Torino

  • Il Vicepresidente esecutivo Timmermans e la Commissaria Ferreira a Torino per il Forum delle città 2023

    Giovedì 16 e venerdì 17 marzo Frans Timmermans, Vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, ed Elisa Ferreira, Commissaria per la Coesione e le riforme, saranno a Torino per partecipare alla quinta edizione del Forum delle città 2023.

    Organizzato dalla Commissione, si tratta di un evento biennale che riunisce le principali parti interessate a livello europeo, nazionale, regionale e locale che si impegnano per un futuro urbano più verde, equo e sostenibile per tutti. Parteciperanno anche rappresentanti delle città ucraine di Lviv e Kopychentsi.

    La Commissaria Ferreira darà avvio al forum insieme a Stefano Lo Russo, Sindaco di Torino, e ad Alexander Jevšek, Ministro sloveno per la Coesione e lo sviluppo regionale.

    Venerdì alle ore 14.00 il Vicepresidente esecutivo Timmermans pronuncerà il discorso di apertura prima del dibattito con alcuni sindaci. A margine terrà un incontro bilaterale con il Sindaco di Torino, e durante la mattinata parteciperà a Bra all’inaugurazione dell’anno accademico presso l’Università degli Studi di Scienze gastronomiche.

  • Intervista ad Andrea Revel Nutini, Presidente della Fondazione ‘Principessa Laetitia Onlus” e vicepresidente del “Comitato Difesa legale Possessori di Armi”

    1. Nel mondo ci sono milioni di bambini che non possono né studiare ne giocare, nella sua esperienza come presidente della Fondazione ‘Principessa Laetitia’ qual è la reale situazione oggi in Italia?

    Oggi la situazione Italiana è differente anche se tutt’altro che ottimale soprattutto se si considera che siamo un paese “civile”. Non per tutti i bambini è possibile l’accesso ai giochi ed all’istruzione, per inefficienza di molti edifici scolastici, per la povertà economica che sta ridiventando una terribile scriminante, per il totale disinteresse di gran parte delle istituzioni, per le famiglie e perché i costi dello studio stanno diventando proibitivi. I nostri bambini, il nostro futuro, patiscono di riflesso povertà e conflitti sociali, sviluppando anche numerose patologie, e questo davvero non dobbiamo permetterlo!  I recenti terribili scandali sono uno spaccato di un sistema sociale che non funziona più. I bambini sono e saranno le più grandi vittime di in mondo che lasciamo disfunzionare, mentre dovremmo preoccuparci di offrire loro un futuro meno sclerotizzato, meno legato a categorie decise da adulti maniaci del controllo, un mondo di creatività e semplicità che oggi abbiamo perduto. Ciò che noi adulti accettiamo per paura o per fede sociale e politica per un bambino è spesso incomprensibile. Così come è incomprensibile per me come nel 2021 si stia ancora parlando di bambini che non possono studiare né giocare!

    2. Perché è importante che i bambini possano crescere anche attraverso il gioco?

    Oggi risponderei che intanto i bambini devono poter semplicemente crescere, e spesso non è così! Il gioco è la chiave per l’ingresso nel mondo degli adulti; è il primo approccio con le regole, ma intese come codici di gioco, come spazi ove giocando ci si comincia a confrontare, spazi che oggi troppo spesso mancano. Giocare porta naturalmente i bambini a comprendere quello che sarà il loro approccio futuro al mondo. Oggi la forte insicurezza sociale nega loro spazi di gioco sicuri, possibilità di scoprire la città senza rischiare, costringe le famiglie a soffocarli di attività sostitutive che li imprigionano. Io personalmente ritengo che sia necessario anche il “tempo” per la noia, per la riflessione, per l’elaborazione, specialmente per un bambino, al posto di folli corse tra un corso e l’altro, o tra uno sport e l’altro, che magari piace più ai genitori che ai figli. Rimpiango le mie ore in poltroncina da bambino, seduto a pensare alle cose viste e scoperte in un solo giorno. I bambini che vedo ogni settimana mi raccontano questo.

    3. Lei ha vissuto in diversi paesi nel mondo, quali sono le esperienze che le saranno utili come futuro amministratore comunale per dare un nuovo corso a Torino, città che da anni vive pesanti conflitti sociali?

    Torino è da sempre stata un immenso laboratorio di idee, di innovazione, di moda e di contenuta eleganza. Ma è stata anche una città di grandi conflitti sociali, oggi esplosi specie per colpa di un totale abbandono delle periferie e della scomparsa del lavoro. Come in molte città americane anche a Torino si creano ghetti dove in realtà non dovrebbero esserci, e si lavora a due velocità riportando odi di classe spesso per soli fini politici. Credo che la prima ricetta sia la dignità del lavoro, scomparso con la perdita delle grandi fabbriche e con l’attuale politica assistenziale. Ma la creazione del lavoro passa dal sostegno ai lavoratori alle piccole ditte, agli artigiani, alla micro impresa tramite misure di aiuto concreto che dovrebbero essere destinati anche ai proprietari dei muri ove queste attività rinascono. Io credo nel decoro urbano, nel senso di creare spazi anche per chi oggi è in profonda difficoltà, per ridare “dignità” a tutti, per costruire una città moderna ma a misura d’uomo. Torino può essere un’enorme risorsa turistica, gastronomica, di innovazione, ma occorre assolutamente un totale rinnovamento in tempi brevi. Le soluzioni e gli spazi esistono ma ci vuole una precisa e veloce volontà politica che oggi invece va assolutamente nel senso opposto.

    4. In Italia è aumentata la percezione del pericolo e molti sono gli italiani che per motivi diversi sono possessori di armi, ritiene che dovrebbe essere consigliato o resa obbligatoria una verifica annuale, in un centro autorizzato, per rinfrescare le norme da rispettare e per una sessione di tiro?

    Domanda molto interessante, in un ambito che davvero conosco molto bene. Oggi il possesso delle armi in Italia è sottoposto a strette regolamentazioni, molto maggiori di quanto non raccontino i poco informati media. Ci sono visite e certificati medici, ci sono draconiani controlli da parte delle Forze dell’Ordine e purtroppo anche frequentissimi abusi di discrezionalità nei confronti dei cittadini a fronte di una casistica di incidenti e delitti quasi irrilevante. Lo ha dimostrato un recentissimo studio dell’Università La Sapienza di Roma, davvero approfondito, che ho raccontato recentemente in due differenti convegni. L’incidenza nei delitti con armi da parte dei legali possessori (che sono quasi 5 milioni in Italia con meno di un milione di porti d’arma o meglio licenze prevalentemente di “trasporti” d’arma) è inferiore al 3%. Questo di fronte a numeri infinitamente maggiori di delitti compiuti con armi illegali, che sono il vero drammatico problema. L’italiano, per dirla semplicemente, per difesa non spara quasi mai e quando lo fa viene messo sotto processo in modi più brutali di quelli riservati agli stessi delinquenti. Rispondendo alla domanda in termini di “allenamento”, moltissimi lo fanno, e lo vedo essendo istruttore di tiro, ed è giusto dire che fatti delittuosi ove il cittadino si sia difeso colpendo persone estranee fondamentalmente non esistono. Credo che sia necessario semplificare la complicatissima normativa vigente, spesso contraddittoria, e prevedere differenti licenze e situazioni specifiche, queste sì vincolate a frequenze in poligono. Ma questa materia va innovata con la partecipazione di veri esperti e non solo di meri burocrati, come avviene ora.

    5. Cosa non funziona a suo avviso nella normativa sull’autodifesa?

    Il problema è la discrezionalità. Ovvero non il concetto stesso, che è compito dell’autorità giudiziaria, ma come esso viene interpretato. Ciò che avviene realmente in una situazione di pericolo estremo, intendo dire le reazioni fisiche, i mutamenti di percezione, la paura, la velocità con il quale un delinquente motivato può uccidere, è davvero sconosciuto ai più. Il problema reale non è “quanto” mi difendo ma “perchè e dove” mi difendo, poichè la prima vita a dover essere tutelata è quella della vittima e quella dei suoi cari. Bisognerebbe portare i legislatori in un campo di tiro a provare delle simulazioni per dare loro un barlume di comprensione. Oggi la delinquenza è feroce, motivata ed abituata all’impunità ed il mondo è profondamente cambiato, e lo Stato percepito è come assente, ma nessuno pare volersene occupare.

    Inoltre la recente riforma ha fondamentalmente escluso la tutela degli animali domestici, che ormai quasi tutte le famiglie hanno, oggi considerati esseri senzienti e non persone o beni, e già lo scorso anno avevamo sensibilizzato su questo tema, ma senza successo. Speriamo presto di poter portare questo importante tema.

  • La società civile può ancora provare ad incidere sulla politica?

    La scelta di alcuni partiti, specie di centro destra, di presentare come sindaci, o nelle liste per i consigli comunali, persone che non hanno mai fatto prima politica attiva ma si sono distinte nella società per impegno civile, nel mondo del lavoro e delle professioni fa sperare che si possa aprire un nuovo corso nel quale si attui veramente una fattiva collaborazione tra esperienze diverse. A Torino particolarmente interessante,nelle liste di Fratelli d’Italia,la candidatura di Andrea Revel Nutini

    Candidato al Consiglio comunale di Torino con Fratelli d’Italia, Andrea Revel Nutini è presidente della onlus Fondazione Principessa Laetitia e vicepresidente del “Comitato Difesa legale Possessori di Armi”.

    La Fondazione Principessa Laetitia ha progettato uno spazio, La Serra nel borgo, ove ospitare una serra (o serie di serre) di 200 metri quadri di superficie, grazie alla quale fornire ai torinesi un luogo e gli strumenti necessari per coltivare fiori, piante, erbe aromatiche, ortaggi; gli obiettivi a monte sono il contrasto della solitudine e l’aggregazione.

    Oltre a questo, Nutini ha lanciato “Aiutare chi fa impresa, vuol dire sostenere l’economia reale di Torino”, una consulenza gratuita per partite Iva, microimprese, commercianti, per districarsi nella giungla dei tassi di interesse e dei bandi europei. Un ciclo di webinar offre un aiuto concreto per partecipare ai bandi Ue e ottenere le migliori condizioni dalle banche sugli interessi; per chi lo desidera, inoltre, sarà effettuata gratuitamente una valutazione della situazione con gli istituti di credito e degli eventuali passi da compiere per tutelarsi, ma anche della possibilità di accedere ai fondi europei.  “Si tratta di un’iniziativa pratica all’interno della mia campagna elettorale – spiega Revel Nutini – perché da un lato intendo chiarire di essere vicino a chi fa impresa, alle partite Iva, a chi tutte le mattine alza una serranda per mandare avanti la famiglia e la nostra economia. Dall’altro desidero essere pratico sin dall’inizio, anche per dimostrare quale sarà il mio atteggiamento qualora sedessi in Sala Rossa: azioni concrete, sostanziali ed effettive per Torino e i torinesi”.

  • La nuova moneta, il Monopoli ed il sottobicchiere

    In previsione di una rallentamento della crescita economica per il 2019 che renderà necessaria una manovra correttiva (o un maggiore ricorso al debito), il delirio della dottrina sovranista/monetarista  degli spin doctor economici appoggiati e condivisi dalla maggioranza di governo sembra non conoscere sosta né orrore di sé.

    Con grande orgoglio gli “economisti” di area 5Stelle – Lega annunciano il progetto pilota di avviare il conio di una moneta per i comuni di Torino e di Roma (a guida Cinque Stelle) con l’obiettivo di aumentare la base circolante e addirittura si afferma di “voler sostenere gli investimenti delle piccole medie imprese”. Il delirio nasce dalla inconsapevolezza o meglio dalla mancanza assoluta di ogni competenza relativa al concetto di come si giunga alla determinazione del valore di una valuta.

    Il 15 agosto del 1971 il Presidente degli Stati Uniti Nixon sospese la convertibilità del dollaro in oro. Successivamente i valori delle valute (allitterazione inevitabile) vennero determinati dalle libere trattazioni degli operatori finanziari in relazione alla valutazione dei parametri economici fondamentali della nazione titolare della valuta. In tal senso si ricorda come il valore della valuta venga modificato in rapporto ai flussi commerciali solo in una percentuale del 2-3%.

    Precedentemente vengono elaborati report che tengono in considerazione il rapporto ma soprattutto l’evoluzione dello stesso tra debito e PIL e la previsione dell’andamento dei parametri economici, quali esportazione, occupazione e consumi assieme ad altri sociali (invecchiamento della popolazione) come l’istruzione universitaria e la considerazione per la classe politica e dirigente (il rischio paese).

    Il solo concetto di inserire in un contesto tanto complesso ed articolato nel quale nessuna autorità politica e finanziaria può esercitare il controllo assoluto (non il Fmi, non la Bce o la Federal Reserve) una moneta priva di qualsiasi requisito economico-finanziario, come quella ideata per i Comuni di Roma e Torino, rappresenta la negazione del principio economico-finanziario che sottende la valutazione stessa delle valute. In altre parole, si torna al concetto infantile di cambio fisso tra le valute, tipico del gioco del Monopoli. In più nella realtà si aggiunga anche l’assoluta non convertibilità della stessa moneta in altre valute.

    Nella complessa realtà finanziaria il valore dell’Euro, come del dollaro o dello Yen, viene modificato in rapporto alle condizioni economico-finanziarie continentali e mondiali del singolo stato o dell’Unione Europea o del Giappone in rapporto al contesto mondiale di crescita economica.

    La moneta coniata nei due comuni viceversa nasce e trae la propria “forza” solo ed esclusivamente dal patto implicito che questa venga sempre accettata per pagare un servizio od un prodotto, con il medesimo supporto finanziario di un pagamento in natura o in noci di cocco.

    In altre parole in questi due comuni si troveranno in circolazione una “valuta forte” (l’euro, la cui forza nasce dalla credibilità della stessa Ue e dell’Italia) assieme ad un’altra “moneta debole” la cui forza verrà meno nel  momento in cui un solo cittadino rifiutasse di accettare il pagamento in questa valuta debole: automaticamente crollerà tutto l’impianto fiduciario legato alla moneta coniata dai comuni.

    Si possono facilmente intuire i risultati nefasti che potrebbe ottenere la medesima moneta nell’ambito del finanziamento delle PMI, che implicherebbe l’allargamento del perimetro di rapporto fiduciario tra operatori economici situati ben oltre i confini urbani: ridicolo il solo pensarlo. In più esiste un aspetto paradossale e che ridicolizza ancora di più tale strategia che con difficoltà si potrebbe definire monetaria, in rapporto, ma soprattutto considerando gli effetti economici per nulla duraturi legati alle ingenti risorse finanziare erogate dalla Bce attraverso il Quantitative Easing che non ha assicurato alcuna ripresa sostanziale, come dimostrano i dati attuali del rallentamento della crescita e della sua previsione.

    Questo dimostra ancora una volta come all’interno di un mercato complesso ed articolato la sola  politica monetaria abbia perso buona parte della propria capacità di fornire un sostegno alle politiche di sviluppo, in particolar modo per i paesi a forte indebitamento pubblico. Già questa semplice valutazione dimostra come un ulteriore conio di una moneta che dovrebbe diventare un  fattore di  politica espansiva monetaria (ma con una valuta debole) risulti destinata ad avere un insuccesso clamoroso portando in breve tempo il valore della moneta stessa a quello di  un sottobicchiere in cartone di una  birra.

    La negazione della conoscenza economica e finanziaria come base “culturale” di  tali operazioni  risulta imbarazzante per gli “economisti” che la sostengono ma soprattutto preoccupante per le sorti del nostro povero paese per il crescente supporto che ottengono.

  • Olimpiadi Cortina 2026: i tre fattori del successo

    Lo spettacolo sportivo ed emozionale che un’Olimpiade invernale potrebbe offrire attraverso una discesa libera sulle Tofane o il confronto tra i campioni dell’hockey della NHL su di un rettangolo di ghiaccio a Milano da soli rappresenterebbero la motivazione per ottenere l’organizzazione delle Olimpiadi 2026 di Cortina d’Ampezzo assieme a Milano.

    In un mercato complesso ed articolato che ingloba quindi anche gli  avvenimenti sportivi per valutare l’impatto di una manifestazione mondiale come le Olimpiadi invernali non può tuttavia risultare sufficiente il semplice spettacolo offerto dalle competizioni.

    Al fine di permettere che l’ammirazione per la manifestazione sportiva si trasformi in un duraturo successo per la Nazione e le città che la ospitano devono essere soddisfatti tre parametri fondamentali. Il primo viene rappresentato sicuramente dall’aspetto progettuale. In considerazione delle eccezionalità dell’evento Olimpico è fondamentale realizzare delle strutture che oltre ad avere abbiano un basso impatto ambientale esprimano anche la capacità di diventare successivamente parte integrante di un progetto di sviluppo sportivo con integrata una sostenibilità economica.

    Il secondo elemento è rappresentato dalla capacità gestionale, cioè dalla iniziale comprensione della complessità della gestione dei giorni olimpici anche in considerazione dell’esperienza delle olimpiadi di Torino 2006. Si pensi che durante le Olimpiadi del 2006 sono stati serviti 545.000 pasti ai 345.000 ai lavoratori (19.000 volontari e 2.700 retribuiti), 200.000 agli atleti, mentre sono stati consumati 30.000 litri di vino e oltre 1.200.000 litri di soft drink. Sono stati allestiti, solo per i media, 7 villaggi per gli oltre 6.720 giornalisti della TV e i 2688 della carta stampata.

    Il costo della sola gestione dell’evento quindi, al netto degli investimenti in impianti, viene stimato in oltre 1.2 miliardi: il 93.7% coperto dalla spesa pubblica (per la maggior parte a debito),  mentre il restante 6,3% da investimenti privati. Questi numeri, a distanza di 12 anni e soprattutto in previsione del 2026 (quindi vent’anni dopo Torino), ridicolizzano tutte le cifre sparate senza alcuna conoscenza da parte delle diverse autorità politiche scese in campo per ottenere la candidatura. Anche perché, va sottolineato come una Olimpiade “diffusa”, che rappresenta sicuramente una stupenda organizzazione che coinvolge più territori, permetterebbe un minore utilizzo delle economie di scala.

    Il terzo fattore che contribuisce a determinare ed a trasformare un evento sportivo meraviglioso in un successo dell’intera Nazione è sostanzialmente la sintesi dei primi due, e cioè la visione strategica. Esemplare è la vicenda della pista da bob di Cesana (sempre Torino 2006), la cui realizzazione ha richiesto un investimento di  oltre 115 milioni con un budget complessivo per le olimpiadi di Torino di 3.5% miliardi (si pensi che quella di Sochi 2014 è costata 80 milioni in un budget complessivo dell’intera Olimpiade di 40 miliardi). A completare il quadro disarmante per la pista da bob viene adottato il sistema di raffreddamento ad ammoniaca e non a glicole, come già allora buona parte dei palazzetti del ghiaccio utilizzavano. La pista di bob di Cesana è abbandonata ormai da otto anni, di conseguenza i 115 milioni investiti hanno avuto un ritorno in termini di economia come di supporto al movimento del bob italiano assolutamente nulli.

    L’importanza quindi di questa visione strategica successiva all’evento agonistico viene confermata dalla modalità degli investimenti impiantistici e da un loro utilizzo complessivo che sappia fornire sostegno al movimento agonistico. I campioni del bob Monti ed Alverà nascono vicino alla pista di bob di Cortina dimostrandone l’importanza nella crescita di un movimento sportivo.

    Una volta soddisfatti questi tre parametri un meraviglioso evento sportivo di respiro mondiale può trasformarsi in un successo per la nazione che si è assunta l’impegno di organizzarlo, gestirlo  e contemporaneamente di dimostrare una competenza strategica trasformando un evento unico in una piattaforma di sviluppo economico futuro.

    Viceversa in Italia stiamo assistendo ad un balletto di numeri assolutamente ridicoli, espressione di una incapacità di analisi da parte del mondo politico nella sua articolata espressione.

    Incredibile poi la presa di posizione dei sindaci di Torino e di Milano, come del governo in carica.

    La  prima rinuncia alla candidatura per non vanificare l’appoggio della proprio giunta mentre il ministro Toninelli la rilancia ma in versione singola, quindi come unica candidata.

    Il sindaco di Milano chiede la maggiore visibilità del proprio brand Milano vantandosi della gestione dell’Expo quando invece quest’ultimo fu proprio l’esempio più classico della gestione di un evento straordinario senza nessun tipo di visione strategica e successiva all’evento stesso.

    Se le Olimpiadi portano alla ribalta i più grandi campioni delle discipline invernali in un contesto stupendo come potrebbero essere Cortina e Milano (e magari anche Torino), contemporaneamente la discussione come le polemiche nate attorno alla semplice candidatura per questo evento straordinario dimostrano l’assoluta inconsistenza della classe politica e dirigente italiana che alle Olimpiadi non potrebbe neanche avvicinarsi considerata la propria incompetenza.

  • In attesa di Giustizia: Noi siamo ciò che siamo stati

    Il 28 aprile del 1977 a Torino venne ucciso in un agguato delle Brigate Rosse il Presidente dell’Ordine degli Avvocati, Fulvio Croce. Cinque colpi di pistola, tre al torace e due alla testa a dimostrazione che la condanna a morte per tutti gli avvocati che avessero accettato di difenderli annunciata un anno prima dal brigatista Maurizio Ferrari non costituiva una minaccia vana.

    Gli appartenenti alle Brigate Rosse si dichiaravano combattenti prigionieri politici di un regime di cui ripudiavano il sistema giustizia e con esso la difesa tecnica che – in assenza conseguente di nomine fiduciarie – veniva affidata ad avvocati di ufficio. Senonchè, dopo quel proclama nessuno di coloro che venivano incaricati accettò l’incarico; in alcune sedi di processi ai terroristi vennero stilate liste di volontari ma a Torino si dovette ricorrere al disposto dell’art. 130 del codice di procedura penale vigente che prevedeva la nomina del Presidente dell’Ordine laddove non fosse disponibile nessun altro difensore: e così fu che Croce – civilista, tra l’altro –  venne prescelto, accettò l’incarico mostrando coraggio ed alto senso delle istituzioni e fu seguito da altri Consiglieri del Foro nella difesa di 44 imputati, tra cui i vertici delle Brigate Rosse rinviati a giudizio avanti alla Corte d’Assise di Torino.

    Ferrari, tra gli accusati alla sbarra, ribadì l’avvertimento rivolto agli avvocati sospettati di collusione con giudici strumenti di un sistema contro rivoluzionario.

    Ma nessuno fece un passo indietro, nemmeno dopo quel 28 aprile, un giorno in cui su Torino pioveva a dirotto quasi che anche il cielo piangesse quella Toga martire.

    Non tutti, partitamente i più giovani, ricorderanno questo passaggio della storia che non può essere dimenticato non solo per l’onore che deve rendersi a uomini come Fulvio Croce ma perché è simbolo di un periodo in cui l’Italia ha saputo resistere al più violento attacco alle istituzioni che la storia repubblicana ricordi. Resistere e uscire vincitrice.

    Lodevole è dunque la recente iniziativa del Consiglio Nazionale Forense che ha istituito un premio, costituito da una Toga e una targa al merito intitolato a Fulvio Croce e destinato da quest’anno ogni anno a un difensore di ufficio che si sia distinto nel ruolo secondo parametri dettati dal regolamento.

    L’iniziativa è volta a valorizzare la difesa di ufficio che è concreta rappresentazione sociale dell’avvocatura, strumento essenziale per il funzionamento della giurisdizione e garanzia del godimento dei diritti e attuazione dei principi costituzionali per i più deboli, vanto di civiltà giuridica di uno Stato di diritto.

    Di questi valori, Fulvio Croce è stato ed è simbolo e stimolo ad onorare un ruolo, quello del difensore, che in base all’art. 24 ha rango costituzionale.

    Noi siamo ciò che siamo stati e in ciò risiede il valore della memoria. E quella Toga intrisa di sangue sotto la pioggia di Torino aiuta a non dimenticare e ad essere sempre migliori nell’adempimento del sacro dovere della difesa degli uomini.

  • Alla Torino Fashion Week è di scena il Sud Africa

    Anche il Sud Africa, con una delegazione di stilisti e creativi emergenti, parteciperà alla Torino Fashion Week in programma nel capoluogo piemontese dal 27 giugno al 3 luglio.

    Dal 2010 il settore sudafricano del tessile, dell’abbigliamento, della pelletteria e delle calzature ha avuto una vera e propria una rinascita, dopo essere stato messo quasi in ginocchio da produzioni provenienti dall’estero e meno costose, grazie all’introduzione del programma di competitività del settore tessile e abbigliamento (CTCP) del Governo e a un focus del Piano d’azione per la politica industriale (IPAP) che ha fornito agli operatori del settore locale una piattaforma per lanciare un ambito davvero competitivo.

    Il tessile abbigliamento in Sud Africa riveste un ruolo significativo non solo per la creazione di posti di lavoro, ma anche per l’intera filiera costituita da piccoli agricoltori che forniscono materie prime lavorate, come cashmere (dalla capra indigena), lana (di pecora), seta selvatica e cotone. E ha, dati alla mano, una sua tipicità che non passa inosservata: quattro lavoratori su cinque sono donne.

    Negli ultimi tempi il settore sta lanciando una sfida non facile, è cioè competere con Paesi come la Cina, l’India e il Vietnam che producono – e questo il mercato europeo, e italiano in particolare, lo sanno  – beni molto più economici. E per questo occorrono capitali ma anche molte abilità e capacità di ricerca. Il governo sudafricano ha pubblicato il suo decimo piano d’azione sulla politica industriale (IPAP), con particolare attenzione all’approfondimento dello sviluppo industriale, all’accelerazione della trasformazione economica radicale e all’aumento della capacità di produrre prodotti a valore aggiunto. La rinascita del settore dell’abbigliamento e del tessile è parte integrante di questo piano.

    E proprio nell’ambito di questa strategia di governo e non solo che una delegazione di oltre 20 designer sudafricani emergenti parteciperà alla Torino Fashion Week 2018 per trovare nuovi mercati, esporre i propri marchi e talenti e incontrare potenziali partner per migliorare e innovare le capacità produttive e portare avanti l’industria della moda sudafricana. Il 28 giugno, in occasione del ‘South Africa Day’, si svolgeranno una serie di sfilate in cui sarà possibile ammirare tutto il colore, la fantasia, la creatività degli stilisti che porteranno in passerella le molteplici anime della Nazione Arcobaleno, come la definì uno dei suoi figli più importanti, l’Arcivescovo Desmond Tutu.

    Per chi volesse saperne di più sulla moda e sul tessile sudafricano e/o fosse alla ricerca di partnership interessanti potrà partecipare il 2 luglio, dalle ore 10,30, nella Sala Sella del Centro Congressi di Torino (Via Nino Costa,8) ad una conferenza alla quale parteciperanno, tra gli altri, TSD Nxumalo, Console Generale del Sud Africa a Milano, Federico Daneo, Direttore del Centro Piemontese di Studi africani e l’Avv. Paolo Bertolino, Segretario generale Unioncamere Piemonte, oltre ad una rappresentanza di designer sudafricani e rappresentanti dell’industria tessile italiana.

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