Tribunale

  • In attesa di Giustizia: la guerra dei trent’anni

    C’è probabilmente chi il suo San Valentino lo festeggia il 17 febbraio. Penso a Marco Travaglio e Piercamillo Davigo: una cenetta intima per celebrare il trentennale di Mani Pulite nel giorno in cui – anno 1992 – fu arrestato Mario Chiesa. Una data perfetta per gli eterni innamorati delle manette mentre, combinazione vuole, il 14 febbraio è l’anniversario fondativo della Unione delle Camere Penali.

    Una ricorrenza che, viceversa e con quanto di continuo accade, può solo evocare lo sfacelo della nostra giustizia e la inarrestabile deriva delle garanzie dei cittadini di fronte alla pretesa punitiva dello Stato.

    E’ doveroso contrastare la corruzione ed il malaffare in generale e punirne i responsabili ma uno Stato di diritto non abdica ai suoi principi: le folle plaudenti davanti al Palazzo di Giustizia (?) di Milano, i capannelli animati da morbosa curiosità davanti alla porta carraia di San Vittore per vedere sfrecciare le volanti che portano in carcere il potente del giorno sono state le prime manifestazioni di populismo, che hanno contribuito a che si disperdesse il valore della separazione dei poteri ed il rispetto delle regole di giudizio, trasformando una Procura della Repubblica nella Repubblica della Procura.

    Cosa c’è da festeggiare? Gabriele Cagliari che si suicida infilando la testa in un sacchetto di plastica dopo essere stato rassicurato sul suo destino da un P.M. che, finito l’interrogatorio in carcere, è andato in ferie dimenticandosi di lui? Raul Gardini che prima si suicida e poi rimette la pistola sul comodino? E come loro altri che – se non la vita, ma in molti casi anche quella – hanno perduto libertà, onorabilità, lavoro, famiglia, perché c’era chi, investito da sacro furore inquisitorio e sobillato da un’opinione pubblica miope e pronta solo al lancio delle monetine, ha proclamato l’intenzione di “rivoltare l’Italia come un calzino” e chi ha spiegato che “non è vero che incarceriamo gli indagati per farli confessare ma è vero che li scarceriamo se confessano”.

    Ma cosa c’è da festeggiare se è vero come è vero che unici frutti maturati sono una  magistratura con un ego espanso sino a delegittimarsi e una politica debole e subalterna al potere giudiziario mentre la corruzione, tutt’altro che debellata, ha solo elevato le tariffe a fronte di un rischio aumentato?

    Il diritto penale, che dovrebbe avere una funzione meramente sussidiaria di controllo sociale, è diventato  strumento primario in luogo della prevenzione con un abbassamento progressivo delle garanzie come dimostrato da incessanti casi di cronaca caratterizzati anche dalla lentezza del sistema.

    Basta chiedere, per fare qualche esempio tra i più recenti (e in questa rubrica non mancano), a Fausta Bonino, infermiera di Livorno, arrestata nel 2016 con l’accusa di aver ucciso almeno dieci pazienti con massicce dosi di eparina, che nel 2109 era stata condannata all’ergastolo. Pochi giorni fa è stata assolta per non aver commesso il fatto: «Sono stati – ha detto – sei anni da incubo, con il peso dell’infamia». E il marito ha aggiunto: «Ci hanno distrutti sia emotivamente che economicamente».

    Chiedete a Flavio Briatore che tredici (!) anni fa si è visto abbordare lo yacht dai finanzieri spediti da un magistrato per una esibizione militare ridicola ma di sostanziosa efficacia mediatica. Con l’accusa di evasione fiscale, la barca è stata sequestrata e data in custodia. Poche settimane fa la Corte d’Appello ha assolto l’imprenditore perché il fatto non costituisce reato, ha annullato il sequestro e disposto la restituzione del natante. Peccato che questo, nel frattempo e commettendo un grossolano errore, fosse stato messo all’asta e venduto sottocosto. La “majesté de la loi”, come la definiva ironicamente Anatole France, era arrivata in ritardo.

    Accanto a queste altre decine di inchieste hanno deturpato la nostra storia giudiziaria e logorato vite umane: certo è che la storia è piena di errori giudiziari, perché la nostra imperfetta natura non ci ha programmati per giudicare il prossimo, visto che a malapena riusciamo a farlo con noi stessi. E del resto la nostra civiltà nella sua costituzione scientifica, filosofica e religiosa poggia su tre processi conclusi con sentenze inique: Galileo, Socrate e Gesù ne sono testimoni. Ciò che invece dobbiamo chiederci è se il nostro sistema faccia il possibile per ridurre questo rischio mortale. E la risposta è nettamente negativa.

    Ridurre al minimo i tempi dei procedimenti e limitare al massimo la carcerazione preventiva sarebbero un primo passaggio fondamentale: esattamente il contrario dell’insegnamento di Mani Pulite che ci hanno regalato  trent’anni di strisciante guerra civile.

  • In attesa di Giustizia: Sporting theory of trial

    Con questa definizione, negli Stati Uniti, ci si riferisce al processo penale visto come un agone sportivo nel quale “vince il migliore”. Non necessariamente la giustizia: del resto la giustizia degli uomini è per sua natura fallace, motivo per cui – nonostante l’avversione di molti  – il nostro ordinamento prevede tre gradi di giudizio come la maggior parte dei sistemi democratici.

    La terminologia usata dagli americani appare forse eccessiva, peraltro, non si deve dimenticare che il modello processuale adottato negli U.S.A. è un “accusatorio puro”, cioè a dire un processo di parti nel quale Pubblico Ministero e Difesa sono effettivamente sullo stesso piano e un giudice terzo ed imparziale funge solo da arbitro del dibattimento garantendo il rispetto delle regole, il giudizio finale è affidato alla giuria che deve valutare, molto laicamente ed oltre ogni ragionevole dubbio, la consistenza delle prove dell’accusa e non affermare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato: tanto è vero che la formula di proscioglimento è “not guilty”, non colpevole, a significare semplicemente che il Public Prosecutor non è riuscito a dimostrare la fondatezza della propria tesi, non necessariamente che l’accusato sia innocente.

    Tra le parti, accusa e difesa, a regola – oltretutto – c’è molto fair play: vinca il migliore (o giù di lì) è quindi una terminologia che, ben interpretata, ci può stare.

    Da noi non è così: a parte il fatto di avere un sistema processuale dove vengono impiegati termini come “giusto processo” e “giudice terzo” “ragionevole dubbio”, nella prassi si tratta di enunciazioni prive di contenuto effettivo e l’amministrazione della giustizia penale soffre, in larga misura, delle nostalgie di un ordine giudiziario che si sente orfano dell’inquisitorio e di Procure che mal digeriscono le sconfitte.

    Qualche esempio? Torino, già capitale del Regno, ne offre un paio veramente inquietanti e recentissimi, a margine del giudizio di appello sulla cosiddetta “Rimborsopoli del Consiglio Regionale” che si sta nuovamente celebrando dopo un massiccio annullamento delle precedenti condanne da parte della Cassazione.

    Uno degli imputati, l’ex Consigliere Regionale Angelo Burzi, nel frattempo e pur assolto, si è suicidato non reggendo più la tensione generata da dieci anni di processo che gli hanno rovinato la vita ed, a fronte delle manifestazioni di solidarietà e cordoglio pervenute da più parti, il Procuratore Generale di Torino, Saluzzo, respingendo le accuse di persecuzione giudiziaria e disparità di trattamento ha invitato a moderare i toni perché si rasentava il “vilipendio della magistratura”. Fuori luogo è dir poco.

    Gli Intoccabili…ma ci sono ancora? Sembrerebbe di no, ma dipende da che parte arrivano le critiche: nel corso della requisitoria nel medesimo processo il Sostituto Procuratore Generale, Avenati Bassi, nel criticare la sentenza della Cassazione di annullamento delle condanne ha sostenuto che chi l’ha decisa e chi l’ha scritta non capisce niente di diritto e non avrebbe neppure dovuto superare il concorso in Magistratura.

    Avenati Bassi, invece, sembra che abbia superato il concorso in Magistratura Democratica: infatti, dopo aver chiesto – sempre nella stessa  indagine – la condanna degli esponenti di centrodestra e l’assoluzione di quelli di centrosinistra non ha ritenuto inopportuno accettare la designazione del PD come consulente per la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle banche.

    Una vita fa c’era almeno un buon gusto maggiore: un Presidente di Sezione della Corte d’Appello di Milano, a metà anni ’90, scrisse – ma con toni garbati e riservatamente – al Primo Presidente della Cassazione lamentando il numero, secondo lui eccessivo, di annullamenti di sentenze della sua Sezione…e il Primo Presidente, sempre educatamente, rispose: “Dica ai suoi giudici di scriverle meglio”.

  • In attesa di Giustizia: la Corte Regolatrice

    Con questo appellativo viene anche chiamata la Cassazione, sottintendendone una funzione cruciale: quella di offrire interpretazione certa della legge, possibilmente con una certa uniformità.

    La Corte, per quanto riguarda il settore penale, è suddivisa in sette Sezioni con attribuzione di competenze specifiche: la Prima Sezione, per esempio,  tratta i gli omicidi (ma non solo quelli), la Seconda criminalità organizzata e reati contro il patrimonio, la Terza i reati tributari e le violenze sessuali, la Quinta bancarotte e reati contro l’ordinamento economico…alla Settima vengono destinati solo i ricorsi che, ad un primo esame che viene effettuato dalla Procura Generale appena i ricorsi arrivano, appaiono evidentemente inammissibili; la Settima  tiene udienza senza che neppure partecipino le parti: decide sulla base dei ricorsi e delle richieste scritte di un Sostituto Procuratore Generale (che spesso consistono in semplici crocette apposte su una specie di questionario a risposta multipla).

    Da qualche anno a questa parte in Cassazione accade che si sia ridotto enormemente il numero dei ricorsi che vengono accolti; è vero che la qualità degli avvocati – bisogna ammetterlo – è scaduta tuttavia soprattutto il numero delle dichiarazioni di inammissibilità appare patologico e succedono anche altre strane cose: per esempio che su questioni di diritto identiche la stessa Sezione decida in maniera differente…con buona pace della uniformità di interpretazione e della certezza del diritto. E non è detto che se ne venga a sapere perché la pubblicazione delle sentenze – che passa dall’inoltro ad un ufficio che si chiama Massimario – avviene secondo oscuri criteri, non scritti, seguiti dai singoli Presidenti: come dire, una forma di eugenetica giurisprudenziale.

    Ma le stranezze non finiscono qui: se si vanno ad esaminare – per esempio – i dati del primo semestre del 2020 si scopre che in tre casi su quattro, alla Seconda Sezione penale, i ricorsi degli imputati hanno avuto esito negativo e ne è stato dichiarato inammissibile il 67% e rigettato l’8%; solo un quarto del totale ha trovato accoglimento. Stupisce la percentuale delle inammissibilità (tradotto: il ricorso contiene autentiche bestialità giuridiche, inguardabili ed inascoltabili), che è di gran lunga prevalente sull’esito rigetto o accoglimento e viene da chiedersi come mai quei ricorsi abbiano superato quel filtro iniziale di cui si è detto, dedicato espressamente a “scremare” le impugnazioni che appaiono a prima vista inammissibili.

    Altrettanto, seppur diversamente, interessante è il dato della Quinta Sezione dove quasi un ricorso su due ha esito positivo per il ricorrente: ben un 45% di annullamenti con varie formule.

    Se ne deve dedurre che la Quinta Sezione è quella più garantista insieme alla Sesta che – pure – ha numeri più fisiologici e confortanti? E i numeri, di solito, non mentono.

    Certo si è che, ormai da molti anni, per gli operatori del settore prevedere che un proprio ricorso possa essere destinato alla Seconda (e in molti casi la previsione è agevolata dal fattore “competenza per materia”) è scoraggiante, la notifica dell’avviso di fissazione delle udienza proprio a quella sezione fa passare persino la voglia di guardare l’orario delle Frecce Rosse o degli aerei per raggiungere Roma, allo sventurato cliente non si sa come dare (o confermare) la pessima notizia.

    La domanda è: come mai tra le altre anomalie che caratterizzano il funzionamento della (presunta) Corte Regolatrice spicca la statistica della Seconda? Secondo i malpensanti dipende dalla lunga militanza di Davigo – anche come Presidente – in quella sezione. Sicuramente una malignità ma è anche vero che a pensar male si fa peccato ma spesso non si sbaglia.

  • In attesa di Giustizia: fantasia al potere

    Settimana abbastanza tranquilla sul fronte giudiziario, nella misura in cui i magistrati non si sono arrestati tra di loro e sembra che sia avviata alla conclusione la storia infinita della nomina del Procuratore Capo di Roma mentre quello di Milano – Francesco Greco – ha festeggiato il settantesimo compleanno e con esso la pensione che comporta anche l’esaurirsi automatico di un procedimento disciplinare che fu avviato, un paio di mesi addietro, mancando già dei tempi tecnici per arrivare ad una decisione proprio per l’imminente pensionamento; nel frattempo, l’indagine cui era sottoposto a Brescia si avvia all’archiviazione.

    Insomma, tutto è bene quello che finisce bene, ma non per tutti: come per Riccardo Fuzio, già Procuratore Generale della Cassazione che aveva confidato a Luca Palamara l’esistenza dell’inchiesta aperta a Perugia nei suoi confronti, e che era stato assolto dalle accuse di rivelazione di segreto d’ufficio.

    Contro questa sentenza si è, però, appellata in questi giorni la Procura Generale di Perugia (sede giudiziaria competente per i magistrati romani) e, parrebbe, con un certo fondamento: Fuzio, infatti, era stato prosciolto motivando che in occasione delle prime confidenze non vi era stata ancora secretazione degli atti: come se una delle più alte cariche del sistema giudiziario non sia comunque tenuto al riserbo a prescindere dalla esistenza di un passaggio meramente formale.

    La porzione più fantasiosa della motivazione è – però – quella che riguarda la rivelazione di altre notizie, quelle in seguito coperte dal segreto istruttorio: è stato, infatti, ritenuto che il fatto sia di particolare tenuità, quindi irrilevante dal punto di vista penale; si dice in sentenza che Palamara già sapeva qualcosa e che, quindi, si trattava di  innocenti ed innocui chiacchiericci tra vecchi amici e colleghi…senza considerare – tra l’altro – che i due, per accordarsi sul dove come vedersi e parlarne, a riprova che non fossero proprio sciocchezzuole, usassero telefoni a loro non riconducibili e stratagemmi vari per mantenere quegli incontri e i loro contenuti riservati.

    Il premio fantasia della settimana spetta però, ancora una volta e con pieno merito, al nostro legislatore. Albert Einstein diceva che il segreto della creatività è nel saper tenere nascoste le proprie fonti: il nostro Parlamento dispone, evidentemente, di fonti ispiratrici sulle quali è meglio stendere un velo pietoso. Ed è in ogni caso difficile individuarle tutte, salvo qualche celebre esponente del furore giacobino.

    La creatività, allora, si traduce non di rado in sciatteria normativa; d’altronde, come ricordava Cordero: «a terminologie esatte corrisponde chiarezza di idee». E di idee chiare non se ne segnalano molte, partitamente in materia di giustizia e legislazione.

    L’ultima perla partorita dalle Camere si rinviene nel nuovo codice della strada pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 novembre: per tutelare gli automobilisti ed evitare distrazioni alla guida viene introdotto il divieto di affiggere lungo le strade pubblicità con messaggi sessisti, discriminatori, lesivi delle diversità, dell’orientamento politico e religioso…concetti molto vaghi che riecheggiano i contenuti del d.d.l. Zan senza che sia ben chiaro a chi verrà assegnato il compito di valutare (e con che criteri) i cartelloni, tutti i cartelloni che fiancheggiano le decine di migliaia di chilometri di statali, provinciali, autostrade, tangenziali, strade urbane ed extraurbane e piste ciclabili, naturalmente. Come se, fino ai giorni nostri, se ne fossero visti molti.

    E’ vero, probabilmente e per esempio, che fu fatto molto peggio quando anni fa fu inserita una modifica della legge sul traffico di droga all’interno del decreto legislativo con cui venivano dettate disposizioni per l’organizzazione delle Olimpiadi invernali del Sestrière (poi dichiarate incostituzionali per eccesso di delega a distanza di anni, creando un putiferio per rimettere ordine nella infinità di processi celebrati e conclusi nel frattempo con pene tecnicamente illegali): che sia da considerare un segnale positivo? Ai posteri e a chi dovrà giudicare i “consigli per gli acquisti” l’ardua sentenza.

  • In attesa di Giustizia: silenzio stampa

    Il Consiglio dei Ministri nei giorni scorsi ha approvato il decreto legislativo che recepisce la Direttiva Europea sulla presunzione di innocenza che, tra le altre cose, impone notevoli restrizioni alle modalità di comunicazione delle autorità giudiziarie con lo scopo di impedire la formazione nell’opinione pubblica di pregiudizi nei confronti di chi sia sottoposto ad un processo senza che vi sia ancora stata una sentenza.  La notizia ha avuto un’eco modesta, sebbene faccia con un’altra – altrettanto recente – che conferma la bontà del provvedimento normativo: il proscioglimento di numerosi giornalisti querelati per diffamazione avendo osato commentare in termini negativi un singolare accadimento del 2015.

    Qualcuno ricorderà la vicenda legata al video del furgone del muratore accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio che risultò essere una ricostruzione confezionata dai Carabinieri concordata con la Procura e realizzata per “esigenze di comunicazione”, come ammesso dal Comandante del Raggruppamento di Parma, Giampiero Lago, nel corso dell’interrogatorio da parte dei difensori di Massimo Bossetti.

    In due parole, un falso marchiano che – soprattutto sui giudici popolari, poteva avere influenza; e questa vicenda ha anche almeno un’altra sorta di “parente lontano” in quella del bazooka piazzato nel 2010 davanti alla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria per minacciare l’allora Capo dell’Ufficio, Giuseppe Pignatone. Ai giornalisti, in conferenza stampa, ne fu mostrato uno salvo poi ammettere che non era quello effettivamente trovato (che nessuno ha pubblicamente mai visto).

    In due parole: la nuova legge proibisce i processi mediatici, poiché creati con prove non vagliate da nessuno e di origine incerta se non decisamente opaca ed attraverso i quali si tende a prefigurare l’esito di un processo vero e proprio. Parliamo di un’informazione giudiziaria ridotta ad acritico cagnolino da riporto di chi, per dirla con Leonardo Sciascia, amorevolmente accompagna le notizie fin sulla porta del proprio ufficio facendovi meritare bassissima considerazione.

    Considerazione che in certi casi, se possibile,  è ancor più bassa: sul giornale di Travaglio – tanto per fare un esempio che non stupirà – è di recente stato pubblicato, movimento per movimento, l’estratto conto di Matteo Renzi tratto da una informativa della Guardia di Finanza…per il primo che commenta che è giusto così e che Renzi se lo merita “perché va in Arabia” è in palio un cartonato a grandezza naturale dell’indimenticabile Ministro Danilo Toninelli e per i primi dieci che farfuglieranno qualcosa dell’affossamento del d.d.l. Zan il cartonato sarà pure autografato.

    Poco spazio, invece ha avuto la notizia che un creativo P.M. lodigiano aveva trovato il tempo di indagare Mattia Maestri – meglio noto come Paziente Uno – per epidemia colposa, anche se non era certamente il primo contagiato dal Covid 19, anche se non aveva violato nessun protocollo di prevenzione ma era stato dimesso dal pronto soccorso e rimandato a casa prima di un definitivo ricovero. Anche se del Coronavirus fino al 21 febbraio 2020 nessuno al di fuori di Palazzo Chigi sapeva niente sebbene – anche questo nel silenzio stampa – già da fine gennaio fosse stato proclamato lo stato di emergenza; così come nulla più si sa della inchiesta della Procura di Bergamo che lambiva molto da vicino Giuseppe Conte & C. per identiche possibili, e forse più sostenibili, imputazioni.

    Informazione troppo spesso ad corrente alternata a seconda di chi indaghi, e chi sia indagato e perché.

    Per Maestri, all’incubo del contagio e della sottoposizione a terapie totalmente sperimentali (fortunatamente andate a buon fine) si è aggiunto, sino alla recente archiviazione, il tormento di essere inquisito da qualcuno che ha ritenuto negligenza penalmente rilevante tornare a casa perché così deciso dai sanitari a fronte di sintomi di una malattia sconosciuta ma equivocabili con quelli di altre patologie note. Fantasia al potere (giudiziario), e così è se vi pare.

  • In attesa di Giustizia: In der Strafkolonie

    La scorsa settimana, questa rubrica si è occupata di un rarissimo caso (sembra addirittura l’unico in assoluto) di richiesta di danno erariale da parte della Corte dei Conti ad un G.I.P. e un P.M. il primo dei quali aveva ordinato l’arresto di una persona senza che vi fossero i presupposti, il secondo per averne curato la materiale esecuzione senza accorgersi del fatto di non avere, egli stesso, fatto la indispensabile richiesta.

    Risarcita dallo Stato con circa 21.000€ la vittima di questo grossolano strafalcione giudiziario, alla Corte dei Conti si è avviata la procedura per il riconoscimento del danno erariale, in egual misura ed in capo ai due protagonisti negativi, in ragione della loro colpa grave nella vicenda: approfondendo l’argomento dopo il primo articolo, è stato possibile verificare che – peraltro – le già esangui casse della Pubblica Amministrazione sono state solo parzialmente ristorate.

    Al P.M., infatti, non è stato addebitato nulla, essendosi giustificato con la circostanza che il fascicolo era rimasto al Giudice e a lui era stata trasmessa solo l’ordinanza cautelare da eseguire: dunque non si era potuto accorgere che di quella persona non aveva mai richiesto la carcerazione, dimenticandosi del tutto anche della corrispondente indagine che – pure – aveva personalmente svolto.

    Il G.I.P., invece, ha fatto ricorso al giudizio abbreviato previsto anche dal Codice della Giustizia Contabile che consente di pervenire ad una rapida definizione delle controversie garantendo l’incasso per l’Erario di somme certe ma considerevolmente ridotte rispetto all’ammontare effettivo del danno cagionato; non consta neppure l’avvio di un disciplinare al C.S.M. ed i progressi in carriera di entrambi paiono immeritatamente salvi.

    L’approfondimento ha consentito anche di verificare che praticamente mai  vi è una rivalsa dello Stato  per le riparazioni da ingiusta detenzione nei confronti di chi le ha cagionate e che gravano sul bilancio per una media di circa trenta milioni all’anno. Questo perché è necessario che la Corte dei Conti sia attivata da un esposto del cittadino vittima del torto che, di regola, non sa che può farlo ed è, comunque, privo di interesse; in alternativa vi è la segnalazione da parte del Ministero della Giustizia…ma, si sa, cane non mangia cane.

    In sostanza, la Procura Contabile, per quanto sia di sua competenza, non dispone accertamenti per poi chieder conto dei sostanziosi esborsi per indennizzi dovuti a riparazione degli errori giudiziari, accertando se vi sia stata almeno colpa grave nel determinarli, perché nessuno, normalmente, la attiva.

    Come si potrebbe fare, allora, per realizzare in questo settore una forma di spending review,  prevenendo il pregiudizio economico per lo Stato, tenuto conto del sostanziale disinteresse del privato per il ristoro del danno erariale e della difesa corporativa del settore pubblico? La soluzione potrebbe essere di ispirazione letteraria.

    Durante il periodo di tirocinio, bisognerebbe far interpretare ai neo magistrati la parte del condannato nel racconto di Kafka “Nella Colonia Penale”, in cui si narra di prigionieri incarcerati senza neppure sapere di cosa fossero stati accusati e condannati sulla base di una semplice denuncia perché il processo sarebbe stata una inutile perdita di tempo nel quale l’imputato ha la facoltà di mentire, può persino portare testimoni falsi, la difesa avrebbe propinato menzogne…dunque un vero e proprio intralcio alla giustizia.

    In una parola: l’idea di giustizia che ispira il pensiero di Piercamillo Davigo e dei suoi epigoni… almeno finché non tocca a loro, come accade “In der Strafkolonie”, sperimentare, in senso stretto sulla propria pelle la conoscenza postuma delle proprie colpe con la sottoposizione finale ad una mostruosa macchina chiamata “erpice” che incide sulla schiena dello sventurato il nome del delitto per cui è stato condannato e che solo così potrà finalmente conoscere.

  • In attesa di Giustizia: anche per Giulio Regeni la giustizia può attendere

    La Corte d’Assise di Roma ha impiegato sette ore di camera di consiglio per prendere una decisione per la quale bastavano sette minuti: il processo per l’omicidio di Giulio Regeni non può iniziare e ritorna nelle mani del Giudice dell’Udienza Preliminare.

    Cosa è successo? C’era un handicap insuperabile circa la regolarità delle notifiche con l’avviso ai quattro imputati di fissazione della udienza preliminare, poi tenutasi nella loro assenza e nella quale è stato disposto il rinvio a giudizio.

    Vero è che notificare ritualmente una citazione del Tribunale di Roma ad agenti dei servizi segreti egiziani non è impresa facilissima (ma neppure impossibile) che – infatti – non è riuscita ma la soluzione adottata dal G.U.P., senza nascondersi dietro ad eufemismi, è una bestialità tale che imporrebbe di ri- sottoporre questo magistrato all’esame di procedura penale prima di fargli mettere nuovamente piede in un’aula. E, come  vedremo, non è neppure  del tutto nuova alle cronache.

    Il Giudice ha ritenuto di superare l’empasse procedurale sostenendo che “la copertura mediatica ha fatto divenire il processo un fatto notorio” dal che, pertanto, si può dedurre gli imputati fossero sicuramente a conoscenza del procedimento nei loro confronti, della data, del luogo destinati alla celebrazione, dell’Autorità che procede nei loro confronti, dei diritti che la legge italiana riserva loro: motivazione evidentemente inappropriata dal momento che la “copertura mediatica” non è tra i parametri presi in considerazione dal codice. A tacer del fatto che non si può essere sicuri che tra le letture preferite dagli 007 egiziani vi siano quotidiani e settimanali italiani, la visione dei nostri telegiornali, di Chi l’ha visto e Quarto Grado  e – aspetto non secondario – la comprensione della lingua: tanto è vero che la legge prevede che all’imputato straniero gli atti siano notificati con traduzione nella sua lingua madre.

    Al peggio non c’è limite e soluzioni diverse da uno strafalcione giuridico da guinness dei primati erano praticabili ma non è il caso di ammorbare i lettori con la illustrazione in dettaglio di tecnicismi.

    Dunque, bastavano davvero sette minuti per decidere: cosa avrà mai discusso la Corte per sette ore? Come salvare il collega da una figuraccia, cosa inventarsi per proseguire evitando l’immaginabile sdegno dell’opinione pubblica? Missioni impossibili entrambe anche alla luce di un precedente cui si è accennato…

    Accadde ai tempi di “Mani Pulite”, ovviamente, in quella camera di tortura delle garanzie che era la Sede Giudiziaria di Milano: problema più o meno analogo, legato ad una mancata notifica a Cesare Previti, in allora Ministro della Giustizia. Il G.U.P., determinato ad andare avanti a tutti i costi, in quel caso rilevò che vi fosse una nullità ma “innocua” perché di quel processo parlavano tutti i giornali e pertanto Cesare Previti ne era sicuramente informato. Inutile dire che, oltre che essere un ossimoro, la “nullità innocua” è un concetto sconosciuto al codice.

    La questione, che poteva essere subito risolta anche perché Previti, diversamente dagli egiziani, era facilmente raggiungibile da una nuova citazione valida, si trascinò per anni e per tre gradi di giudizio: Tribunale e Corte d’Appello di Milano sposarono la tesi del G.U.P. mentre la Cassazione fece (giustamente) a coriandoli le ordinanze che sostenevano la tesi della nullità innocua facendo ricominciare tutto da capo con il risultato di far maturare la prescrizione. Una prescrizione evitabile con il solo ricorso alla rinnovazione di un atto che l’ufficiale giudiziario non avrebbe avuto nessuna difficoltà a consegnare – ove tutto fosse mancato – al Corpo di Guardia del Ministero della Difesa, perdendo solo qualche settimana invece che alcuni anni.

    La storia si ripete tristemente perché dalla storia (oltre che dallo studio del codice) non si è imparato nulla. Giustizia per Giulio Regeni si legge in manifesti affissi un po’ dovunque; ma anche per lui l’attesa sembra destinata a durare a  lungo:  tanto per cominciare quanto serve a far ripassare a qualcuno le facili e basilari  norme che regolano le citazioni a giudizio.

  • In attesa di Giustizia: Apocalypse now

    L’argomento trattato in questa rubrica rischia di diventare ripetitivo, ma tant’è: di questi tempi – in attesa di auspicati effetti benefici della riforma Cartabia – non c’è molto da commentare in un settore che rimane ingessato, con Tribunali che lavorano a scartamento ancora più ridotto del solito a causa delle conseguenze della pandemia e del lock down…e il legislatore che offre meno spettacoli di cabaret da quando l’ilare Fofò Bonafede, trasferitosi dal Ministero di via Arenula è tornato a cacciare ambulanze ed occuparsi di parafanghi ammaccati.

    Forse, la crisi di produttività dipende in parte da un’altra circostanza e cioè che sono i Magistrati, soprattutto quelli del Pubblico Ministero, ad avere problemi che derivano non di rado da iniziative dei loro stessi colleghi: e se non funzionano le Procure la macchina della Giustizia penale rischia di incepparsi inesorabilmente.

    Il caso più recente è quello del Procuratore Aggiunto di Avellino, Vincenzo D’Onofrio, che ha garbatamente richiesto ad un imprenditore di procurargli i biglietti per una  partita Juventus-Napoli con accollo del pernottamento a Torino (probabilmente, vitto compreso) per sé e per la sua scorta; appassionato non solo di calcio ma anche di mare, il P.M. in questione si è anche fatto mettere a disposizione gratuitamente una barca da diporto ed un gommone dal titolare di un cantiere navale, convintosi a fare la cortesia dalla frase “altrimenti potrei mandarti la Finanza”.

    Cortesie tra amici cari e battute scherzose, così si è giustificato Vincenzo D’Onofrio: e se una così autorevole difesa è servita a garantirgli l’archiviazione del procedimento penale aperto nei suoi confronti, gentilezze e facezie gli sono costate la mancata riconferma del posto di Procuratore Aggiunto da parte del C.S.M. nonostante la ferma presa di posizione sia del suo predecessore che del Capo dell’Ufficio, concordi nel sostenere che questi comportamenti non comportano alcun appannamento della statura istituzionale del Collega. Ci mancherebbe altro, è uno sportivo e simpatico buontempone! e pensare che, tempo fa, a Milano a due manager di un’azienda operante nel settore delle forniture ospedaliere è stata contestata la corruzione per avere fatto omaggio di due cravatte (di Marinella, però…) a un primario ed in tal modo contribuendo “all’asservimento della pubblica funzione agli interessi del privato”. Se non altro sono stati assolti definitivamente in appello ma non prima di vedere impugnata dalla Procura (senza fortuna) la sentenza di assoluzione di primo grado.

    Già, Milano: là dove il giorno del giudizio si allontana per Francesco Greco in favore del quale è stata chiesta l’archiviazione relativamente alle accuse per la nota vicenda del mancato avvio delle indagini sulla base delle dichiarazioni dell’avvocato Amara a proposito della loggia segreta “Ungheria”; tra poche settimane andrà in pensione e potrà godersi serenamente il meritato riposo.

    Pensionato che ha poco da stare allegro è – invece – Piercamillo Davigo: nei suoi confronti, infatti, sembra imminente la richiesta di rinvio a giudizio per l’anomalo impiego proprio dei verbali di Amata seguito alla anomala corrispondenza con Paolo Storari.

    Armageddon prossima ventura proprio anche per Storari, in buona compagnia di De Pasquale e Spadaro: gli ultimi due, birbanti, per la marachella combinata nascondendo – così pare – elementi favorevoli alla difesa nel processo cosiddetto ENI-Nigeria nel quale, nonostante questi estremi sforzi per “truccare la partita”, sono stati assolti tutti gli imputati.

    Le indagini per omissione di atti di ufficio, sempre con riferimento all’affaire “Storari/Davigo” nel frattempo proseguono, invece, per l’Aggiunto del capoluogo lombardo Laura Pedio: chissà come andrà a finire ma una cosa è certa: per la Procura di Milano sono i giorni dell’Apocalisse.

    Forse è davvero meglio la pensione: è più rilassante e magari anche gratificante perché si possono scrivere libri di memorie, come ha fatto Ilda Boccassini non privando il lettore di qualche ricordo che suscita prudèrie degne di Novella 2000 e che – tutto sommato – si poteva benissimo evitare. I dettagli, magari, ad una prossima puntata se il sistema giustizia non ricomincerà davvero a funzionare lasciando ai commentatori solo gossip e la ennesima puntata di qualche Amara vicenda.

  • In attesa di Giustizia: Carramba che sorpresa!

    Sono giorni in cui impazza la polemica per l’estensione del green pass e i controlli necessari al rispetto dei protocolli di prevenzione del contagio, le critiche alla Ministra Lamorgese per talune colpevoli inerzie nel disporne l’intervento si appaiano ai rilievi sulle obiettive difficoltà per le Forze dell’Ordine di assommare questi nuovi compiti di controllo a quelli istituzionali.

    Eppure, durante i lunghi mesi della pandemia, Carabinieri e Polizia di Stato si sono impegnati con dedizione alle verifiche sul rispetto delle misure di contrasto al diffondersi del virus: come, per esempio, è accaduto nei pressi di Modena nel febbraio di quest’anno in occasione di un controllo presso una macelleria equina di Scandiano, che avrebbe dovuto essere già chiusa, si intrattenevano amabilmente tre persone sorseggiando un calice di vino.

    Il particolare curioso, che ci porta a commentare questa vicenda, non è il mancato impiego delle mascherine o la temperatura corporea fuori norma dei presenti quanto la bizzarra composizione del terzetto: il titolare del negozio e…carramba che sorpresa! un magistrato donna della Procura di Modena ed un ergastolano in semilibertà.

    Cosa ci facesse un Pubblico Ministero a brindare, sotto sera, con questo garbato signore, condannato per omicidio, associazione mafiosa ed altre simili bagatelle, non è dato sapere con certezza perché Claudia Ferretti (questo il nome del Sostituto Procuratore della Repubblica) non ha fornito spiegazioni convincenti, riferendo di un’occasione per scambiarsi dei cordialissimi saluti. E dove meglio che in un retrobottega in orario di coprifuoco?

    Una ipotesi di reato non era configurabile, ma la segnalazione al Consiglio Superiore della Magistratura è stata inevitabile e dovuta: nel corso del procedimento disciplinare la Dottoressa Ferretti sembra che si sia difesa sostenendo che si è trattata di “una sciocchezza”.

    Incompatibilità ambientale e trasferimento ad altro ufficio: questo il destino che la Sezione Disciplinare del C.S.M., con il tradizionale rigore, avrebbe riservato alla P.M. sebbene per il pregiudizio arrecato all’immagine ed al prestigio della magistratura. Ammesso che ve ne sia ancora da pregiudicare.

    Ma tutto è bene ciò che finisce bene, particolarmente se ci si deve occupare di schiocchezzuole: la Dottoressa Ferretti ha anticipato la decisione dell’organo di autogoverno chiedendo di sua iniziativa di essere mandata a Firenze con funzioni di giudice civile: trasferimento disposto opportunamente a metà giugno, in prossimità del periodo feriale e procedimento disciplinare archiviato garantendo serenità alle meritate vacanze.

    La donna, poi, a dicembre andrà in pensione e – con una giustizia civile che ha il lustro come unità di misura della durata dei processi – non è ben chiaro di cosa si potrà occupare nell’arco di poco più di un paio di mesi nella nuova sede oltre che far apporre la targa con il nome sulla porta della sua stanza, la macchinetta Nespresso all’interno e verificare scrupolosamente l’accredito dello stipendio ogni 27 del mese.

    Procedimento disciplinare, quindi, interrotto per la scelta volontaria della incolpata di trasferirsi altrove; l’imminenza del pensionamento avrebbe, peraltro, condotto al medesimo risultato perché non può infliggersi sanzione a chi non fa più parte dell’Ordine Giudiziario.

    Alleluja! Non sapremo mai i motivi della composizione di quella allegra brigata che può ben essere stata frutto una casualità: del resto a chi non è mai successo di bere un bicchiere di quello buono, del tutto casualmente nel retrobottega di una macelleria equina, insieme ad un simpatico ergastolano? Da noi, si sa, accadono molte cose ad insaputa degli interessati…

    In attesa di Giustizia, da Modena per oggi è tutto, a voi studio centrale.

  • In attesa di Giustizia: quod deus iunxit…

    Quod Deus iunxit nemo potest disgiungere: uno dei principi fondamentali del diritto canonico che prevede l’indissolubilità del matrimonio. Eppure, c’è voluto un referendum, ma anche in un Paese come il nostro dalla radicata tradizione cattolica è passata la legge sul divorzio: molto più complicato sembra far approvare la legge di iniziativa popolare (in argomento c’è anche quella referendaria di Salvini) sulla separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e del pubblico ministero.

    A giorni, grazie ad un forcing del radicale Magi e del solito Costa di Azione, dovrebbe riaprirsi il dibattito in commissione affari costituzionali ed è agevole prevedere il potenziale divisivo per la maggioranza di governo derivante dalla strenua opposizione di  PD, 5 Stelle e LEU.

    Ma, tant’è: la separazione delle carriere, diffusa e tradizionale in molti sistemi giuridici occidentali,  continua ad essere un tabù non sfatabile come dimostrano sistematiche manifestazioni di forte avversità.

    Questa, per esempio:  Giovanni  Salvi, attuale Procuratore Generale della Cassazione, che non è stato mai stato allineato alle iniziative delle Camere Penali.

    Evidenziò contrarietà persino alla modifica dell’articolo 111 della Costituzione, che ha introdotto i principi del giusto processo schierandosi con i vertici dalla A.N.M. (neanche a dirlo).

    Al Giovanni Salvi non piaceva neppure l’introduzione di una regolamentazione per le investigazioni difensive: supporto indispensabile proprio del giusto processo e per cercare di realizzare – almeno entro certi limiti – la parità tra accusa e difesa.

    Neppure i referendum sulla giustizia del 2000 erano graditi a Salvi, uomo di cui si deve però ricordare la  grande cortesia e preparazione giuridica.

    Ora, però, non è più questione di pur sempre rispettabili opinione, forse ha un filo esagerato avviando (è nei suoi poteri) l’azione disciplinare nei confronti della Dott.ssa Banci Buonamici.

    Donatella Banci Buonamici, per chi non ne ha memoria, è il Giudice di Verbania che non ha convalidato i provvedimenti di fermo per il disastro della funivia del Mottarone (giuridicamente mancavano del tutto i presupposti in assenza di un concreto pericolo che gli indagati si rendessero irreperibili).

    Cinque capi d’accusa nei confronti del G.I.P. Banci Buonamici, che dovrà risponderne disciplinarmente al C.S.M.,  tra i quali uno spicca per singolare opinabilità: l’avere compromesso il prestigio e l’immagine della magistratura suscitando l’attenzione e la reazione dell’Unione delle Camere Penali a fronte del vespaio che la vicenda aveva suscitato a Verbania tra cahiers de dolèances del Procuratore Capo perché il Giudice aveva disatteso la sua richiesta, vista quasi come un atto di inimicizia che ha  fatto interrompere la tradizione del “caffè insieme”, sospetti sulle modalità di gestione delle tabelle di assegnazione dei fascicoli e presunte pressioni della Procura Generale.

    Sembrerebbe, quindi, che sia vietato discostarsi dal pensiero unico, figuriamoci anche solo ipotizzare che non vi sia più unicità delle carriere dei magistrati: resta solo da attendere con ansia le ragioni che i raffinati giuristi capitanati da Giuseppe Conte, uno che quando apre bocca si capisce perché ha scelto Fofò  Bonafede prima come assistente universitario e poi come Guardasigilli,  e da Enrico Letta ad ognuna delle cui esternazioni corrisponde una crescita di almeno il 2/3% del centrodestra nei sondaggi. Dio li benedica, anche in nome degli autori di Zelig.

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