voto

  • A botta calda

    A botta calda il risultato elettorale premia, giustamente, Giorgia Meloni per come ha saputo crescere politicamente portando avanti il suo partito ma anche aprendosi alla società e dimostra, non solo con le incredibili esternazioni di Berlusconi, che il pericolo maggiore per il governo sono proprio gli alleati di Fratelli d’Italia.

    Il meritato successo non deve distrarre i vincitori, e neppure i vinti, dall’analisi approfondita della sempre maggior disaffezione al voto di tanta parte degli italiani.

    Qualcuno può anche sostenere che lo stesso astensionismo si è verificato in altre democrazie ma in questo periodo storico, nel quale proprio il concetto di democrazia è messo in discussione dai vari presidenti dittatori che governano in troppi paesi, è necessario che chi governa e chi è all’opposizione analizzi e comprenda come l’astensionismo, nato dalla mancanza di credibilità dei partiti, sia un grave pericolo in e per l’Italia.

    Salvini può anche dirsi soddisfatto di aver preso più o meno il 16% ma è il 16% del misero 41% che è andato a votare!

    Se poi vogliamo parlare del peso dell’Italia in Europa le dichiarazioni di Berlusconi non incoraggiano certo le istituzioni europee a fidarsi del nostro Paese nonostante i lodevoli sforzi della Presidente del Consiglio.

    Finita la conta dei voti bisognerà cominciare a fare altri conti e nuove riflessioni.

  • L’inopportuna “tutela etica” europea

    Le elezioni rappresentano una delle espressioni più evidenti di una democrazia compiuta in quanto ai cittadini viene riconosciuto il diritto fondamentale di esprimere il proprio orientamento politico. Questo diritto, che costituisce l’essenza stessa della democrazia, talvolta è oggetto di complicazioni o di limitazioni attraverso l’applicazione di sistemi elettorali complessi ed articolati all’interno dei quali il computo complessivo dei voti spesso rappresenta un’isola della salvezza stessa di partiti, ma soprattutto una zona franca di completa ingerenza delle segreterie dei partiti stessi.

    Nonostante questo ed i sistemi elettorali adottati, l’esercizio del voto rappresenta la democrazia stessa in quanto tale ed ovviamente indipendentemente dai risultati che le urne possano esprimere.

    In altre parole, i risultati elettorali rappresentano, a prescindere dallo schieramento politico vincitore, l’essenza stessa di uno Stato democratico, a maggior ragione se aderente ad un’unione come quella Europea, in quanto una istituzione politica sovranazionale come quella rappresentata dall’Unione Europea non può né deve mettere in discussione lo stesso esercizio democratico ed espressione di un diritto in rapporto all’esito dello stesso.

    Viceversa, a meno di ventiquattro ore dalla chiusura delle urne, due esponenti europei, come la Presidente della Bce e il primo ministro francese, hanno affermato come il nostro Paese dovrà essere posto sotto tutela con l’obiettivo di salvaguardare i diritti fondamentali democratici proprio in rapporto all’esito elettorale.

    In altre parole, l’esercizio di un diritto democratico non è più sufficiente a dimostrare, e contemporaneamente, confermare la democraticità del sistema istituzione nazionale, come lo stato italiano che, proprio in rapporto all’esito elettorale, deve essere posto sotto tutela con l’obiettivo di “salvaguardare” quegli stessi diritti democratici espressi dallo stesso esercizio del voto.

    Quindi l’Italia, uno degli Stati fondatori prima della Ceca (Comunità del carbone e dell’acciaio europea) e poi della stessa UE, oggi non rappresenta, agli occhi di queste esponenti europee, una democrazia compiuta in virtù dell’esercizio democratico del voto, ma può essere considerata tale solo ed esclusivamente in rapporto a dei parametri elaborati dalla stessa Unione europea. Quindi solo sulla base della aderenza a determinati schemi ideologici uno Stato può venire considerato democratico, altrimenti deve essere posto sotto la tutela europea per la salvaguardia dei diritti fondamentali.

    In questo contesto, allora, la stessa definizione della Istituzione europea dovrà essere completamente rivista, in quanto si sta trasformando in una istituzione etica all’interno della quale lo stesso riconoscimento dei singoli Stati viene sottoposto ad una valutazione, anche solo in rapporto agli esiti elettorali espressi nell’esercizio democratico del diritto al voto.

    Un passaggio questo cruciale nella stessa definizione degli ambiti democratici riconosciuti ai singoli Stati ormai ridotti a semplici sostenitori di una prigione etica europea “superiore”.

    Mai come ora dovrebbe venire proprio dallo schieramento politico uscito perdente dal confronto elettorale una decisa presa di posizione a favore del nostro Paese nella quale venisse esplicitamente espressa l’assoluta contrarietà a questo tipo di ingerenza espressa dalle due esponenti europee e contemporaneamente confermata la assoluta democrazia del nostro Paese in quanto la democrazia italiana rappresenta un modello compiuto, anche se ovviamente migliorabile, e di certo non può essere messa in discussione nella tutela dei diritti fondamentali, o  dall’orientamento politico della compagine risultata vincente alla tornata elettorale.

    Proprio questo silenzio, invece, rappresenta uno dei motivi per i quali al nostro Paese non viene riconosciuto in ambito europeo quel ruolo fondamentale e costituente che invece la storia gli dovrebbe riconoscere.

    A causa del provincialismo e della pochezza intellettuale della nostra classe politica, priva di ogni senso comune di stato, ancora una volta il nostro Paese viene considerato non come una degna espressione di una democrazia ma come un sistema da sottoporre al controllo etico dell’Unione Europea.

  • Il diritto di scegliere i propri rappresentanti

    La lettera aperta dell’Associazione Europa Nazione dimostra come sia sempre più forte il sentimento di condanna ad un sistema elettorale che, con leggi diverse e sempre più liberticide, ha tolto ai cittadini elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti e di avere parlamentari e senatori legati effettivamente al territorio che dovrebbero rappresentare.

    Da troppo tempo le leggi elettorali hanno consegnato ai capi partito ed ai capi corrente l’esclusivo potere di scegliere, stabilire, chi sarà eletto al Parlamento ed al Senato garantendosi così parlamentari di loro esclusiva dipendenza anche al di là della affettiva competenza.

    Il sempre più forte astensionismo dimostra la ormai radicata mancanza di fiducia degli elettori verso i partiti che non rappresentano più, come sarebbe loro dovere, gli interessi della collettività ma operano per costruire piccole oligarchie.

    Qualunque sarà il risultato elettorale è bene che fin da ora tutti coloro che credono in una reale democrazia comincino a lavorare insieme per ottenere una riforma del sistema dei partiti e per una legge elettorale rispettosa degli elettori.

    La strada sarà lunga ma se non si parte non si arriva, da oggi il cammino sarà meno impervio perché, come dimostrano molti articoli apparsi in questi giorni e la lettera aperta dell’Associazione Europa Nazione cominciamo ad essere in molti a chiedere un totale cambiamento.

  • Lettera aperta dell’Associazione Europa Nazione ai leader dei partiti italiani

    Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta dell’Associazione ‘Europa Nazione’ 

    L’Associazione Europa Nazione, che ha lasciato libertà di voto ai propri soci, in quanto ha deciso di non prendere posizione ufficiale per nessun partito che concorre alle elezioni legislative del 25 settembre 2022, esprime il suo disappunto e sconcerto per l’indegno spettacolo offerto in merito alle modalità e ai criteri attuati per la formazione delle liste dei candidati.

    Ancora una volta, partiti divisi su tutto e incapaci di confronti sereni, hanno confermato il “patto di ferro” dell’intesa tra loro di continuare l’esproprio del diritto costituzionale dei cittadini italiani di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.

    E’ dal 2005, con il varo della legge elettorale definita “Porcellum”, fino all’attuale normativa “Rosatellum”, che la politica si fa beffe dei diritti degli elettori e della rappresentanza dei territori e riduce la scelta dei candidati al Parlamento a decisioni discrezionali e arbitrarie di parenti, coniugi e amici personali, spesso inadeguati al ruolo, che vengono incredibilmente paracadutati in territori a loro del tutto estranei.

    Una sagra di nomine che non hanno nulla di politico e di rappresentativo, fondate sul principio dell’appartenenza fiduciaria ai leader, senza alcun legame con il popolo elettore.

    Un meccanismo prepotente e offensivo della sovranità popolare, che per quanto attiene specificatamente al Senato, potrebbe assurgere a vera e propria violazione della costituzione, atteso che per la Camera Alta il principio di rappresentanza è fondato su base Regionale.

    I candidati dovrebbero quindi essere residenti nella Regione e non sconosciuti esterni che poi si dileguano all’indomani delle elezioni.

    Ma come si può ancora impunemente consentire ai partiti di esercitare poteri che violano la Costituzione? Come si possono ancora ritenere libere elezioni, attività di finta espressione del voto, limitato unicamente ad una scelta di simboli di partito e non di persone, senza più alcun legame con gli interessi popolari e territoriali?

    Ma cosa di diverso si può pretendere dagli attuali partiti, ridotti a comitati elettorali, che non hanno mai adottato regole interne che garantissero gestioni e decisioni democratiche?

    Aveva ragione Piero Calamandrei quando alla Assemblea Costituente dichiarò: “una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti”.

    Anche per questo la politica ha perso ogni credibilità e competenza e subisce il commissariamento di Premier “tecnici”.

    Per queste ragioni Europa Nazione si rivolge a tutti i leader dei partiti in corsa alle elezioni anticipate e chiede una dichiarazione pubblica di impegno, subito dopo le elezioni, ad approvare una legge elettorale che restituisca i diritti negati ai cittadini e ai territori.

    Solo così i cittadini potranno valutare quali leader saranno disponibili ad uscire dalla congrega degli usurpatori dei diritti costituzionali del popolo elettore italiano, così come potranno giudicare i leader che continueranno ad ignorare la richiesta di ripristino delle garanzie democratiche.

    Non è più tempo di egoismi e prepotenze, ma di scelte per il ritorno all’etica e al rispetto della Carta Costituzionale, nel primario interesse del Paese.

    Viva la democrazia e viva l’Italia.

    Europa Nazione

    I firmatati: Nicola Bono, Alfonso Amaturo, Alessandro Arancio, Nadia Barattucci, Corrado Cammisuli, Enrico Facco, Renato Giovannelli, Giorgio Holzmann, Salvo La Porta, Gennaro Malgieri, Dino Melluso, Silvio Meloni, Silvano Moffa, Enzo Molettieri, Pippo Monaco, Mimmo Nania, Adriano Napoli, Oronzo Orlando, Walter Pepe, Maria Rosaria Perdicaro, Rosario Polizzi, Francesco Rubera, Manuela Ruggieri, Noemi Sanna, Rosario Trotta, Roberto Visentin, Vittorio Delogu

  • La compiaciuta sordità politica

    Indipendentemente dall’esito elettorale, sia per quanto riguarda il referendum che per le amministrative, risulta evidente come il problema legato all’affluenza alle urne  venga sostanzialmente sottovalutato se non addirittura ignorato perché considerato come possibile  istigatore di dubbi sulla legittimità delle elezioni  dal ceto politico. L’astensionismo viene comunque inquadrato all’interno di un fenomeno di disaffezione verso le istituzioni politiche ed  i partiti in particolare del quale neppure le cariche istituzionali sembrano preoccuparsi e tantomeno porvi rimedio pur essendo queste ultime garanti della stessa democrazia.

    In questo contesto, poi, le reazioni tanto a parole quanto nei comportamenti di tutte le dirigenze dei partiti dimostrano da oltre trent’anni, attraverso i propri comportamenti e la selezione della classe dirigente, la perseverante propria  autodistruzione reputazionale, determinando una sempre maggiore disaffezione presso i cittadini con una inevitabile costante diminuzione dei votanti, tanto da rendere corretta la definizione di questa compiaciuta  sordità  come una vera e propria strategia.

    Va ricordato infatti come, quando alle urne si recano poco più del 50% degli aventi diritto, inevitabilmente il valore del voto dei propri  iscritti, dei simpatizzanti e dei sostenitori per un determinato schieramento politico acquisisca statisticamente un valore maggiore rispetto all’ipotesi di una affluenza del 100% degli iscritti alle liste elettorali.

    Per conseguire questo sordido obiettivo la stessa classe politica opera in modo da essere percepita come sempre più distante e suscita di conseguenza l’allontanamento dalla politica stessa di una parte di elettori attraverso il mancato esercizio del voto. Cosi viene diminuito il quoziente elettorale e contemporaneamente  si accresce il valore del voto sicuro degli scritti, dei simpatizzanti, dei sostenitori ed, in ultima analisi, delle segreterie  dei partiti.

    Questo semplice dato  statistico assicura un ruolo sempre più centrale e  determinante nella vittoria politica al partito ed alla sua segreteria i quali da soli, a fronte di una scarsa affluenza, possono determinare con il voto dei propri sostenitori l’esito stesso delle urne.

    Questo spiega, di conseguenza, il perché di fronte ad un fenomeno di disaffezione verso lo strumento del voto le  istituzioni statali e gli stessi  partiti non abbiano mai dimostrato nessuna attenzione e tantomeno modificato il proprio comportamento per cercare di ovviare a questa problematica. Una lontananza siderale che se si manifestasse all’interno di un contesto economico vedrebbe le aziende investire risorse  finanziarie e professionali con l’obiettivo di riacquisire la centralità della propria posizione.

    La sordità dei partiti, di tutti i partiti, esprime invece un ragionamento ed una bieca strategia la quale intende rendere sempre più marginale l’espressione di opinione che il voto assicura e così  renderla semplicemente una manifestazione di  vicinanza ideologica dei  propri iscritti ed affezionati elettori e sostenitori.

    Questa classe politica, in altre parole, sta svuotando di ogni significato una delle massime espressioni democratiche come il voto, determinando, con i propri comportamenti  e la propria sordità verso le  più importanti aspettative dei cittadini, in alcuni casi persino ridiccolizzandole rispetto a quelle di minoranze di genere, l’inevitabile progressivo allontanamento e disaffezione al voto.

    La democrazia, in altre parole, non può certamente essere rappresentata da una classe politica italiana impegnata solo al conseguimento del  proprio interesse il quale può essere raggiunto con maggiore facilità attraverso la disaffezione al voto dei cittadini stessi.

    Mai come ora il nostro Paese si sta lentamente allontanando dal modello democratico occidentale.

  • L’istituto del referendum

    L’istituto del referendum rappresenta, in una democrazia delegata, l’unica occasione per permettere ai cittadini esprimersi in merito ad un determinato argomento.

    Nel nostro ordinamento ha delle limitazioni essendo prevista solo la possibilità di abrogare una legge già in vigore, escludendo invece determinate materie come quella fiscale.

    Tuttavia, di fronte al  senso di inadeguatezza che questa classe politica  è riuscita a trasmettere ai propri deleganti nella storia recente del nostro Paese, va anche sottolineato come lo stesso istituto del referendum abbia inevitabilmente acquisito anche le caratteristiche di strumento di pressione politica proprio nei confronti di quel  Parlamento istituzionalmente indicato a legiferare per materie di forte rilevanza politica e sociale.

    I referendum sulla giustizia nascono proprio da questa ultradecennale incapacità della classe politica di riformare il settore della giustizia avendo, e con un grande ritardo, percepito il senso di sfiducia dei cittadini stessi nei confronti del complesso sistema giudiziario italiano. Il referendum rappresenta l’ultima arma democratica in mano ai cittadini.

    Esiste un’altra limitazione relativa alle tematiche oggetto del referendum, come già detto, che esclude la materia fiscale mentre all’interno delle democrazie dirette come, per esempio la Svizzera, si possono  proporre anche  quesiti referendari  relativi alla introduzione di un limite agli stipendi degli amministratori delegati.

    In questo contesto, allora, proponendo un referendum relativo all’abrogazione del reddito di cittadinanza si entra  all’interno di una quanto mai complessa materia sociale ed economica in quanto si  contrappongono fasce di popolazione con redditi diversi ed interessi contrapposti il cui esito potrebbe influire sulla disponibilità economica di una delle parti interessate.

    In altre parole, la contrapposizione politica in ambito referendario non dovrebbe mai scendere sul piano della sussistenza economica e della possibilità di fornire o limitare gli  strumenti finanziari di cui una fascia di popolazione ne beneficia. Viceversa una classe politica consapevole dovrebbe spendersi per trovare gli strumenti legislativi per la sua corretta applicazione o per un’eventuale modifica se non addirittura abrogazione ma  in sede parlamentare come limpida espressione del potere legislativo.

    Ecco quindi, ancora una volta, il referendum, il quale andrebbe assolutamente riformato non tanto nel numero necessario per ottenere l’approvazione quanto nelle materie oggetto dello stesso per porre le basi normative finalizzate ad un avvicinamento del  nostro sistema, ormai impantanato da 111.000 leggi, ad un modello il più possibile vicino ad una democrazia diretta.

  • Un’opportunità per dimostrare di essere diversi e migliori degli avversari

    Il richiamo al governo affinché affronti subito, alla radice, lo spropositato aumento dell’energia, che sta portando a situazioni di disperazione troppe persone e costringe alla chiusura molte attività piccole e medie, è legittimo, specie da parte di chi è all’opposizione. Meno legittimo che si dica, come ha fatto Giorgia Meloni, secondo quanto scrive Il Secolo d’Italia, che non sia urgente occuparsi della legge elettorale, compito che ovviamente, ricordiamo a tutti, spetta ai partiti e non al governo. 1) Le elezioni sono a breve, nei primi mesi del 2023; 2) la legge elettorale deve garantire A) la rappresentanza parlamentare a tutti i territori italiani, B) la maggiore e più corretta partecipazione democratica proprio in un epoca dove la disaffezione al voto e l’astensione sono in continuo aumento; 3) con l’attuale legge non si può andare a votare in quanto non garantisce né la rappresentanza, dopo la diminuzione del numero dei parlamentari, né la partecipazione, inoltre si deve tener conto di tutte le osservazioni fatte dalla Corte Costituzionale; 4) la legge elettorale è un problema che devono risolvere i partiti ed il Parlamento non certo l’esecutivo come sembra sottendere Giorgia Meloni.

    Sarebbe perciò poi corretto e saggio che Fratelli d’Italia, oltre a criticare e contestare l’operato di tutti, si occupasse di presentare una sua proposta basata sull’interesse dei cittadini che da troppi anni, esasperati da un bipolarismo che in Italia non ha funzionato e dall’esproprio del loro diritto di poter scegliere i propri rappresentanti, scelti invece dai leader, si allontanano sempre più dalle urne. Oggi con un sistema maggioritario, che agli italiani non piace, si è arrivati da un lato all’impossibilità di fare un governo tra forze compatibili e dall’altro a veder governare partiti che hanno maggioranze costruite su una minoranza di votanti. Credere nella democrazia, amare la propria nazione significa dare vita ad una legge elettorale che vada bene per tutti, oggi come domani, e non costruirla su quello che si ritiene il proprio momentaneo interesse. Ci auguriamo che le forze di centro destra lo capiscano perché, in caso contrario, avranno perso un’altra importante opportunità per dimostrare, come sostengono, di essere diversi e migliori dei loro avversari.

  • Una legge elettorale che abbia dignità

    Speriamo che il forte richiamo alla dignità, dignità dei singoli, dignità dell’Italia, dignità delle istituzioni, fatto dal Presidente Mattarella al Parlamento riunito trovi ascolto nei cuori e nelle menti di tutti coloro che lo hanno applaudito così che ciascuno operi affinché la politica abbia dignità in tutte le sue manifestazioni. Per questo speriamo anche che la futura legge elettorale abbia dignità e ridia si cittadini il diritto di scegliere i suoi rappresentanti.

  • Mattarella, la Cittadinanza attiva, una legge elettorale che la garantisca

    La presidenza Mattarella dà qualche mese di respiro al governo Draghi per tentare di portare a termine alcuni di quegli interventi richiesti dall’Europa e necessari all’Italia dal punto di vista economico, strutturale e sociale. Tutti sappiamo bene che tra qualche mese la campagna elettorale per Camera e Senato, i prodromi si sono già visti nelle discordanti giornate per il Quirinale, impediranno di fatto all’attuale governo di poter lavorare in serenità e proficuamente. E’ perciò necessario ora accelerare i tempi a partire dall’approvazione di una nuova legge elettorale considerato che quella attuale, oltre che nefasta in sé, non è applicabile dopo la riforma che ha dimezzato il numero dei parlamentari. Anche sulla legge elettorale si consumeranno scontri duri e sarà, come sempre, difficile fare comprendere ai partiti che la legge non può essere fatta per premiare gli uni o gli altri di coloro che, in questo momento, si sentono avvantaggiati, ma che deve essere una legge che garantisca ai cittadini quella libera scelta di voto che è primo presupposto per la democrazia.

    Come abbiamo scritto più volte riteniamo che il sistema proporzionale, con soglia di sbarramento, con preferenza unica e con vero controllo delle spese elettorali, ed una norma che impedisca a volti noti di apparire in video in modo esorbitante, sia il sistema più democratico in quanto ridà finalmente ai cittadini il diritto di scelta e di controllo. In questo modo si toglierebbe una parte di quell’eccessivo potere di scegliere gli eletti, potere che hanno, da troppi anni, i capi partito e si riporterebbero i parlamentari a seguire anche i problemi del territorio, come avveniva molti anni fa. Solo con un sistema proporzionale si può pensare di riavvicinare gli elettori ai partiti e di portare i partiti ad utilizzare le capacità di tanti dirigenti ed iscritti che sono stati spesso emarginati perché non in stretta sintonia con i dirigenti di vertice.

    Un altro problema da affrontare, per cercare di arginare la disaffezione al voto diventata sempre più dilagante, è quello legato alla mancanza di chiarezza dei bilanci dei partiti che bisogna siano controllati dalla Corte dei Conti. Bisogna che i partiti abbiano personalità giuridica, così che si possa verificare che gli statuti rispettino la democrazia interna, a partire dagli organi di controllo e dall’indizione e svolgimento regolare dei congressi. Senza dibattito e confronto non c’è democrazia e se non c’è democrazia all’interno dei partiti come possiamo pensare che questi siano i garanti dell’Italia che è una repubblica democratica?

    Durante e dopo l’elezione del presidente Mattarella abbiamo assistito a vari rimescolamenti, segno evidente di una insofferenza anche nei rapporti personali e dell’incapacità, per molti, di una visione politica superiore al loro interesse di parte. Interesse di parte che, proprio per mancanza di visione politica, gli stessi leader non sono neppure riusciti a tutelare. E questo la dice lunga su come alcuni personaggi sarebbero in grado di governarci, specie in situazioni difficili come quelle che oggi ci presenta il contesto europeo ed internazionale, dalla Russia con i suoi legami sempre più saldi con la Cina, agli Stati Uniti che perdono forza, alle catastrofi naturali e innaturali sempre più frequenti, alle nuove tragiche povertà che non sono più solo nei paesi meno sviluppati.

    E’ il momento di una riflessione, senza arroganze e pressapochismi, chi sarà in grado di farla aiuterà la sua forza politica e l’Italia, chi continuerà a credere in un bipolarismo impossibile e nel leaderismo esasperato potrà, forse, aumentare qualche voto ma poi resterà marginale.

  • Giudizio

    In questi giorni in mezzo alle tante polemiche, veti e proposte più o meno irricevibili, che le varie forze politiche si sono scambiati c’è stato un momento di unità nel ricordare ed onorare David Sassoli, come uomo e come politico. E tutti hanno potuto vedere come la gente, quella normale, avesse riconosciuto in lui il simbolo di quella politica, di quel modo di lavorare che vorrebbe fosse la normalità e non l’eccezione. Servirà questo esempio a coloro che oggi e domani devono rappresentarci, dal governo alle altre istituzioni compresa la presidenza della Repubblica? Servirà a comprendere come passione, ascolto degli altri, attenzione profonda alle difficoltà e sofferenze debbono far parte del bagaglio politico di chi si occupa della cosa pubblica? Si tornerà a comprendere il significato di parole come empatia, dedizione, approfondimento e studio, moderazione nei gesti e nelle parole perché solo la moderazione si coniuga bene con la fermezza? Sono realista e temo non sarà così, temo che i termini resteranno quelli che sono stati fino ad ora, termini come asfaltare, riferito agli avversari, e temo che il confronto sarà ancora una volta accantonato dallo scontro. Temo che si continuerà ad agire e a dichiarare avendo come obiettivo il proprio momentaneo tornaconto elettorale invece che l’interesse oggettivo dell’Italia. Sono anche convinta, però, che, specie tra i giovani, l’esempio di Sassoli e dei suoi famigliari, possa essere un seme che può ancora far nascere un modo diverso di fare politica. Sono convinta che, tra le seconde e terze file, vi siano ancora persone che fanno politica in modo sincero, non andranno in televisione, non avranno molto ascolto nei loro partiti ma esistono e sta anche a noi cittadini dare loro la forza di uscire allo scoperto, di farsi sentire. Per questo crediamo nel proporzionale e nella preferenza, per far rinascere la democrazia nei partiti, per spingerli a non fare leggi elettorali sull’ipotetico tornaconto di questo o quello schieramento, perché sia ancora possibile agli elettori di scegliere, controllare, punire o premiare chi hanno eletto, guardandolo in faccia e non dovendo subire le scelte dei leader. Come David diceva ai suoi figli “mi raccomando giudizio” cerchiamo anche noi di rivolgere lo stesso invito a chi oggi, da più parti, sembra ritenere questa parola obsoleta.

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