terroristi

  • Nelle mani di Al-Shabaab i fondi della Chiesa norvegese per la Somalia

    Milioni di corone destinate dalla Chiesa norvegese alla Somalia per finanziare progetti di formazione professionale sono scomparse in seguito a frodi sistematiche andate a beneficio di al Shabaab e di altri gruppi terroristici. Lo denuncia il quotidiano norvegese “Panorama nyheter”, spiegando che sotto accusa sono i fondi destinati al Paese dalla Norwegian Church Aid (Kn), organizzazione religiosa affiliata alla Chiesa norvegese ma di gestione indipendente. Secondo quanto rivelato in un’inchiesta, l’Agenzia nazionale norvegese di cooperazione allo sviluppo (Norad) ha criticato l’organizzazione per la mancanza di controllo sui fondi e ha chiesto il rimborso di 4,7 milioni di corone norvegesi (oltre 415 mila euro), la somma che secondo la direzione sarebbe andata perduta. La Norwegian Church Aid ha avviato nel 2010 un programma di formazione di giovani somali, con l’obiettivo di proporre un’alternativa alle reti criminali cui molti di loro aderiscono. Sul periodo 2010-2021, il progetto è stato finanziato con 10,7 milioni di corone norvegesi (circa 950 mila euro), 6,4 delle quali tramite il servizio pubblico.

    L’organizzazione è stata criticata anche per non aver denunciato i furti alle autorità somale. Secondo quanto spiegato dal responsabile esteri di Kn, Arne Naess-Holm, le frodi avrebbero coinvolto anche personale interno all’organizzazione. Intervistato sul caso, il professore universitario Stig Jarle Hansen ha ricordato che al Shabaab riscuote una tassa anche dalle organizzazioni umanitarie che operano sui territori sotto il suo controllo, in particolare nelle regioni centrali e nel Puntland. Proprio in queste zone è in corso da mesi l’offensiva dell’esercito somalo contro i jihadisti, lanciata dal presidente Hassan Sheikh Mohamud dopo la sua elezione, a maggio del 2022. Il docente universitario ha ricordato che tanto le tasse di al Shabaab quanto quelle riscosse dallo Stato islamico rappresentano una forma di finanziamento indiretto del terrorismo, come anche i contratti stipulati dalle ong umanitarie con imprese locali soggette al “pizzo” jihadista.

    Il tema dei fondi internazionali intercettati da reti criminali somale è legato in particolare all’acquisto illegale di armi. Mogadiscio ha ottenuto di recente la revoca dell’embargo sulle armi che era in vigore da oltre 30 anni, un nuovo grande successo politico del presidente Mohamud dopo l’adesione della Somalia alla Comunità dell’Africa orientale (Eac). A questo proposito, nel 2022 uno studio del centro di ricerca somalo Hiraal incoraggiava una revisione dell’embargo da parte della comunità internazionale in modo da migliorare la responsabilità e i processi di gestione delle armi, ricordando che l’anno precedente Al Shabaab era comunque riuscita a spendere 24 milioni di dollari nell’acquisto di armi. In base ai dati raccolti e pubblicati nel rapporto intitolato “L’arsenale di Al Shabaab: dalle tasse al terrore”, l’istituto precisava che l’organizzazione terroristica affiliata ad Al Qaeda spende in armi in media 2 milioni di dollari al mese, di cui 1,8 milioni vengono utilizzati per esplosivi “interni” e 150 mila dollari per altri tipi di armi e osserva che il gruppo ha entrate per circa 180 milioni di dollari l’anno e una spesa prevista di circa 100 milioni.

  • Se qualcuno ha ancora dei dubbi

    Si commenta da sola la notizia: i terroristi Houthi, alleati ed ulteriore braccio armato del regime iraniano, hanno annunciato che nel Mar Rosso le navi russe e cinesi possono e potranno transitare liberamente senza problemi

    Se qualcun aveva ancora qualche dubbio sulle scellerate alleanze tra sistemi sanguinari e dittatoriali e sulle strategie per un nuovo ordine e potere mondiale, a tutto danno della democrazia, del rispetto dei diritti umani e delle regole internazionali, con questa ulteriore prova dovrebbe finalmente averli fugati

    Sappiamo però bene che non vi è più sordo di chi non vuol sentire, più cieco di chi non vuol vedere, più falso di chi persegue solo i suoi momentanei interessi, politici od economici, e perciò siamo certi che qualcuno continuerà a negare l’evidenza.

    Noi rimaniamo tra coloro che credono debbano essere dati all’Ucraina tutti gli aiuti necessari a riconquistare la piena sovranità e sicurezza, che Israele abbia il diritto dovere di difendersi, che i palestinesi abbiano il diritto ad un uno stato libero dal terrorismo e che riconosca l’integrità e la sicurezza di Israele, che tutte le associazioni terroriste vadano rese inoffensive, che il diritto internazionale vada difeso ad oltranza.

  • Un elicottero delle Nazioni Unite con passeggeri a bordo sequestrato in Somalia da al-Shabab

    Il gruppo islamico armato somalo al-Shabab ha sequestrato un elicottero delle Nazioni Unite, con circa otto persone, sia passeggeri che membri dell’equipaggio. L’elicottero è atterrato nel territorio controllato dal gruppo nella Somalia centrale che, da più di vent’anni, conduce una brutale insurrezione. Non è chiaro al momento se il velivolo sia stato costretto ad effettuare un atterraggio di emergenza o se ci sia stato un errore.

    Il sequestro dell’elicottero è stato confermato alla BBC dal ministro della Sicurezza della regione di Galmudug, Mohamed Abdi Adan. Diversi stranieri e due locali erano sull’elicottero.

    Il mezzo, quando è atterrato, si stava dirigendo verso la città di Wisil, vicino al fronte dell’offensiva contro al-Shabab da parte delle forze governative. L’ONU non ha ancora rilasciato dichiarazioni. Negli ultimi mesi il governo somalo ha intensificato la lotta contro il gruppo legato ad al-Qaeda.

  • Dal mare al fiume, l’idea di Israele per liberare la Palestina da Hamas

    Dal fiume al mare, dicono quelli che vogliono completare la soluzione finale lasciata incompiuta negli anni Quaranta, intendendo con quelle parole significare la cacciata di tutti gli ebrei tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, cioè la distruzione di Israele. Ma dal mare al fiume potrebbe essere chiamata l’idea di Israele per liberare la Striscia di Gaza dai terroristi del gruppo armato palestinese islamista Hamas e della Jihad islamica.

    Le operazioni delle Forze di difesa israeliane (Idf) nella Striscia di Gaza, secondo quanto riferito dal generale Yaron Finkelman, capo del Comando sud delle Idf, hanno condotto i soldati israeliani “nel cuore di Jabaliya, nel cuore di Shejaiya e, da oggi, anche nel cuore di Khan Younis”, la città più grande nel sud della Striscia, considerata da Israele una delle roccaforti del movimento islamista palestinese Hamas. Le Idf starebbero valutando l’ipotesi di pompare acqua di mare nella rete di tunnel di Hamas a Gaza, secondo quanto riferisce il quotidiano statunitense “Wall Street Journal”. Cinque grandi pompe sono già state montate a nord del campo profughi di Al Shati nell’ultimo mese, ciascuna in grado di pompare migliaia di metri cubi di acqua di mare nei tunnel. Da parte loro, le Brigate Qassam, l’ala armata di Hamas, hanno affermato sul loro canale Telegram di aver colpito obiettivi delle Idf nell’area di Khan Younis, distruggendo totalmente o parzialmente 24 veicoli e riempiendo di esplosivo un edificio contenente una postazione dell’esercito israeliano, causandone il completo crollo.

    Dall’inizio della guerra tra Israele e il gruppo islamista il 7 ottobre scorso, sono morti circa 1.200 civili israeliani e 9.460 sono rimasti feriti. Secondo quanto si apprende, oltre 11.500 raffiche di razzi sono state lanciate verso il territorio israeliano. È salito invece a 15.900 il bilancio dei morti negli attacchi delle Idf a Gaza dall’inizio della guerra, secondo l’ultimo annuncio della ministra della Sanità dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mai al Kaila. Secondo le stime del governo di Hamas sarebbero invece 16.248.

    Proseguono nella regione le preoccupazioni per un eventuale allargamento del conflitto. Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha affermato che “le atrocità commesse dall’esercito israeliano nel conflitto nella Striscia di Gaza non si devono trasformare in una guerra che coinvolge tutta la regione del Golfo”. Erdogan è intervenuto in occasione del 44esimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) in corso a Doha, in Qatar, durante il quale diversi leader regionali affronteranno varie questioni politiche ed economiche, in particolare il conflitto in corso tra il movimento islamista palestinese Hamas e Israele nella Striscia di Gaza. Nel suo intervento, Erdogan ha dichiarato: “La Turchia confida in un cessate il fuoco permanente e nella creazione di uno Stato sovrano palestinese indipendente”, aggiungendo che “l’amministrazione Netanyahu è pericolosa perché sta mettendo a rischio la sicurezza e il futuro di tutta regione del Golfo, a causa dei suoi calcoli politici errati”.

  • L’Austria vuole la grazia per gli ex terroristi sudtirolesi

    L’arresto degli ex brigatisti in Francia ha riacceso il faro su un altro, ormai piccolissimo, gruppo di ex terroristi riparati all’estero, ovvero quello dei sudtirolesi, condannati in contumacia in Italia e che da molti decenni vivono in Austria e Germania. Mentre gli uni chiedono la grazia per chiudere questo capitolo di storia, gli altri rivendicano l’arresto e l’estradizione verso l’Italia.

    In sostanza si tratta ormai solo dei tre cosiddetti ‘Bravi ragazzi della Pusteria’ ancora in vita, tutti ormai ottantenni. Uno di loro è Siegfried Steger, che recentemente ha incontrato nella sua casa in Tirolo Dina Tiralongo, la figlia del carabiniere Vittorio, ucciso nel 1964 durante un’imboscata a Selva dei Mulini. Senza ammettere direttamente le sue responsabilità, si è detto dispiaciuto “per i morti di entrambe le parti”. “Mentirei se dicessi che mi pento di qualcosa che ho fatto”, ha però aggiunto Steger durante l’incontro, raccontato dal giornalista bolzanino Artur Oberhofer nel documentario ‘Voglio guardarlo negli occhi’, trasmesso recentemente da Rai Suedtirol.

    “E’ arrivata l’ora di pronunciare la parola fine”, dice ora Hermann Gahr, presidente della commissione sulla questione altoatesina del Parlamento a Vienna. Il rappresentante del partito popolare Oevp del cancelliere Sebastian Kurz si dice perciò “preoccupato” per le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in un’intervista al quotidiano La Repubblica ha auspicato – senza però fare riferimento esplicito all’Alto Adige – che dopo gli arresti in Francia “possa avvenire lo stesso per quanti si sono sottratti alla giustizia italiana e vivono la latitanza in altri Paesi”.

    La grazia per i ‘Freiheitskämpfer’, i ‘combattenti per la libertà’, è da sempre all’ordine del giorno degli incontri transfrontalieri e lo sarà anche nei prossimi giorni, quando la ministra alla Giustizia di Vienna Alma Zadic vedrà la sua omologa italiana Marta Cartabia. A luglio è invece in programma la visita del presidente austriaco Alexander Van der Bellen in Italia. Una svolta, soprattutto in questo momento, sembra improbabile.

    Nel frattempo i partiti italiani e austriaci ribadiscono le loro posizioni. “Si chiuda per sempre la stagione del terrorismo e dello stragismo secessionista, ma solo con la riconsegna da parte delle autorità austriache e tedesche dei criminali”, afferma il consigliere provinciale di Fdi, Alessandro Urzì. Ribatte la Sued-Tiroler Freiheit, il partito fondato da Eva Klotz: “Senza i metodi criminali dello Stato italiano, che voleva eliminare il nostro gruppo etnico, non sarebbe servita la resistenza armata”, sostiene il consigliere provinciale Sven Knoll. Secondo Peter Wurm, dell’ultradestra austriaca Fpoe, “decenni di esilio bastano come pena, anche perché molte accuse sono infondate”.

  • Chi ha ucciso deve tornare in Italia

    Battisti è finalmente stato riconsegnato alla giustizia italiana, speriamo che ora si plachi il clamore perché troppe volte abbiamo visto, nel tempo, che i colpevoli si sono tramutati in vittime ed in estensori di libri, interviste, memorie. Concentriamoci invece sui tanti latitanti ed assassini che sotto il cappello della politica e dei diritti civili sono fino ad ora sfuggiti alla giusta pena per i loro delitti. Sono ancora all’estero troppi rappresentanti di organizzazioni terroriste di estrema sinistra che, non solo negli anni di piombo, hanno insanguinato il nostro Paese spezzando vite innocenti. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera del 14 gennaio Giorgio Pietrostefani, fondatore di Lotta Continua, Sergio Tornaghi, brigatista, Simonetta Giorgieri, brigatista, Narciso Manenti, commando di Guerriglia Proletaria, Enrico Villimburgo, brigatista, Marina Petrella, brigatista, vivono in Francia, Alvaro Lojacono, brigatista è oggi cittadino svizzero, Alessio Casimirri, brigatista, e Manlio Grillo di Potere Operaio vivono in Nicaragua, Oscar Tagliaferri di Prima Linea è in Perù dove sembra essere anche Maurizio Baldasseroni di Prima Linea, Leonardo Bertulazzi, brigatista, è in Argentina. 12 esponenti di primissimo piano di quell’estrema sinistra che per troppo tempo fu coperta da una certa politica ed intellighenzia che tutt’oggi non ha fatto i conti con la propria storia passata e recente ed un solo così detto neofascista, Vittorio Spadavecchia, rifugiatosi a Londra dopo aver assaltato la sede dell’OLP a Roma. Come sempre pesi e misure diverse anche nel valutare la gravità dei reati. Ma il tempo spesso è galantuomo e chi ha ucciso deve tornare in Italia a scontare la giusta pena affinché non solo i morti ma anche l’intero Paese possa finalmente tornare a credere nella giustizia.

  • Jihadisti a piede libero in Francia

    Djamel Beghal, 52 anni, è a fine pena e il 5 agosto lascerà il carcere di Vezin, a Rennes, Francia. E’ stato uno dei maggiori reclutatori di Al Qaeda in Europa. E, soprattutto, è l’ispiratore dei fratelli Kouachi, gli stragisti del settimanale satirico Charlie Hebdo nel gennaio del 2015. Difficilmente resterà a Parigi dopo la liberazione. Sua moglie e i loro quattro figli vivono in una bella casa a Laicester. E’ là che Beghal, in clandestinità, ha tramato tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, viaggiando spesso verso l’Afganistan per incontrare l’allora capo di Al Qaeda, Osama Bin Laden. E’ stato uno dei principali reclutatori di Al Qaeda in Europa. Aveva progettato anche, ma senza successo, di far saltare in aria l’ambasciata americana di Parigi. Per aver organizzato un tentativo di fuga dal carcere di un leader del gruppo islamico armato algerino, nel dicembre del 2013, è stato condannato a dieci anni. Durante la sua permanenza al carcere di alta sicurezza a Parigi, Fleury-Megori, ha insegnato i trucchi del mestiere di terrorista a Cherif Kouachi che insieme a suo fratello è stato tra i kamikaze dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo. Il governo britannico ha vietato a Beghal, che ha un passaporto algerino, di entrare nel Paese. Ma i suoi avvocati hanno già ottenuto dalla Corte europea dei diritti umani di non farlo rientrare in Algeria, “perché la sua vita sarebbe in grave pericolo”. E quelle degli altri  che lui metterebbe in pericolo da dove si trova, le considera la Corte? Brutta storia quella dei diritti umani per i terroristi! D’altronde, Beghal è tra i 450 prigionieri estremisti che lasceranno le carceri francesi entro la fine del 2019. Tra loro ci sono ben 50 terroristi islamici acclarati. Il ministro della Giustizia francese ha dichiarato che si dovrà fronteggiare una grave emergenza, anche in virtù del fatto che presto tutti i criminali che durante la loro pena si saranno radicalizzati, acquisteranno la libertà. Il Procuratore francese dell’antiterrorismo considera che il rientro in società di queste persone rappresenta un rischio enorme, poiché fino ad ora nessuno di loro ha dimostrato di essersi pentito. E’ una minaccia interna rappresentata da terroristi pericolosi e potenzialmente recidivi, che sono a piede libero, una minaccia che s’aggiunge a quella dell’accoglienza, nel solo 2017, di 100 mila immigrati dall’Africa sub-sahariana e dal Nord Africa. Il ministro della Giustizia ha promesso un’azione efficace, ma molti ne dubitano e ricordano che il 19enne jihadista che nel 2016 ha tagliato la gola a padre Jacques Hamel a Saint Etienne-du- Rouvray, era sotto sorveglianza ed era monitorato con un braccialetto elettronico alla caviglia. Ciò non gli ha impedito di compiere il delitto che aveva programmato. In che cosa consisterebbe l’azione efficace promessa dal ministro? Concedere permessi carcerari per il reinserimento sociale, come è stato fatto con l’assassino di padre Harmel? Quali sono i criteri per concedere questo reinserimento? Sembra una bomba ad orologeria la politica francese per il reinserimento. Secondo i dati governativi circa 1.700 musulmani francesi di sono uniti all’Isis in Iraq e in Siria dal 2014. Almeno 278 sono morti e 302 sono tornati in Francia, tra cui 66 donne e 58 minori. Degli altri le tracce sono confuse. Ciò che comunque preoccupa seriamente i responsabili francesi è la miscela esplosiva che verrebbe a crearsi tra i musulmani radicalizzati in carcere e presto a piede libero, i jihadisti di ritorno in Francia dalla Siria e dall’Iraq e le bande musulmane che tengono in ostaggio interi quartieri. Sono le “zone vietate” controllate dai salafiti, il cui accesso è vietato soprattutto alle donne bianche. E’ là che verranno concentrate le armi, i Kalashnikov, procurati dagli spacciatori di droga, che finiranno nella mani degli islamici che intendono controllare meglio un territorio che sentono di loro proprietà. Le fonti del 2012 raccontano di circa sette milioni di armi illegali in circolazione. Il censimento delle zone controllate esclusivamente dai musulmani risulta ormai impossibile, ma quel che è certo è che in Francia risiedono oltre cinque milioni di musulmani. Di questi, il 10% circa è legato al mando salafita. Se il 10% in questione, dunque mezzo milione di persone, entrasse in contatto e finisse con l’allearsi con i jihadisti di nuovo liberi in Francia, nessuno sarà più in grado di combattere un pericolo del genere.

    Lo afferma un servizio giornalistico de “La nuova Bussola quotidiana” del 13 luglio scorso, dalla quale ricaviamo la notizia.

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