virus

  • Oltre 1400 le specie di pipistrelli. Infettive, se l’uomo va a distruggere i loro habitat

    Su Sette del Corriere della Sera la virologa Ilaria Capua ricorda che in natura esistono oltre 1400 specie di pipistrelli (come paragone ci sono 38 specie di felini, dal leone al micetto, e 36 di canidi, dal lupo al chihuahua) e che sono animali davvero peculiari: mammiferi che volano (una caratteristica più unica che rara), possono avere anche oltre un metro e mezzo di apertura alare o pesare meno di due grammi; alcuni mangiano la frutta, altri succhiano il sangue dal bestiame, altri ancora sono insettivori e mangiano le zanzare.

    «I pipistrelli – scrive Capua – ospitano e trasportano i Coronavirus (Sars Cov1 ed il progenitore di Sars Cov2, che ha causato il COVID) oltre al Coronavirus mediorientale (MERS), ai Lyssavirus, responsabili di alcune forme di rabbia, ma anche virus molto aggressivi come Nipah e Hendra che arrivano all’uomo dopo un passaggio dal pipistrello rispettivamente nel suino e nel cavallo.
    Proprio in questi giorni (novembre ndr) si parla di un’epidemia di virus di Marburg in Ruanda ed anche questo virus, insieme con il suo cugino virus di Ebola, sono mantenuti in natura dai pipistrelli che in alcune zone dell’Africa vengono cacciati e poi mangiati. Questi due cuginetti appartengono alla famiglia Filoviridae e sono fra i virus più letali che conosciamo. Alcune varianti virali arrivano a toccare tassi di mortalità del 90% nell’uomo: se si infettano 100 persone, 90 muoiono».

    La scienziata avverte ancora che «molti focolai di queste brutte malattie che sono ospitate dai pipistrelli avvengono nel Sud del mondo oppure nel Sud-est asiatico, lì dove la povertà fa da regina e le norme igieniche non esistono. Esiste però la possibilità che queste infezioni raggiungano le grandi città e poi salgano sulle ali di un aereo grazie ad un passeggero infetto. Ed ecco che un’infezione presente in una caverna della giungla africana può arrivare in occidente». E suggerisce: «Dobbiamo soltanto lasciarli in pace. Le attività di deforestazione e di crescita degli insediamenti urbani verso le foreste, o verso zone segregate come le caverne, fanno sì che i pipistrelli entrino sempre più a contatto con gli esseri umani e con gli animali domestici con la conseguenza che le occasioni di spillover si moltiplichino in maniera esponenziale. In sintesi: se noi lasciamo in pace loro, loro lasceranno in pace noi».

  • Pandemie no, ma epidemie tante. E i virus sono sempre più evoluti e pericolosi per l’uomo

    Solo nel 2024 si sono già verificate nel mondo 17 epidemie di malattie pericolose e in particolare quelle dovute al virus Marburg, al vaiolo delle scimmie (Mpox) e all’ultimo ceppo di influenza aviaria. Si tratta di «un duro promemoria della vulnerabilità del mondo alle pandemie» secondo quanto ha scritto l’organizzazione mondiale della Sanità nel rapporto del Global Preparedness Monitoring Board (Consiglio di monitoraggio della preparazione globale), col quale mette in guardia da «una serie di rischi che aumentano la probabilità di nuove pandemie».

    La mancanza di fiducia tra e all’interno dei Paesi, la disuguaglianza, l’agricoltura intensiva e la probabilità di contaminazione tra esseri umani e animali sono tra le principali minacce identificate, ma c’è anche una buona notizia, seppur passibile di smentite future. Fino a metà 2024, non esistono prove di trasmissione da uomo a uomo del virus H5N1. Tra il 2003 e l’1 aprile 2024, l’Oms ha dichiarato di aver registrato un totale di 889 casi umani di influenza aviaria in 23 paesi, inclusi 463 decessi, portando il tasso di mortalità al 52%, ma complessivamente i casi di trasmissione all’uomo sono molto rari. Il problema però è che il virus ha colpito e provocato la morte anche molte specie di mammiferi e tra questi ultimi vi sono molti animali con cui l’uomo ha molta prossimità, come ha sottolineato Jeremy Farrar, capo dell’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite, in una conferenza stampa a Ginevra, avvertendo che «questo virus è solo alla ricerca di nuovi ospiti. È una vera preoccupazione». Farrar ha anche affermato che sono in corso sforzi per lo sviluppo di vaccini e terapie per l’H5N1 e ha sottolineato la necessità di garantire che le autorità sanitarie regionali e nazionali di tutto il mondo abbiano la capacità di diagnosticare il virus, in modo che «se l’H5N1 arrivasse agli esseri umani, con trasmissione da uomo a uomo, il mondo sarebbe in grado di rispondere immediatamente».

    In un recente rapporto anche l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa) hanno espresso forte preoccupazione: «Se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala». In piena pandemia, nel 2020, è inoltre comparsa una nuova variante di virus A/H5N1 (denominata 2.3.4.4b) che in breve è diventata dominante. Da allora, sono aumentati il “numero di infezioni ed eventi di trasmissione tra diverse specie animali”, si legge nel rapporto. Questi continui passaggi tra animali e specie diverse aumentano le occasioni in cui il virus può mutare o acquisire porzioni di altri virus che lo rendano più adatto a infettare i mammiferi. In realtà A/H5N1 ha già compiuto dei passi in questa direzione. Ha imparato a moltiplicarsi in maniera più efficace nelle cellule di mammifero e a sviare alcune componenti della risposta immunitaria. Ciò gli ha già consentito negli ultimi anni di colpire un’ampia gamma di mammiferi selvatici e anche animali da compagnia, come i gatti.

  • Il virus delle scimmie individuato anche fuori dall’Africa. Capua lancia l’allarme epidemia

    L’agenzia sanitaria pubblica svedese ha registrato quello che afferma essere il primo caso di una nuova variante contagiosa del virus Mpox, conosciuto come vaiolo delle scimmie, al di fuori del continente africano. L’agenzia ha affermato che la persona ha contratto il contagio durante un soggiorno in una zona dell’Africa in cui è attualmente in corso un’importante epidemia di mpox Clade 1. La notizia arriva solo poche ore dopo che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato che l’epidemia di mpox in alcune parti dell’Africa è ora un’emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale. Almeno 450 persone sono morte durante la prima epidemia nella Repubblica Democratica del Congo e da allora la malattia si è diffusa in alcune zone dell’Africa centrale e orientale.

    È la seconda volta in tre anni che l’oma ha designato un’epidemia di mpox come un’emergenza globale. In precedenza lo aveva fatto nel luglio 2022. L’epidemia ha colpito quasi 100.000 persone, principalmente uomini gay e bisessuali, in 116 paesi, e ha ucciso circa 200 persone, riporta in New York Times. La minaccia questa volta è più letale. Dall’inizio di quest’anno, la sola Repubblica Democratica del Congo ha segnalato più di 14.000 casi di mpox e 524 decessi. Tra le persone più a rischio ci sono le donne e i bambini sotto i 15 anni. “Il rilevamento e la rapida diffusione di un nuovo clade di mpox nella Repubblica Democratica del Congo orientale, il suo rilevamento nei paesi vicini che non avevano precedentemente segnalato l’mpox e il potenziale di ulteriore diffusione all’interno dell’Africa e oltre è molto preoccupante”, ha detto il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS.

    In precedenza chiamato vaiolo delle scimmie, il virus è stato scoperto per la prima volta negli esseri umani nel 1970 in quella che oggi è la Repubblica Democratica del Congo. L’mpox è una malattia infettiva causata da un virus trasmesso agli esseri umani da animali infetti, ma può anche essere trasmessa da uomo a uomo attraverso uno stretto contatto fisico. La malattia provoca febbre, dolori muscolari e grandi lesioni cutanee simili a foruncoli. A maggio 2022, le infezioni da mpox sono aumentate in tutto il mondo, colpendo principalmente uomini gay e bisessuali, a causa del sottoclade clade 2b.

    L’OMS aveva già dichiarato un’emergenza sanitaria pubblica durata da luglio 2022 a maggio 2023. L’epidemia, che ora si è ampiamente attenuata, ha causato circa 140 decessi su circa 90.000 casi. Il sottoclade clade 1b, che è aumentato in Congo da settembre 2023, causa una malattia più grave del clade 2b, con un tasso di mortalità più elevato. L’emergenza era stata dichiarata solo sette volte in precedenza dal 2009: per influenza suina H1N1, poliovirus, Ebola, virus Zika, di nuovo Ebola, Covid-19 e mpox. “Il rilevamento e la rapida diffusione di un nuovo clade di mpox nella RDC orientale, il suo rilevamento nei paesi vicini che non avevano precedentemente segnalato mpox e il potenziale di ulteriore diffusione in Africa e oltre sono molto preoccupanti”, ha affermato Tedros.
    Tornando al caso in Svezia, l’agenzia di sanità pubblica ha così sottolineato in un comunicato stampa. “Crediamo che la Svezia sia ben preparata per diagnosticare, isolare e trattare le persone affette da mumpox in modo sicuro ed efficace. Il fatto che una persona venga curata per il morbo nel paese non implica rischi per il resto della popolazione”. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ritiene attualmente che questo rischio sia molto basso, ha affermato. E dopo il caso annunciato dalla Svezia, l’OMS ha detto che presto potrebbero essere confermati in Europa altri casi: “La conferma dell’mpox Clade 1 in Svezia è un chiaro riflesso dell’interconnessione del nostro mondo… è probabile che nei prossimi giorni e settimane si verifichino altri casi importati di Clade 1 nella regione europea».

    La virologa italiana Ilaria Capua avverte che «Ci sarà un’altra pandemia, non sappiamo quale ma qualcosa di molto più aggressivo del Covid» spiegando che «non è che perché abbiamo avuto il Covid siamo a posto per i prossimi 200 anni». In un’intervista al Resto del Carlino, la virologa spiega che le pandemie sono un fenomeno ciclico e sollecita «una capacità di risposta a queste emergenze che sia ragionata, consapevole e studiata anche sulla base del territorio». La virologa mette infine in guardia sul rischio di trasmissione di patogeni attraverso il contatto diretto tra uomini e animali, particolarmente presente in luoghi con scarsa igiene, come i mercati di animali vivi. «Il salto di specie avviene quando c’è un contatto ravvicinato fra l’uomo e l’animale, i mercati di animali vivi dove specie che in natura non si incontrerebbero mai e invece sono nelle stesse gabbie ci sono ancora. Questi posti sono dei veri e propri gironi infernali».

  • Torna di moda il binomio Cina e infezioni; via il pipistrello, ora c’è la scimmia

    Un nuovo virus in Cina preoccupa il mondo. Un uomo di 37 anni è in condizioni critiche dopo aver contratto l’herpes B, ovvero il virus delle scimmie. Con molta probabilità è stato contagiato dalla malattia all’interno di un parco di Hong Kong, il parco Kam Shan, dove ci si può avvicinare agli animali e dove il 37enne ha riferito di essere stato graffiato da un esemplare di scimmia.

    Il paziente ha avuto una febbre altissima e poi ha perso conoscenza. Affaticamento, febbre e dolori muscolari sono sintomi tipici del virus delle scimmie, compaiono dopo 3-7 giorni dal contagio e ricordano molto quelli del Covid-19. Col passare del tempo, se non si trattano questi primi sintomi, però, insorgeranno difficoltà respiratorie, dolore all’addome e vomito.

    Il virus simiae, noto anche come herpes B, è un agente patogeno che fa parte della famiglia degli Herpesviridae . È stato identificato per la prima volta nel 1932 e si trova principalmente nei macachi, ma per le scimmie si tratta di una malattia asintomatica, mentre una volta che viene trasmesso all’uomo può causare gravi danni all’organismo. L’herpes B si stabilisce nel corpo umano grazie al contatto di fluidi infetti delle scimmie oppure di graffi e morsi da parte di questi esemplari.  L’herpes B, in fase avanzata, provoca delle dolorose infiammazioni nel midollo osseo e nel cervello e, a quel punto, solo il 20% dei contagiati sopravvive. La ferita da cui il virus ha fatto il suo ingresso potrebbe riempirsi di vescicole

    Il caso del 37enne contagiato non è l’unico che conosciamo: nel 2021 un veterinario era morto di herpes B a Pechino, dopo aver presentato sintomi come nausea e vomito. Secondo i medici, l’infezione è estremamente rara (sono stati contati soltanto una cinquantina di casi dal 1932 a oggi) ma davvero fatale (21 di questi sono morti). Se le popolazioni che vivono in aree rurali o accanto a parchi che ospitano esemplari di scimmie non si terranno a distanza dagli animali per evitare morsi e graffi, il virus simiae potrebbe rapidamente diffondersi.

  • Cina pronta a infettare di nuovo il mondo?

    Scrive Valeria Aiello su Fanpage che la Cina sta sperimentando un nuovo coronavirus simile a quello del Covid che ha “un tasso di mortalità del 100% nei topi”. Secondo quanto riferito, la variante killer, nota come GX_P2V, è stata inizialmente scoperta nel 2017 nei pangolini malesi e conservata in un laboratorio di Pechino. Sperimentata su topi “umanizzati”, cioè geneticamente modificati per esprimere il recettore ACE2 umano con l’obiettivo di valutare la sua capacità di causare malattia negli esseri umani, la forma mutata di Sars-Cov-2 ha mostrato un impatto letale nei roditori.

    Tutti i topi infettati dall’agente patogeno sono morti entro otto giorni, un evento che i ricercatori cinesi hanno descritto come “sorprendentemente” rapido, scrive ancora la Aiello. Gli studiosi, coordinati da Lai Wei, Shuiqing Liu e Shanshan Lu del College of Life Science and Technology dell’Università di tecnologia chimica di Pechino, hanno inoltre riscontrato alti livelli di carica virale nel cervello dei roditori, suggerendo che la causa della loro morte possa essere collegata a un’infezione cerebrale. Una prima versione in preprint dello studio è stata pubblicata all’inizio di questo mese su bioRxiv.

    Il virus, denominato GX_P2V, è un mutante del coronavirus GX/2017, un patogeno correlato a SARS-Cov-2 identificato prima della pandemia di Covid nei pangolini in Malesia. Conservato in un laboratorio di Pechino, si è adattato alla coltura cellulare, evolvendosi in una forma mutata che possiede una delezione di 104 nucleotidi all’estremità 3’-UTR del suo RNA.

    Questa variante, si legge ancora nell’articolo, adattata è stata quindi analizzata allo scopo di valutare se potesse causare malattia nei topi transgenici che esprimono il recettore ACE2 umano (hACE2). Lo studio non specifica però quando sia stata condotta la sperimentazione, lasciando incertezze sulla reale sequenza temporale delle mutazioni.

    Nei giorni precedenti alla loro morte, i topi infettati hanno iniziato a mostrare una diminuzione del peso corporeo a partire dal 5° giorno dopo l’infezione, raggiungendo una riduzione del 10% rispetto al peso iniziale entro il 6° giorno. Entro il 7° giorno dall’infezione, i topi “mostravano sintomi come piloerezione (pelle d’oca, ndr), postura curva e movimenti lenti, e i loro occhi diventavano bianchi” hanno precisato i ricercatori. Secondo quanto riportato dal Daily Mail, sono state rilevate in vari organi, tra cui cervello, polmoni, naso, occhi e trachea, suggerendo un modello di infezione unico rispetto al Covid.

    Lo studio ha suscitato preoccupazione nella comunità scientifica, per il potenziale rischio di diffusione di GX_P2V negli esseri umani e sollevato interrogativi sulle misure di biosicurezza impiegate durante la ricerca. “Questa follia deve essere fermata prima che [sia] troppo tardi”, ha scritto su X il dottor Gennadi Glinsky, professore in pensione della School of Medicine di Stanford. Anche il professor Francois Balloux, esperto di malattie infettive dell’University College di Londra, sempre su X ha descritto la ricerca cinese come “uno studio terribile, totalmente inutile scientificamente”.

    Dello stesso avviso Richard Ebright, chimico della Rutgers University di New Brunswick, nel New Jersey. “Il preprint non specifica il livello di biosicurezza e le precauzioni utilizzate per la ricerca – ha evidenziato l’esperto – . L’assenza di queste informazioni solleva la preoccupante possibilità che parte o tutta questa ricerca, come la ricerca a Wuhan nel 2016-2019 che probabilmente causò la pandemia di Covid-19, sia stata condotta in modo sconsiderato senza il contenimento minimo di biosicurezza e le pratiche essenziali per la ricerca con un potenziale agente patogeno pandemico”.

  • L’influenza stagionale non va chiamata ‘suina’

    Tutti stanno comunemente chiamando ‘suina’ l’influenza stagionale che sta costringendo a letto migliaia di italiani. In realtà con l’animale la patologia non ha nulla a che fare poiché è dovuta al virus influenzale A(H1N1) che provoca un’infezione virale acuta dell’apparato respiratorio con sintomi simili a quelli classici dell’influenza. Soprannominare questo virus influenza “suina”, come sottolinea @anmvioggi, rivista dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani, è un retaggio mediatico che deriva dai primi casi rilevati nel 2009 quando diversi Paesi hanno riportato casi di infezione nell’uomo provocati da un nuovo virus influenzale di tipo A(H1N1), noto come influenza “suina” e poi denominato A(H1N1)pdm09.
    Ogni anno i virus respiratori determinano un aumento dei ricoveri e della mortalità nel periodo di circolazione; e allo stato attuale è in linea con le stagioni influenzali del periodo pre-pandemico, come riporta l’Oms.
    Il ceppo influenzale è contenuto nel vaccino, fortemente assolutamente consigliato, anche ad un pubblico più ampio rispetto ai soggetti tenuti a farlo. Mascherine e strumenti di protezione individuale nel caso di contagio sono fortemente consigliati. Negli episodi più gravi bisogna ricorrere ad una terapia tempestiva con antivirali, soprattutto nei soggetti con condizioni di rischio.

  • Covid Italia: in un mese casi quintuplicati e morti raddoppiati

    Tornano a crescere i numeri del Covid in Italia. Come rilevato dai dati del monitoraggio settimanale condotto dalla Fondazione Gimbe, dopo un periodo di stabilità da quattro  settimane consecutive si rileva una progressiva ripresa della circolazione virale. Dalla settimana 10-16 agosto a quella 7-13 settembre, infatti, il numero dei nuovi casi settimanali è quasi quintuplicato, passando da 5.889 a 30.777, il tasso di positività dei tamponi è aumentato dal 6,4% al 14,9%, l’incidenza è passata da 6 casi a 52 per 100mila abitanti. Ma nelle ultime 4 settimane si registra anche un numero di decessi più che raddoppiato. I ricoveri in area medica, inoltre, dal minimo (697) raggiunto il 16 luglio ad oggi sono più che triplicati (2.378), mentre in terapia intensiva dal minimo (18) del 21 luglio sono saliti a quota 76.

    “Numeri sì bassi – commenta Nino Cartabellotta, presidente Gimbe – ma anche ampiamente sottostimati rispetto al reale impatto della circolazione virale perché il sistema di monitoraggio, in particolare dopo l’abrogazione dell’obbligo di isolamento per i soggetti positivi con il Dl 105/2023, di fatto poggia in larga misura su base volontaria. Infatti, da un lato la prescrizione di tamponi nelle persone con sintomi respiratori è ormai residuale (undertesting), dall’altro con l’ampio uso dei test antigenici fai-da-te la positività viene comunicata solo occasionalmente ai servizi epidemiologici (underreporting)”.

    Secondo Gimbe, nelle ultime 4 settimane la circolazione virale risulta aumentata in tutte le Regioni e Province autonome.L’ultimo aggiornamento nazionale dei dati della Sorveglianza integrata Covid-19 dell’Istituto superiore di sanità (Iss), rispetto alla distribuzione per fasce di età, fatta eccezione per la fascia 0-9 anni in cui si registrano 22 casi per 100mila abitanti, parla di incidenza aumentata progressivamente con le decadi: da 10 casi per 100mila abitanti nella fascia 10-19 anni a 78 nella fascia 70-89 anni, fino a 83 negli over 90.

    Per quanto riguarda i ricoveri in area medica, dopo aver raggiunto il minimo (697) il 16 luglio, i posti letto occupati in area medica sono più che triplicati (2.378), mentre in terapia intensiva dal minimo (18) del 21 luglio sono saliti a quota 76. Rispettivamente i tassi nazionali di occupazione sono del 3,8% e dello 0,9%. “Se in intensiva – spiega Cartabellotta – i numeri sono veramente esigui dimostrando che oggi l’infezione da Sars-CoV-2 solo raramente determina quadri severi, l’incremento dei posti letto occupati in area medica conferma che nelle persone anziane, fragili e con patologie multiple può aggravare lo stato di salute richiedendo ospedalizzazione e/o peggiorando la prognosi delle malattie concomitanti”. Infatti, il tasso di ospedalizzazione in area medica cresce con l’aumentare dell’età, passando da 17 per milione di abitanti nella fascia 60-69 anni a 37 nella fascia 70-79 anni, a 97 nella fascia 80-89 anni e a 145 per milione di abitanti negli over 90.

    Anche i decessi tornano ad aumentare, risultando più che raddoppiati nelle ultime 4 settimane: da 44 nella settimana 17-23 agosto a 99 nella settimana 7-13 settembre). Secondo i dati dell’Iss, i decessi si riferiscono a persone over 80, con 28 per milione di abitanti su 31 decessi per milione di abitanti in tutte le fasce di età.

    Le varianti circolanti appartengono a tutte alla famiglia Omicron. Nell’ultimo report dell’European centre for disease prevention and control (Ecdc) del 7 settembre 2023 non vengono segnalate ‘varianti di preoccupazione’, ma solo ‘di interesse’. In Italia, l’ultima indagine rapida dell’Iss, effettuata su campioni notificati dal 21 al 27 agosto 2023, riporta come prevalente (41,9%) la variante EG.5 (cd. Eris), in rapido aumento in Europa, Stati Uniti e Asia. La prossima indagine rapida dell’Iss, secondo quanto indicato dalla circolare del 15 settembre 2023, sarà effettuata su campioni raccolti nella settimana 18-24 settembre.

    Il report Gimbe, riguardo alla campagna vaccinale, sottolinea come il 1° settembre 2023 è stato interrotto l’aggiornamento della dashboard sulla campagna vaccinale. Di conseguenza, non è possibile riportare aggiornamenti periodici, ma solo rilevare che di fatto la somministrazione dei vaccini è sostanzialmente residuale, sia come ciclo primario sia come richiami. Le indicazioni preliminari per la campagna di vaccinazione anti-Covid 2023-2024 sono contenute nella Circolare del ministero della Salute del 14 agosto. Se però la Circolare prevedeva di iniziare la campagna in concomitanza con quella antinfluenzale, il ministro Schillaci ha invitato le Regioni a iniziare per le categorie più a rischio a fine settembre.

    Dal 2 giugno al 31 agosto (ultimo dato disponibile) agli over 80 sono state somministrate 827 quarte dosi e 2.156 quinte dosi. Diventa urgente quindi avviare al più presto la campagna vaccinale per questa fascia di età e più in generale per i fragili.

    “Nel prossimo autunno-inverno il vero rischio reale del Covid-19 è quello di compromettere la tenuta del Servizio sanitario nazionale, oggi profondamente indebolito e molto meno resiliente, in particolare per la grave carenza di personale sanitario”, spiega il presidente di Gimbe Cartabellotta, che invita “le Istituzioni a mettere in atto tutte le azioni necessarie per proteggere anziani e fragili, incluso fornire raccomandazioni per gli operatori sanitari positivi asintomatici, oltre a rimettere in campo – se necessario – le misure di contrasto alla diffusione del virus”. E rivolge “alla popolazione l’invito a mantenere comportamenti responsabili”, per non incorrere nel rischio di vedere crollare il servizio sanitario nazionale.

  • Italia prima in Europa per attacchi ransomware

    Continuano gli attacchi ransomware ai danni di utenti e aziende italiane. A marzo il nostro Paese è stato il primo, a livello europeo, per numero di minacce con questo specifico tipo di malware che blocca i computer e richiede un riscatto per il ripristino. È quanto emerge dal rapporto di Trend Micro Research, azienda di sicurezza informatica: nel periodo considerato sono stati registrati circa 2,47 milioni di attacchi ransomware in tutto il mondo di cui il 2,66% in Italia. Mentre sono esattamente cinque anni dalla debacle di numerosi sistemi nel mondo per il virus WannaCry definito da Europol il più grande attacco ransomware di sempre.

    Secondo Trend Micro, nella classifica dei paesi più colpiti dai ransomware a marzo c’è in testa il Giappone, con un quinto degli attacchi globali (poco più del 20%), seguito da Stati Uniti e Messico. Anche per quanto riguarda i macromalware, programmi malevoli contenuti all’interno di documenti Word o Excel in grado di provocare molti danni ai Pc colpiti, l’Italia è la prima nazione europea per numero di attacchi (1.393) e la terza al mondo dopo Giappone (43.649) e Stati Uniti (2.879). I malware che hanno colpito l’Italia sono invece 15.481.554 e il Paese è quinto al mondo dopo Giappone (128.090.571), Stati Uniti (87.904.737), India (18.367.627) e UK (16.871.859). I dati sono frutto delle analisi della Smart Protection Network, la rete di intelligence di Trend Micro costituita da oltre 250 milioni di sensori e che blocca una media di 65 miliardi di minacce all’anno, con circa 94 miliardi bloccate nel 2021. A marzo ha gestito 513 miliardi di richieste e fermato 11,2 milioni di minacce, di cui circa il 65% via e-mail.

    Uno dei ransomware più letali della storia iniziò a diffondersi il 12 maggio 2017. Si tratta di WannaCry e trasmise un’ondata di virus che infettò oltre 230 000 computer in 150 Paesi, con richieste di riscatto in BitCoin in 28 lingue differenti.

    Si diffuse tramite email e fu attribuito alla Corea del Nord. “WannaCry ha rappresentato la dimostrazione delle capacità e delle volontà del regime, che è poco incentivato a “giocare secondo le regole”, di infliggere danni ad altre Nazioni per perseguire i propri interessi nazionali”, spiega Jens Monrad, Head of Threat Intelligence, Emea di Mandiant.

  • L’Italia è il Paese più colpito in Europa dai malware

    L’Italia è il primo Paese in Europa e il quarto nel mondo più colpito dai malware. Il numero totale di  virus malevoli intercettati nel nostro paese supera i 60 milioni, mentre le minacce via mail che si sono diffuse sono state oltre 330 milioni. I numeri si riferiscono al 2021 e sono contenuti nel rapporto ‘Navigating New Frontiers’ della società di sicurezza Trend Micro Research. Il resoconto allarma anche alla luce dei nuovi malware che stanno circolando in questo momento legati alla situazione in Ucraina e che potrebbero uscire dal perimetro del conflitto generando il cosiddetto ‘spillover’, come lo chiamano gli esperti facendo un parallelo con la pandemia.

    A livello globale, spiega Trend Micro Research, nel 2021 si è registrato un incremento del 42% delle minacce rispetto al 2020, circa 70 miliardi sono arrivate via mail. Riguardo l’Italia – quarta nel mondo dopo Stati Uniti, Giappone e India – il numero totale di malware intercettati nel 2021 è stato di 62.371.693, nel 2020 erano stati oltre 22 milioni; 6.861 gli attacchi ricevuti dal nostro paese. Le minacce via e-mail che hanno toccato l’Italia sono state 336.431.403, i siti maligni ospitati e bloccati sono stati 269.383; mentre il numero di app maligne scaricate è stato di 51.103. Infine i malware di online banking intercettati sono stati 3.478. Per quanto riguarda i ransomware, quei virus che bloccano i dispositivi per i quali poi viene chiesto un riscatto alle vittime per sbloccarli, l’Italia è quarta in Europa preceduta da Germania, Francia e Gran Bretagna. A livello mondiale è dodicesima.

    L’anno passato, spiegano i ricercatori di Trend Micro, è stato caratterizzato da attacchi alle infrastrutture e ai sistemi per il lavoro da remoto cresciuti con la pandemia, nel mirino in particolare il cloud configurato in maniera errata. Emerge anche l’ascesa di servizi come i ‘ransomware-as-a-service’, un modello di business con cui gli sviluppatori di ransomware affittano varianti dei virus, “che ha aperto il mercato ai malintenzionati con conoscenze tecniche limitate e ha dato origine a maggior specializzazioni, come i broker esperti negli accessi che sono diventati un tassello fondamentale dell’underground criminale”.

    Infine, le famiglie di malware che hanno dominato il panorama delle minacce del 2021 sono state guidate da quelli che prendono di mira le criptovalute. Sono state anche rilevate 78 nuove famiglie di ransomware nel 2021, in diminuzione del 39% su anno.

  • Ha senso eliminare le mascherine?

    Ieri, martedì 9 febbraio, in Italia ci sono stati 102.000 nuovi contagi e ancora 415 morti mentre mancano all’appello vaccinale più di un milione di persone che continuano a negare il virus. Nel mondo la variante Omicron ha già causato 500.000 morti e paesi meno sviluppati hanno una popolazione nella maggior parte non vaccinata. Ha senso parlare di eliminare la mascherina all’aperto da metà febbraio e ad aprile anche al chiuso? Non è mettere ancora una volta il carro davanti ai buoi? Certamente i contagi accennano a scendere ma siamo ancora quasi all’11%, certamente la bella stagione, quando arriverà, darà una mano, indiscutibilmente abbiamo tutti voglia di normalità ma un po’ di precauzione in più sarebbe necessaria perché i 415 morti e i 102.000 contagi di ieri dimostrano: 1) la Delta non è sparita, 2) la Omicron è anch’essa pericolosa per i non vaccinati e per i vaccinati più deboli, anziani o con altre patologie. Togliere la mascherina, quando sappiamo bene che già ora troppi non la usano o la usano scorrettamente, è un azzardo che il governo, ed il ministro Speranza, non dovrebbero fare.

    Va inoltre ricordato che l’Oms ha dichiarato che la Omicron nel mondo ha già portato a 500.000 morti, cinquecentomila morti dichiarati dimostrano che anche Omicron non è né una passeggiata né un semplice raffreddore perciò molte precauzioni sono necessarie a partire dall’uso giudizioso delle mascherine specie nei luoghi affollati all’aperto ed ancora per un certo tempo, che sarà stabilito dai dati medici, al chiuso.

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