Ucraina

  • I costi di questa guerra per noi

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta

    Quali siano le ragioni che abbiano spinto gli americani e gli europei a decidere che l’Ucraina dovesse diventare membro della NATO e dell’Unione Europea è bene cominciare a valutarne il prezzo per le tasche dei contribuenti occidentali. Lasciamo da parte i costi indiretti sulle economie europee che sono già sotto gli occhi di tutti e guardiamo a quelli messi a bilancio. È bene, tuttavia, ricordare che molti dei soldi usati per aiutare in vario modo l’Ucraina in questa guerra non sono rubricati in quanto tali ma sono presi da altre voci di bilancio ed è quasi impossibile quantificarli tutti.

    Già dal 2008, su iniziativa di polacchi e svedesi, Bruxelles aveva cominciato a lavorare per portare Kiev nell’orbita occidentale attraverso il Programma Eastern Partnership (Partenariato Orientale). Il progetto fu avviato dalla Polonia e successivamente fu elaborata una proposta più dettagliata in collaborazione con la Svezia. Il meccanismo fu fatto proprio da tutta la Commissione e fu inaugurato a Praga, nel maggio 2009. Lo scopo ufficiale dichiarato era di costruire nuove relazioni con gli Stati post-sovietici: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina. Si parlava di democrazia, prosperità e stabilità ma, in realtà, erano già previsti interventi nel settore della difesa. Il tutto rientrava in un piano pensato da americani e polacchi e britannici per “isolare” la Russia. Furono subito stanziati 600 milioni di Euro per il periodo 2010-2013. Quando il Presidente ucraino Yanukovich, che in un primo momento aveva accettato di dialogare, decise di ritirarsi da quel programma partirono subito le manifestazioni di Piazza Maidan fino al colpo di Stato che realizzò il cambiamento di regime.

    Per quanto riguarda gli USA, per capire il loro ruolo è sufficiente ricordare che, durante le manifestazioni sulla piazza Maidan a Kiev e quando sembrava poter funzionare l’accordo mediato da Francia e Germania con Yanukovich e con i manifestanti, la Sottosegretaria agli esteri americana Victoria Nuland disse al suo ambasciatore in Ucraina che quell’accordo doveva saltare perché “noi non abbiamo investito più di 5 miliardi di dollari” per lasciar finire tutto così. E sulla piazza cominciarono gli spari. Il nuovo primo ministro che assunse la carica fu scelto proprio dagli stessi americani (a questo proposito, chi dubita che quanto sto riferendo sia frutto di fantasia o ingigantito vada ad ascoltarsi la registrazione della telefonata citata che si può trovare in internet. Senza dubbio la registrazione è stata fatta in modo fraudolento dai servizi russi, ma così succede).

    Gli aiuti “particolari”, militari e finanziari, a favore dell’Ucraina cominciarono subito dopo l’annessione russa della Crimea e la ribellione delle regioni secessioniste russofone del Donbass. Da allora è stato un continuo crescendo di impegni finanziari dell’Occidente.

    Le cifre individuate dal The Ucraine Support Tracker di Kiel – Germania (riportate dalla rivista americana Geopolitical Future) sono impressionanti anche se riguardano soltanto il periodo che va dal 24 gennaio 2022 al 29 febbraio 2024. A quella data gli aiuti ufficiali complessivi erano di 87,28 miliardi di dollari in armamenti, 68,28 miliardi in mezzi finanziari, 14,28 miliardi per ragioni umanitarie e 92,68 per l’assistenza ai rifugiati. In totale in circa due anni sono stati “regalati” da EU e USA all’Ucraina più di 262 miliardi di dollari. Va bene inteso il termine “regalati” perché tutti sanno che l’Ucraina è in bancarotta e il suo debito che ammonta a più di un trilione di Euro non sarà mai ripagato

    Se vogliamo scendere nei dettagli, il Paese europeo che più ha “investito” sui nuovi governi di Kiev è la Germania, con circa 38 miliardi di dollari (altre fonti parlano di 43 miliardi di Euro). Segue la Commissione Europea con 30 miliardi, la Polonia (soprattutto per i costi dovuti all’ospitalità dei rifugiati) con 26 miliardi, la Gran Bretagna con 11 miliardi e così via. L’Italia, da par suo e senza contare quanto di sua competenza pagato attraverso Bruxelles, ha “investito” “solamente” 5 miliardi (sono esclusi gli armamenti che vanno rimpiazzati).

    Una voce a parte riguarda gli Stati Uniti. Formalmente questo Paese è il maggiore donatore avendo speso circa 67 miliardi di dollari di cui più del 90% in armamenti. Tuttavia non va dimenticato che anche le armi “donate” dai Paesi europei sono principalmente di fabbricazione americana e vanno rimpiazzate, facendo così la gioia dei produttori USA di materiale bellico Un esempio del modo di fare dei nostri alleati lo si ricava dall’ultimo stanziamento voluto da Biden e approvato dal Congresso. Si tratta di ben 61 miliardi aggiuntivi a quelli precedenti ma l’80% di questa cifra non arriverà direttamente in Ucraina poiché sarà destinato alle industrie americane per produrre nuove armi che serviranno a rimpiazzare quelle già mandate in Ucraina.

    Inoltre, si deve ricordare che il dopo-guerra è già stato ipotecato da Blackrock e J.P. Morgan tramite gli accordi sottoscritti con loro da Zelensky pochi mesi dopo l’inizio del conflitto. Infine, secondo alcune fonti, Washington avrebbe garantito, almeno in parte, i prestiti concessi a Kiev attraverso la possibilità di disporre alla fine della guerra di due terzi delle terre coltivabili ucraine.

    Un aspetto positivo(sic!) di tutto questo è che la maggior parte dei Paesi europei ha mandato in Ucraina armi considerate quasi obsolete e queste saranno rimpiazzate con armi di ultima generazione. Un altro aspetto positivo (altro sic!) è che da Washington hanno ben pensato, convincendo gli europei a fare altrettanto, che si dovrebbero sequestrare tutti i beni russi, statali e privati, attualmente presenti in USA e in Europa per usarli come “aiuto per l’Ucraina”. Purtroppo, si fa finta di non sapere che rompere le regole dei diritti di proprietà nella comunità economica mondiale oltre a violare il tanto invocato “diritto internazionale” uccide la fiducia degli investitori internazionali e incide negativamente, di conseguenza, anche sul commercio globale.

  • Pacifici non pacifisti

    Se Giano era bifronte la verità sembra avere molte più sfaccettature, infatti mentre la Russia può continuare a colpire uno stato sovrano e indipendente, massacrando civili inermi con i suoi bombardamenti, e ritiene di poterlo fare se gli ucraini rispondono, distruggendo qualche postazione militare in territorio russo, per altro vicino al confine, diventa per Putin una dichiarazione di guerra della Nato.

    La Cina parla di pace ma si ritira dal vertice organizzato in Svizzera e parla di altri, più o meno misteriosi, piani, sembra condivisi anche dalla Turchia, e che hanno sempre il presupposto che l’Ucraina ceda molti suoi territori ai russi.

    Il diritto internazionale possiamo scordarcelo possa tutelare tutti, ormai sembra debba essere rispettato solo dai deboli mentre  i forti, gli arroganti, i dittatori possono fare come vogliono perciò, con buona pace di tutti i pacifisti del mondo noi, che siamo pacifici, che siamo quelli che rispettano le leggi, ci siamo veramente stancati e alziamo cuori e bandiere contro gli aggressori, i terroristi, i potenti che parlano di pace, come il presidente cinese che fa affari e vende armi al dittatore russo.

    Non è di oggi né di ieri la innegabile realtà: se vuoi la pace devi avere la forza di impedire che ti aggrediscano, perciò uno stato che non ha le armi per difendersi prima o poi sarà preda di chi ha deciso di conquistarlo.

    Oggi ai russi fanno gola le ricchezze ucraine, forse un domani non lontano vorranno conquistare anche il Campidoglio e San Pietro.

  • Pace in Ucraina

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta

    Da più parti si chiede che la guerra in Ucraina si trasformi presto in pace o almeno in una tregua che apra a negoziati per la fine definitiva del conflitto. È più che giusto che si desideri porre fine a una carneficina che tocca soldati e civili da una parte e dall’altra e che ci si interroghi su come arrivare a questa soluzione. Tuttavia, prima di ragionare su cosa fare credo che sia bene che qualcuno, chiunque egli sia, risponda (almeno a sé stesso) a due domande.

    La prima: quali sono gli interessi dell’Europa nel volere che l’Ucraina entri nella NATO? Tutti, salvo gli ipocriti, sanno che la guerra è scoppiata dopo che, per diverse volte, Mosca aveva pubblicamente fatto sapere di considerare come un attentato alla propria sicurezza il possibile ingresso dell’Ucraina nella NATO. Non a caso, quando gli americani vollero che all’ordine del giorno dell’incontro NATO di Bucarest del 2008 fossero inseriti anche l’ingresso nell’Alleanza Atlantica di quel Paese e della Georgia, Germania e Francia (e sottovoce anche l’Italia) si opposero, esprimendo la preoccupazione che tale atto avrebbe causato una risposta della Russia tutt’altro che pacifica. Gli americani dovettero fare buon viso a cattiva sorte ma, in cambio della rinuncia, ottennero che la questione fosse solo rimandata a data successiva. Dopo quanto era accaduto nel 1999 con l’attacco della NATO contro la Serbia (non avallato dall’ONU) e alcune “rivoluzioni colorate” scoppiate i Paesi limitrofi alla Russia, a Mosca si era cominciato a pensare, a torto o a ragione, che l’Occidente stesse puntando a destabilizzare ciò che restava dell’ex-Unione Sovietica. Ad avvalorare tale ipotesi aveva contribuito la trasformazione dello scopo ufficiale della NATO, da puramente difensivo al momento della sua creazione, in un’organizzazione che si poneva come obiettivo di intervenire ovunque si giudicasse (da parte di Washington?) fossero a rischio la democrazia e i diritti umani. A tal proposito vedi Dichiarazione di Roma nel 1991 e la sua formalizzazione a Washington nel 1999 attraverso il “Nuovo Concetto Strategico”.  Naturalmente si sarebbero chiusi gli occhi se le violazioni fossero avvenute in Paesi considerati “amici” o “utili”. E, infatti, nessuno ha aiutato o inviato armi all’Armenia democratica attaccata dall’Azerbaigian autoritario nel Nagorno-Karabakh con l’esodo forzato di decine di migliaia di etnicamente armeni costretti a1988-2024d abbandonare tutto.

    Dunque: Gli americani avevano una loro logica, giusta o sbagliata che fosse, ma gli europei? Voglio quindi ripetere la domanda: che interesse aveva, ed ha, l’Europa ad avere l’Ucraina nella NATO? Chi rispondesse che serve per “contenere” la Russia giustificherebbe le reazioni di Mosca.

    La seconda: Qual è l’interesse dell’Europa nell’avere, e magari in tempi rapidi, l’Ucraina come membro dell’Unione Europea? Dopo che gli USA con l’Inflation Reduction Act hanno messo in ginocchio alcuni settori dell’industria europea invitandoli a delocalizzare verso gli Stati Uniti, vogliamo forse distruggere anche l’agricoltura dell’Europa? È risaputo che, grazie alla mano d’opera a buon mercato e alle immense distese di territori coltivabili ucraini, importare senza dazi i prodotti agricoli da quel Paese metterebbe fuori mercato le nostre aziende e in Polonia sono stati i primi ad accorgersene. Senza contare che, dopo tutti i bombardamenti con proiettili a uranio impoverito dalle due parti in conflitto, ogni prodotto frutto dei campi colpiti dalla guerra arriverebbe da noi contaminato da polveri non radioattive ma estremamente velenose (più del piombo – vedi le malattie mortali riscontrate da civili serbi e soldati NATO in Serbia, Iraq e Afghanistan). E poi, chi dovrebbe pagare i costi della ricostruzione dopo che la guerra sarà finita? Come sempre è successo per i futuri nuovi ingressi, miliardi di euro sono stati mandati da Bruxelles ai Paesi candidati per “adeguare le leggi e le infrastrutture” agli standard europei. Nel caso dell’Ucraina, oltre alla sua dimensione superiore ad ogni precedente Paese entrato, si dovranno aggiungere i fondi necessari a ricostruire strade, fabbriche e intere città. Sanno i cittadini europei cosa sarà trattenuto dalle loro tasche per assecondare i vaneggiamenti di quattro irresponsabili politici a Bruxelles e nelle varie capitali?

    E allora: dove sta l’interesse degli europei a far entrare questo nuovo “membro”, tra l’altro considerato dal FMI come il più corrotto d’Europa? Chi rispondesse che le nostre aziende guadagnerebbero dalla ricostruzione fa solo fantasia e non conosce gli accordi già sottoscritti da Zelensky con Blackrock e J.P. Morgan.

    Veniamo ora alla pace che tutti vogliamo. O almeno a una possibile tregua.

    Il 15 e il 16 giugno prossimi, vicino a Lucerna in Svizzera, si terranno colloqui per identificare un percorso che porti verso una pace giusta e duratura in Ucraina. Ottima iniziativa, se non fosse che la Russia, salvo variazioni dell’ultimo momento, ha già annunciato che non vi parteciperà. È possibile concordare una qualunque pace tra due contendenti nell’assenza di uno dei due?

    Purtroppo, i veri problemi di una negoziazione da intraprendere oggi stanno nel fatto che, checché se ne dica, la vera guerra non è tra Ucraina e Russia ma tra Occidente (in primis gli USA) e la Russia e che nessuno dei contendenti ha fiducia nella buona fede dell’altro. Entrambi sono pervasi da intenzioni massimaliste. Almeno per ora Kiev e l’Occidente, dopo tutti i morti inutili tra la popolazione ucraina, non possono permettersi di perdere la faccia rinunciando a far entrare l’Ucraina nella NATO e abdicando alla rivendicazione dei territori perduti e della Crimea. Inoltre, pensano che l’obiettivo di Mosca sia di instaurare a Kiev un governo fantoccio manovrabile da Mosca. Da parte russa si è sinceramente convinti che l’obiettivo dell’Occidente sia di assicurarsi una “sconfitta strategica” della Russia, la sostituzione dell’attuale regime e il futuro “spezzettamento” della Federazione. Se le due parti sono su queste linee è evidente che l’unica soluzione che si può intravedere è tra la capitolazione o la continuazione dei combattimenti.

    Comunque sia, anche chi nega che la storia sia maestra di vita dovrebbe ricordare come sono finite le guerre nel mondo degli ultimi 70/80 anni. Tutte le volte che sono cessate o sono state sospese grazie a un negoziato senza che sia stato drasticamente risolto il motivo che le aveva scatenate, le ostilità sono ricominciate in breve tempo.

    Vediamo qualche esempio tra i tanti:

    Guerra del Vietnam (1955-1975). Gli accordi di pace di Parigi permisero il ritiro americano dal conflitto ma la guerra continuò fino a che il Vietnam del nord arrivò a detronizzare il governo di Saigon.

    Guerra dei 6 giorni (1967). Gli accordi di Camp David arrivarono solo nel ’78 e consistettero nella vittoria di Israele sull’Egitto sancendo il riconoscimento ufficiale dell’esistenza dello stato israeliano. Dunque: vittoria di Israele.

    Prima guerra del Golfo (1990-1991). Ci fu un cessate il fuoco mediato dall’ONU che sospese temporaneamente il conflitto ma fu sostituito da sanzioni pesanti contro l’Iraq. La guerra ricominciò nel 2003 arrivando alla sconfitta definitiva di Saddam Hussein.

    Guerra civile in Bosnia (1992-1995). Con gli accordi di Dayton si creò un governo federale tra le varie etnie bosniache, croate e serbe che, tuttavia, continuano ancora oggi a essere una polveriera con minaccia di scissioni.

    Guerra del Kossovo (1998-1999). Finì solo con la sconfitta totale della Jugoslavia e gli accordi del ’99 furono, di fatto, la resa di Belgrado. La Serbia tuttora non riconosce l’esistenza autonoma dello stato Kossovaro.

    Guerre tra Armenia e Azerbaigian (1988-2024) Le tensioni etniche tra armeni e azeri datano almeno dall’inizio del ‘900. Nel 1988 con la fine dell’URSS l’Armenia si re-impadronì del Nagorno-Karabakh abitato prevalentemente da armeni. La guerra subito scoppiata finì grazie alla mediazione russa per ricominciare nel 1994 e incattivirsi nel 2016 (guerra dei quattro giorni). Nel 2020 scoppiò di nuovo e ancora la Russia fece da mediatrice imponendo un accordo tra le parti. Accordo reso nullo dalla recente invasione azera del 2024 con successo di quest’ultima grazie all’aiuto della Turchia.

    Se anche l’attuale guerra in Ucraina dovesse finire con un accordo tra le parti che non costituisca una vera vittoria per uno dei due, molto probabilmente si tratterebbe di una soluzione temporanea e, prima o poi, le ostilità ricomincerebbero. Alcuni alti funzionari americani ritengono che la guerra debba finire con un accordo negoziato ma nessuno di loro ha mai detto né agli alleati né tanto meno al governo ucraino su quali basi ciò potrebbe avvenire.

    Dobbiamo dunque rinunciare a cercare la pace? Nessuno dovrebbe permetterselo! Quale pace, tuttavia? Accetterà l’occidente che ciò che resta dell’Ucraina diventi un Paese neutrale come furono l’Austria, la Finlandia e la Svezia, senza che la Nato ci metta becco?  O, in alternativa, accetterà Mosca di rinunciare ai territori che ha già inglobato nella Federazione e che Kiev diventi un nuovo membro dell’Alleanza Atlantica? Entrambe le soluzioni sembrano ad oggi piuttosto improbabili.

    Nel frattempo non va dimenticato che un decreto presidenziale voluto da Zelensky nel Settembre 2022 e tuttora in vigore ha stabilito “l’impossibilità di aprire negoziazioni con il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin” e chi lo facesse sarebbe immediatamente accusato di alto tradimento. Forse bisognerebbe cominciare con il cancellare questo “ukase”.

  • Non c’è tempo da perdere e parole da sprecare in annunci roboanti

    “La vera pace ci sarà, si potrà raggiungere, quando l’Ucraina prevarrà”, ha detto il Segretario generale delle Nazioni Unite evidenziando comunque che prima o poi un accordo si dovrà trovare.

    Quello che però continua a rimanere il problema è che i russi avanzano con un costante aumento di mezzi ed uomini mentre l’Ucraina è sempre più in difficoltà perché non arrivano le armi promesse dall’Occidente, Stati Uniti in testa.

    L’Ucraina baluardo a difesa della sicurezza dell’Europa, l’Ucraina esempio di come i popoli debbano difendere il suolo nazionale ed i governi le leggi internazionali mentre vanno sconfitti coloro che queste leggi violino e non rispettano i diritti umani e la libertà. Questo è tanto altro si è detto in questi anni di guerra.

    Tutto bello, anche romantico, ma intanto gli ucraini muoiono davvero e gli edifici civili, le case della gente, le infrastrutture che danno luce ed acqua, sono rasi al suolo in una guerra d’aggressione che Putin conduce, dall’inizio, ignorando ogni regola mentre, nel frattempo, gli aiuti promessi sono molti, molti di più di quelli che invece sono effettivamente arrivati e spesso anche in ritardo.

    Non c’è tempo da perdere e parole da sprecare in annunci roboanti ai quali non seguono fatti concreti, le armi servono ora altrimenti gli ucraini non potranno più difendersi ed i russi vinceranno anche su di noi.

  • Bandiera bianca e la forza della diplomazia

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Come ha specificato Matteo Bruni, direttore della sala stampa del Vaticano, “Il Papa usa il termine bandiera bianca, riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato”.

    In altre parole il Papa, a differenza delle interpretazioni ideologiche dei media, i quali arrivano ad accusare il Papa di esprimere una posizione filorussa, non ha interpretato la figura retorica della “bandiera banca” come una resa, ma semplicemente deve venire intesa come l’inizio di una presa di coscienza della impossibilità di un esito positivo della guerra (un esito per entrambi i belligeranti, sia chiaro) e da questa consapevolezza andrebbe considerata una inevitabile e immediata apertura di un tavolo di negoziazione.

    In questo contesto, in una sola battuta, vengono azzerate tutte le strategie dell’Unione Europea e del leader ucraino, i quali invece chiedevano e pretendono tuttora maggiori investimenti in armamenti ed equiparano la crisi russo-ucraina a quella del 1939 che diede inizio alla Seconda guerra mondiale, paragonando Putin ad Hitler. Quasi che il quadro politico-istituzionale ed internazionale prebellico della Seconda guerra mondiale potesse essere anche solo paragonato a quello attuale, una visione che definisce l’approccio puramente ideologico nella azzardata similitudine tra i due momenti storici.

    Esattamente come dovrà avvenire a Gaza, così nello scenario russo-ucraino la soluzione finale non può venire individuata in una semplice vittoria di uno dei due contendenti all’interno di una progressiva escalation bellica ed anche di spese pubbliche finalizzate alla acquisizione di maggiori armamenti.

    Viceversa, a questa strategia va affiancata un’altra che valuti da subito l’istituzione di un tavolo negoziale al quale dovranno sedersi i due nemici e i diversi negoziatori. In questo contesto si manifesta evidente la perdita di un’occasione unica per l’Europa in chiave diplomatica, avendo appoggiato sic et nunc la sola difesa dell’Ucraina, eletta a simbolo della democrazia, senza aprire un tavolo negoziale con Putin, di fatto adottando la strategia della NATO come la propria politica estera.

    Il fallimento di questa strategia è evidente in quanto la sottovalutazione della capacità di resistenza della Russia emerge chiara poiché l’economia russa crescerà nel 2024 ben quattro volte quella europea, quando dal 2022 tutti i vertici dell’Unione Europea parlavano di un prossimo default dello Stato russo.

    Queste medesime competenze europee ora spingono a favore della creazione di un esercito europeo e magari di un arsenale nucleare, del cui effetto deterrente, anche in considerazione dell’esito ottenuto con le strategie europee dal 2022 ad oggi, è legittimo dubitare.

    All’interno, quindi, di una rinnovata attenzione alla realpolitick, poco importa che sia stato Putin, come tutti sappiamo, ad iniziare il conflitto. E ricordando l’importanza, come fattore di pressione, della politica espansiva della NATO che ha accentuato questa tensione regionale, quello che risulta fondamentale adesso è individuare come si possa ottenere una pace senza arrivare ad uno scontro bellico ancora più generale.

    Se veramente si credesse che la vita rappresenti il bene supremo da tutelare, di conseguenza chiunque si adopererebbe con l’obiettivo di trovare un accordo, se non altro per interrompere la carneficina di civili.

    Tutto il resto è delirio ideologico, politico e purtroppo militare.

  • Vertice che non è servito a niente tranne alla necessità di apparire

    Le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono.

    Giacomo Leopardi

    Continua la guerra in Ucraina con tutte le sue gravi e tragiche conseguenze. Si combatte, si soffre e si muore ogni giorno in diverse parti del martoriato paese. Subito dopo quel 24 febbraio 2022 sono stati immediati gli aiuti proposti e realmente resi attivi da diversi Paesi del mondo. Compresi anche concreti supporti con delle forniture di armamenti ed altre necessità militari, di cui l’Ucraina ne aveva bisogno. Sono stati molti i Paesi, compresi anche quelli dell’Unione europea, che hanno attuato sanzioni contro la Russia. Ma sono stati altri Paesi, alcuni dei quali con grande influenza a livello geopolitico e geostrategico internazionale, che appoggiano il dittatore russo. Ragion per cui non hanno condannato l’aggressione da lui ideata ed ordinata. Durante questi ultimi due anni ci sono stati molti sviluppi ed eventi legati sia alla guerra vera e propria, sia alle scelte geostrategiche di diversi Paesi, alleati e avversari dell’Ucraina. Durante questi due anni sono stati organizzati e realizzati anche diversi vertici internazionali in appoggio dell’Ucraina. Vertici con dei risultati concreti, Ma non tutti però. Come quello organizzato ed attuato il 28 febbraio scorso in Albania.

    Fatti ormai resi pubblici, compresi anche gli atti ufficiali alla mano, risulta che si è trattato non di un vertice, bensì di un incontro, di una messinscena, che il primo ministro albanese ed altri suoi “amici”, hanno ideato ed usato per altri scoppi che non avevano niente in comune con le necessità concrete e vitali dell’Ucraina. E tutto si svolgeva solo un giorno dopo il vertice organizzato a Parigi dal presidente francese, il 26 febbraio scorso. Un vertice che ha messo insieme più di venti capi di Stato e di governo di diversi Paesi che hanno partecipato alla Conferenza dei Paesi alleati per il sostegno all’Ucraina. Durante quella Conferenza il presidente francese ha dichiarato, tra l’altro:”…Oggi è in gioco la sicurezza di noi tutti. Abbiamo visto, soprattutto negli ultimi mesi, un inasprimento della Russia”. Aggiungendo:”Faremo tutto il necessario affinché la Russia non possa vincere questa guerra”.

    Prima del ‘vertice’ nella capitale albanese, il 28 febbraio scorso, c’è stato un altro vertice regionale sull’Ucraina. Il 21 agosto 2023 ad Atene, in Grecia, in occasione del ventesimo anniversario del vertice di Salonicco tra l’Unione europea ed i Paesi dei Balcani occidentali, il primo ministro greco aveva invitato i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea e i dirigenti dei Paesi balcanici. Mancava solo il primo ministro albanese volutamente non invitato dall’anfitrione. Tutto dovuto ad un contenzioso legato alla carcerazione di un sindaco eletto il 14 maggio nonostante fosse stato arrestato solo due giorni prima delle elezioni. Si tratta di un cittadino della minoranza greca in Albania che tuttora le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore, ubbidendo agli ordini del primo ministro, non permettono di fare il giuramento come sindaco eletto. Durante il vertice di Atene è stata approvata una dichiarazione ufficiale con la quale si esprimeva il pieno sostegno “….per l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti internazionalmente, basati sui valori della democrazia e dello Stato di diritto, contro l’aggressione russa”.

    Invece il ‘vertice’ sull’Ucraina, svoltosi il 28 febbraio scorso nella capitale albanese, non ha prodotto nessun effetto concreto. Alla fine di quello che più di un vertice era un incontro è stato appurato il dominio della Serbia ed i condizionamenti fatti dal presidente serbo al suo “amico”, l’anfitrione albanese, per modificare il protocollo ufficiale e cambiare il testo della dichiarazione finale. Perché il presidente serbo ha insistito che non fossero presenti le bandiere nazionali degli Stati partecipanti al ‘vertice’ in Albania, cosa che non accade mai in attività del genere. E ha ottenuto, altresì, che tutti i firmatari della dichiarazione finale firmassero come singole persone e non come autorità ufficiali! Tutto per non far riconoscere la presenza della delegazione del Kosovo guidata dalla presidente della repubblica. E, guarda caso, il primo ministro albanese ha esaudito le richieste del suo “amico” serbo, calpestando protocolli ed altro. Chissà perché?! E siccome la Serbia ha degli ottimi rapporti con la Russia e non ha mai aderito alle sanzioni dell’Unione europea fatte alla Russia, il presidente serbo ha condizionato e cambiato anche il testo della dichiarazione finale del ‘vertice’ in Albania. È stato proprio il presidente serbo che ha dichiarato fiero ai giornalisti “…di aver insistito affinché la dichiarazione del vertice non includesse alcun invito a imporre sanzioni alla Russia e non includesse la formulazione proposta sull’influenza negativa della Russia nella regione balcanica”! Non c’è stata però nessuna decisione concreta che si riferiva al sostegno dei Paesi balcanici all’Ucraina. Chissà perché?!

    Ma durante il ‘vertice’ sull’Ucraina del 28 febbraio scorso in Albania è stata verificata anche la presenza di una persona che non aveva nessun mandato ufficiale per essere lì. Non solo, ma di essere tra gli ospiti importanti del ‘vertice’. Si tratta del figlio di George Soros, il noto multimiliardario e speculatore di borsa statunitense, molto attivo nei Paesi balcanici durante questi ultimi anni. Le cattive lingue hanno insistito anche su una cena privata in tre dopo il ‘vertice’ tra il primo ministro albanese, il presidente della Serbia ed il figlio di George Soros. E si sa, le cattive lingue in Albania non hanno mai sbagliato in quello che hanno affermato durante questi anni.

    Chi scrive queste righe è convinto, fatti pubblicamente noti ormai alla mano, che il ‘vertice’ di Albania sull’Ucraina non ha prodotto niente per la sofferente e martoriata popolazione ucraina, mentre ha fatto contento però il presidente serbo. È stato un vertice che non è servito a niente tranne alla necessità di apparire del primo ministro albanese. A costo di sembrare anche ridicolo nel suo tentativo di farsi notare come un importante protagonista a livello internazionale, dando così un’ulteriore conferma alla saggezza di Giacomo Leopardi, il quale affermava convinto che le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono.

  • Muscardini: “Senza l’integrità territoriale dell’Ucraina non vi può essere pace giusta e sicurezza per la democrazia anche nella stessa Europa”

    Nonostante il tempo, tornato freddo e qualche scroscio di pioggia, la manifestazione a sostegno dell’Ucraina, organizzata dall’Associazione NADIYA, a Piacenza sabato 24 febbraio a due anni dall’invasione russa, ha avuto una folta partecipazione non solo di ucraini ma anche di molti cittadini italiani.

    L’inno ucraino e poi l’inno italiano, cantati dal vivo da una cantante lirica ucraina, la preghiera e le strofe cantate dai bambini e indirizzate ai soldati al fronte sono stati momenti commuoventi tra lo sventolio di bandiere e le foto di soldati caduti e di città distrutte dalla furia di Putin.

    Dopo gli interventi della presidente dell’Associazione, di un consigliere della giunta piacentina e di una esponente di Fratelli d’Italia, l’On. Cristiana Muscardini ha sottolineato come il mondo si divida tra male e bene e che il male si manifesta con le azioni di uomini: “Il male è la negazione della pietà e del rispetto dei diritti umani, la voglia di sopraffazione, di annientare quanto non si riesce a possedere, di distruggere ogni oppositore, di calpestare le leggi internazionali, di uccidere gli ucraini e di condannare a morte i propri cittadini in una guerra  sanguinosa, il male è Putin“.

    Cristiana Muscardini ha invitato i presenti a raccontare ovunque quello che sta accadendo in Ucraina per sconfiggere l’indifferenza di troppi o l’acquiescenza o la connivenza di alcuni: “Nella bandiera ucraina ci sono i colori della bandiera europea, il blu del drappo ed il giallo delle nostre stelle, vogliamo che al più presto l’Ucraina faccia parte dell’Europa, chiediamo ai prossimi deputati europei di farsi carico della difesa della libertà e della giustizia, dell’integrità territoriale dell’Ucraina senza la quale non vi può essere pace giusta e sicurezza per la democrazia anche nella stessa Europa”.

  • In piazza a Piacenza per l’Ucraina

    Sabato 24 febbraio, a due anni dall’invasione dell’Ucraina e della guerra scatenata dalla crudeltà dello zar russo, in Piazza Duomo a Piacenza, alle ore 15,30, si svolgerà la manifestazione per la libertà e la pace indetta dall’organizzazione ucraina di volontariato NADIYA, per essere vicini alla valorosa resistenza del popolo.

    Per Il Patto Sociale, da sempre solidale con l’Ucraina, sarà presente Cristiana Muscardini.

  • Le forze russe ‘costruiscono’ una barriera di 30 km nel Donetsk e gli hacker filorussi attaccano i siti italiani

    L’Istituto per lo studio della guerra (Isw) ha affermato, citando immagini satellitari e canali Telegram ucraini, che le forze russe stanno assemblando una barriera di vagoni ferroviari che si estende per 30 chilometri nell’oblast di Donetsk. La barriera, soprannominata il «treno dello zar» e costruita con oltre 2.100 vagoni merci, servirebbe come linea difensiva contro futuri assalti ucraini. Dalle immagini satellitari la linea di vagoni ferroviari si estende da Olenivka, a sud della città di Donetsk, a Volnovakha, a nord di Mariupol.

    La barriera che, secondo una fonte ucraina – come riporta l’Isw -, sarebbe stata assemblata a partire da luglio 2023, sembrerebbe essere una nuova linea difensiva russa, ma per l’Istituto le forze di occupazione potrebbero avere in mente «altri scopi».

    La mire russe non si fermano però solo al territorio ucraino.  E’ di questi giorni la notizia di cyberattacchi da parte del gruppo filorusso Noname contro siti italiani “in supporto agli agricoltori che stanno protestando”.

    Ad aiutare i Noname altre tre gruppi: Folk’s CyberArmy, 22C e CyberDragon. Si tratta di attacchi di tipo Ddos (Distributed denial of service) che consistono nell’inviare un’enorme quantità di richieste al sito web obiettivo che, non potendo gestirle, non è in grado di funzionare correttamente. L’Agenzia per la cybersicurezza nazionale sta monitorando la situazione che al momento sembrerebbe gestibile. Sul canale Telegram di Noname si legge: “Gli agricoltori sono stanchi delle politiche sbagliate delle autorità italiane, che sponsorizzano con tutte le loro forze il regime criminale di Zelenskyj e non cercano nemmeno di risolvere i problemi interni del Paese, fregandosi dei propri cittadini. Gloria alla Russia!”. Tra gli obiettivi che gli hacker sostengono di aver colpito, ci sono l’Agenzia del demanio, Credem, Bper, le aziende del trasporto pubblico di Siena, Torino, Palermo Cagliari e Trento. La Polizia postale sta lavorando con l’Agenzia per ripristinare la funzionalità dei siti colpiti, tra i quali quelli dell’Esercito, del Sistema centralizzato di identificazione automatizzata Siac della Difesa, dell’azienda A2A, della fatturazione elettronica verso l’Amministrazione dello Stato, del servizio di pagamento delle tasse on line dell’Agenzia delle entrate.

  • Oltre 3.000 pazienti ucraini trasferiti negli ospedali europei dall’inizio della guerra

    Dall’inizio della guerra russa contro l’Ucraina, l’UE coordina regolarmente le evacuazioni sanitarie dei pazienti ucraini, siano essi malati cronici o feriti. Ad oggi oltre 3.000 pazienti ucraini sono stati trasferiti per ricevere cure specialistiche in ospedali di tutta Europa attraverso il meccanismo unionale di protezione civile. Avviata nel marzo 2022, si tratta della più grande operazione di evacuazione sanitaria coordinata finora dal Centro di coordinamento della risposta alle emergenze della Commissione europea.

    I pazienti sono stati trasferiti per cure ospedaliere in 22 paesi europei: Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria.

    Le evacuazioni sono inoltre sostenute dal polo Medevac dell’UE a Rzeszów, in Polonia, dove i pazienti ricevono assistenza infermieristica 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Il polo funge da centro di trasferimento per i pazienti che sono stati trasportati via terra dall’Ucraina alla Polonia e che saranno trasferiti in aereo agli ospedali di tutta Europa.

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