La violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti.
Immanuel Kant
“Tutti gli uomini sono per natura egualmente liberi e indipendenti. Quest’eguaglianza è necessaria per costituire un governo libero. Bisogna che ognuno sia uguale all’altro nel diritto naturale”. Così scriveva Philip Mazzei nel 1774 nel The Virginian Gazette (Il giornale di Virginia; n.d.a.). Egli, come anche il suo amico Thomas Jefferson, uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, nonché altri loro amici e colleghi, erano convinti che gli uomini nascono tutti liberi e devono beneficiare di questa loro innata libertà. Una convinzione espressa dalla frase All men are created equal (Tutti gli uomini sono creati uguali; n.d.a.). Due anni dopo, è stato proprio Thomas Jefferson ad inserire questa frase all’inizio del testo della Dichiarazione dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, proclamata il 4 luglio 1776. Il testo della Dichiarazione comincia con questo paragrafo: “Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo e assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata e uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione”. Per poi proseguire con un ben noto paragrafo, il cui inserimento è stato attribuito proprio a Thomas Jefferson. In quel secondo paragrafo della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, i 55 firmatari della Dichiarazione, rappresentanti dei tredici primi Stati Uniti d’America, confermavano: “Noi sosteniamo che queste verità sono per sé evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali; che sono dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili, tra i quali vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini i governi, che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che, ogni qualvolta una forma di governo diventi perniciosa a questi fini è nel diritto del popolo di modificarla o di abolirla”. Si tratta di concetti diretti, semplici, chiari e molto significativi che annoverano tra gli altri diritti innati, inalienabili e fondamentali dell’uomo anche la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Un concetto, quest’ultimo, il quale è stato trattato già da diversi filosofi della Grecia antica. Per loro l’Eudaimonia (la felicità; n.d.a.) era molto importante. Lo stesso concetto, quello della ricerca, il perseguimento della felicità, è stato trattato anche dall’illuminismo europeo, per poi trovare espressione scritta nelle costituzioni di diversi Paesi del mondo.
Solo tredici anni dopo la proclamazione dell’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, in Francia, il marchese de La Fayette, amico di Thomas Jefferson, presentava all’Assemblea nazionale, riunita a Versailles, il testo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Il testo è stato discusso durante la riunione dell’Assemblea (tra il 20 ed il 26 agosto 1789). Un testo quello in cui si trovavano inseriti anche i concetti trattati dai Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, compresa la “ricerca della felicità”. Però nel testo della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino trovava espressione anche l’obiettivo delle istituzioni politiche, la ricerca della “felicità di tutti”. Il testo è stato in seguito ratificato dal re Luigi XVI, in seguito alla marcia su Versailles, il 5 ottobre 1789. Così, proprio in quel 5 ottobre 1789, è stata approvata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino (in francese La Déclaration des droits de l’homme et du citoyen; n.d.a.). Ma il testo della Dichiarazione, contenente un preambolo e 17 articoli, trattava molti altri concetti riguardanti i diritti fondamentali dell’essere umano. Nel preambolo della Dichiarazione si sanciva che “I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerato che l’ignoranza, la dimenticanza o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sventure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne Dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa Dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale rammenti loro continuamente i loro diritti e i loro doveri; affinché gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo, potendo essere in ogni momento paragonati con il fine di ogni istituzione politica, siano più rispettati; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre alla conservazione della Costituzione e alla felicità di tutti”. Nel primo articolo si affermava: “Gli uomini nascono e rimangono liberi ed eguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune”. Mentre nel secondo articolo si sanciva che “Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”. La libertà veniva sancita nel quarto articolo della Dichiarazione: “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; cosi l’esistenza dei diritti naturali di ciascun uomo non ha altri limiti che quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti non possono essere determinati che dalla Legge”. I seguenti articoli della Dichiarazione trattavano il modo in cui doveva funzionare la legge, nonché il modo come si dovevano garantire i diritti dell’uomo e del cittadino. “La società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione”, si affermava nell’articolo 16. Mentre l’ultimo articolo della Dichiarazione sanciva: “La proprietà è un diritto inviolabile e sacro, pertanto nessuno può esserne privato, se non quando la pubblica necessità, legalmente constatata, lo esige evidentemente, e sotto la condizione d’una giusta e previa indennità”.
Sempre in Francia il 21 marzo del 1804 è stato proclamato “Il Codice civile dei francesi” (Code civil des français; n.d.a.) noto anche come il Codice napoleonico, riferendosi proprio a colui che lo ha voluto, l’imperatore Napoleone Bonaparte. Il Codice civile, prima di essere ufficializzato dal richiedente, è stato discusso dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato. Organismi quelli presieduti, in quel periodo, ovviamente, dallo stesso imperatore. In seguito il Parlamento ha approvato il Codice. Si tratta di un testo concepito ed elaborato da una apposita commissione scelta e nominata da Napoleone Bonaparte. Il Codice civile presentava, in un solo testo, tutto ciò che aveva a che fare con il concetto del diritto, tenendo ben presente quanto era stato sancito dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino nel 1789. Nel periodo in cui Napoleone aveva chiesto alla commissione da lui nominata di redigere il Codice si faceva riferimento al sistema del diritto comune, che si basava ai principi del sistema del diritto romano. Il che, in quel periodo, noto come l’Ancient régime (Regime vecchio, passato; n.d.a,), causava di solito delle difficoltà nella valorizzazione e nel trattamento giuridico dei singoli casi e, di conseguenza, portava anche a delle decisioni non giuste e a delle disuguaglianze. Nonostante sia stato redatto all’inizo del XIX secolo, il Codice napoleonico viene ancora considerato come un Codice a cui fare riferimento. Per gli specialisti della giurisprudenza, il Codice napoleonico viene ancora considerato come il primo codice contemporaneo. Bisogna sottolineare, basandosi su fatti storici, che il Codice napoleonico, è stato valutato anche da alcuni noti scrittori francesi come Stendhal prima e Paul Valery poi il quale scriveva convinto, addirittura, che il Codice napoleonico era “uno dei capolavori della letteratura francese”. Mentre un altro noto scrittore francese, Jules Romains, con spiccato senso di umorismo, suggeriva di leggerlo prima di dormire.
Basandosi a quei importanti testi di giurisprudenza, dopo più di un secolo dopo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948, ha promulgato un’altro testo importante. Un testo al quale si fa spesso ormai riferimento: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, con i suoi trenta articoli. In quel giorno, il 10 dicembre 1948, a Parigi, i rappresentanti istituzionali degli Stati membri delle Nazioni Unite hanno approvato, con la propria firma, un documento che sanciva tutti i diritti dell’essere umano, diritti universalmente riconosciuti in quel periodo. Si trattava di un documento discusso e redatto dai rappresentanti di molti Paesi del mondo, membri delle Nazioni Unite. Paesi nei quali si usavano diversi sistemi legali. In base alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, tutti gli esseri umani avevano gli stessi diritti. Il primo articolo della Dichiarazione sanciva che “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. In seguito, il terzo articolo affermava che “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Mentre il sesto articolo stabiliva che “Ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”, seguito poi dalla garanzia che dava il settimo articolo: “Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad un’eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad un’eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione”. E poi seguono tutti gli altri articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, promulgata il 10 dicembre 1948 a Parigi dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che sanciscono tutti i diritti dell’uomo che devono essere obbligatoriamente rispettati. Un obbligo che devono rispettare tutti i Paesi delle Nazioni Unite. La Dichiarazione si conclude con l’articolo 30 che sancisce: “Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato, gruppo, o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti e delle libertà in essa enunciati”. E proprio facendo riferimento a quella data, il 10 dicembre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 4 dicembre 1950 ha approvato la Risoluzione 423 (V), con la quale proponeva a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di celebrare ogni anno, in quella data, la Giornata mondiale dei Diritti Umani. Una ricorrenza celebrata anche quest’anno, domenica scorsa, 10 dicembre.
I diritti dell’essere umano vengono sanciti anche dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, nota anche come la Carta di Nizza, ufficialmente presentata il 7 dicembre 2000 a Nizza, in Francia. Una versione elaborata della stessa Carta è stata in seguito adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, sia dal Parlamento europeo che, poi, dal Consiglio e dalla Commissione europea. Ma nonostante tutti quei documenti, fatti accaduti alla mano, in diversi Stati membri delle Nazioni Unite spesso i diritti dell’essere umano vengono violati e calpestati. Ed in alcuni di loro non vengono mai rispettati, anzi! Una significativa testimonianza è stato il conferimento del Premio Nobel per la Pace ad Oslo, domenica scorsa, 10 dicembre, a Narges Mohammadi, una nota attivista iraniana per i diritti dell’uomo, la quale nel gennaio 2022 è stata condannata a otto anni e due mesi di reclusione, due anni di esilio e 74 frustate! Ma non è solo l’Iran dove non si rispettano i diritti dell’essere umano. Ci sono anche diversi altri Paesi e, fermandosi solo in Europa, si potrebbero elencare la Turchia, la Russia e, per quello che potrebbe essere valido, anche l’Albania.
Chi scrive queste righe, riflettendo sui diritti dell’essere umano, è convinto, basandosi alle continue e secolari esperienze, che se una persona non è consapevole e disponibile a riconoscere prima i propri doveri e poi ad adempierli non può considerare ed, in seguito, neanche rispettare i diritti degli altri. E non può pretendere che vengano rispettino i suoi diritti. Un obbligo anche per coloro che esercitano i poteri istituzionali, non importa dove essi si trovino. Le conseguenze si sentiranno, prima o poi, ovunque. Proprio come affermaava Immanuel Kant, il quale era convinto che la violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti.