Turchia

  • Accordo per la cooperazione nella difesa tra Turchia e Somalia

    Prosegue con un nuovo accordo, questa volta di cooperazione finanziaria in ambito di difesa, il rafforzamento delle relazioni di Somalia e Turchia. Lo ha riferito “Garowe online”, dando notizia dell’intesa firmata dal ministro della Difesa somalo Abdulkadir Nur e dalla controparte turca Yaşar Guler. In base al documento, la Turchia fornirà ora al Paese del Corno d’Africa assistenza finanziaria per progetti di sviluppo militare, venendo incontro alle esigenze di Mogadiscio di colmare le lacune in termini di nuove tecnologie e modernizzazione delle attrezzature. L’accordo prevede anche investimenti in infrastrutture critiche che sono essenziali per migliorare le prestazioni delle Forze armate nazionali somale. Il rafforzamento delle relazioni con la Turchia si inserisce per Mogadiscio nel delicato processo di ripristino delle competenze di sicurezza affidate negli anni alle missioni internazionali e all’evolversi di queste ultime nell’instabile contesto regionale. Il dispositivo militare messo in campo dalla Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia (Atmis) è infatti in fase di ritiro e al suo posto subentrerà dal prossimo primo gennaio un’analoga missione denominata Aussom.

    Alle truppe di Gibuti, Kenya, Uganda e Burundi si aggiungeranno quelle egiziane, a discapito di quelle etiopi, invise a Mogadiscio per via del contenzioso in corso da mesi con Addis Abeba. La Somalia e la Turchia hanno firmato un patto di difesa a febbraio che ha dato ad Ankara l’autorità esplicita di sviluppare le capacità marittime di Mogadiscio “per combattere le attività illegali e irregolari nelle sue acque territoriali”. A luglio, il parlamento turco ha approvato l’impiego di navi militari sulla costa della Somalia, in vista di future attività di esplorazione petrolifera. La nave da ricerca turca Oruc Reis condurrà studi sismici nelle acque somale, raccogliendo dati per l’esplorazione di petrolio e gas naturale per circa sette mesi. La Turchia ha fatto enormi investimenti nella sicurezza e nello sviluppo della Somalia da quando il presidente Tayyip Erdogan ha fatto il suo primo viaggio nel Paese, nel 2011. Proprio nel Paese africano Ankara ha basato la sua più grande struttura di addestramento militare all’estero.

  • Una pericolosa sudditanza

    Finché possiamo dire ‘quest’è il peggio’, vuol dir che il peggio ancora può venire.

    William Shakespeare; da “Re Lear”

    “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati…”. Sono dei versi di uno scrittore turco. Versi che sono stati pronunciati nel 1998 anche dall’allora sindaco di Istanbul (1994 – 1998), attualmente presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan. E proprio per aver recitato questi versi in pubblico, lui è stato condannato, nel novembre 1998, con la pena di dieci mesi ed il divieto di ricoprire cariche pubbliche a vita. Per i giudici il suo discorso pubblico è stato “un’attacco allo Stato ed incitamento all’odio religioso”. Una condanna della quale scontò soltanto quattro mesi di prigione. In più è stata annullata, dopo circa tre anni ed in seguito ad un emendamento costituzionale, anche quella parte della condanna che riguardava il divieto di ricoprire delle cariche pubbliche a vita.

    Nel 2001 Erdogan è stato uno dei fondatori del partito della Giustizia e dello Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP; n.d.a.). Un partito che nel 2002 vinse con il 34,3% dei consensi, diventando il primo partito del Paese. Erdogan nel 2003 divenne il 59° primo ministro della Turchia. Incarico che ha mantenuto fino al 2014. Mentre il 28 agosto del 2014, è stato eletto 12o presidente della Turchia. Dopo quella sua elezione, Erdogan si è dimesso dalla guida del partito. In seguito al fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016, lui ha deciso di rafforzare i propri poteri. Perciò, come presidente della Repubblica, ha decretato lo svolgimento del referendum costituzionale il 16 aprile 2017. Referendum che gli ha permesso, tra l’altro, di diventare di nuovo anche il dirigente del partito AKP. Bisogna sottolineare che Erdogan non ha mai nascosto anche la sua propensione per la religione islamica. E durante la sua lunga carriera politica ha contribuito attivamente ad un continuo e progressivo aumento del ruolo della religione islamica nella vita del Paese. E così facendo, Erdogan ha rinnovato il rapporto tra lo Stato e la religione islamica in Turchia. Invece, con un apposito emendamento della Costituzione del 1924, nel 1928 la Turchia si proclamava Stato laico. Un emendamento che non riconosceva più l’Islam come la religione dello Stato turco.

    La Turchia, negli ultimi decenni, oltre ad aver attuato una crescita economica, ha avuto anche un ruolo non trascurabile negli sviluppi geopolitici regionali. Il che ha permesso ad Erdogan, sia come primo ministro che in seguito come presidente, di mettere attivamente in pratica quella che ormai viene riconosciuta come la “Dottrina Davutoğlu”. Una dottrina presentata in un libro di un professore di relazioni internazionali all’università di Istanbul. Il libro, intitolato Profondità Strategica. La Posizione Internazionale della Turchia, è stato pubblicato nel 2001. L’autore, Ahmet Davutoğlu, trattava nel suo libro quello che il presidente turco ai primi anni ’90 del secolo passato, Turgut Özal, considerava un obiettivo strategico della Turchia. Secondo il presidente “Il 21o secolo sarà il secolo dei turchi”. Il che poteva garantire una “… giusta posizione della Turchia nel mondo”. L’autore del sopracitato libro era convinto che “…era venuto il tempo di attuare un nuovo approccio proattivo e multidimensionale nella politica estera, cominciando con tutta l’area d’influenza dell’ex Impero ottomano”. Per lui erano “… molto importanti anche l’eredità storica e i legami etnico-religiosi e culturali stabiliti, intessuti e consolidati durante secoli dall’Impero Ottomano”. In seguito Ahmet Davutoğlu, per i suoi contributi, è stato consigliere di Erdogan, poi ministro degli Esteri (2009-2014) e anche primo ministro (2014-2016).

    L’Albania è stata parte integrante dell’Impero ottomano dal 1385 fino al 1912. Perciò, come tale, rappresenta uno dei Paesi ai quali si riferisce la “Dottrina Davutoğlu”. E i rapporti tra la Turchia e l’Albania durante questi ultimi anni lo confermano. Ma oltre ai rapporti istituzionali tra i due Paesi, soprattutto dal 2013 ad oggi, bisogna evidenziare anche i rapporti di “amicizia” tra il presidente turco ed il primo ministro albanese. Rapporti che, fatti accaduti e pubblicamente noti alla mano, dimostrano e testimoniano che più che rapporti tra due massimi rappresentanti istituzionali, sono rapporti personali, basati su degli “interessi” spesso non trasparenti. Rapporti che presentano il primo ministro albanese come un “ubbidiente sostenitore” delle volontà del presidente turco. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito, sia di questi rapporti che del contenuto della “Dottrina Davutoğlu” (Erdogan come espressione di totalitarismo, 28 marzo 2017; Relazioni occulte e accordi peccaminosi, 11 gennaio 2021; Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere, 18 gennaio 2021; Amicizie occulte e sudditanze pericolose, 24 gennaio 2022; Autocrati che usano gli stessi metodi non a caso si somigliano, 24 ottobre 2022; Come si può credere ad un ciarlatano?, 29 agosto 2023 ecc…).

    Nell’ambito di questi rapporti è stata anche la visita del presidente turco giovedì scorso, 10 ottobre, nella capitale albanese. Una visita che formalmente era dovuta all’inaugurazione della più grande moschea nei Balcani, costruita con dei finanziamenti turchi. Un’inaugurazione che, nonostante la costruzione della moschea fosse terminata da alcuni anni, è stata rimandata proprio per volontà del presidente turco. Sì, perché lui condizionava l’inaugurazione della moschea con la condanna dei sostenitori di Fethullah Gülen, un suo amico che poi è diventato un odiato nemico. Compresi anche alcuni dirigenti della Comunità musulmana albanese. Comunità che doveva prendere possesso della sopracitata moschea. Anche di questi fatti il nostro lettore è stato informato.

    Quello che è pubblicamente accaduto giovedì scorso ha testimoniato che il primo ministro albanese ha pienamente soddisfatto le richieste del presidente turco. La cerimonia dell’inaugurazione della moschea, vista la presenza del presidente turco, non è stata organizzata però dal protocollo dello Stato albanese, bensì da quello turco. I veri organizzatori della cerimonia non hanno invitato il dirigente della Comunità musulmana albanese e anche la maggior parte degli altri rappresentanti istituzionali della stessa Comunità. Senz’altro un’espressa condizione del presidente turco. Non solo, ma anche la cerimonia religiosa è stata presieduta da un imam turco, il quale è stato nominato dalle autorità del suo Paese come l’imam della nuova moschea. Da fonti ben informate risulterebbe che dentro la moschea erano non pochi i partecipanti non albanesi, ma che conoscevano molto bene la lingua turca. Lingua con la quale sono stati svolti tutti i riti religiosi durante la cerimonia, e non più quella araba, come di consueto. Tutto quanto è accaduto giovedì scorso, 10 ottobre, durante la cerimonia d’inaugurazione della nuova moschea a Tirana, ha riconfermato che la “Dottrina Davutoğlu” sta funzionando in Albania ed il primo ministro albanese ubbidisce ed acconsente. Quanto è accaduto giovedì scorso testimonia anche una sua pericolosa sudditanza, la quale potrebbe avere delle conseguenze non auspicabili e non solo per la stessa comunità musulmana albanese. Bisogna sottolineare che durante la sua visita il presidente turco ha annunciato anche un accordo per fornire dei droni kamikaze da combattimento “TB2 Bayraktar” all’esercito albanese. Droni che, guarda caso, si producono nelle fabbriche del genero di Erdogan. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe considera come una vile e pericolosa sudditanza quella del primo ministro albanese nei confronti del presidente turco. Un autocrate con i cittadini albanesi, ma che ubbidisce vergognosamente però a colui che è ormai noto come il nuovo “sultano turco”. E con quell’autocrate, che ubbidisce al “sultano”, ma anche alla criminalità organizzata e ai clan occulti, il peggio non è finito per gli albanesi e non solo. Perché, come scriveva William Shakespeare, finché possiamo dire ‘quest’è il peggio’, vuol dir che il peggio ancora può venire.

  • Von der Leyen contro Erdogan: per la Ue Cipro è una sola ed è tutta unita

    I ciprioti “meritano di vivere in un Paese riunito in condizioni di pace, convivenza, stabilità e prosperità”. Lo ha sottolineato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in occasione del 50mo anniversario dello sbarco delle forze turche nell’isola. La questione di Cipro “è una questione europea”, ha aggiunto von der Leyen secondo quanto riferiscono i media di Nicosia. L’Ue, ha concluso von der Leyen, continuerà a sostenere gli sforzi di riunificazione in conformità con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

    Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha rilasciato una nota in occasione dell’anniversario dello sbarco, avvenuto nel 1974, in cui rende omaggio “a coloro che hanno perso la vita nel conflitto” e chiede un accordo di pace “in linea con il piano approvato dalle Nazioni Unite”. “Noi onoriamo coloro che sono scomparsi. E ci battiamo per uno Stato europeo unificato, basato sulle risoluzioni delle Nazioni Unite. Senza truppe di occupazione straniere”, ha dichiarato Mitsotakis, citando il poeta greco-cipriota Leonidas Malenis per descrivere Cipro come “una foglia verde-oro gettata sul mare”.

    La riunificazione è “l’unica strada percorribile per Cipro”, ha dichiarato il presidente cipriota, Nikos Christodoulides, in occasione dell’anniversario dello sbarco delle forze turche nell’isola, avvenuto 50 anni fa. “Non esiste nessun’altra opzione”, ha precisato il capo dello Stato parlando con i giornalisti a Nicosia nel giorno in cui l’omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, ha fatto invece visita nell’autoproclamata repubblica turca di Cipro del nord per le celebrazioni dell’anniversario. Come riporta l’agenzia di stampa “Anadolu”, Erdogan è partito il 20 luglio dall’aeroporto Ataturk di Istanbul ed è atterrato all’aeroporto Erklan, dove è stato accolto dal presidente de facto dell’autoproclamata repubblica cipriota del nord, Ersin Tatar, con una cerimonia di benvenuto a cui ha preso parte anche il premier Unal Ustel, insieme a rappresentanti istituzionali e diplomatici turchi.

    La Turchia definisce lo sbarco di 50 anni fa una “operazione di pace”: il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha scritto su X che Ankara “continuerà a difendere i diritti e gli interessi di Cipro”, sottolineando che “la pace e la tranquillità raggiunte sull’isola durano da mezzo secolo”. “Oggi commemoriamo anche i nostri martiri e veterani che hanno sacrificato la loro vita per l’esistenza dei turco-ciprioti, e che sono parte integrante della nostra nazione”, ha aggiunto Fidan.

    La Turchia “è aperta al dialogo per garantire la pace e arrivare a una soluzione permanente a Cipro”, ha detto Erdogan in occasione della sua visita. Come riporta la stampa turca, Erdogan si è detto “onorato” di celebrare la ricorrenza che “ha permesso al popolo turco-cipriota di ottenere la libertà”. “Ricordo con misericordia e gratitudine i nostri eroici martiri che hanno dato la vita per mantenere in vita il Paese. Possano le anime degli uomini coraggiosi caduti per il nostro Paese, la nostra bandiera, la nostra indipendenza e il nostro futuro riposare in pace”, ha affermato il presidente turco nel suo discorso. “La Turchia e la repubblica turca di Cipro del nord sono fianco a fianco. La nostra presenza qui oggi dimostra l’importanza che la nazione turca attribuisce alla causa di Cipro”, ha sottolineato Erdogan.

    Il presidente della Turchia ha spiegato che gli anni compresi tra il 1963 e il 1974 sono stati per i turco-ciprioti “un periodo pieno di sangue, lacrime e oppressione”. Secondo Erdogan, infatti, “il popolo turco-cipriota è stato escluso dallo Stato di cui è stato fondatore e partner, subendo un’oppressione disumana”. “Nel 1974, gli attacchi contro l’esistenza dei turco-ciprioti hanno raggiunto il loro apice. Esattamente 50 anni fa, il 20 luglio 1974, come patria e Paese garante abbiamo agito secondo i nostri diritti e doveri derivanti dagli accordi internazionali, con la responsabilità posta sulle nostre spalle dalla storia. Quel giorno abbiamo dimostrato al mondo intero che i turco-ciprioti non sono soli e non saranno mai lasciati soli”, ha affermato il presidente turco, ricordando che la cosiddetta “operazione di pace” a Cipro “ha salvato i turco-ciprioti dall’oppressione, ha portato loro libertà e prosperità e ha consentito di guardare al futuro con fiducia”. “Oggi celebriamo il 20 luglio come un simbolo della protezione dei diritti sovrani e dello status paritario del popolo turco-cipriota in linea con i suoi ideali di pace e stabilità”, ha sottolineato Erdogan. Il presidente turco ha poi accusato l’amministrazione della Repubblica di Cipro – riconosciuta a livello internazionale – a considerarsi come “l’unico sovrano dell’isola di Cipro”. “I greco-ciprioti non hanno intenzione di condividere il potere politico e la prosperità economica, che comprende le risorse naturali dell’isola, con i turco-ciprioti”, ha affermato Erdogan.

    L’isola di Cipro è oggi spartita dalla cosiddetta linea verde monitorata dall’Onu, che divide in due la nazione: a sud la Repubblica di Cipro riconosciuta dalla comunità internazionale, e nella parte settentrionale l’autoproclamata repubblica turca di Cipro del Nord. Nel 1974, la Turchia invase l’isola a seguito di un colpo di Stato militare che depose l’allora presidente cipriota, l’arcivescovo greco-ortodosso Makarios, alterando gli equilibri faticosamente raggiunti con il Trattato di Zurigo e Londra del 1960 tra il Regno Unito – ex potenza coloniale -, la Grecia e la Turchia, a cui le due comunità isolane facevano riferimento per lingua, cultura e politica. La comunità greco-cipriota costituiva all’epoca all’incirca il 78% dell’intera popolazione, mentre quella turca il 22%. Con quel Trattato si legittimava l’intervento militare di ciascun garante in caso di sensibile alterazione dello status politico dell’isola.

    L’intervento militare turco, ritenuto dalla Grecia e dai suoi sostenitori un’invasione, fu denominato da Ankara “Operazione di pace a Cipro”. Dopo una serie di negoziati, si è giunti a un cessate il fuoco che tuttavia non ha impedito alla Turchia di assumere il controllo di una superficie pari a circa il 36% dell’isola cipriota. La linea del cessate il fuoco dell’agosto 1974 è diventata la zona cuscinetto delle Nazioni Unite a Cipro (linea verde). Nel 1983 la repubblica turca di Cipro del Nord ha poi dichiarato l’indipendenza, anche se la Turchia è l’unico Paese che ne riconosce l’effettiva legittimità. La comunità internazionale considera questo territorio come parte della Repubblica di Cipro occupato dalla Turchia. L’occupazione è considerata illegale ai sensi del diritto internazionale, anche perché Cipro è diventato nel frattempo un Paese membro dell’Unione europea.

    Come riporta il quotidiano turco “Daily Sabah”, oggi rappresenta una fonte di tensione anche il controllo della zona economica esclusiva offshore dell’isola di Cipro, di cui oltre il 40% è stato rivendicato dalla Turchia. Ankara continua a non riconoscere la legittimità dell’amministrazione greco-cipriota e mantiene ancora nel nord circa 35mila militari. A causa degli embarghi internazionali, tutti i voli per l’autoproclamata repubblica di Cipro del nord devono effettuare almeno uno scalo in Turchia.

  • Critiche della Corte dei conti europea ai fondi alla Turchia per fermare i flussi migratori

    Nonostante recenti miglioramenti, gli svariati miliardi messi a disposizione dall’Ue per i rifugiati in Turchia avrebbero potuto conseguire un migliore rapporto costi-benefici e dimostrare un maggiore impatto. E’ quanto si legge in una relazione della Corte dei conti europea. Benché lo strumento per i rifugiati in Turchia da 6 miliardi di euro abbia risposto ai bisogni delle comunità turche che li ospitano, i progetti finanziati sono in ritardo rispetto alle scadenze previste e, una volta terminato il sostegno Ue, non è certo che verranno continuati.

    Data la sua posizione geografica, la Turchia rappresenta un importante paese di accoglienza e di transito di rifugiati e migranti diretti verso l’Europa. Nell’ultimo decennio, il numero di rifugiati in questo Paese è aumentato, generando crescenti sfide alla coesione sociale. La Turchia ospita attualmente più di quattro milioni di rifugiati registrati, di cui oltre 3,2 milioni di origine siriana; meno del 5% di questi vive in campi. Nel 2015, l’Ue ha creato lo strumento per erogare e coordinare 6 miliardi di euro di aiuti umanitari e allo sviluppo per questo Paese. Gli aiuti sono stati gestiti dalla Commissione in un contesto di rallentamento economico della Turchia e di peggioramento delle sue relazioni con l’Ue, anche a causa dei passi indietro di questo paese nel campo dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali.

    “In un contesto politico difficoltoso, lo strumento dell’Ue per i rifugiati in Turchia ha fornito un importante sostegno ai rifugiati e alle comunità ospitanti”, ha affermato Bettina Jakobsen, rappresentante della Corte responsabile dell’audit. “Potrebbe però esservi un migliore rapporto costi-benefici e un maggiore impatto, e non è per nulla sicuro quello che succederà ai progetti in Turchia quando verranno meno gli aiuti dell’Ue”. Partendo dalle raccomandazioni già formulate dalla Corte nel 2018, la Commissione europea ha migliorato le modalità di funzionamento dello Strumento. Per rispondere a precedenti critiche, ha notevolmente migliorato i progetti che forniscono assistenza in denaro ai rifugiati, conseguendo risparmi dell’ordine di 65 milioni di euro. In aggiunta, ha ridotto i costi amministrativi: in altre parole, più soldi sono potuti arrivare ai destinatari finali. La Commissione non ha però valutato in modo sistematico la ragionevolezza dei costi dei progetti, il che ne mette a rischio l’efficienza.

    Nel complesso, gli aiuti dell’Ue hanno garantito un celere finanziamento e notevoli investimenti per alleviare la pressione sulle infrastrutture sanitarie, scolastiche e comunali causata dall’elevato afflusso di rifugiati nel paese, nonché per evitare tensioni sul mercato del lavoro. Tuttavia, i progetti di sviluppo hanno subito gravi ritardi per ragioni diverse, quali ad esempio norme di costruzione più rigorose, la pandemia di Covid-19 e il tasso di inflazione in aumento. Anche i devastanti terremoti che hanno colpito il paese nel febbraio 2023 hanno avuto un impatto significativo sui progetti, sebbene la risposta della Commissione sia stata celere.

    I progetti pianificati, quali ad esempio quelli in materia di formazione professionale e di avviamento d’impresa per i rifugiati, sono stati in generale realizzati. Tuttavia, il monitoraggio è stato insufficiente, in quanto non è arrivato a misurarne l’impatto. A titolo di esempio, non è stato monitorato il successivo status occupazionale o imprenditoriale dei rifugiati. Analogamente, sono state costruite nuove scuole per rifugiati, ma gli auditor della Corte non sono riusciti ad ottenere dal ministero turco dati sufficienti per valutarne l’impatto sui beneficiari.

    La sostenibilità degli interventi dell’Ue e la co-titolarità della Turchia sono di fondamentale importanza; per questo motivo la Commissione lavora per affidare la gestione dei progetti alle autorità turche. Tuttavia, è riuscita ad assicurare la sostenibilità solo di progetti infrastrutturali come la costruzione di scuole e ospedali, ma non del sostegno socioeconomico (ossia occupazionale), e non si sa se i suoi progetti-faro nel campo dell’istruzione e della sanità continueranno senza il sostegno dell’Ue. L’esecutivo dell’Ue ha anche provato a migliorare l’ambiente operativo per le Ong internazionali, ma la mancanza di volontà politica delle autorità nazionali ridurrà l’impatto degli sforzi profusi.

  • Turchia e Somalia discutono di affari e di difese militari

    Il presidente della Somalia Hassan Sheikh Mohamud ha incontrato il 2 marzo il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan ad Antalya, nel quadro del Forum della diplomazia in corso. Lo ha riferito la presidenza turca, precisando che le parti hanno discusso di temi tra cui la cooperazione economica e di difesa. I due governi hanno concluso lo scorso 8 febbraio un accordo volto a rafforzare la cooperazione bilaterale e il partenariato strategico bilaterale, soprattutto nei settori della sicurezza marittima e dell’economia blu.

    In base all’accordo, firmato dai rispettivi ministri della Difesa e ratificato di recente dal parlamento somalo, la Turchia fornirà addestramento e attrezzature alla Marina somala, consentendo alla Somalia di proteggere le sue risorse marine e le acque territoriali da minacce come il terrorismo, la pirateria e le “interferenze straniere”. L’accordo stimolerà inoltre lo sviluppo economico e le relazioni commerciali tra i due Paesi, poiché la Turchia aiuterà la Somalia a sfruttare il suo vasto potenziale di pesca, turismo ed energia. Il primo ministro Hamse Abdi Barre, che ha presieduto la riunione di gabinetto che ha approvato l’accordo, lo ha salutato come un risultato “storico” per il Paese e ha ringraziato la Turchia per il suo incrollabile sostegno e l’amicizia dimostrata.

    L’accordo è stato accolto favorevolmente dall’opinione pubblica somala e dalla comunità internazionale, che lo ha elogiato come un passo positivo per la pace e la stabilità della regione. La Somalia e la Turchia intrattengono relazioni strette e cordiali sin dall’istituzione di rapporti diplomatici nel 1960. La Turchia è uno dei maggiori donatori e investitori in Somalia e ha contribuito a vari settori come la sanità, l’istruzione, le infrastrutture e gli aiuti umanitari.

  • Per Erdogan anche in guerra c’è una legge, ma non lo ricorda a Putin

    Erdogan, riferendosi ad Israele e, come al solito, attaccandolo, dice “anche in guerra c’è una legge.”

    Perché non lo ricorda al suo amico Putin che da quasi due anni sta massacrando il popolo ucraino senza alcuna giustificazione se non la sua brama di sangue e potere!

    Secondo Erdogan sono diversi dai palestinesi i civili bombardati in Ucraina, i bambini morti o rapiti, gli ospedali o le case e le chiese rase al suolo, il grano, necessario anche ad altri paesi affamati, bruciato dalle bombe russe, le donne stuprate, i civili torturati? Certo non sono musulmani gli ucraini e forse perciò sono meno interessanti per il leader turco che continua, nonostante l’età, a sognare di essere un riunificatore del mondo arabo e musulmano mentre nelle sue carceri sono detenuti giornalisti, uomini di pensiero, un gran numero di coloro che non la pensano come lui, come ogni dittatore imprigiona la protesta per non confrontarsi con la realtà ma non si possono, in eterno, far stolti gli dei per far brillare come giuste le proprie colpe.

  • La Commissione apre il programma Europa digitale alla Turchia

    La Commissione europea ha firmato un accordo di associazione con la Turchia nell’ambito del programma Europa digitale. L’accordo di associazione entrerà in vigore dopo le firme e il completamento dei processi di ratifica. Le imprese, le pubbliche amministrazioni e altre organizzazioni ammissibili in Turchia potranno accedere agli inviti del programma Europa digitale, che gode di una dotazione complessiva di 7,5 miliardi di € per il periodo 2021-2027.

    In particolare, i partecipanti della Turchia potranno prendere parte a progetti che diffondono nell’UE tecnologie digitali in settori specifici quali l’intelligenza artificiale e le competenze digitali avanzate. Potranno inoltre istituire poli dell’innovazione digitale in Turchia.

    Con questo accordo di associazione l’Unione europea e la Turchia rafforzeranno i loro forti legami nel settore delle tecnologie digitali, con potenziali benefici derivanti dalle capacità e dalle risorse della Turchia negli ambiti contemplati dal programma Europa digitale, compresa l’IA.

    La Commissione auspica inoltre che la Turchia promuova legami più stretti con l’economia e la società dell’UE, collabori maggiormente allo sviluppo delle nostre capacità tecnologiche e sostenga la digitalizzazione, in particolare delle piccole e medie imprese.

    I fondi del programma Europa digitale integreranno i finanziamenti a disposizione della Turchia a titolo di altri programmi dell’UE, come Orizzonte Europa. Gli obiettivi e i settori tematici specifici attualmente ammissibili al finanziamento sono specificati nei programmi di lavoro.

  • Ancora schermaglie tra Svezia e Turchia sull’ampliamento della Nato

    L’adesione della Svezia e della Finlandia alla Nato si conferma un percorso a ostacoli, per l’incognita di un possibile veto di Recep Tayyp Erdogan. «La Turchia ha avanzato richieste che non possiamo accettare», è l’ultimo allarme lanciato dal governo di Stoccolma. Resta ottimista invece il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg, secondo cui la partita si può chiudere positivamente entro quest’anno.

    Dopo l’intesa a tre firmata a giugno per sbloccare l’impasse (Svezia e Finlandia rinunciano a ospitare militanti del Pkk in cambio del sì turco all’adesione alla Nato), i punti di frizione non appaiono ancora essere stati superati. In particolare Stoccolma, che ha legami più solidi con la diaspora curda, è accusata da Ankara di non aver fatto abbastanza per estradare sospetti terroristi. Ora però il premier svedese Ulf Kristersson ha messo in chiaro che il suo governo ha rispettato i suoi impegni. «La Turchia ha confermato che abbiamo fatto quello che avevamo promesso, ma dice anche che vuole cose che noi non possiamo, che non vogliamo, dare», ha detto Kristersson durante una conferenza sulla sicurezza a Salen. Aggiungendo che la decisione di Erdogan dipenderà molto dalla “politica interna» turca: un chiaro riferimento alle presidenziali di giugno, in cui il sultano corre per la riconferma.

    Quanto alla Nato, si mantiene il profilo di fiduciosa attesa. Stoltenberg, sempre dalla conferenza di Salen, ha detto di aspettarsi un’adesione di Svezia e Finlandia entro il 2023, perché i 2 Paesi «sono chiaramente impegnati in una cooperazione a lungo termine con la Turchia». E l’ingresso dei 2 Paesi nell’Alleanza è fondamentale, nella misura in cui l’aggressività russa mostrata in Ucraina può avere conseguenze anche sulla “sicurezza delle regioni nordiche» dell’Europa, ha sottolineato Stoltenberg.

    La Svezia, in attesa del fatidico sì di Ankara (e di Budapest, che però non appare un ostacolo), parteciperà ai pattugliamenti della Nato nel Mare del Nord: un ulteriore segnale da parte del blocco militare occidentale che l’adesione di Stoccolma non è più una questione di se, ma di quando.

  • Vittoria dell’UE nel procedimento presso l’OMC riguardante le pratiche discriminatorie della Turchia in materia di prodotti farmaceutici

    L’UE accoglie con favore la sentenza arbitrale d’appello pronunciata dall’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel procedimento intentato dall’UE contro la Turchia in materia di prodotti farmaceutici. Questa sentenza di appello conferma la decisione del panel ed evidenzia come la misura di localizzazione discrimini i prodotti farmaceutici stranieri in quanto non si tratta di una forma di appalto pubblico di prodotti farmaceutici. Non è inoltre intesa a conseguire obiettivi di salute pubblica, né a garantire il rispetto delle leggi che impongono alla Turchia di assicurare alla sua popolazione un’assistenza sanitaria accessibile, efficace e finanziariamente sostenibile. In particolare le pratiche discriminatorie obbligano i produttori stranieri di prodotti farmaceutici a trasferire la loro produzione in Turchia affinché tali prodotti possano essere oggetto di rimborso da parte dei sistemi di sicurezza sociale del paese. Tali pratiche non sono pertanto compatibili con gli impegni assunti dalla Turchia nell’ambito dell’OMC.

    Questa decisione rappresenta la prima sentenza arbitrale d’appello a norma dell’articolo 25 dell’Intesa sulla risoluzione delle controversie (DSU) dell’OMC e la prima decisione in appello dell’OMC da oltre due anni, a causa della paralisi dell’organo d’appello. L’appello in questione è stato reso possibile grazie alle procedure d’arbitrato d’appello concordate tra l’UE e la Turchia, che sono state trasmesse ai membri dell’OMC il 25 marzo 2022.

    Concordando tali procedure d’arbitrato, l’UE e la Turchia hanno fatto in modo di garantire che una risoluzione delle controversie pienamente operativa, comprendente un esame d’appello, potesse continuare in seno all’OMC per questo procedimento nonostante la paralisi dell’organo d’appello. Sebbene si tratti di un accordo ad hoc tra l’UE e la Turchia, le sue norme e le sue procedure sono molto simili a quelle dell’accordo provvisorio in materia di arbitrato d’appello. L’importanza di questa procedura di arbitrato d’appello va quindi ben oltre il caso specifico.

    L’UE accoglie con favore in particolare gli sforzi profusi dagli arbitri per applicare le procedure in modo efficiente, consentendo la presentazione di una relazione ben motivata entro il termine di 90 giorni previsto dall’accordo.

    Il panel ha inoltre rilevato che la Turchia non può dare priorità ai prodotti farmaceutici nazionali rispetto a quelli stranieri per quanto riguarda gli accertamenti per i rimborsi e le domande di autorizzazione all’immissione in commercio. La Turchia non ha fatto ricorso contro le conclusioni del panel sulla misura di attribuzione della priorità, che restano pertanto valide e applicabili.

    La Turchia deve eliminare le sue misure di localizzazione e di attribuzione della priorità immediatamente o entro un periodo di tempo negoziato con l’UE o fissato da un arbitro dell’OMC.

    L’UE ha presentato tale controversia (DS583) contro la Turchia nell’aprile 2019. La relazione del panel è stata pubblicata il 28 aprile 2022, insieme all’appello presentato dalla Turchia contro la relazione del panel.

    Fonte: Commissione europea

  • La Turchia arresta il leader in carica dell’Isis ‘senza sparare un colpo’

    La Turchia ha arrestato l’uomo che in marzo era stato nominato nuovo leader dell’Isis, Abu al-Hasan al-Hashimi al-Qurashi, preso “senza sparare un solo colpo di pistola”:  lo ha rivelato il portale turco OdaTv, secondo cui l’operazione delle squadre anti terrorismo, in collaborazione con i servizi segreti di Ankara, è avvenuta nelle scorse settimane, dopo che l’abitazione del leader del ‘Califfato’ era stata tenuta d’occhio per giorni.

    Il presidente Recep Tayyip Erdogan è stato subito informato e, stando a quanto dice la stampa, dovrebbe commentare pubblicamente l’arresto, anche se non si sa esattamente quando.

    Secondo la ricostruzione, sarebbero state ottenute informazioni molto importanti in seguito all’interrogatorio. Abu al-Hasan al-Hashimi al-Qurashi è infatti finora l’unico leader dell’Isis ad essere stato catturato vivo e a non essersi fatto esplodere prima di essere preso, come il predecessore Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurashi e il primo storico leader dell’organizzazione, Abu Bakr al-Baghdadi. Entrambi morirono in seguito ad operazioni dirette dagli Usa, il primo nel 2019 e il secondo pochi mesi fa, a inizio febbraio. Al contrario dell’ultimo capo dell’Isis, il luogo dove i precedenti leader del califfato islamico si nascondevano, e dove si tolsero la vita, è lo stesso: la regione di Idlib, nel nordovest della Siria sul confine con la Turchia.

    L’area è da anni sotto il controllo di Ankara che nel 2016 ha iniziato una serie di operazioni militari oltre confine contro l’Isis ma anche per colpire le forze curde siriane dello Ypg, che a loro volta combattevano nella zona i militanti del sedicente Stato islamico con il sostegno degli Usa. Negli anni, le milizie curde hanno perso sempre più il controllo del territorio e pochi giorni fa Erdogan ha annunciato che presto l’esercito turco inizierà una nuova campagna militare contro di loro per completare il progetto di una zona di sicurezza sul confine con la Siria profonda 30 km.

    L’arresto del nuovo capo dell’Isis potrebbe gettare l’ombra del dubbio sulle accuse – frequenti in passato sia da parte di Mosca che dall’Occidente – secondo cui la Turchia avrebbe avuto presunti rapporti con il califfato islamico, o con gruppi ad esso legati. Sicuramente, il successo dell’operazione dell’antiterrorismo rafforza le recenti dichiarazioni del Segretario della Nato Jens Stoltenberg che, durante il forum di Davos, ha sottolineato “il ruolo chiave nella lotta all’Isis” da parte di Ankara. Nel suo discorso, il Segretario generale ha anche affermato che “nessun altro alleato Nato ha sofferto più attacchi terroristici della Turchia”.

    Il Paese è stato duramente colpito dalla violenza dell’Isis che, tra il 2015 e il 2016, ha messo a segno e rivendicato una lunga serie di attentati con oltre 200 vittime in meno di due anni. La magistratura turca ha condannato vari militanti del sedicente Stato islamico, ad esempio, per la strage a una manifestazione di protesta ad Ankara nell’ottobre del 2015, che con oltre 100 vittime resta l’attentato con più morti nella storia della repubblica turca.

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