Usa

  • Presidenti virtuali e democrazie morte

    Si discute molto, in questi giorni, sulle performance di Trump e di Biden e sulle effettive possibilità che ha quest’ultimo di tornare alla presidenza.

    Sono molte meno le voci che si confrontano sul problema reale e cioè quale è il futuro di un grande paese, come gli Stati Uniti, definiti la più grande democrazia del mondo occidentale e la prima, o tra le primissime potenze, in fatto di armi e di economia, quando per la presidenza si confrontano due anziani, l’uno inqualificabile per i suoi comportamenti, l’altro che spesso sembra confuso.

    L’età di un presidente non è importante se ci troviamo di fronte a persone lucide come Mattarella, diventa un problema quando negli Stati Uniti dei due candidati l’uno passa di processo in processo, enunciando programmi sempre più astrusi e pericolosi, e l’altro non riesce a ricordare le cose buone che ha fatto durante la sua presidenza e a rispiegare i fondamentali motivi per i quali gli Stati Uniti non possono disarticolarsi dall’Europa o smettere di difendere l’Ucraina.

    Tutto questo avviene mentre sanguinose guerre continuano, non solo in Medio Oriente ed in Ucraina, in tutto il mondo, Xi Jinping stringe sempre più forte amicizia con il sanguinario zar della grande Russia, Kim Jong-un esporta armi, lancia missili ed inonda di immondizia la Corea del Sud, tornano a farsi sentire i terroristi di varia natura, l’Europa nelle trattative per il proprio e nostro futuro sembra la nazionale di calcio italiana, cioè inconcludente, la Francia è sull’orlo di una crisi isterica, almeno per una parte, i cambiamenti climatici hanno messo in ginocchio l’agricoltura ed il rischio di carestie e di impoverimento per tutti è sempre più reale.

    Che l’inquinamento, negli anni, abbia colpito il cervello di molti non è più una ipotesi surreale, forse l’intelligenza artificiale è stata creata proprio per questo, oltre che per arricchire alcuni, e cioè impedirci di continuare a pensare sostituendosi a noi con presidenti virtuali e democrazie morte.

  • Supreme Court briefly issues opinion allowing Idaho abortions

    The US Supreme Court appears ready to allow abortions in cases of medical emergencies in Idaho, after briefly publishing – and then deleting – an opinion on its website.

    According to a report on Bloomberg, the court will rule that the state cannot deny emergency abortions to women whose health is in danger, despite a near-total ban.

    In a statement, the court said that its final decision had “not been released” and that a document was “inadvertently and briefly” uploaded to its website.

    The spokesman said that a ruling would be released in due course.

    The inadvertent publication of the opinion comes two years after the leaking of the court’s decision to overturn the national right to abortion access, known as Roe v Wade.

    Since then, a patchwork of abortion laws have been established as more conservative states, such as Idaho, restrict rights to the procedure.

    The document posted online on Idaho suggested that the court would rule that it should not have become involved in the case so quickly, Bloomberg reported.

    The report added that the court would reinstate an order that permitted Idaho hospitals to perform emergency abortions to protect patient’s health.

    If that is the case, the case would continue at a federal appeals court.

    The Biden administration sued Idaho over its near-total abortion ban in 2022, with Department of Health and Human Services Secretary Xavier Becerra saying that “women should not have to be near death to get care”.

    Idaho countered, saying that the federal law – known as Emergency Medical Treatment and Labour Act or Emtala – cannot supersede state law.

    The court’s nine justices appeared divided during earlier arguments on the case.

  • Gelato ricoperto di bacon e crocchette: negli USA McDonald’s sospende l’uso dell’intelligenza artificiale per gli ordini

    McDonald’s sta rimuovendo la tecnologia di ordinazione basata sull’intelligenza artificiale (AI) dai suoi ristoranti drive-through negli Stati Uniti dopo che i clienti hanno condiviso on line alcuni incidenti letteralmente comici.

    Nel 2019 è stata annunciata una prova del sistema, sviluppato da IBM, che utilizza un software di riconoscimento vocale per elaborare gli ordini, il quale però non si è dimostrato del tutto affidabile, dando vita a video virali di bizzarri ordini interpretati erroneamente, che vanno dal gelato ricoperto di pancetta alle crocchette di pollo del valore di centinaia di dollari.

    McDonald’s ha fatto sapere ad IBM che rimuoverà la tecnologia dagli oltre 100 ristoranti in cui la sta testando entro la fine di luglio anche se, ha aggiunto, di essere fiducioso che la tecnologia sarà ancora “parte del futuro dei suoi ristoranti”.

    L’applicazione della tecnologia è stata controversa fin dall’inizio, anche se le preoccupazioni erano incentrate sulla possibilità di rendere obsoleti i posti di lavoro delle persone. Tuttavia, è diventato evidente che sostituire i lavoratori umani dei ristoranti potrebbe non essere così semplice come si temeva inizialmente – e come speravano i sostenitori del sistema.

    Gli incidenti dell’addetto all’ordine dell’IA sono stati documentati online. In un video che ha 360.000 visualizzazioni, ad esempio, una persona afferma che il suo ordine è stato confuso con quello effettuato da qualcun altro, con il risultato che nove ordini di tè sono stati aggiunti al suo conto.

    Un altro video popolare mostra due persone che ridono mentre vengono aggiunte al loro ordine crocchette di pollo per un valore di centinaia di dollari, mentre il New York Post ha riferito che ad un’altra persona l’addetto agli ordini dell’AI aveva aggiunto pancetta al gelato per errore.

    IBM ha comunicato che continuerà a lavorare con McDonald’s in futuro, poiché “questa tecnologia ha dimostrato di avere alcune delle capacità più complete del settore, veloce e precisa in alcune delle condizioni più impegnative”.

  • I “banchieri clandestini” cinesi accusati di favoreggiamento del cartello messicano

    Una rete cinese di “banche clandestine” aiuta il potente cartello messicano della droga di Sinaloa nel riciclaggio di denaro e altri crimini. E’ questa l’accusa con la quale il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) ha accusato 24 persone di reati che includono anche la distribuzione di narcotici.

    Le forze dell’ordine hanno sequestrato circa 5 milioni di dollari (4 milioni di sterline) di proventi, oltre ad armi e centinaia di chili di cocaina, metanfetamine e pillole di ecstasy.

    Il Dipartimento di Giustizia ha sottolineato la stretta collaborazione con le forze dell’ordine messicane e cinesi, un messaggio che ha trovato eco anche da parte cinese.

    Gli Stati Uniti accusano il cartello di Sinaloa di aver contribuito ad alimentare un’epidemia mortale inondando il paese di fentanyl, un oppioide sintetico fino a 50 volte più potente dell’eroina, ed ha evidenziato come più di 50 milioni di dollari siano transitati clandestinamente tra i membri della banda di Sinaloa e i gruppi cinesi.

    Gli ‘scambi’ venivano utilizzati dagli agenti di Sinaloa per spostare il denaro acquisito illegalmente dagli Stati Uniti al Messico, gli scambi cinesi offrono un “mercato pronto” per la valuta statunitense, ha affermato il DoJ, spiegando che alcuni cittadini cinesi vogliono “alternative informali” al sistema bancario convenzionale perché il governo di Pechino pone un limite alla quantità di denaro che possono ritirare dalla Cina.

    Una dichiarazione di Pechino, citata dall’agenzia di stampa AFP, sembra confermare la stretta collaborazione con gli Stati Uniti, affermando che le autorità locali hanno arrestato un sospettato di riciclaggio di denaro.

    Gli Stati Uniti accusano da tempo la stessa Cina di inondare il Paese con farmaci mortali come il fentanyl, un’accusa che la Cina nega. Nel 2022 più di 70.000 americani sono morti per overdose di fentanyl e Washington afferma che gli oppioidi di produzione cinese stanno alimentando la peggiore crisi della droga nella storia del paese.

  • Rappresentanti corrotti di servizi segreti internazionali in azione

    Fra gli errori ci sono quelli che puzzano di fogna e quelli che odorano di bucato.

    Indro Montanelli

    Era il 21 gennaio 2023 quando, all’aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy di New York, veniva arrestato un uomo di 54 anni. Si trattava di un alto ed importante ex funzionario dell’Ufficio Federale di Investigazione degli Stati Uniti d’America (Federal Bureau of Investigation – FBI; n.d.a.), con ventidue anni di carriera presso quell’Ufficio. Lui nel 2016, prima di trasferirsi a New York, era a capo dei servizi di controspionaggio dell’FBI a Washington DC. In seguito, dall’inizio d’ottobre 2016 fino al 2018, quando è andato in pensione, ha diretto la più importante divisione del servizio di controspionaggio statunitense con sede a New York. Le accuse a suo carico, fatte dalle autorità competenti di Washington DC e di New York, erano diverse. Era stato accusato della violazione delle sanzioni poste dal governo statunitense a determinati oligarchi russi e soprattutto ad uno di loro, noto per essere molto vicino al presidente russo. In più veniva accusato di non aver dichiarato diversi suoi viaggi ed incontri all’estero e di essere stato impegnato personalmente nel riciclaggio di denaro sporco. Un’altra accusa era quella di aver ricevuto 225.000 dollari, non dichiarati, da un ex agente dei servizi segreti albanesi. Per settimane i più importanti media statunitensi, ma non solo, hanno trattato il caso. Caso di cui è stato informato anche il nostro lettore (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023; Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico, 27 febbraio 2023; La messinscena con un ‘sostegno’ avuto in un periodo difficile, 10 luglio 2023 ecc.).

    L’autore di queste righe scriveva nel gennaio 2023 che il sopracitato oligarca russo “…insieme con l’ex alto funzionario dell’FBI hanno registrato ufficialmente, da alcuni anni, delle attività di impresa e di consulenza in Albania” (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023). Dalle indagini risultava altresì che, tra le persone che avevano collaborato con l’ex alto funzionario del FBI, era anche un “consigliere esterno” del primo ministro albanese che ha goduto da lui di un “trattamento speciale”. L’autore di queste righe scriveva che “…Si tratta di una persona che ha avuto però “utili rapporti di conoscenza” anche con i dirigenti delle organizzazioni malavitose e trafficanti di stupefacenti in Messico. Rappresentanti che il “consigliere esterno” ha accompagnato nell’ufficio del primo ministro due anni fa” (Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe; 20 febbraio 2023). Bisogna sottolineare però che dalle dichiarazioni ufficiali delle autorità statunitensi rese pubbliche sul caso dell’ex alto funzionario dell’FBI, il nome del primo ministro albanese veniva citato per ben 14 volte come persona coinvolta. Lui stesso, nel settembre 2022 aveva dichiarato, proprio riferendosi all’ex alto funzionario del FBI, che “il capo del controspionaggio dell’FBI è stato ed è mio amico, non si discute!”.

    Errare humanum est, perseverare autem diabolicum dicevano i latini. Con la loro esperienza e saggezza essi ci insegnano che commettere errori è umano, ma perseverare è diabolico. Però nel caso del primo ministro albanese, fatti accaduti e che stanno tuttora accadendo, fatti documentati sia in Albania che in altri Paesi, fatti testimoniati e denunciati alla mano, risulterebbe che lui è un individuo che non sbaglia per caso. Lui continua, persevera con le sue scelte che non sono degli “errori”, bensì sono obblighi dovuti alla criminalità organizzata e ai clan occulti con i quali da anni collabora e ne approfitta.

    Il 12 giugno scorso alcuni media in Romania rendevano pubblico uno scandalo internazionale in cui risulterebbe attivamente coinvolto l’ex vice direttore del Servizio dell’Intelligenza Romena, un ex generale ormai  in pensione. Mercoledì scorso, in mattinata, lui ha affrontato i procuratori della Direzione nazionale Anticorruzione a Bucarest, essendo accusato di corruzione, ricatto ed altro. Le indagini nei suoi confronti sono state avviate il 24 maggio scorso. Il media televisivo România TV, che trasmette notizie 24 ore, affermava che l’ex vice direttore del Servizio dell’Intelligenza Romena, una persona vicina “…ad alcuni importanti politici albanesi” ha aiutato la sua amante di “…farsi parte di una rete internazionale del traffico della droga. La cocaina arrivava dal Messico in Albania, direttamente dal cartello Sinaloa, in grandi quantità e poi veniva trasferita a Bucarest, tramite un percorso segreto”. Si evidenziava che il ruolo dell’ex generale “era, indubbiamente, un ruolo strategico”. I media romeni hanno pubblicato anche una fotografia in cui apparivano tre persone. C’erano l’ex generale in pensione e la sua amante. E con loro c’era anche il sopracitato “consigliere esterno” del primo ministro albanese. La foto era stata scattata a Berlino.

    România TV specifica che “…il generale in pensione aveva un contratto di consulenza con l’Albania, dove consigliava politici di alto livello. E più precisamente il primo ministro”.

    Il media romeno evidenzia, tra l’altro, che l’ex vice direttore del Servizio dell’Intelligenza Romena da circa quattro anni “…ha fatto quello che sapeva fare meglio; è stato infiltrato profondamente nel sottosuolo della mafia in Albania attuando una serie di legami; legami pericolosi […] con i vertici degli ambienti criminali e politici in Albania”. Specificando che lui, l’ex vice direttore del Servizio dell’Intelligenza Romena era in continuo contatto con il “consigliere esterno” ed affidato del primo ministro albanese”. In più si specificava che il “consigliere esterno” è noto in Albania come la persona che “…aiuta il primo ministro nei suoi rapporti con l’imprenditoria e l’ambiente criminale albanese”. In seguito si evidenziano anche i rapporti del noto cartello di Sinaloa, che gestisce il traffico della cocaina con la criminalità organizzata albanese. In base a quei rapporti “…i trafficanti messicani hanno cominciato a riciclare grandi quantità di denaro in Albania”.

    Due settimane fa l’autore di queste righe informava il nostro lettore del programma Report dedicato alla realtà albanese, trasmesso su RAI 3 il 2 giugno scorso. Durante l’intervista il giornalista ha rinfacciato al primo ministro di essersi incontrato nel suo ufficio con “…un trafficante albanese, membro attivo di un noto cartello messicano che gestisce la cocaina della Colombia”. E poi il giornalista ha detto al primo ministro: “Per me, come giornalista, il fatto che il capo del Consiglio dei ministri dell’Albania si incontra con una persona che, in seguito, si scopre riciclare il denaro del cartello Sinaloa e [di essere] uno dei membri più importanti [del cartello], è una notizia ed io le chiederò di questo. Non avrei fatto bene il mio mestiere se non glielo avessi chiesto.” (Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo; 3 giugno 2024). E anche in questo caso era presente anche il “consigliere esterno” del primo ministro! La stessa persona che risultava anche nelle indagini dell’ex alto funzionario del FBI. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe seguirà questo nuovo scandalo ed informerà il nostro lettore delle attività pericolose di certi rappresentanti corrotti di servizi segreti internazionali. Egli però è convinto che gli “errori” del primo ministro albanese sono, parafrasando Indro Montanelli, quelli che puzzano di fogna. E puzzano davvero.

  • Pace in Ucraina

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta

    Da più parti si chiede che la guerra in Ucraina si trasformi presto in pace o almeno in una tregua che apra a negoziati per la fine definitiva del conflitto. È più che giusto che si desideri porre fine a una carneficina che tocca soldati e civili da una parte e dall’altra e che ci si interroghi su come arrivare a questa soluzione. Tuttavia, prima di ragionare su cosa fare credo che sia bene che qualcuno, chiunque egli sia, risponda (almeno a sé stesso) a due domande.

    La prima: quali sono gli interessi dell’Europa nel volere che l’Ucraina entri nella NATO? Tutti, salvo gli ipocriti, sanno che la guerra è scoppiata dopo che, per diverse volte, Mosca aveva pubblicamente fatto sapere di considerare come un attentato alla propria sicurezza il possibile ingresso dell’Ucraina nella NATO. Non a caso, quando gli americani vollero che all’ordine del giorno dell’incontro NATO di Bucarest del 2008 fossero inseriti anche l’ingresso nell’Alleanza Atlantica di quel Paese e della Georgia, Germania e Francia (e sottovoce anche l’Italia) si opposero, esprimendo la preoccupazione che tale atto avrebbe causato una risposta della Russia tutt’altro che pacifica. Gli americani dovettero fare buon viso a cattiva sorte ma, in cambio della rinuncia, ottennero che la questione fosse solo rimandata a data successiva. Dopo quanto era accaduto nel 1999 con l’attacco della NATO contro la Serbia (non avallato dall’ONU) e alcune “rivoluzioni colorate” scoppiate i Paesi limitrofi alla Russia, a Mosca si era cominciato a pensare, a torto o a ragione, che l’Occidente stesse puntando a destabilizzare ciò che restava dell’ex-Unione Sovietica. Ad avvalorare tale ipotesi aveva contribuito la trasformazione dello scopo ufficiale della NATO, da puramente difensivo al momento della sua creazione, in un’organizzazione che si poneva come obiettivo di intervenire ovunque si giudicasse (da parte di Washington?) fossero a rischio la democrazia e i diritti umani. A tal proposito vedi Dichiarazione di Roma nel 1991 e la sua formalizzazione a Washington nel 1999 attraverso il “Nuovo Concetto Strategico”.  Naturalmente si sarebbero chiusi gli occhi se le violazioni fossero avvenute in Paesi considerati “amici” o “utili”. E, infatti, nessuno ha aiutato o inviato armi all’Armenia democratica attaccata dall’Azerbaigian autoritario nel Nagorno-Karabakh con l’esodo forzato di decine di migliaia di etnicamente armeni costretti a1988-2024d abbandonare tutto.

    Dunque: Gli americani avevano una loro logica, giusta o sbagliata che fosse, ma gli europei? Voglio quindi ripetere la domanda: che interesse aveva, ed ha, l’Europa ad avere l’Ucraina nella NATO? Chi rispondesse che serve per “contenere” la Russia giustificherebbe le reazioni di Mosca.

    La seconda: Qual è l’interesse dell’Europa nell’avere, e magari in tempi rapidi, l’Ucraina come membro dell’Unione Europea? Dopo che gli USA con l’Inflation Reduction Act hanno messo in ginocchio alcuni settori dell’industria europea invitandoli a delocalizzare verso gli Stati Uniti, vogliamo forse distruggere anche l’agricoltura dell’Europa? È risaputo che, grazie alla mano d’opera a buon mercato e alle immense distese di territori coltivabili ucraini, importare senza dazi i prodotti agricoli da quel Paese metterebbe fuori mercato le nostre aziende e in Polonia sono stati i primi ad accorgersene. Senza contare che, dopo tutti i bombardamenti con proiettili a uranio impoverito dalle due parti in conflitto, ogni prodotto frutto dei campi colpiti dalla guerra arriverebbe da noi contaminato da polveri non radioattive ma estremamente velenose (più del piombo – vedi le malattie mortali riscontrate da civili serbi e soldati NATO in Serbia, Iraq e Afghanistan). E poi, chi dovrebbe pagare i costi della ricostruzione dopo che la guerra sarà finita? Come sempre è successo per i futuri nuovi ingressi, miliardi di euro sono stati mandati da Bruxelles ai Paesi candidati per “adeguare le leggi e le infrastrutture” agli standard europei. Nel caso dell’Ucraina, oltre alla sua dimensione superiore ad ogni precedente Paese entrato, si dovranno aggiungere i fondi necessari a ricostruire strade, fabbriche e intere città. Sanno i cittadini europei cosa sarà trattenuto dalle loro tasche per assecondare i vaneggiamenti di quattro irresponsabili politici a Bruxelles e nelle varie capitali?

    E allora: dove sta l’interesse degli europei a far entrare questo nuovo “membro”, tra l’altro considerato dal FMI come il più corrotto d’Europa? Chi rispondesse che le nostre aziende guadagnerebbero dalla ricostruzione fa solo fantasia e non conosce gli accordi già sottoscritti da Zelensky con Blackrock e J.P. Morgan.

    Veniamo ora alla pace che tutti vogliamo. O almeno a una possibile tregua.

    Il 15 e il 16 giugno prossimi, vicino a Lucerna in Svizzera, si terranno colloqui per identificare un percorso che porti verso una pace giusta e duratura in Ucraina. Ottima iniziativa, se non fosse che la Russia, salvo variazioni dell’ultimo momento, ha già annunciato che non vi parteciperà. È possibile concordare una qualunque pace tra due contendenti nell’assenza di uno dei due?

    Purtroppo, i veri problemi di una negoziazione da intraprendere oggi stanno nel fatto che, checché se ne dica, la vera guerra non è tra Ucraina e Russia ma tra Occidente (in primis gli USA) e la Russia e che nessuno dei contendenti ha fiducia nella buona fede dell’altro. Entrambi sono pervasi da intenzioni massimaliste. Almeno per ora Kiev e l’Occidente, dopo tutti i morti inutili tra la popolazione ucraina, non possono permettersi di perdere la faccia rinunciando a far entrare l’Ucraina nella NATO e abdicando alla rivendicazione dei territori perduti e della Crimea. Inoltre, pensano che l’obiettivo di Mosca sia di instaurare a Kiev un governo fantoccio manovrabile da Mosca. Da parte russa si è sinceramente convinti che l’obiettivo dell’Occidente sia di assicurarsi una “sconfitta strategica” della Russia, la sostituzione dell’attuale regime e il futuro “spezzettamento” della Federazione. Se le due parti sono su queste linee è evidente che l’unica soluzione che si può intravedere è tra la capitolazione o la continuazione dei combattimenti.

    Comunque sia, anche chi nega che la storia sia maestra di vita dovrebbe ricordare come sono finite le guerre nel mondo degli ultimi 70/80 anni. Tutte le volte che sono cessate o sono state sospese grazie a un negoziato senza che sia stato drasticamente risolto il motivo che le aveva scatenate, le ostilità sono ricominciate in breve tempo.

    Vediamo qualche esempio tra i tanti:

    Guerra del Vietnam (1955-1975). Gli accordi di pace di Parigi permisero il ritiro americano dal conflitto ma la guerra continuò fino a che il Vietnam del nord arrivò a detronizzare il governo di Saigon.

    Guerra dei 6 giorni (1967). Gli accordi di Camp David arrivarono solo nel ’78 e consistettero nella vittoria di Israele sull’Egitto sancendo il riconoscimento ufficiale dell’esistenza dello stato israeliano. Dunque: vittoria di Israele.

    Prima guerra del Golfo (1990-1991). Ci fu un cessate il fuoco mediato dall’ONU che sospese temporaneamente il conflitto ma fu sostituito da sanzioni pesanti contro l’Iraq. La guerra ricominciò nel 2003 arrivando alla sconfitta definitiva di Saddam Hussein.

    Guerra civile in Bosnia (1992-1995). Con gli accordi di Dayton si creò un governo federale tra le varie etnie bosniache, croate e serbe che, tuttavia, continuano ancora oggi a essere una polveriera con minaccia di scissioni.

    Guerra del Kossovo (1998-1999). Finì solo con la sconfitta totale della Jugoslavia e gli accordi del ’99 furono, di fatto, la resa di Belgrado. La Serbia tuttora non riconosce l’esistenza autonoma dello stato Kossovaro.

    Guerre tra Armenia e Azerbaigian (1988-2024) Le tensioni etniche tra armeni e azeri datano almeno dall’inizio del ‘900. Nel 1988 con la fine dell’URSS l’Armenia si re-impadronì del Nagorno-Karabakh abitato prevalentemente da armeni. La guerra subito scoppiata finì grazie alla mediazione russa per ricominciare nel 1994 e incattivirsi nel 2016 (guerra dei quattro giorni). Nel 2020 scoppiò di nuovo e ancora la Russia fece da mediatrice imponendo un accordo tra le parti. Accordo reso nullo dalla recente invasione azera del 2024 con successo di quest’ultima grazie all’aiuto della Turchia.

    Se anche l’attuale guerra in Ucraina dovesse finire con un accordo tra le parti che non costituisca una vera vittoria per uno dei due, molto probabilmente si tratterebbe di una soluzione temporanea e, prima o poi, le ostilità ricomincerebbero. Alcuni alti funzionari americani ritengono che la guerra debba finire con un accordo negoziato ma nessuno di loro ha mai detto né agli alleati né tanto meno al governo ucraino su quali basi ciò potrebbe avvenire.

    Dobbiamo dunque rinunciare a cercare la pace? Nessuno dovrebbe permetterselo! Quale pace, tuttavia? Accetterà l’occidente che ciò che resta dell’Ucraina diventi un Paese neutrale come furono l’Austria, la Finlandia e la Svezia, senza che la Nato ci metta becco?  O, in alternativa, accetterà Mosca di rinunciare ai territori che ha già inglobato nella Federazione e che Kiev diventi un nuovo membro dell’Alleanza Atlantica? Entrambe le soluzioni sembrano ad oggi piuttosto improbabili.

    Nel frattempo non va dimenticato che un decreto presidenziale voluto da Zelensky nel Settembre 2022 e tuttora in vigore ha stabilito “l’impossibilità di aprire negoziazioni con il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin” e chi lo facesse sarebbe immediatamente accusato di alto tradimento. Forse bisognerebbe cominciare con il cancellare questo “ukase”.

  • Fare politica dovrebbe essere una missione ignorando i propri interessi e i propri impulsi

    Non stupisce più di tanto, anche se inorridisce, la dichiarazione, confermata in un suo libro, della governatrice del South Dakota che tranquillamente scrive di avere ucciso deliberatamente il suo cane, cucciolo di 14 mesi, perché non obbediva e non andava bene per la caccia.

    Non contenta di questa infamia la governatrice ha subito dopo ucciso, con la stessa pistola, una capretta perché la trovava brutta.

    Entrambi gli animali, con indifferente crudeltà, sono stati portati sul luogo dell’esecuzione dalla stessa governatrice che, fino all’uscita delle sue dichiarazioni, era, e forse è ancora, favorita per affiancare Donald Trump nel ticket per le presidenziali di novembre.

    Ovviamente, come riporta ampiamente il Corriere della Sera di domenica 28 aprile, si sono levate molteplici voci e proteste, da vari campi, ma al di là della tragica fine dei due poveri esseri viventi e delle battaglie, che condividiamo sempre per difendere gli animali, quello che in questo momento ci preoccupa è il futuro del popolo americano affidato a persone come Kristi Noem.

    Il motto di Trump era ed è ‘Rendiamo di nuovo grande l’America’ e, a prescindere dalle molte intricate e buie vicende che lo circondano, ci si chiede di quale spessore morale, culturale e civile siano gli altri suoi alleati e sostenitori dopo aver appreso la torbida coscienza che guida la governatrice del South Dakota e come, con questi alleati, intenda fare di nuovo grande l’America!

    Che, in ogni parte del mondo, ci sia un irrefrenabile scadimento del personale politico, che nella società, e perciò nei singoli, sia sempre più difficile ritrovare basilari sentimenti di umanità ed empatia, anche le guerre in corso lo dimostrano, che ci sia un preoccupante aumento dalla violenza e dell’indifferenza sono purtroppo dati che conosciamo tutti.

    La difficoltà degli Stati Uniti per trovare, in ogni ordine e grado, persone degne di rappresentare i cittadini in sede locale, nazionale e mondiale pone inquietanti interrogativi anche rispetto alle alleanze nel contesto internazionale.

    Ci preoccupiamo, in molti, dei gravi problemi dovuti a quelle azioni umane che hanno messo a rischio la stabilità del pianeta, cambiamenti climatici, distruzione dell’ecosistema etc, ora è anche arrivato il momento di chiederci se, per risolvere questi problemi, non dobbiamo modificare il nostro approccio alla politica e ai modi nei quali diamo consenso alla classe dirigente.

    I politici, di ogni ordine e grado, devono dare prova di avere moralità, onestà, disinteresse, capacità di provare empatia, conoscenza dei valori e rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere vivente e dello stesso pianeta.

    Fare politica dovrebbe essere una missione, un impegno a tutto campo per il quale si deve essere disposti a ignorare i propri impulsi, a dimenticare i propri interessi, a sentire che il proprio dovere è superiore al proprio diritto.

    Oggi un cane ed una capra ci hanno comunque dimostrato che la governatrice del South Dakota è indegna di governare anche la propria casa in campagna.

  • Usa, Inghilterra e Australia pronti a tesserare nuovi soci in Aukus

    Sulla scorta di fonti all’interno della struttura, il Financial Times ha anticipato che Stati Uniti, Regno Unito e Australia sono in procinto di tenere colloqui ufficiali per l’adesione di nuovi membri nell’alleanza militare Aukus. Secondo il quotidiano britannico, l’annuncio dei colloqui da parte dei ministri della Difesa dei tre Paesi sarà legato al “secondo pilastro” del patto, che impegna i membri a sviluppare congiuntamente l’informatica quantistica, la tecnologia sottomarina, quella ipersonica, l’intelligenza artificiale e la tecnologia informatica. È per ora esclusa, invece, la possibilità di un’espansione del primo pilastro, progettato per fornire sottomarini d’attacco a propulsione nucleare all’Australia. L’alleanza Aukus (acronimo inglese dei tre Paesi firmatari), ufficialmente entrato in vigore nel 2023, fa parte dei loro sforzi per contrastare il crescente potere della Cina nella regione dell’Indo-Pacifico. Pechino ha infatti criticato il patto Aukus, definendolo “pericoloso” e avvertendo che potrebbe stimolare una corsa agli armamenti regionale.

    Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sta cercando d’intensificare le partnership con gli alleati statunitensi in Asia, in particolare con Giappone e Filippine, nel contesto dello storico potenziamento militare della Cina e della sua crescente assertività territoriale. Mercoledì scorso l’ambasciatore statunitense a Tokyo, Rahm Emanuel, ha scritto in un articolo sul Wall Street Journal nel quale ha lasciato intendere che il Giappone “sta per diventare il primo ulteriore partner del secondo pilastro”. Secondo numerose fonti di stampa, inoltre, Biden e il primo ministro giapponese Fumio Kishida discuteranno dell’adesione giapponese all’Aukus in occasione dell’incontro che i due leader terranno mercoledì prossimo, 10 aprile, a Washington. L’Australia, tuttavia, è cauta nell’avviare nuovi colloqui di adesione finché non saranno compiuti ulteriori progressi nella fornitura di sottomarini a propulsione nucleare a Canberra, riferiscono le stesse fonti. Giovedì prossimo, 11 aprile, Biden, Kishida e il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. terranno inoltre un vertice trilaterale.

    Il mese scorso il portale web Politico, citando proprie fonti, ha riferito che Canada e Giappone potrebbero aderire parzialmente al patto Aukus tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Secondo le stesse fonti, al momento si starebbe valutando un accordo che consentirà a questi Paesi di sviluppare una cooperazione globale con i membri dell’alleanza nel campo delle tecnologie militari, compreso l’uso dell’intelligenza artificiale, di missili ipersonici e tecnologie quantistiche. Secondo Politico, i tre Paesi membri del patto hanno accelerato i preparativi per l’allargamento del partenariato nel timore che gli Stati Uniti possano ritirarsi dall’Aukus, qualora Donald Trump vincesse le elezioni presidenziali a novembre. “Cercheremo opportunità per attrarre altri alleati e partner stretti”, ha detto un anonimo funzionario dell’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

    Politico ricorda che anche la Nuova Zelanda e la Corea del Sud hanno espresso in precedenza l’interesse ad aderire all’alleanza. L’Aukus è un partenariato sulla sicurezza tra i governi australiano, britannico e statunitense, istituita nel settembre 2021 per condurre una serie di iniziative di difesa congiunta basate su due pilastri: il primo di questi prevede la fornitura all’Australia di una flotta di sottomarini d’attacco nucleare; il secondo è legato allo sviluppo congiunto di capacità militari in otto aree, tra cui i sistemi sottomarini, le tecnologie quantistiche, l’intelligenza artificiale, la sicurezza informatica e la guerra elettronica, gli aerei ipersonici e i loro intercettori, nonché le tecnologie di innovazione e scambio di informazioni.

  • Anche l’Armenia bussa all’Occidente e alla Ue

    Unione europea e Stati Uniti sono pronte a dare sostegno all’Armenia, al fine di garantire al Paese del Caucaso “un futuro democratico e prospero” e una prospettiva di stabilità alla regione nel suo insieme. Questo il messaggio trasmesso dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e dal segretario di Stato Usa Antony Blinken, che il 5 aprile a Bruxelles hanno incontrato il premier armeno Nikol Pashinyan. Von der Leyen ha annunciato un piano di crescita e resilienza per l’Armenia del valore di 270 milioni di euro, “mantenendo una promessa fatta lo scorso ottobre”. L’Ue intende offrire “una visione per il futuro del nostro partenariato”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, specificando che i 270 milioni di euro saranno stanziati in sovvenzioni nei prossimi quattro anni. “Investiremo per rendere l’economia e la società armene più solide e resistenti agli shock. Sosterremo le vostre imprese, i vostri talenti, in particolare le piccole e medie imprese, per aiutarle a crescere, innovare e accedere a nuovi mercati. E investiremo in progetti infrastrutturali chiave. Per esempio, nel cavo elettrico del Mar Nero, una via di trasmissione ricca di opportunità, che può portare in Europa energia pulita e rinnovabile”, ha spiegato von der Leyen. La presidente della Commissione Ue ha citato poi gli investimenti nella produzione di energia rinnovabile in Armenia e in migliori interconnessioni con la Georgia e le nuove misure “per la sicurezza aerea e nucleare e per la diversificazione del commercio”.

    Per il segretario di Stato Blinken, l’Armenia deve prendere “il suo posto come nazione forte e indipendente, in pace con i suoi vicini e collegata nel mondo”. “Gli Stati Uniti e l’Unione europea vogliono essere partner in questo sforzo e credo che la giornata di oggi ne sia la prova”, ha aggiunto. In particolare, gli Usa “stanno investendo in iniziative allineate con le riforme economiche e di governance del primo ministro e siamo impegnati ad aumentare ulteriormente il nostro sostegno alla tenuta democratica ed economica dell’Armenia, con investimenti nella sicurezza alimentare, nelle infrastrutture digitali, nella diversificazione dell’energia, nella diversificazione dei partner commerciali e in altre priorità stabilite dal primo ministro”, ha proseguito Blinken.

    Il capo della diplomazia Usa ha garantito anche il continuo sostegno ai circa 100mila armeni sfollati dal Nagorno-Karabakh. “Questo è fondamentale per la stabilità e la prosperità a lungo termine dell’Armenia, nonché per la sicurezza regionale. Stiamo sostenendo gli sforzi per integrare le persone nell’economia e nella società, compreso l’accesso agli alloggi, ai posti di lavoro e all’istruzione”, ha assicurato. “Per l’Armenia, l’integrazione regionale è una chiave per la sicurezza e la prosperità. Per questo sosteniamo le idee che sono al centro della sua proposta di crocevia della pace”, ha detto ancora Blinken, rivolgendosi a Pashinyan. “Vediamo un Caucaso meridionale più integrato, con nuove vie di trasporto, cooperazione energetica, telecomunicazioni. Ciò promuoverà economie diversificate, opportunità più ampie e sosterrà gli sforzi di pace e riconciliazione. C’è un futuro potente con una regione sempre più integrata, che porterà benefici ai cittadini di tutti i Paesi collegati, e gli Stati Uniti e l’Unione europea vogliono aiutarvi a costruirla”, ha concluso.

    Da parte sua Pashinyan ha rivendicato i progressi significativi per garantire la democrazia nel Paese. L’Armenia “ribadisce il suo impegno a portare avanti le riforme della giustizia e del settore pubblico per costruire un Paese più forte, sicuro e avanzato”, ha detto il primo ministro. “Sulla base della nostra fruttuosa cooperazione politica, è giunto il momento di incentivare la nostra collaborazione economica, promuovere gli scambi commerciali e cercare di espandere il nostro partenariato in materia di mobilità. Siamo determinati a migliorare la competitività del settore privato armeno per espanderci in nuovi mercati. Inoltre, siamo pronti a migliorare il nostro mercato per renderlo più attraente per le aziende europee e statunitensi”, ha aggiunto Pashinyan.

    Washington e Bruxelles intendono dunque offrire alle autorità armene una prospettiva nuova rispetto a quella che finora ha perseguito il governo di Erevan, tradizionalmente legato alla Russia e al mondo ex-sovietico. L’Armenia è del resto uno Stato membro dell’Unione economica eurasiatica (Uee) e dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Csto). Proprio il funzionamento di questa alleanza militare è stato di recente criticato dal governo di Pashinyan, a seguito della guerra contro l’Azerbaigian del 2020 e poi gli scontri tra Baku e la repubblica separatista del Nagorno-Karabakh. In questa prospettiva va ricordato come i rapporti tra Erevan e Mosca si siano notevolmente deteriorati negli ultimi anni, in particolare per il mancato aiuto della Russia nei confronti dell’Armenia nel contesto delle operazioni militari avviate dall’Azerbaigian. Unione europea e Stati Uniti vorrebbero dunque inserirsi in questa dinamica e “strappare” Erevan all’influenza russa, pur nella consapevolezza del difficile contesto regionale. I progetti economici e infrastrutturali menzionati oggi da von der Leyen e Blinken potrebbero servire a questo scopo, offrendo anche all’esecutivo di Pashinyan una possibile alternativa per lo sviluppo nazionale.

  • Poteri ed interessi occulti nei Balcani ed altrove

    L’abuso è il contrassegno del possesso e del potere.

    Paul Valéry; da “Quaderni”

    “La costa di Gaza ha un alto valore immobiliare. Fossi in Israele, manderei i civili della Striscia nel Negev”. Lo affermava recentemente Jared Kushner, il genero del ex presidente statunitense Donald Trump, secondo il quotidiano britannico The Guardian, durante un’attività organizzata da Harvard University. E lui si riferiva al deserto di Negev, un’estesa area poco popolata nel sud del Israele. Durante l’intervento all’Università di Harvard, il genero del ex presidente statunitense ha aggiunto: “…Io azionerei i bulldozer nel Negev e cercherei di spostare lì le persone. Penso che questa sarebbe l’opzione migliore. Così possiamo andare ora e finire il lavoro”. Bisogna sottolineare che Jared Kushner è uno dei discendente di una famiglia di imprenditori immobiliari statunitensi di origine ebrea. E’ stato il consigliere di Trump per il Medio Oriente durante la sua presidenza. Nella Striscia di Gaza si sta combattendo ancora, dopo l’attacco dei militanti di Hamas del 7 ottobre scorso. E nel frattempo sono in corso anche dei negoziati per arrivare ad un accordo di pace tra le parti belligeranti. Accordo che prevede l’esistenza di due Stati indipendenti, Israele e Palestina. Ma per Kushner si tratterebbe di “…un’idea superbamente cattiva che essenzialmente sarebbe un premio per un’azione terroristica”. E nel caso Trump diventasse di nuovo presidente, suo genero gli avrebbe consigliato anche questo. Ovviamente però lui porterebbe avanti anche i suoi progetti immobiliari. Perché, come ha affermato all’Università di Harvard, “…le proprietà sul lungomare di Gaza potrebbero avere un grande valore se la gente fosse concentrata sul migliorare il proprio standard di vita”.

    Il genero di Trump, da ambizioso imprenditore immobiliare qual è, non ha solo dei progetti nella Striscia di Gaza. Per lui anche nei Balcani si potrebbe investire su delle lussuose strutture turistiche ed altro. Ragion per cui ha scelto di investire sia in Serbia che in Albania. Almeno da quello che si sa pubblicamente per il momento. E perché i suoi progetti milionari abbiano successo, il genero di Trump ha trattato direttamente con due autocrati, il presidente serbo ed il primo ministro albanese. Un ruolo importante in queste trattative lo ha avuto anche uno stretto collaboratore di Trump, il quale è stato ambasciatore degli Stati Uniti in Germania (2018-2020). In seguito, e per poco tempo, è stato anche il direttore della National Intelligence Community (Comunità dell’Intelligenza nazionale; n.d.a.), ma è stato attivo altresì nei Balcani, come rappresentante speciale del presidente degli Stati Uniti d’America per i negoziati di pace tra la Serbia ed il Kosovo. In quell’occasione ha conosciuto anche il presidente serbo ed il primo ministro albanese. In seguito il presidente serbo gli ha accordato il più alto riconoscimento ufficiale. Conoscenze ed “amicizie” da allora stabilite e che sono state messe a disposizione anche al genero di Trump.

    In Serbia, sfruttando sia quelle relazioni, che gli stretti legami famigliari con l’ex presidente statunitense, l’imprenditore immobiliare sembrerebbe aver accordato con il presidente serbo un vantaggioso affitto per 99 anni, senza nessun impegno finanziario, di un terreno a Belgrado che, fino al 1999, era la sede del ministero della Difesa della Jugoslavia. Sede che è stata bombardata proprio dalle forze aeree della NATO durante gli attacchi aerei, nell’ambito dell’Operazione Allied Force (Forza Alleata; n.d.a.) contro la Repubblica federale di Jugoslavia. Un accordo quello tra il genero di Trump ed il presidente serbo che prevede il diritto di costruire, in quel terreno affittato, una lussuosa struttura alberghiera, un complesso di appartamenti ed un museo. Si valuta che il progetto potrebbe avere un costo finanziario di circa 500 milioni di dollari. Il noto quotidiano statunitense The New York Times, riferendosi a quell’accordo, ha recentemente pubblicato anche un articolo investigativo. In quell’articolo sono state riportate anche le interviste, sia del genero di Trump, che dello stretto collaboratore dell’ex presidente, adesso consigliere e collaboratore di suo genero. Per loro il progetto di Belgrado permette agli Stati Uniti di aiutare a curare le piaghe causate dai bombardamenti del 1999 nell’ambito dell’Operazione Allied Force. Mentre per gli oppositori del presidente serbo si tratta di un progetto che è stato messo in atto dai poteri occulti per ottenere anche degli ingenti interessi, sempre occulti.

    Ma il progetto di Belgrado è soltanto uno dei tre progetti che il genero di Trump vuole realizzare nei Balcani. Gli altri due sono previsti in Albania. Si tratta di due progetti, del valore di circa 1 miliardo di dollari, che sono stati resi pubblici proprio la scorsa settimana e che prevedono sempre la costruzione di lussuose strutture alberghiere. Progetti ed accordi tenuti segreti per il pubblico fino alla scorsa settimana, quando dei noti giornali internazionali, gli statunitensi The New York Times, Newsweek, Bloomberg News e il tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, hanno trattato professionalmente l’argomento. E da quegli articoli risulta che si tratta sempre di progetti, ideati e portati avanti in un modo occulto, che soddisfano sia coloro che li propongono che quelli che hanno dato il loro beneplacito; il presidente serbo ed il primo ministro albanese. Due autocrati che si trovano in difficoltà nei rispettivi Paesi e che sperano e fanno di tutto per avere un sostegno statunitense se Trump vincesse le elezioni il prossimo 5 novembre.

    Ma mentre quello di Belgrado prevede costruzioni in un terreno in disuso, i due progetti in Albania prevedono costruzioni in aree protette. Uno sulla maggior isola albanese nel golfo di Valona, zona marina protetta. L’altro, sempre in una isola in mezzo ad una bellissima laguna nel nord di Valona, anche quella zona protetta, sia per i valori naturali, che quelli storici ed architettonici. E, guarda caso, il parlamento albanese ha approvato il 22 febbraio scorso, con una procedura abbreviata, alcuni emendamenti sulla legge per le aeree protette. Adesso si capisce anche il perché. Ormai questi due progetti sostenuti da poteri ed interessi occulti e portati avanti fino alla scorsa settimana in gran segreto, non hanno più delle difficoltà, neanche legali, per essere attuati.

    Chi scrive queste righe informerà il nostro lettore, con la dovuta oggettività, di altri sviluppi legati a questi progetti occulti. Per il momento si ferma qui, convinto però che, come affermava Paul Valery, l’abuso è il contrassegno del possesso e del potere.

Pulsante per tornare all'inizio