Turchia

  • Von der Leyen contro Erdogan: per la Ue Cipro è una sola ed è tutta unita

    I ciprioti “meritano di vivere in un Paese riunito in condizioni di pace, convivenza, stabilità e prosperità”. Lo ha sottolineato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in occasione del 50mo anniversario dello sbarco delle forze turche nell’isola. La questione di Cipro “è una questione europea”, ha aggiunto von der Leyen secondo quanto riferiscono i media di Nicosia. L’Ue, ha concluso von der Leyen, continuerà a sostenere gli sforzi di riunificazione in conformità con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

    Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha rilasciato una nota in occasione dell’anniversario dello sbarco, avvenuto nel 1974, in cui rende omaggio “a coloro che hanno perso la vita nel conflitto” e chiede un accordo di pace “in linea con il piano approvato dalle Nazioni Unite”. “Noi onoriamo coloro che sono scomparsi. E ci battiamo per uno Stato europeo unificato, basato sulle risoluzioni delle Nazioni Unite. Senza truppe di occupazione straniere”, ha dichiarato Mitsotakis, citando il poeta greco-cipriota Leonidas Malenis per descrivere Cipro come “una foglia verde-oro gettata sul mare”.

    La riunificazione è “l’unica strada percorribile per Cipro”, ha dichiarato il presidente cipriota, Nikos Christodoulides, in occasione dell’anniversario dello sbarco delle forze turche nell’isola, avvenuto 50 anni fa. “Non esiste nessun’altra opzione”, ha precisato il capo dello Stato parlando con i giornalisti a Nicosia nel giorno in cui l’omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, ha fatto invece visita nell’autoproclamata repubblica turca di Cipro del nord per le celebrazioni dell’anniversario. Come riporta l’agenzia di stampa “Anadolu”, Erdogan è partito il 20 luglio dall’aeroporto Ataturk di Istanbul ed è atterrato all’aeroporto Erklan, dove è stato accolto dal presidente de facto dell’autoproclamata repubblica cipriota del nord, Ersin Tatar, con una cerimonia di benvenuto a cui ha preso parte anche il premier Unal Ustel, insieme a rappresentanti istituzionali e diplomatici turchi.

    La Turchia definisce lo sbarco di 50 anni fa una “operazione di pace”: il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha scritto su X che Ankara “continuerà a difendere i diritti e gli interessi di Cipro”, sottolineando che “la pace e la tranquillità raggiunte sull’isola durano da mezzo secolo”. “Oggi commemoriamo anche i nostri martiri e veterani che hanno sacrificato la loro vita per l’esistenza dei turco-ciprioti, e che sono parte integrante della nostra nazione”, ha aggiunto Fidan.

    La Turchia “è aperta al dialogo per garantire la pace e arrivare a una soluzione permanente a Cipro”, ha detto Erdogan in occasione della sua visita. Come riporta la stampa turca, Erdogan si è detto “onorato” di celebrare la ricorrenza che “ha permesso al popolo turco-cipriota di ottenere la libertà”. “Ricordo con misericordia e gratitudine i nostri eroici martiri che hanno dato la vita per mantenere in vita il Paese. Possano le anime degli uomini coraggiosi caduti per il nostro Paese, la nostra bandiera, la nostra indipendenza e il nostro futuro riposare in pace”, ha affermato il presidente turco nel suo discorso. “La Turchia e la repubblica turca di Cipro del nord sono fianco a fianco. La nostra presenza qui oggi dimostra l’importanza che la nazione turca attribuisce alla causa di Cipro”, ha sottolineato Erdogan.

    Il presidente della Turchia ha spiegato che gli anni compresi tra il 1963 e il 1974 sono stati per i turco-ciprioti “un periodo pieno di sangue, lacrime e oppressione”. Secondo Erdogan, infatti, “il popolo turco-cipriota è stato escluso dallo Stato di cui è stato fondatore e partner, subendo un’oppressione disumana”. “Nel 1974, gli attacchi contro l’esistenza dei turco-ciprioti hanno raggiunto il loro apice. Esattamente 50 anni fa, il 20 luglio 1974, come patria e Paese garante abbiamo agito secondo i nostri diritti e doveri derivanti dagli accordi internazionali, con la responsabilità posta sulle nostre spalle dalla storia. Quel giorno abbiamo dimostrato al mondo intero che i turco-ciprioti non sono soli e non saranno mai lasciati soli”, ha affermato il presidente turco, ricordando che la cosiddetta “operazione di pace” a Cipro “ha salvato i turco-ciprioti dall’oppressione, ha portato loro libertà e prosperità e ha consentito di guardare al futuro con fiducia”. “Oggi celebriamo il 20 luglio come un simbolo della protezione dei diritti sovrani e dello status paritario del popolo turco-cipriota in linea con i suoi ideali di pace e stabilità”, ha sottolineato Erdogan. Il presidente turco ha poi accusato l’amministrazione della Repubblica di Cipro – riconosciuta a livello internazionale – a considerarsi come “l’unico sovrano dell’isola di Cipro”. “I greco-ciprioti non hanno intenzione di condividere il potere politico e la prosperità economica, che comprende le risorse naturali dell’isola, con i turco-ciprioti”, ha affermato Erdogan.

    L’isola di Cipro è oggi spartita dalla cosiddetta linea verde monitorata dall’Onu, che divide in due la nazione: a sud la Repubblica di Cipro riconosciuta dalla comunità internazionale, e nella parte settentrionale l’autoproclamata repubblica turca di Cipro del Nord. Nel 1974, la Turchia invase l’isola a seguito di un colpo di Stato militare che depose l’allora presidente cipriota, l’arcivescovo greco-ortodosso Makarios, alterando gli equilibri faticosamente raggiunti con il Trattato di Zurigo e Londra del 1960 tra il Regno Unito – ex potenza coloniale -, la Grecia e la Turchia, a cui le due comunità isolane facevano riferimento per lingua, cultura e politica. La comunità greco-cipriota costituiva all’epoca all’incirca il 78% dell’intera popolazione, mentre quella turca il 22%. Con quel Trattato si legittimava l’intervento militare di ciascun garante in caso di sensibile alterazione dello status politico dell’isola.

    L’intervento militare turco, ritenuto dalla Grecia e dai suoi sostenitori un’invasione, fu denominato da Ankara “Operazione di pace a Cipro”. Dopo una serie di negoziati, si è giunti a un cessate il fuoco che tuttavia non ha impedito alla Turchia di assumere il controllo di una superficie pari a circa il 36% dell’isola cipriota. La linea del cessate il fuoco dell’agosto 1974 è diventata la zona cuscinetto delle Nazioni Unite a Cipro (linea verde). Nel 1983 la repubblica turca di Cipro del Nord ha poi dichiarato l’indipendenza, anche se la Turchia è l’unico Paese che ne riconosce l’effettiva legittimità. La comunità internazionale considera questo territorio come parte della Repubblica di Cipro occupato dalla Turchia. L’occupazione è considerata illegale ai sensi del diritto internazionale, anche perché Cipro è diventato nel frattempo un Paese membro dell’Unione europea.

    Come riporta il quotidiano turco “Daily Sabah”, oggi rappresenta una fonte di tensione anche il controllo della zona economica esclusiva offshore dell’isola di Cipro, di cui oltre il 40% è stato rivendicato dalla Turchia. Ankara continua a non riconoscere la legittimità dell’amministrazione greco-cipriota e mantiene ancora nel nord circa 35mila militari. A causa degli embarghi internazionali, tutti i voli per l’autoproclamata repubblica di Cipro del nord devono effettuare almeno uno scalo in Turchia.

  • Critiche della Corte dei conti europea ai fondi alla Turchia per fermare i flussi migratori

    Nonostante recenti miglioramenti, gli svariati miliardi messi a disposizione dall’Ue per i rifugiati in Turchia avrebbero potuto conseguire un migliore rapporto costi-benefici e dimostrare un maggiore impatto. E’ quanto si legge in una relazione della Corte dei conti europea. Benché lo strumento per i rifugiati in Turchia da 6 miliardi di euro abbia risposto ai bisogni delle comunità turche che li ospitano, i progetti finanziati sono in ritardo rispetto alle scadenze previste e, una volta terminato il sostegno Ue, non è certo che verranno continuati.

    Data la sua posizione geografica, la Turchia rappresenta un importante paese di accoglienza e di transito di rifugiati e migranti diretti verso l’Europa. Nell’ultimo decennio, il numero di rifugiati in questo Paese è aumentato, generando crescenti sfide alla coesione sociale. La Turchia ospita attualmente più di quattro milioni di rifugiati registrati, di cui oltre 3,2 milioni di origine siriana; meno del 5% di questi vive in campi. Nel 2015, l’Ue ha creato lo strumento per erogare e coordinare 6 miliardi di euro di aiuti umanitari e allo sviluppo per questo Paese. Gli aiuti sono stati gestiti dalla Commissione in un contesto di rallentamento economico della Turchia e di peggioramento delle sue relazioni con l’Ue, anche a causa dei passi indietro di questo paese nel campo dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali.

    “In un contesto politico difficoltoso, lo strumento dell’Ue per i rifugiati in Turchia ha fornito un importante sostegno ai rifugiati e alle comunità ospitanti”, ha affermato Bettina Jakobsen, rappresentante della Corte responsabile dell’audit. “Potrebbe però esservi un migliore rapporto costi-benefici e un maggiore impatto, e non è per nulla sicuro quello che succederà ai progetti in Turchia quando verranno meno gli aiuti dell’Ue”. Partendo dalle raccomandazioni già formulate dalla Corte nel 2018, la Commissione europea ha migliorato le modalità di funzionamento dello Strumento. Per rispondere a precedenti critiche, ha notevolmente migliorato i progetti che forniscono assistenza in denaro ai rifugiati, conseguendo risparmi dell’ordine di 65 milioni di euro. In aggiunta, ha ridotto i costi amministrativi: in altre parole, più soldi sono potuti arrivare ai destinatari finali. La Commissione non ha però valutato in modo sistematico la ragionevolezza dei costi dei progetti, il che ne mette a rischio l’efficienza.

    Nel complesso, gli aiuti dell’Ue hanno garantito un celere finanziamento e notevoli investimenti per alleviare la pressione sulle infrastrutture sanitarie, scolastiche e comunali causata dall’elevato afflusso di rifugiati nel paese, nonché per evitare tensioni sul mercato del lavoro. Tuttavia, i progetti di sviluppo hanno subito gravi ritardi per ragioni diverse, quali ad esempio norme di costruzione più rigorose, la pandemia di Covid-19 e il tasso di inflazione in aumento. Anche i devastanti terremoti che hanno colpito il paese nel febbraio 2023 hanno avuto un impatto significativo sui progetti, sebbene la risposta della Commissione sia stata celere.

    I progetti pianificati, quali ad esempio quelli in materia di formazione professionale e di avviamento d’impresa per i rifugiati, sono stati in generale realizzati. Tuttavia, il monitoraggio è stato insufficiente, in quanto non è arrivato a misurarne l’impatto. A titolo di esempio, non è stato monitorato il successivo status occupazionale o imprenditoriale dei rifugiati. Analogamente, sono state costruite nuove scuole per rifugiati, ma gli auditor della Corte non sono riusciti ad ottenere dal ministero turco dati sufficienti per valutarne l’impatto sui beneficiari.

    La sostenibilità degli interventi dell’Ue e la co-titolarità della Turchia sono di fondamentale importanza; per questo motivo la Commissione lavora per affidare la gestione dei progetti alle autorità turche. Tuttavia, è riuscita ad assicurare la sostenibilità solo di progetti infrastrutturali come la costruzione di scuole e ospedali, ma non del sostegno socioeconomico (ossia occupazionale), e non si sa se i suoi progetti-faro nel campo dell’istruzione e della sanità continueranno senza il sostegno dell’Ue. L’esecutivo dell’Ue ha anche provato a migliorare l’ambiente operativo per le Ong internazionali, ma la mancanza di volontà politica delle autorità nazionali ridurrà l’impatto degli sforzi profusi.

  • Turchia e Somalia discutono di affari e di difese militari

    Il presidente della Somalia Hassan Sheikh Mohamud ha incontrato il 2 marzo il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan ad Antalya, nel quadro del Forum della diplomazia in corso. Lo ha riferito la presidenza turca, precisando che le parti hanno discusso di temi tra cui la cooperazione economica e di difesa. I due governi hanno concluso lo scorso 8 febbraio un accordo volto a rafforzare la cooperazione bilaterale e il partenariato strategico bilaterale, soprattutto nei settori della sicurezza marittima e dell’economia blu.

    In base all’accordo, firmato dai rispettivi ministri della Difesa e ratificato di recente dal parlamento somalo, la Turchia fornirà addestramento e attrezzature alla Marina somala, consentendo alla Somalia di proteggere le sue risorse marine e le acque territoriali da minacce come il terrorismo, la pirateria e le “interferenze straniere”. L’accordo stimolerà inoltre lo sviluppo economico e le relazioni commerciali tra i due Paesi, poiché la Turchia aiuterà la Somalia a sfruttare il suo vasto potenziale di pesca, turismo ed energia. Il primo ministro Hamse Abdi Barre, che ha presieduto la riunione di gabinetto che ha approvato l’accordo, lo ha salutato come un risultato “storico” per il Paese e ha ringraziato la Turchia per il suo incrollabile sostegno e l’amicizia dimostrata.

    L’accordo è stato accolto favorevolmente dall’opinione pubblica somala e dalla comunità internazionale, che lo ha elogiato come un passo positivo per la pace e la stabilità della regione. La Somalia e la Turchia intrattengono relazioni strette e cordiali sin dall’istituzione di rapporti diplomatici nel 1960. La Turchia è uno dei maggiori donatori e investitori in Somalia e ha contribuito a vari settori come la sanità, l’istruzione, le infrastrutture e gli aiuti umanitari.

  • Per Erdogan anche in guerra c’è una legge, ma non lo ricorda a Putin

    Erdogan, riferendosi ad Israele e, come al solito, attaccandolo, dice “anche in guerra c’è una legge.”

    Perché non lo ricorda al suo amico Putin che da quasi due anni sta massacrando il popolo ucraino senza alcuna giustificazione se non la sua brama di sangue e potere!

    Secondo Erdogan sono diversi dai palestinesi i civili bombardati in Ucraina, i bambini morti o rapiti, gli ospedali o le case e le chiese rase al suolo, il grano, necessario anche ad altri paesi affamati, bruciato dalle bombe russe, le donne stuprate, i civili torturati? Certo non sono musulmani gli ucraini e forse perciò sono meno interessanti per il leader turco che continua, nonostante l’età, a sognare di essere un riunificatore del mondo arabo e musulmano mentre nelle sue carceri sono detenuti giornalisti, uomini di pensiero, un gran numero di coloro che non la pensano come lui, come ogni dittatore imprigiona la protesta per non confrontarsi con la realtà ma non si possono, in eterno, far stolti gli dei per far brillare come giuste le proprie colpe.

  • La Commissione apre il programma Europa digitale alla Turchia

    La Commissione europea ha firmato un accordo di associazione con la Turchia nell’ambito del programma Europa digitale. L’accordo di associazione entrerà in vigore dopo le firme e il completamento dei processi di ratifica. Le imprese, le pubbliche amministrazioni e altre organizzazioni ammissibili in Turchia potranno accedere agli inviti del programma Europa digitale, che gode di una dotazione complessiva di 7,5 miliardi di € per il periodo 2021-2027.

    In particolare, i partecipanti della Turchia potranno prendere parte a progetti che diffondono nell’UE tecnologie digitali in settori specifici quali l’intelligenza artificiale e le competenze digitali avanzate. Potranno inoltre istituire poli dell’innovazione digitale in Turchia.

    Con questo accordo di associazione l’Unione europea e la Turchia rafforzeranno i loro forti legami nel settore delle tecnologie digitali, con potenziali benefici derivanti dalle capacità e dalle risorse della Turchia negli ambiti contemplati dal programma Europa digitale, compresa l’IA.

    La Commissione auspica inoltre che la Turchia promuova legami più stretti con l’economia e la società dell’UE, collabori maggiormente allo sviluppo delle nostre capacità tecnologiche e sostenga la digitalizzazione, in particolare delle piccole e medie imprese.

    I fondi del programma Europa digitale integreranno i finanziamenti a disposizione della Turchia a titolo di altri programmi dell’UE, come Orizzonte Europa. Gli obiettivi e i settori tematici specifici attualmente ammissibili al finanziamento sono specificati nei programmi di lavoro.

  • Ancora schermaglie tra Svezia e Turchia sull’ampliamento della Nato

    L’adesione della Svezia e della Finlandia alla Nato si conferma un percorso a ostacoli, per l’incognita di un possibile veto di Recep Tayyp Erdogan. «La Turchia ha avanzato richieste che non possiamo accettare», è l’ultimo allarme lanciato dal governo di Stoccolma. Resta ottimista invece il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg, secondo cui la partita si può chiudere positivamente entro quest’anno.

    Dopo l’intesa a tre firmata a giugno per sbloccare l’impasse (Svezia e Finlandia rinunciano a ospitare militanti del Pkk in cambio del sì turco all’adesione alla Nato), i punti di frizione non appaiono ancora essere stati superati. In particolare Stoccolma, che ha legami più solidi con la diaspora curda, è accusata da Ankara di non aver fatto abbastanza per estradare sospetti terroristi. Ora però il premier svedese Ulf Kristersson ha messo in chiaro che il suo governo ha rispettato i suoi impegni. «La Turchia ha confermato che abbiamo fatto quello che avevamo promesso, ma dice anche che vuole cose che noi non possiamo, che non vogliamo, dare», ha detto Kristersson durante una conferenza sulla sicurezza a Salen. Aggiungendo che la decisione di Erdogan dipenderà molto dalla “politica interna» turca: un chiaro riferimento alle presidenziali di giugno, in cui il sultano corre per la riconferma.

    Quanto alla Nato, si mantiene il profilo di fiduciosa attesa. Stoltenberg, sempre dalla conferenza di Salen, ha detto di aspettarsi un’adesione di Svezia e Finlandia entro il 2023, perché i 2 Paesi «sono chiaramente impegnati in una cooperazione a lungo termine con la Turchia». E l’ingresso dei 2 Paesi nell’Alleanza è fondamentale, nella misura in cui l’aggressività russa mostrata in Ucraina può avere conseguenze anche sulla “sicurezza delle regioni nordiche» dell’Europa, ha sottolineato Stoltenberg.

    La Svezia, in attesa del fatidico sì di Ankara (e di Budapest, che però non appare un ostacolo), parteciperà ai pattugliamenti della Nato nel Mare del Nord: un ulteriore segnale da parte del blocco militare occidentale che l’adesione di Stoccolma non è più una questione di se, ma di quando.

  • Vittoria dell’UE nel procedimento presso l’OMC riguardante le pratiche discriminatorie della Turchia in materia di prodotti farmaceutici

    L’UE accoglie con favore la sentenza arbitrale d’appello pronunciata dall’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel procedimento intentato dall’UE contro la Turchia in materia di prodotti farmaceutici. Questa sentenza di appello conferma la decisione del panel ed evidenzia come la misura di localizzazione discrimini i prodotti farmaceutici stranieri in quanto non si tratta di una forma di appalto pubblico di prodotti farmaceutici. Non è inoltre intesa a conseguire obiettivi di salute pubblica, né a garantire il rispetto delle leggi che impongono alla Turchia di assicurare alla sua popolazione un’assistenza sanitaria accessibile, efficace e finanziariamente sostenibile. In particolare le pratiche discriminatorie obbligano i produttori stranieri di prodotti farmaceutici a trasferire la loro produzione in Turchia affinché tali prodotti possano essere oggetto di rimborso da parte dei sistemi di sicurezza sociale del paese. Tali pratiche non sono pertanto compatibili con gli impegni assunti dalla Turchia nell’ambito dell’OMC.

    Questa decisione rappresenta la prima sentenza arbitrale d’appello a norma dell’articolo 25 dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie (DSU) dell’OMC e la prima decisione in appello dell’OMC da oltre due anni, a causa della paralisi dell’organo d’appello. L’appello in questione è stato reso possibile grazie alle procedure d’arbitrato d’appello concordate tra l’UE e la Turchia, che sono state trasmesse ai membri dell’OMC il 25 marzo 2022.

    Concordando tali procedure d’arbitrato, l’UE e la Turchia hanno fatto in modo di garantire che una risoluzione delle controversie pienamente operativa, comprendente un esame d’appello, potesse continuare in seno all’OMC per questo procedimento nonostante la paralisi dell’organo d’appello. Sebbene si tratti di un accordo ad hoc tra l’UE e la Turchia, le sue norme e le sue procedure sono molto simili a quelle dell’accordo provvisorio in materia di arbitrato d’appello. L’importanza di questa procedura di arbitrato d’appello va quindi ben oltre il caso specifico.

    L’UE accoglie con favore in particolare gli sforzi profusi dagli arbitri per applicare le procedure in modo efficiente, consentendo la presentazione di una relazione ben motivata entro il termine di 90 giorni previsto dall’accordo.

    Il panel ha inoltre rilevato che la Turchia non può dare priorità ai prodotti farmaceutici nazionali rispetto a quelli stranieri per quanto riguarda gli accertamenti per i rimborsi e le domande di autorizzazione all’immissione in commercio. La Turchia non ha fatto ricorso contro le conclusioni del panel sulla misura di attribuzione della priorità, che restano pertanto valide e applicabili.

    La Turchia deve eliminare le sue misure di localizzazione e di attribuzione della priorità immediatamente o entro un periodo di tempo negoziato con l’UE o fissato da un arbitro dell’OMC.

    L’UE ha presentato tale controversia (DS583) contro la Turchia nell’aprile 2019. La relazione del panel è stata pubblicata il 28 aprile 2022, insieme all’appello presentato dalla Turchia contro la relazione del panel.

    Fonte: Commissione europea

  • La Turchia arresta il leader in carica dell’Isis ‘senza sparare un colpo’

    La Turchia ha arrestato l’uomo che in marzo era stato nominato nuovo leader dell’Isis, Abu al-Hasan al-Hashimi al-Qurashi, preso “senza sparare un solo colpo di pistola”:  lo ha rivelato il portale turco OdaTv, secondo cui l’operazione delle squadre anti terrorismo, in collaborazione con i servizi segreti di Ankara, è avvenuta nelle scorse settimane, dopo che l’abitazione del leader del ‘Califfato’ era stata tenuta d’occhio per giorni.

    Il presidente Recep Tayyip Erdogan è stato subito informato e, stando a quanto dice la stampa, dovrebbe commentare pubblicamente l’arresto, anche se non si sa esattamente quando.

    Secondo la ricostruzione, sarebbero state ottenute informazioni molto importanti in seguito all’interrogatorio. Abu al-Hasan al-Hashimi al-Qurashi è infatti finora l’unico leader dell’Isis ad essere stato catturato vivo e a non essersi fatto esplodere prima di essere preso, come il predecessore Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi e il primo storico leader dell’organizzazione, Abu Bakr al-Baghdadi. Entrambi morirono in seguito ad operazioni dirette dagli Usa, il primo nel 2019 e il secondo pochi mesi fa, a inizio febbraio. Al contrario dell’ultimo capo dell’Isis, il luogo dove i precedenti leader del califfato islamico si nascondevano, e dove si tolsero la vita, è lo stesso: la regione di Idlib, nel nordovest della Siria sul confine con la Turchia.

    L’area è da anni sotto il controllo di Ankara che nel 2016 ha iniziato una serie di operazioni militari oltre confine contro l’Isis ma anche per colpire le forze curde siriane dello Ypg, che a loro volta combattevano nella zona i militanti del sedicente Stato islamico con il sostegno degli Usa. Negli anni, le milizie curde hanno perso sempre più il controllo del territorio e pochi giorni fa Erdogan ha annunciato che presto l’esercito turco inizierà una nuova campagna militare contro di loro per completare il progetto di una zona di sicurezza sul confine con la Siria profonda 30 km.

    L’arresto del nuovo capo dell’Isis potrebbe gettare l’ombra del dubbio sulle accuse – frequenti in passato sia da parte di Mosca che dall’Occidente – secondo cui la Turchia avrebbe avuto presunti rapporti con il califfato islamico, o con gruppi ad esso legati. Sicuramente, il successo dell’operazione dell’antiterrorismo rafforza le recenti dichiarazioni del Segretario della Nato Jens Stoltenberg che, durante il forum di Davos, ha sottolineato “il ruolo chiave nella lotta all’Isis” da parte di Ankara. Nel suo discorso, il Segretario generale ha anche affermato che “nessun altro alleato Nato ha sofferto più attacchi terroristici della Turchia”.

    Il Paese è stato duramente colpito dalla violenza dell’Isis che, tra il 2015 e il 2016, ha messo a segno e rivendicato una lunga serie di attentati con oltre 200 vittime in meno di due anni. La magistratura turca ha condannato vari militanti del sedicente Stato islamico, ad esempio, per la strage a una manifestazione di protesta ad Ankara nell’ottobre del 2015, che con oltre 100 vittime resta l’attentato con più morti nella storia della repubblica turca.

  • Per mediare con lo zar occorrono solo un imperatore e un califfo?

    Le accuse di Pechino alla Nato ed agli Stati Uniti, considerati dal Dragone i responsabili della guerra in Ucraina, sono l’ennesimo esempio della strategia che la Cina ha messo in essere da tempo, ma questa ultima dichiarazione fa ben comprendere come sia difficile credere che l’imperatore cinese possa essere il mediatore più adatto a fermare Putin e a fargli accettare la pace.

    Tralasciando le iniziative cinesi degli ultimi anni, acquisizioni di importanti porti internazionali come del debito di molti paesi africani, espansione continua della propria area di influenza politica e commerciale, dure repressioni verso coloro che rivendicavano un po’ di autonomia e libertà, come Hong Kong, o un minimo di diritti umani, come gli uiguri, non possiamo dimenticare i colpevoli silenzi e le informazioni che la Cina ha negato al mondo all’inizio della pandemia. Proprio in questi giorni nuovi studi rilanciano la sempre più consistente probabilità che il covid si sia espanso per la fuga del virus da un loro laboratorio. Inoltre già dalla scorsa estate i cinesi hanno iniziato due operazioni entrambi preoccupanti: l’acquisto e l’accantonamento di molti prodotti alimentari e di alcune materie prime e il rallentamento nelle consegna di molte merci destinate all’Occidente. Se aggiungiamo a questi pochi, ma significativi ed incontestabili fatti, che la Cina, da mesi, riceveva dalla  Russia più gas di quanto era contemplato dal  contratto, che è stato siglato da poche settimane un nuovo accordo per una ancor più ingente fornitura e che Putin e Xi Jinping hanno platealmente rinsaldato i loro rapporti di amicizia e collaborazione, si comprende bene come sia più che legittimo ritenere che il presidente cinese conoscesse, almeno in gran parte, le vere intenzioni di Putin verso l’Ucraina.

    C’è in gioco, per i due autocrati con ambizioni imperiali, la capacità di poter influenzare il resto del mondo sia economicamente che militarmente assicurandosi che nessuno possa frapporsi per impedire le loro mire espansioniste e la coercizioni che esercitano sui loro popoli e su quelli che hanno conquistato o conquisteranno.

    Il mondo libero deve cominciare a comprendere che sono messe in pericolo tutte le conquiste fatte nei decenni passati, dalla democrazia alla libertà, dai diritti umani al mercato e al benessere sociale.

    Gravi responsabilità pesano su alcuni governi ed istituzioni occidentali se, per avere un mediatore in grado di trattare con Putin, si deve sperare in Erdogan o in Xi Jinping, entrambi noti, all’interno e all’esterno del loro Paese, per il disprezzo che hanno dimostrato verso la democrazia ed il diritto.

    Terminata la guerra, ci auguriamo presto e senza altri drammatici eventi, il mondo libero dovrà cominciare seriamente a pensare a come rivedere il modo di rapportarsi, anche sul piano economico, con paesi e governi che non credono nei suoi valori fondanti.

  • Amicizie occulte e sudditanze pericolose

    La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi,
    che  si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie.

    Aristotele; Politica

    Un proverbio cinese ci avverte che bisogna fare molta attenzione a chi arriva con un regalo perché chiederà sicuramente un favore. Una saggezza millenaria quella, che si verifica spesso, non soltanto tra gli esseri umani, ma anche quando si tratta di rapporti governativi tra Paesi diversi. E soprattutto quando quelli che governano e gestiscono la cosa pubblica hanno stabilito tra di loro dei rapporti occulti e delle sudditanze ed ubbidienze pericolose.

    Una settimana fa, lunedì 17 gennaio, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è stato in Albania per una visita ufficiale, anche se, realmente, è stata proprio una visita per incontrare ed accordarsi con il suo “amico e discepolo”, il primo ministro albanese. Con colui che non nasconde, anzi, esprime pubblicamente la sua “ammirazione” per l’illustre ospite. Colui che proprio quel lunedì dichiarava che era “…molto orgoglioso di potersi considerare amico del presidente Erdogan”. Guarda caso, il protocollo di Stato aveva escluso dagli incontri, anche quello, protocollarmente obbligatorio, tra i due omologhi. E cioè dell’ospite, nella qualità di Presidente della Turchia e del Presidente albanese. Una “inedita protocollare” che non è stata mai spiegata e chiarita da chi di dovere, nonostante l’espresso interessamento pubblico e mediatico.

    Durante quella breve ma intensa visita in Albania il 17 gennaio scorso, il presidente turco era venuto anche per inaugurare quanto aveva “generosamente regalato” in precedenza, durante la visita del primo ministro albanese in Turchia, il 6 – 7 gennaio 2021. Si è trattato di 522 unità abitative in una località colpita dal terremoto del 26 novembre 2019. Dei regali per il povero e bisognoso popolo albanese. Ma soprattutto dei “regali” per il suo amico e discepolo, il primo ministro. Si è trattato e si tratta di “regali”, di supporto, anche elettorale, come nel caso di un ospedale in una città albanese, bastione del partito del primo ministro. Un’altra promessa fatta dal presidente turco al suo “fratello ed amico” albanese nel gennaio 2021, proprio tre mesi prima delle elezioni politiche del 25 aprile. L’ospedale è stato ormai inaugurato l’anno scorso, come promesso. Chissà però in cambio di quali favori quei “regali”?! E dei favori fortemente voluti e richiesti, anche pubblicamente, ci sono e come!

    Lunedì 17 gennaio, il presidente turco ha inaugurato la restaurazione, con dei finanziamenti turchi, di una moschea nel pieno centro della capitale albanese. Ma come ci insegna il sopracitato proverbio cinese, non è mancata neanche la richiesta del presidente turco, dopo i regali fatti. Una richiesta per il suo “fratello”, per il suo “amico”, per il primo ministro albanese; una sola, ma all’esaudimento della quale il presidente turco ci tiene fortemente e in maniera determinata. Una richiesta fatta anche prima. Una richiesta però, che mette in serie difficoltà il primo ministro albanese perché lo mette tra due “fuochi” dai quali si guarda ben attentamente di non essere “bruciato”: sia dal “fuoco” del suo “amico”, il presidente turco, sia dal “fuoco” dei Paesi occidentali e degli Stati Uniti d’America. Si tratta di una richiesta, quella pubblicamente fatta dal presidente turco, che riguarda tutto quello e quelli che hanno a che fare con colui che, fino al 2012, era un suo caro amico e stretto collaboratore. Colui che però, dal 2013, ha denunciato pubblicamente diversi scandali di corruzione, che vedevano direttamente coinvolto l’attuale presidente turco e/o i suoi familiari. E proprio per quella ragione, da quel periodo lui diventò un pericoloso nemico da perseguire e combattere, ad ogni costo. Quel nemico è Fethullah Gülen. Ed insieme con lui tutti i suoi collaboratori e sostenitori, compresi tutti gli appartenenti dell’organizzazione FETÖ (Fethullahçı Terör Örgütü – Organizzazione del Terrore Gülenista; n.d.a.), ovunque loro si trovino nel mondo. Anche in Albania. Il presidente turco considera Gülen l’ideatore e l’organizzatore del fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016 in Turchia. Ormai lui è il principale ricercato dalla giustizia turca, accusato di terrorismo. Da anni ormai Gülen si trova negli Stati Uniti d’America. Ragion per cui la Turchia ha chiesto, a più riprese, alle autorità statunitensi la sua estradizione. Estradizione che è stata però sempre rifiutata. Non solo, ma sia gli Stati Uniti che tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno fermamente condannato le accuse di Erdogan nei suoi confronti. Questo acerrimo nemico del presidente turco, un noto politologo e predicatore dell’Islam, è anche il fondatore di una ben altra organizzazione, il Movimento Gülen. Egli è, allo stesso tempo, tra i fondatori dell’Associazione per la Lotta contro il Comunismo, nonché il fondatore di una rete di scuole e altre strutture di insegnamento privato, ben radicate sia in Turchia che in altri paesi, Albania compresa. Ma il presidente turco, nonostante la protezione personale data al suo principale nemico dagli Stati Uniti d’America, non demorde mai e, determinato, usa ogni occasione ed ogni mezzo per colpire e danneggiare sia il suo nemico che i suoi collaboratori e sostenitori, compresa la rete di scuole da lui fondate. Ragion per cui il presidente turco continua ad insistere con la sua richiesta per combattere i sostenitori del Movimento Gülen e sradicare le strutture scolastiche da lui fondate e finanziate. Presenti anche in Albania. E così facendo, da anni, sta mettendo in seria difficoltà anche il primo ministro albanese, suo “discepolo” perché essendo il nemico del presidente turco protetto dagli Stati Uniti e sostenuto anche dai Paesi europei il primo ministro albanese, il “fratello e amico” del presidente turco, cerca in tutti i modi di esaudire le ripetute richieste del suo “idolo”, ma cerca anche, possibilmente, di fare tutto senza dare nell’occhio dell’altra parte. Mentre il presidente turco, determinato ed agguerrito com’è, non perde occasione di ripetere e pretendere che la sua richiesta sia presa e trattata con la dovuta attenzione ed esaudita prima possibile. Lo ha fatto determinato, ma anche con una certa arroganza e prepotenza, lunedì 17 gennaio, parlando ai deputati presenti nell’aula del Parlamento albanese. Riferendosi ai collaboratori e ai sostenitori del suo acerrimo nemico, il presidente turco ha detto che “…questo gruppo mantiene ancora la sua presenza in Albania nel settore dell’istruzione, della sanità, delle organizzazioni religiose e nel settore privato”. Poi ha “avvertito” i deputati che gli appartenenti alle organizzazioni fondate dal suo nemico rappresentano anche un “pericolo per la sicurezza nazionale dell’Albania”, come per la Turchia. E con dei “messaggi tra le righe”, riferendosi sempre ai suoi nemici, considerandoli come dei “terroristi che hanno le mani coperte di sangue”, ha ribadito che “mentre ci sono tante questioni tra noi di cui parlare, discutere e intraprendere dei passi verso il nostro futuro comune, a noi (presidente turco e i suoi; n.d.a.) dispiace che stiamo perdendo tempo per una simile cosa. Speriamo che durante il nostro prossimo incontro di turno, questa questione possa essere cancellata dalla nostra agenda!”.

    Parte integrante, molto importante e significativa della visita del presidente turco in Albania, lunedì scorso 17 gennaio, ben preparata e gestita dal “protocollo ufficiale”, era proprio, come sopracitato, anche la cerimonia per la restaurazione, con dei finanziamenti turchi, della moschea sulla piazza principale, in pienissimo centro di Tirana. Una cerimonia con la quale si è conclusa la breve visita del presidente turco e nella quale però il “protocollo ufficiale” non aveva previsto la presenza dei rappresentanti della Comunità musulmana dell’Albania. In realtà in quella cerimonia tutto parlava turco. Da colui che invitava a parlare tutti quelli che era previsto parlassero, alle scritture sul podio fino alle scenografie sui muri “ristrutturati” della moschea. Anche la preghiera è stata recitata in lingua turca da un alto religioso turco. Mentre la ragione della vistosa e molto significativa mancanza, durante quella cerimonia, dei rappresentanti della Comunità musulmana dell’Albania era “semplicemente” dovuta al fatto che il presidente turco considera loro come sostenitori del suo sopracitato acerrimo nemico.

    La visita del presidente turco lunedì scorso, 17 gennaio, in Albania ha suscitato molte contestazioni espresse pubblicamente da analisti, opinionisti, ma anche da molti semplici cittadini. E non solo per il fatto che quella visita coincideva proprio con il 554o anniversario della morte dell’Eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota. Di colui che per 25 anni consecutivi, dal 1443 e fino al 1468 (morì da malattia il 17 gennaio 1468), ha combattuto e vinto contro gli eserciti ottomani, alcune volte guidate personalmente dai sultani dell’epoca. Tenendo presente anche l’agenda della visita e le dichiarazioni del presidente turco il 17 gennaio scorso in Albania, la “coincidenza” sulla data scelta a molti è sembrata proprio come una sfida che l’ospite ed il caro “amico” del primo ministro faceva agli albanesi, i quali sono molto legati al loro Eroe nazionale. In più, sia il presidente turco che il suo anfitrione, il primo ministro albanese, durante quella visita, con le loro dichiarazioni hanno cercato di camuffare e di nascondere le vere ragioni della visita stessa. Hanno detto delle frasi che ne contraddicevano altre e non riuscivano a nascondere i veri obiettivi geostrategici della Turchia in Albania e nei Balcani. Tutto come previsto nella ormai nota Dottrina Davutoglu. Una dottrina quella che, da più di dieci anni ormai, è diventata parte integrante ed attiva della politica estera della Turchia. La Dottrina Davutoglu, fortemente sostenuta anche dall’attuale presidente turco, si basa sul principio dell’istituzione di una specie di Commonwelth degli Stati ex ottomani, dal nord Africa fino ai Balcani. Secondo questa dottrina, la Turchia dovrebbe diventare un “catalizzatore e motore dell’integrazione regionale”. La Turchia deve non essere “un’area di anonimo passaggio” ma diventare “l’artefice principale del cambiamento”. Mentre Erdogan, prima da primo ministro e poi da presidente, continua deciso all’attuazione di questa dottrina. Da alcuni anni l’autore di queste righe ha informato il nostro lettore, non solo della Dottrina Davutoglu, ma anche dei rapporti di “amicizia occulta” tra il presidente turche e il primo ministro albanese e di quelle che egli considera come delle “sudditanze pericolose”. (Erdogan come espressione di totalitarismo, 28 marzo 2017; Relazioni occulte e accordi peccaminosi, 11 gennaio 2021; Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere, 18 gennaio 2021).

    Chi scrive queste righe da tempo è convinto della pericolosità delle amicizie occulte e dei rapporti di ubbidiente sudditanza che crea e segue il primo ministro albanese con altri suoi “simili”. Compreso anche il presidente turco. Simili soprattutto per il loro comportamento con il potere istituzionale e per i loro rapporti con i principi della democrazia. Simili per la loro arroganza e prepotenza e per il loro modo despotico di calpestare i sacrosanti diritti innati, acquisiti e riconosciuti dell’essere umano. Ma simili anche per le loro capacita demagogiche con le quali cercano e spesso anche riescono ad ingannare i propri cittadini. Confermando così quanto pensava Aristotele circa cinque secoli fa. E cioè che “La maggior parte dei tiranni sono stati demagoghi che si sono acquistata la fiducia del popolo con le calunnie”.

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