleeing to France, the movement steadily acquired the characteristics of a cult, with veneration of Massoud Rajavi and his wife, Maryam.

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